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Autore: Stephanie86    10/01/2016    6 recensioni
Tutti vogliono salvare Emma.
Tutti vogliono trovare un modo per liberarla dall'oscurità prima che la divori.
Ben presto, però, Regina - e gli altri - si rende conto che per raggiungerla e aiutarla avrà bisogno di aiuto. E non di un aiuto qualsiasi.
Lily è sempre stata legata ad Emma, fin dal principio. Ha sempre dovuto lottare contro il potenziale oscuro che gli Azzurri e l'Apprendista hanno trasferito in lei. Cosa accadrà quando la sua oscurità incontrerà quella della nuova Emma? Dove la condurrà il filo rosso che la unisce al nuovo Signore Oscuro?
Regina diventerà davvero la Salvatrice?
[Spoiler! per chi non segue la messa in onda americana | Pairing: principalmente Swan Queen e Swan Star]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Lily, Regina Mills, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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4

 

 

 
Quattordici anni prima.

 

Neal posò la bottiglia di Heineken sul tavolo e si alzò, avviandosi verso il juke box sistemato in un angolo del locale.

“Che stai facendo?”, chiese Emma.

Lui sorrise, ma non disse niente. Era quel sorriso. Quello che le aveva rivolto quando si erano conosciuti, pochi giorni prima, perché lei aveva avuto la brillante idea di rubare un maggiolino giallo. Una macchina che era già stata rubata.

Se c’era una cosa che aveva capito di Neal Cassidy era che poteva rivelarsi un tipo pieno di sorprese. Dopo la chiacchierata sulla giostra, l’aveva invitata a rivedersi per cenare da qualche parte. Le era sembrato evidente che volesse fare colpo su di lei ed Emma si era sentita lusingata. E si era anche chiesta se avesse davvero i soldi per pagare la cena di due persone.   

Li aveva trovati. Li aveva trovati vendendo alcuni degli oggetti che aveva rubato di recente. Essendo un ladro come lei, avrebbe dovuto aspettarselo.

L’aveva portata in un locale in puro stile American Western, un posto chiamato Cowboy Bee Bop; era un locale vasto, con una grande pista da ballo in parquet, tavoli in legno, tre baristi al lavoro dietro all’ampio bancone e musica a volume sostenuto. Quando erano entrati li aveva accolti un mix di chitarra hawaiana e un accompagnamento di basso, subito seguiti dal rimbombo della batteria. Poi avevano virato sulla musica country.

Neal aveva parlato molto davanti agli hamburger circondati da una corona di patatine e anelli di cipolla. Le aveva raccontato di come aveva rubato il maggiolino, della fuga precipitosa dopo la recente rapina e di qualche furto rocambolesco commesso in passato. Emma scoprì che le piaceva ascoltarlo. Il sorriso del ragazzo era sempre aperto e sincero, un po’ sornione. Non era bello, ma aveva qualcosa che lo rendeva speciale.

“Sono contento che tu abbia accettato di venire qui”, le aveva detto ad un certo punto.

“Avevi dei dubbi?”

“No. So di aver fatto colpo alle giostre. E anche sull’auto”. Il suo sorriso si allargò ulteriormente.

Emma non rispose, ma si portò una delle ultime patatine alla bocca.

Ora Neal stava presso il juke box e sembrava riflettere sul da farsi; poi estrasse una moneta dalla tasca e la infilò nell’apposita fessura.

Pochi istanti dopo partì una ballata dal ritmo abbastanza accattivante, in puro stile anni ’80. Emma non l’aveva mai sentita in vita sua.

‘Looking from a window above, it’s like a story of love... can you hear me?’

Neal tornò al tavolo. “Che ne dici?”

“Carina”.

“Solo carina?”. Lui aveva appoggiato, quasi senza accorgersene, una mano sulla sua. “Adoro questa canzone”.

‘And all I ever knew... only you’

“Esiste anche una versione a cappella dei Flying Pickets, ma non ne vale la pena”, spiegò Neal.

Emma non scostò la sua mano da quella di Neal. Temette che stesse per chiederle di ballare, cosa che si sarebbe rifiutata di fare, dato che non sapeva ballare. Ma non glielo chiese. Tuttavia la guardava. Non si aspettava che lei parlasse. Si limitava solo a guardarla. Emma si sentì scottare le guance.

 

Lui seguitò a tenerle la mano mentre lasciavano il locale.

Il parcheggio asfaltato era pieno di pick up e vetture di fabbricazione americana, quasi tutte piuttosto vecchie. C’erano anche semiarticolati e furgoni nel parcheggio a sinistra, in fila sotto le luci azzurrognole dei lampioni. Due uomini con il cappello da cowboy condussero un paio di ridenti ragazze in jeans e camicia western verso una macchina, salirono e sgommarono via, sollevando una nuvola di polvere.

“Beh, spero di averti dimostrato di non essere un maniaco, come pensavi”, disse Neal, schiarendosi la voce.

“Direi che sei stato convincente”, rispose Emma, abbassando gli occhi e poi tornando ad osservarlo. Era da parecchio tempo che non passava una così bella serata. E aveva quella canzone in testa. Era sicura che avrebbe continuato a canticchiarla nei giorni seguenti.

‘All I needed was the love you gave, all I needed for another day... and all I ever knew... only you’.

Neal si chinò in avanti. Emma seppe che stava per baciarla e per un attimo ebbe paura, quella paura che aveva sempre quando qualcuno le piaceva. La paura che quel qualcuno finisse col deluderla. Che quel qualcuno l’abbandonasse, come avevano fatto i suoi genitori. O la ferisse come era successo con alcune delle famiglie affidatarie in cui era finita. Famiglie in cui lei era solo una... cosa le aveva detto Lily alla fermata dell’autobus? Ah, sì. Ruotina.

Tuttavia in Neal non percepì nulla di sbagliato. E quando le labbra di lui si posarono sulle sue, Emma non lo respinse. Gli appoggiò una mano sul petto e chiuse gli occhi.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Emma Swan – disse Henry, le mani appoggiate alla ringhiera, gli occhi fissi davanti a sé, verso il mare, ma senza vederlo. – Emma Swan. Emma Swan.

Emma comparve accanto a lui. – Henry...

- Mamma... - Sembrava felice di vederla, ma il ragazzino ritrasse la mano quando lei provò a toccargliela.

Non era sorpresa e tuttavia provò una fitta al petto quando il figlio si allontanò. – Non devi avere paura di me.

- Cos’è successo? – le chiese, in tono implorante. Il suo aspetto continuava a sorprenderlo. Gli abiti neri ed eleganti che sua madre non aveva mai indossato... prima. I capelli bianchi raccolti nella crocchia. Il pallore. Il suo strano modo di muoversi. – Perché sei così, adesso?

- È... complicato.

- Mi dispiace. Qualsiasi cosa sia successa a Camelot... mi dispiace se abbiamo fallito con te.

Quello la rattristò. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma immaginava che Henry si sarebbe scostato di nuovo. Era l’Oscura, ora. Non più la Salvatrice che aveva condotto a Storybrooke. – So che cos’ho detto ieri sera. Ma Henry... tu non hai fallito con me. Tutti gli altri l’hanno fatto.

- Stai lontana da mio figlio.

La voce di Regina non la sorprese affatto. La vide avvicinarsi a loro con la sua solita aria decisa. L’aria di chi era pronta a sfidare persino il nuovo Oscuro per scoprire cos’era accaduto ai loro ricordi.

- Qual è il problema, Regina? Hai paura che Henry venga a sapere cos’è accaduto a Camelot?

- Se la verità è così importante per te, perché hai cancellato i nostri ricordi?

- È una maledizione, Regina. – Lo disse come se fosse una cosa ovvia, una cosa che una come lei avrebbe dovuto sapere.

Gli occhi di Emma erano di un verde molto carico, più scuro del solito. Regina non distolse lo sguardo. – Lo so. Quello che non riesco a capire è... perché?

- Se avessi voluto fartelo sapere, non avrei certo cancellato i tuoi ricordi.

Regina ebbe voglia di colpirla. Di colpirla per far sparire quel sorrisetto dal suo volto, per chiuderle il becco una volta per tutta. Quando parlava, Regina sentiva quanto fosse cambiata, avvertiva la nuova inflessione della sua voce, il potere come se fosse qualcosa di concreto. Aveva passato tutta la notte a rigirarsi nel letto, tormentandosi con un mucchio di domande, rivoltandole nella sua mente per trovare una via d’uscita, una motivazione a quella nuova maledizione. Aveva scavato nei suoi ricordi, ma senza successo. Il pensiero di ciò che Emma era diventata non la lasciava in pace. Il pensiero di quella figura oscura e sensuale, di quello sguardo determinato ma offuscato dalla nuova entità che ne possedeva il corpo... non l’abbandonava. Le sue accuse...

“Non sono venuta qui per combattere. Ma per dirvi... che per quello che mi avete fatto, sarete puniti”.

Le sembravano accuse insensate. E tuttavia la sua rabbia era fin troppo palpabile.

Cos’abbiamo fatto?

“Per quello che mi avete fatto, sarete puniti”.

“Non c’è più nessuna Salvatrice in questa città”.

“Nessuno toccherà questo pugnale a parte me”.

“Siete andati a Camelot per salvarmi dall’oscurità. E avete fallito”.

FALLITO.

Era riuscita ad addormentarsi solo all’alba e solo perché Robin si era offerto di prepararle una tisana.

Ma lei non aveva bisogno di tisane. Voleva delle risposte.

- Voglio parlare con Emma – aveva detto Henry, quella mattina. Anche lui aveva l’aria sbattuta. Non aveva chiuso occhio ed era evidente. – Se la chiamo... se la invoco, mi risponderà. L’Oscuro... deve rispondere quando qualcuno lo invoca.

- Sì... – aveva mormorato Regina, mettendogli una mano sulla testa. – Ma Henry...

- Voglio capire perché dice che abbiamo fallito. Voglio dirle che... che mi dispiace.

- Henry, non credo che lei sia arrabbiata con te.

E aveva ragione. Emma non era furiosa con suo figlio. Era furiosa con lei. Era furiosa con tutti loro.

- Lo sai... che non ci fermeremo fino a quando non li avremo recuperati – continuò Regina, riferendosi a quelle memorie perdute.

- Non succederà, Regina. – rispose Emma, con calma. – Perché ho imparato da te. Ho creato questa maledizione senza l’unica cosa che può spezzarla. Una Salvatrice.

Regina.

Era la terza volta che Emma pronunciava il suo nome. La terza. Lo pronunciava come se la stesse sfidando apertamente. Come se volesse sottolineare la sua colpa senza rivelargliela, cosa che la faceva imbestialire. Lo pronunciava imprimendo forza e durezza in ogni sillaba.

Non si lasciò impressionare dal suo tono. – Beh... troveremo una soluzione. La troviamo sempre.

- Sì. Grazie a me – disse lei, ancora più sprezzante. – Adesso sei sola.

Henry mise una mano sulla spalla di Regina. – Ce la puoi fare, mamma. Puoi essere la Salvatrice.

Regina gli sorrise, intenerita.

- Non succederà – ripeté Emma. Sembrava quasi triste, mentre lo diceva.

- Tu non pensi che io possa esserlo. - La sua non era più una domanda. Si sentiva ancora più confusa.

Emma la fissò intensamente. – So che non lo sei.

So che non lo sei, perché so cosa mi hai fatto, sembrava che le stesse dicendo. So che non lo sei, perché hai fallito. So che non lo sei, perché mi hai delusa. Come tutti gli altri. So che non lo sei e anche tu lo sai, solo che non ricordi.

- Beh, ti sbagli – continuò Regina. Per lei quella conversazione era terminata. Non intendeva farsi insultare ancora. Invitò Henry a seguirla. – Posso proteggere questa città.

- Stai raccontando frottole a te stessa. – asserì Emma. – Perché questa maledizione è un problema che solo una Salvatrice può risolvere. Peccato che non ne abbiamo una.

Regina si fermò, ma non osò voltarsi per affrontarla di nuovo. Le sue parole erano come coltelli affilati. Per quanto si mostrasse sicura di sé, riuscivano a penetrare. E arrivavano in fondo. Lei era stata la Regina Cattiva, aveva seminato il panico e il terrore nella Foresta Incantata, aveva massacrato villaggi interi per raggiungere il suo obiettivo... aveva cercato di eliminare la Salvatrice quando era giunta a Storybrooke dopo ventotto anni. Ora toccava sempre a lei proteggere la città. Toccava a lei proteggerli dall’Oscuro, da quella stessa donna che aveva liberato tutti un tempo. E che la accusava di qualcosa di terribile.

“Ce la puoi fare, mamma. Puoi essere la Salvatrice”.

“Non succederà”

La gente si sarebbe fidata di lei? Avrebbero creduto che fosse in grado di proteggere Storybrooke?

“Tu non pensi che io possa esserlo”.

“So che non lo sei”.

Continuò a camminare, tenendo Henry per mano e sentendo quello sguardo addosso. Sentendolo su di sé.

- Non ascoltarla, mamma – disse suo figlio, scuro in volto. – Quella che parla... non è Emma.

Ma Regina non ne era così sicura. L’Oscuro ci metteva del suo, di certo, ma quello sguardo tempestoso era di Emma. C’era l’entità che aveva preso possesso del suo corpo e c’era Emma che era furibonda. Che pensava sinceramente che avessero fallito tutti.

“Non c’è più nessuna Salvatrice in questa città”.

 

***

 

Camelot. Sei settimane prima della maledizione.

 

Artù aveva preparato un ballo in grande stile solo per i suoi ospiti. La sala più grande del castello era illuminata a giorno e gremita di cavalieri, lord e dame pronti a lanciarsi nelle danze. I colori erano talmente vividi da restarne abbagliati. Nell’aria aleggiavano la musica e il profumo dei fiori.

In cima alla scalinata che le avrebbe condotte al centro della sala, Emma e Lily aspettavano il loro turno per scendere.

- Dobbiamo proprio partecipare a questa farsa? – domandò Lily, sforzandosi di sorridere e parlando a bassa voce per non farsi sentire dai due uomini posizionati ai lati della scala.

- È solo un ballo – le rispose Emma.

- Non è solo un ballo. E sono stata costretta a mettermi questo. Perché non ho potuto scegliere come vestirmi? – Lily indossava un abito nero, con le maniche lunghe che si aprivano verso i polsi e avevano gli orli bordati da rifiniture viola. Il vestito era munito di uno strascico corto e la scollatura era abbastanza generosa. Portava la sua collana, quella a forma di mezzaluna e le avevano anche acconciato i capelli in modo che le ricadessero tutti su una spalla.

- Credo che dipenda dal fatto che qui siamo ospiti, Lily. – Emma le sorrise. – Stai molto bene.

- Non sto bene. Faccio fatica a muovermi. E detesto ballare.

Emma, dal canto suo, stava certamente bene con quell’abito candido come la neve e la corona di fiori tra i capelli biondi, sciolti sulle spalle. Nessuno avrebbe mai sospettato che fosse l’Oscura. Splendeva come un sole. Lily era convinta che Uncino avrebbe anche avuto l’onore di ballare con lei, ma molti in quella sala avrebbero fatto carte false per invitarla.

- Pensa solo che non durerà molto – continuò Emma.

- Non sembri tanto preoccupata. Quindi sai ballare?

- Diciamo che Neal... mi ha insegnato qualcosa.

L’araldo del re annunciò le due ospiti, facendosi sentire in tutta la sala. – Lady Emma Swan e Lady Lilith!

Lei roteò gli occhi, notando che l’attenzione degli invitati si era spostata su di loro. - Avrei voluto conoscere questo Neal. Forse mi sarebbe piaciuto.

- Lo credo anch’io.

Emma cominciò a scendere e Lily la seguì, sperando che quel dannato vestito non la intralciasse. Ai piedi delle scale Uncino attendeva la sua amata con la tipica divisa da pirata, pantaloni in pelle nera e giacca lunga sopra la giubba rossa. Avrebbe preferito quella all’abito che le avevano riservato.

- Lady Lilith – disse il giovane cavaliere di nome Percival, elargendo un inchino e poi tendendole la mano. – Ho chiesto a vostra madre di potervi invitare per questo primo giro di danze.

Lily cercò sua madre in mezzo alla gente, ma non riuscì a scorgerla. Se fosse riuscita a trovarla, le avrebbe fatto sapere che sua figlia non amava quel genere di cose.

Tuttavia Percival le sorrideva, gentile. Era alto e di bell’aspetto, con i capelli biondi tagliati corti, molto elegante con quella giacca rosso scura sopra la camicia chiusa da bottoni neri. Aveva con sé la propria spada, agganciata alla cintura.

- Forse mia madre avrebbe dovuto dirti... dirvi che non ho mai fatto queste cose. Nemmeno nel mondo in cui sono cresciuta – gli rispose, prendendo la sua mano.

Lui non sembrò sorpreso e la condusse al centro della sala. – Mi piacciono le sfide. E poi... basta che uno di noi due sia in grado di farlo e sappia guidare l’altro.

- Vi presento... la Salvatrice! – annunciò l’araldo, alzando ancora di più la voce.

Tutti applaudirono e levarono esclamazioni ammirate quando Regina apparve in cima alla scalinata, agghindata in un vestito che mandava barbagli argentati. Se quello di Emma era particolarmente elegante, anche se non così elaborato, quello di Regina appariva molto più regale, con l’ampia gonna bianca e le spalline sottili.

“Io sono la Salvatrice”, aveva detto quel giorno, quando Artù aveva chiesto esplicitamente chi di loro fosse colei che aveva spezzato la prima maledizione.

Emma era stata sul punto di rivelarsi, ma Regina aveva sfruttato il pugnale per coprirla. Se Emma avesse detto di essere la Salvatrice, l’avrebbero costretta ad usare la magia. E la magia dell’Oscuro non era certo quella che Artù si aspettava.

“Io sono la Salvatrice. Io sono quella che libererà Merlino... così poi potremo occuparci dell’Oscuro”. Si era voltata verso Emma, che non aveva detto una parola, ma non aveva potuto nascondere il suo disappunto e la sua tristezza. Regina era sembrata enormemente dispiaciuta per ciò che stava facendo.“E torneremo tutti a casa”.

Lily, però, non aveva apprezzato affatto. Immaginava che fosse giusto, che fosse necessario per evitare ulteriori problemi ora che si trovavano a Camelot... eppure, al tempo stesso, per lei era tutto sbagliato.

C’erano molti dettagli che le sembravano sbagliati. Camelot, prima di tutto. Camelot sembrava troppo perfetta e lei delle cose perfette non si fidava. Mai. Artù. Appariva ben disposto, cordiale, onesto, un vero re. Ma nei suoi occhi verde chiaro c’era qualcosa che non riusciva ad afferrare. Sua moglie, la regina Ginevra, stava sempre accanto a lui, come la più fedele delle mogli ma, se non ricordava male la storia, era tutto fuorché fedele. E per di più il suo sguardo era opaco, distante, come se stesse guardando il mondo attraverso un velo. Merlino. Merlino, il mago più potente che quel regno avesse mai conosciuto, era intrappolato in un albero da... non si sapeva bene quanto tempo.

Emma. Emma era l’Oscuro e quello era già sbagliato, ma ancora più sbagliato le sembrava il fatto che non si appropriasse del pugnale. Che lasciasse che qualcun altro la controllasse. L’Oscuro aveva bisogno del pugnale. Era più sicuro che l’avesse lei.

“Io ti ho salvata. Ora tu salva me. E se non potrai salvarmi, allora fa quello che nessun altro sarà capace di fare. Sei l’unica in grado di mettere da parte le emozioni e fare ciò che è necessario. Distruggermi”.

Regina scese le scale, raggiungendo Robin Hood.

Lily distolse lo sguardo e si lasciò guidare da Percival, giusto per non apparire scortese.

 

 
Da almeno venti minuti Henry stava osservando la figlia di uno dei cavalieri di Artù.

Pensava che fosse una delle ragazze più carine che avesse mai visto. Doveva avere più o meno la sua età, portava i capelli neri sciolti sulle spalle e in quel momento aveva l’aria un po’ annoiata mentre ascoltava le chiacchiere di due invitati.

Henry pensava anche che avrebbe potuto chiederle di ballare. O magari lei non voleva ballare. Magari suo padre non le avrebbe permesso di farlo perché toccava a lui scegliere il cavaliere a cui affidarla.

Si morse il labbro. Scrutò la folla alla ricerca delle sue madri e le vide tutte e due impegnate nelle danze. Tornò a guardare la ragazza.

Azzurro si avvicinò e si appoggiò ad una colonna. – Sai, potresti semplicemente... andare da lei e presentarti.

Henry alzò un sopracciglio. – Questa sarebbe la tua tattica, nonno? Presentarsi?

- Oh, pensaci! Tu vieni da un altro mondo, sei misterioso... intrigante – Azzurro prese un paio di bicchieri dal vassoio che una serva gli stava porgendo e glieli offrì. – Avanti, vai.

Henry si sentì la bocca secca, la gola così riarsa che ebbe voglia di scolarsi quella bevanda, qualunque cosa fosse. Gli tremavano le ginocchia. E tuttavia si fece coraggio, seguendo i consigli del nonno.

- Sembri... assetata – disse, porgendole il bicchiere.

Idiota, pensò, sbigottito. Che cosa mi passa per la testa?

Un vero cavaliere l’avrebbe prima salutata, si sarebbe inchinato e si sarebbe presentato. Non era quello lo scopo? Presentarsi? Fare bella figura? Apparire misterioso?

Lei sorrise apertamente, accettando il bicchiere. – Vuoi dire annoiata. Grazie.

Henry pensò febbrilmente. – Quindi... non ti stai divertendo?

- Oh, per favore... i balli a Camelot sono all’ordine del giorno. 

Glielo disse come se fosse una cosa ovvia, quindi Henry cercò di migliorare la sua esternazione precedente. – Già, sì, è... davvero noioso.

La ragazza non disse niente e lui avvertì il sangue affluirgli alle guance. Non stava andando esattamente come aveva sperato.

“Tu vieni da un altro mondo. Sei misterioso... intrigante!”

Pescò l’Ipod dalla tasca. Era una vera fortuna che l’avesse con sé quando Lily aveva attivato la bacchetta magica. Districò le cuffie.

La ragazza lo fissò, incuriosita. – Che cos’è?

- È un... un regalo della Salvatrice – rispose Henry, imprimendo sicurezza nella propria voce. Misterioso. Intrigante. Ecco.

- Un regalo della Salvatrice? Davvero?

- Sì... diciamo che è un... un premio. Un premio per aver salvato la situazione quando eravamo intrappolati in un altro universo.

Lei sembrava stupita.

- Sì... qualcosa del genere. – minimizzò.

Rise. – Che gesto eroico. Sei un cavaliere?

Gesto eroico.

Misterioso. Intrigante.

Henry cominciava a capire che suo nonno aveva ragione. – Molto meglio. Sono uno scrittore.

Non ebbe esitazioni mentre le offriva la cuffia e le mostrava come usarla. La ragazza se la infilò in un orecchio. Non ebbe esitazioni nemmeno quando scelse la canzone da farle ascoltare. Perché era una di quelle canzoni che ascoltava a ripetizione. Era stato suo padre a parlargliene. Una volta le aveva raccontato come aveva conquistato Emma.

“Con una canzone?”, aveva chiesto Henry.

“Non una canzone qualsiasi. La mia preferita. Funziona sempre, fidati. Beh, certo, ammetto che non è stata solo la canzone. Ero abbastanza... intrigante”. Ricordava anche il sorriso di Neal. Era sicuro che Emma si fosse innamorata di lui anche per via del modo in cui sorrideva.

Qualche settimana prima aveva cercato la musica su Youtube.

Only you.

Schiacciò il tasto “play”. Lei assunse un’espressione stranita, persino incredula quando Yazoo iniziò a cantare.

“Looking from a window above, it’s like a story of love... can you hear me?”

- Mi chiamo Violet – annunciò.

Henry pensò che anche il suo sorriso fosse bellissimo. Allungò la mano e gliela strinse brevemente. – Henry.

 

 
Non fu una tragedia.

Lily continuava a sentirsi legnosa, mentre si sforzava di imitare i passi degli altri ballerini e mentre Percival la aiutava a mantenere il ritmo, ma almeno evitò di schiacciargli i piedi.

- Posso domandarvi una cosa? – domandò Percival, facendole fare un giro su se stessa.

- Dipende. Di che si tratta? – chiese Lily.

Il cavaliere stirò le labbra all’insù in quello che avrebbe dovuto essere un sorriso. Ma lo sguardo rimase serio. Attento. – Forse mi giudicherete inopportuno. Ma ho notato la vostra collana. Sembra qualcosa di... speciale.

Lily si portò una mano al collo, sfiorando il ciondolo con le dita. Non rispose.

Percival aspettava, paziente, e intanto continuava a danzare.

- Sì... l’ho sempre avuta. Fin da quando sono nata. – gli rispose, guardinga.

- Come la stella sul polso?

Lily guardò la voglia, istintivamente. La stella era visibile perché le maniche del vestito si aprivano proprio all’altezza dei polsi.

- Si sposa molto bene al vostro ciondolo. Vi dona – commentò Percival.

La canzone terminò. Finalmente. Con la coda dell’occhio Lily vide Artù in disparte, che valutava la situazione con la moglie appesa al suo braccio. I genitori di Emma erano accanto a lui e ridevano, beatamente. Henry stava chiacchierando con una ragazzina, con la quale stava anche condividendo le cuffie di un Ipod. Persino Granny aveva trovato un cavaliere e Brontolo ballava con Belle. Mancava solo Zelena, costretta ad interpretare la parte della serva muta. Regina le aveva tolto la voce per impedirle di dire qualsiasi cosa che potesse metterli nei guai.

- Una volta qualcuno mi ha detto la stessa cosa – disse Lily, cominciando a chiedersi se avesse fatto bene ad accettare l’invito di quel tizio. – Forse è meglio... che mi prenda una pausa.

- Come desiderate. Sono sempre a disposizione, se avrete voglia di ballare ancora. – Percival si inchinò.

Lily notò che il suo sguardo continuava a passare dal ciondolo alla voglia. Si sistemò meglio la manica dell’abito per nasconderla.

“Che splendido ciondolo”.

“Grazie”.

“Hai mai notato che si sposa bene con la voglia che hai sul polso?”

Il pensiero era talmente nitido, talmente tridimensionale e sonoro, che Lily trasalì, come se l’Apprendista si fosse materializzato accanto a lei e avesse parlato a voce alta. Nessuno notò niente. Percival si era allontanato.

 

 
- Posso intromettermi? Sarebbe un onore per me ballare con la Salvatrice – disse Percival, piazzandosi tra Robin e Regina.

Era lo stesso cavaliere che le aveva portato la collana di Artù, lo stesso che cavalcava alla destra del re quando il manipolo li aveva trovati nella foresta.

Robin gli diede il permesso, concedendogli la mano della compagna. Regina sorrise, sebbene trovasse la situazione un po’ strana. Nessuno dei cavalieri di Artù si era mai avvicinato, nel corso della festa, per chiederle di ballare. Non era successo a lei e non era successo ad Emma. Percival aveva ballato con Lily fino a pochi istanti prima e avrebbe giurato che i due fossero abbastanza affiatati, anche se quella ragazza non aveva la minima idea di cosa fosse un ballo. Più o meno come lei. Ma per Lily sembrava ancora più complicato. Non aveva mai visto un ballo in vita sua e quindi sembrava totalmente fuori luogo.

- Spero che stiate passando una piacevole serata – disse Percival, accompagnando le parole con un sorriso e un breve inchino.

- Oh, sì. Tutto è così... – Regina vide suo figlio in mezzo alla folla. Con una ragazzina.

Suo figlio, con una ragazzina. Si erano scambiati le cuffie dell’Ipod e ora parlavano e ridevano come se si conoscessero da una vita. Sembravano assai indaffarati. Più in sintonia che mai. Non aveva mai visto Henry chiacchierare con una ragazzina con tanta naturalezza.

Non può essere mio figlio, pensò, costernata.

Ma era Henry, invece. Armeggiava con l’Ipod, che certamente era una cosa nuova per una ragazzina di Camelot. Ora le stava mostrando qualcosa sullo schermo e pigiava dei tasti. Lei si sporse un po’ di più per vedere, sempre sorridendogli.

Regina ebbe un moto di stizza. – Chi è quella ragazzina che sta parlando con mio figlio?

- La domanda giusta è: chi siete voi? – ribatté Percival. La sua espressione era mutata. Continuava a ballare, come se fosse tutto normale, ma i suoi occhi erano diventati più affilati. Le sue labbra erano pressate in una linea piatta.

- Di che cosa state parlando? – domandò Regina. In realtà aveva la brutta sensazione di saperlo. Però non era possibile. Era stata attenta. Non aveva parlato con nessuno di Emma e dei suoi poteri. Aveva nascosto il pugnale in un luogo sicuro, proteggendolo con un incantesimo. Non potevano averlo trovato...

- Lasciate che vi racconti una storia – proseguì Percival. Non smetteva di osservarla. – Molti anni fa un ragazzo tornò al suo villaggio, nella Foresta Incantata... e lo trovò in fiamme. Le persone urlavano, il terrore impresso nei loro occhi...

Regina aggrottò la fronte. Il cuore prese a batterle più forte. Mantenne il ritmo, ma qualcosa stava ardendo nel suo stomaco.

- Tutto il suo mondo... bruciava, come un rogo. Il ragazzo pregò, chiedendo pietà, ma non gli venne concessa.

Regina non lo interruppe. Non ricordava l’episodio che stava raccontando. Aveva bruciato talmente tanti villaggi quando ancora dava la caccia a Biancaneve... villaggi che le sembravano tutti uguali, tutti pieni di persone che cospiravano contro di lei, che nascondevano la sua acerrima nemica, che si inginocchiavano al suo cospetto, ma intanto la tradivano. Era così piena di rabbia e così assetata di vendetta, che ogni uccisione era uguale alla precedente e alla successiva, ogni villaggio non era che un covo di inganni che voleva piegare o cancellare dalla faccia del suo regno.

- Vide solo un angelo della morte. Lei si muoveva tra le fiamme, godendosi il disastro che aveva provocato, in sella al suo cavallo... ma prima di andarsene, lei vide il ragazzo. – C’era rabbia nella voce di Percival, adesso. Contenuta a stento. C’era odio. Odio puro. – E in mezzo a quella carneficina, sapete che cosa fece lei? Gli sorrise.

- Voi siete quel ragazzo – disse Regina.

- E voi siete la Regina Cattiva.

Fine della storia.

Regina smise di ballare e lo stesso fece Percival. – L’avete detto a qualcuno?

- A nessuno.

- E perché no?

- Perché Artù mi avrebbe impedito di fare questo. – Percival estrasse la spada e si mosse in avanti per infliggerle il colpo mortale.

A Lily, che si trovava vicino ad una delle finestre e non aveva più badato alle danze, presa com’era dai suoi pensieri, sembrò di vedere più cose contemporaneamente; Percival che sguainava la spada, Regina che indietreggiava per evitare l’affondo, Robin che gridava il suo nome e si gettava sul cavaliere, iniziando a lottare con lui, gli invitati che formavano un cerchio intorno ai contendenti, Artù e sua moglie paralizzati, Emma che sollevava una mano pronta ad usare la sua magia, Uncino che la bloccava, afferrandola per il polso, Malefica che si faceva largo in mezzo alla gente...

Lily spintonò alcune persone per arrivare dove si stava svolgendo la lotta. Vide Percival che allungava una mano per arrivare all’elsa della sua spada, Robin sotto di lui cercava di impedirglielo, dibattendosi e colpendolo ripetutamente...

La mano di Percival arrivò comunque all’elsa, la impugnò e la sollevò, gli occhi accesi di furia omicida.

Lily avvertì il potere scorrere in lei, come a Storybrooke quando Zelena aveva preso la bacchetta, come nella Foresta quando aveva percepito l’oscurità di Emma. Quando vide la lama alzarsi, pronta ad affondare nella carne ed Emma che non poteva usare la maledetta magia, reagì slanciando un braccio in avanti, quasi sperasse di bloccare Percival e prenderlo per il collo. Fino ad un attimo prima quel cavaliere stava ballando con lei, le faceva domande strane sul suo ciondolo e sulla voglia... avrebbe dovuto capirlo. Avrebbe dovuto capire che aveva in mente qualcosa. Il drago dentro di lei spalancò gli occhi e ruggì.

Non si trasformò. Dalla mano di Lily si sprigionò un’onda di potere. Un risucchio silenzioso e caldo, simile allo spostamento d’aria prodotto da una scheggia arroventata lanciata a velocità supersonica, superò alcune persone, dirigendosi verso il bersaglio.

Di punto in bianco i pantaloni e la giacca rossa divamparono.

Percival cacciò un grido e balzò in piedi, agitando le mani e provando disperatamente a spegnere le fiamme. La sua spada cadde sul pavimento con un clang che riverberò per la sala. Brancolò ciecamente, dimenando le braccia, girando su se stesso e urlando come un ossesso. I capelli presero fuoco insieme al resto e infine le fiamme avvolsero il suo viso. Per qualche momento fu tutto lì, avviluppato in una muta invocazione nel bozzolo ardente, poi i lineamenti si ripiegarono e si fusero insieme. Lily guardò abbastanza a lungo da scorgere non più Percival, ma Murphy. Con orrore le parve di rivedere il volto di Murphy, Murphy che aveva abbandonato in un’area di servizio dopo averlo ucciso a suon di calci. Murphy che le diceva di fottersi e che si fottesse pure sua madre. Murphy e la sua faccia insanguinata.

Le urla cessarono e Percival bruciò, com’era bruciato il suo villaggio.

Gli invitati si spinsero a vicenda per allontanarsi il più possibile dal fuoco. Si creò confusione, baccano, si diffuse il panico. Robin era riuscito a strisciare via ed era stato ghermito da Azzurro, accorso con la spada sguainata. Ginevra nascose il viso nel petto del marito, orripilata. Artù, invece, si era immobilizzato, raggelato nella silenziosa contemplazione di quell’infuocato sviluppo. Infine alcuni cavalieri intervennero e soffocarono le fiamme con i mantelli.

Emma cercò Lily con lo sguardo, in mezzo alla folla. Non fu difficile individuarla, anche perché intorno a lei si era creato il vuoto.

Lily vacillò sulle gambe e poi crollò in ginocchio.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- So che sei lì. Puoi venire fuori adesso – disse Emma. Stava ancora guardando il punto in cui Regina e suo figlio erano spariti.

- Da quanto tempo lo sapevi?

- Sono l’Oscuro. Non dovresti nemmeno porti questa domanda. Da quando sono arrivata – Emma spostò gli occhi su di lei. - Non puoi ingannarmi.

Lily si avvicinò con cautela. Aveva seguito la conversazione fin dal principio. Quella mattina si era recata al porto, perché le sembrava un buon posto per pensare. Dentro di sé si era chiesta se dovesse invocare Emma. Chiamandola, lei avrebbe risposto. Sarebbe venuta. Si stava rigirando il giglio appassito tra le dita, quando aveva visto Henry. Immaginava che Regina fosse nei dintorni, quindi si era nascosta prima che lui potesse accorgersi della sua presenza o prima che se ne accorgesse l’altra madre. Anche se Henry sembrava troppo assorto per notare qualcosa.

- Cosa ancora più ovvia – aggiunse. - Non puoi ingannare qualcuno che ti conosce bene... come me. Qualcuno che è legato a me da sempre, poi...

- Ma l’Oscuro può ingannare gli altri, giusto? – disse Lily.

Emma non confermò, ma non era necessario.

- A che gioco stai giocando, Emma?

- Se hai ascoltato tutto, dovresti saperlo.

- In realtà no. Non lo so. Una maledizione? Sul serio?

Emma si staccò dalla ringhiera. – È ciò che meritano. Questo è ciò che merita chi fallisce.

- Perché? Cosa vuol dire tutto questo?

- Quello che vedi dovrebbe suggerirtelo.

- Sei l’Oscuro. Questo mi sembra chiaro. L’oscurità ha preso il sopravvento. Quello che non mi è chiaro è come sia successo.  

Passò qualcosa nello sguardo di Emma. Qualcosa di estremamente doloroso. L’impressione era che fosse un dolore antico, eppure anche nuovo. Molto recente.

- Voglio i miei ricordi. Su una cosa Regina ha ragione.

Emma sollevò un sopracciglio.

- Non ci fermeremo fino a quando non li avremo ritrovati.

- Lily...

- No! Ne ho abbastanza di maledizioni. È tutta la vita che lotto contro una maledizione, Emma!

Ormai erano faccia a faccia.

- E questo mi dispiace – rispose l’Oscura.

Era allucinante, eppure le parve sincera. – Cosa?

- Una volta non ti ho creduta. Ricordi? – Emma le sistemò distrattamente il colletto della giacca di pelle che indossava. – Quando mi hai detto che pensavi di essere stata maledetta...

Lily tacque. Gli occhi di Emma erano più verdi del solito. Erano dei buchi risucchianti. Trovava difficile distogliere l’attenzione.

- Non ti ho creduto. Ma adesso so che cosa provavi.

- Perché mi stai dicendo questo? Ti dispiace avermi tolto i ricordi? Ho sentito cos’hai detto a Regina. Abbiamo fallito.

- Gli altri hanno fallito, Lily. – precisò Emma, trattenendola per il colletto. – Tu no. Tu non hai fallito. Né tu né Henry avete fallito.

Lily aggrottò la fronte. Strinse i polsi di Emma. – Però sono nella stessa situazione degli altri.

- Non ho potuto evitarlo. – Lei annuì. – Adesso vieni con me.


   
 
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