4
Quattordici
anni prima.
Neal
posò la bottiglia di Heineken
sul tavolo e si alzò, avviandosi verso il juke box sistemato
in un angolo del
locale.
“Che
stai facendo?”, chiese Emma.
Lui
sorrise, ma non disse niente.
Era quel sorriso. Quello che le aveva rivolto quando si erano
conosciuti, pochi
giorni prima, perché lei aveva avuto la brillante idea di
rubare un maggiolino
giallo. Una macchina che era già stata rubata.
Se
c’era una cosa che aveva capito
di Neal Cassidy era che poteva rivelarsi un tipo pieno di sorprese.
Dopo la
chiacchierata sulla giostra, l’aveva invitata a rivedersi per
cenare da qualche
parte. Le era sembrato evidente che volesse fare colpo su di lei ed
Emma si era
sentita lusingata. E si era anche chiesta se avesse davvero i soldi per
pagare
la cena di due persone.
Li
aveva trovati. Li aveva trovati
vendendo alcuni degli oggetti che aveva rubato di recente. Essendo un
ladro
come lei, avrebbe dovuto aspettarselo.
L’aveva
portata in un locale in
puro stile American Western, un posto chiamato Cowboy Bee Bop; era un
locale
vasto, con una grande pista da ballo in parquet, tavoli in legno, tre
baristi
al lavoro dietro all’ampio bancone e musica a volume
sostenuto. Quando erano
entrati li aveva accolti un mix di chitarra hawaiana e un
accompagnamento di
basso, subito seguiti dal rimbombo della batteria. Poi avevano virato
sulla
musica country.
Neal
aveva parlato molto davanti
agli hamburger circondati da una corona di patatine e anelli di
cipolla. Le
aveva raccontato di come aveva rubato il maggiolino, della fuga
precipitosa
dopo la recente rapina e di qualche furto rocambolesco commesso in
passato.
Emma scoprì che le piaceva ascoltarlo. Il sorriso del
ragazzo era sempre aperto
e sincero, un po’ sornione. Non era bello, ma aveva qualcosa
che lo rendeva
speciale.
“Sono
contento che tu abbia
accettato di venire qui”, le aveva detto ad un certo punto.
“Avevi
dei dubbi?”
“No.
So di aver fatto colpo alle
giostre. E anche sull’auto”. Il suo sorriso si
allargò ulteriormente.
Emma
non rispose, ma si portò una
delle ultime patatine alla bocca.
Ora
Neal stava presso il juke box e
sembrava riflettere sul da farsi; poi estrasse una moneta dalla tasca e
la
infilò nell’apposita fessura.
Pochi
istanti dopo partì una
ballata dal ritmo abbastanza accattivante, in puro stile anni
’80. Emma
non l’aveva mai sentita in vita sua.
‘Looking
from a window above, it’s like a story of love... can you
hear me?’
Neal
tornò al tavolo. “Che ne dici?”
“Carina”.
“Solo
carina?”. Lui aveva
appoggiato, quasi senza accorgersene, una mano sulla sua.
“Adoro questa canzone”.
‘And
all I ever knew... only you’
“Esiste
anche una versione a
cappella dei Flying Pickets, ma non ne vale la pena”,
spiegò Neal.
Emma
non scostò la sua mano da
quella di Neal. Temette che stesse per chiederle di ballare, cosa che
si
sarebbe rifiutata di fare, dato che non sapeva ballare. Ma non glielo
chiese.
Tuttavia la guardava. Non si aspettava che lei parlasse. Si limitava
solo a
guardarla. Emma si sentì scottare le guance.
Lui
seguitò a tenerle la mano
mentre lasciavano il locale.
Il
parcheggio asfaltato era pieno
di pick up e vetture di fabbricazione americana, quasi tutte piuttosto
vecchie.
C’erano anche semiarticolati e furgoni nel parcheggio a
sinistra, in fila sotto
le luci azzurrognole dei lampioni. Due uomini con il cappello da cowboy
condussero un paio di ridenti ragazze in jeans e camicia western verso
una
macchina, salirono e sgommarono via, sollevando una nuvola di polvere.
“Beh,
spero di averti dimostrato di
non essere un maniaco, come pensavi”, disse Neal,
schiarendosi la voce.
“Direi
che sei stato convincente”,
rispose Emma, abbassando gli occhi e poi tornando ad osservarlo. Era da
parecchio tempo che non passava una così bella serata. E
aveva quella canzone
in testa. Era sicura che avrebbe continuato a canticchiarla nei giorni
seguenti.
‘All
I needed was the love you gave, all I needed for another day... and all
I ever
knew... only you’.
Neal
si chinò in avanti. Emma seppe
che stava per baciarla e per un attimo ebbe paura, quella paura che
aveva
sempre quando qualcuno le piaceva. La paura che quel qualcuno finisse
col
deluderla. Che quel qualcuno l’abbandonasse, come avevano
fatto i suoi
genitori. O la ferisse come era successo con alcune delle famiglie
affidatarie
in cui era finita. Famiglie in cui lei era solo una... cosa le aveva
detto Lily
alla fermata dell’autobus? Ah, sì. Ruotina.
Tuttavia
in Neal non percepì nulla
di sbagliato. E quando le labbra di lui si posarono sulle sue, Emma non
lo
respinse. Gli appoggiò una mano sul petto e chiuse gli occhi.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Emma Swan – disse Henry, le mani appoggiate alla ringhiera,
gli occhi fissi
davanti a sé, verso il mare, ma senza vederlo. –
Emma Swan. Emma Swan.
Emma
comparve accanto a lui. – Henry...
-
Mamma... - Sembrava felice di vederla, ma il ragazzino ritrasse la mano
quando
lei provò a toccargliela.
Non
era sorpresa e tuttavia provò una fitta al petto quando il
figlio si allontanò.
– Non devi avere paura di me.
-
Cos’è successo? – le chiese, in tono
implorante. Il suo aspetto continuava a
sorprenderlo. Gli abiti neri ed eleganti che sua madre non aveva mai
indossato... prima. I capelli
bianchi
raccolti nella crocchia. Il pallore. Il suo strano modo di muoversi.
– Perché
sei così, adesso?
-
È... complicato.
-
Mi dispiace. Qualsiasi cosa sia successa a Camelot... mi dispiace se
abbiamo
fallito con te.
Quello
la rattristò. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma immaginava che
Henry si sarebbe
scostato di nuovo. Era l’Oscura, ora. Non più la
Salvatrice che aveva condotto
a Storybrooke. – So che cos’ho detto ieri sera. Ma
Henry... tu non hai fallito
con me. Tutti gli altri l’hanno fatto.
-
Stai lontana da mio figlio.
La
voce di Regina non la sorprese affatto. La vide avvicinarsi a loro con
la sua
solita aria decisa. L’aria di chi era pronta a sfidare
persino il nuovo Oscuro
per scoprire cos’era accaduto ai loro ricordi.
-
Qual è il problema, Regina? Hai paura che Henry venga a
sapere cos’è accaduto a
Camelot?
-
Se la verità è così importante per te,
perché hai cancellato i nostri ricordi?
-
È una maledizione, Regina. – Lo disse come se
fosse una cosa ovvia, una cosa
che una come lei avrebbe dovuto sapere.
Gli
occhi di Emma erano di un verde molto carico, più scuro del
solito. Regina non
distolse lo sguardo. – Lo so. Quello che non riesco a capire
è... perché?
-
Se avessi voluto fartelo sapere, non avrei certo cancellato i tuoi
ricordi.
Regina
ebbe voglia di colpirla. Di colpirla per far sparire quel sorrisetto
dal suo
volto, per chiuderle il becco una volta per tutta. Quando parlava,
Regina
sentiva quanto fosse cambiata, avvertiva la nuova inflessione della sua
voce,
il potere come se fosse qualcosa di concreto. Aveva passato tutta la
notte a
rigirarsi nel letto, tormentandosi con un mucchio di domande,
rivoltandole
nella sua mente per trovare una via d’uscita, una motivazione
a quella nuova
maledizione. Aveva scavato nei suoi ricordi, ma senza successo. Il
pensiero di
ciò che Emma era diventata non la lasciava in pace. Il
pensiero di quella
figura oscura e sensuale, di quello sguardo determinato ma offuscato
dalla
nuova entità che ne possedeva il corpo... non
l’abbandonava. Le sue accuse...
“Non
sono venuta qui per
combattere. Ma per dirvi... che per quello che mi avete fatto, sarete
puniti”.
Le
sembravano accuse insensate. E tuttavia la sua rabbia era fin troppo
palpabile.
Cos’abbiamo
fatto?
“Per
quello che mi avete fatto,
sarete puniti”.
“Non
c’è più nessuna Salvatrice in
questa città”.
“Nessuno
toccherà questo pugnale a
parte me”.
“Siete
andati a Camelot per
salvarmi dall’oscurità. E avete fallito”.
FALLITO.
Era
riuscita ad addormentarsi solo all’alba e solo
perché Robin si era offerto di
prepararle una tisana.
Ma
lei non aveva bisogno di tisane. Voleva delle risposte.
-
Voglio parlare con Emma – aveva detto Henry, quella mattina.
Anche lui aveva
l’aria sbattuta. Non aveva chiuso occhio ed era evidente.
– Se la chiamo... se
la invoco, mi risponderà. L’Oscuro... deve
rispondere quando qualcuno lo
invoca.
-
Sì... – aveva mormorato Regina, mettendogli una
mano sulla testa. – Ma Henry...
-
Voglio capire perché dice che abbiamo fallito. Voglio dirle
che... che mi
dispiace.
-
Henry, non credo che lei sia arrabbiata con te.
E
aveva ragione. Emma non era furiosa con suo figlio. Era furiosa con lei. Era furiosa con tutti
loro.
-
Lo sai... che non ci fermeremo fino a quando non li avremo recuperati
–
continuò Regina, riferendosi a quelle memorie perdute.
-
Non succederà, Regina. – rispose Emma, con calma.
– Perché ho imparato da te. Ho
creato questa maledizione senza l’unica cosa che
può spezzarla. Una Salvatrice.
Regina.
Era
la terza volta che Emma pronunciava il suo nome. La terza. Lo
pronunciava come
se la stesse sfidando apertamente. Come se volesse sottolineare la sua
colpa
senza rivelargliela, cosa che la faceva imbestialire. Lo pronunciava
imprimendo
forza e durezza in ogni sillaba.
Non
si lasciò impressionare dal suo tono. – Beh...
troveremo una soluzione. La
troviamo sempre.
-
Sì. Grazie a me – disse lei, ancora più
sprezzante. – Adesso sei sola.
Henry
mise una mano sulla spalla di Regina. – Ce la puoi fare,
mamma. Puoi essere la
Salvatrice.
Regina
gli sorrise, intenerita.
-
Non succederà – ripeté Emma. Sembrava
quasi triste, mentre lo diceva.
-
Tu non pensi che io possa esserlo. - La sua non era più una
domanda. Si sentiva
ancora più confusa.
Emma
la fissò intensamente. – So che non lo sei.
So
che non lo sei, perché so cosa
mi hai fatto, sembrava
che le stesse dicendo. So che non lo sei,
perché hai fallito. So
che non lo sei, perché mi hai delusa. Come tutti gli altri.
So che non lo sei e
anche tu lo sai, solo che non ricordi.
-
Beh, ti sbagli – continuò Regina. Per lei quella
conversazione era terminata.
Non intendeva farsi insultare ancora. Invitò Henry a
seguirla. – Posso
proteggere questa città.
-
Stai raccontando frottole a te stessa. – asserì
Emma. – Perché questa
maledizione è un problema che solo una Salvatrice
può risolvere. Peccato che
non ne abbiamo una.
Regina
si fermò, ma non osò voltarsi per affrontarla di
nuovo. Le sue parole erano
come coltelli affilati. Per quanto si mostrasse sicura di
sé, riuscivano a
penetrare. E arrivavano in fondo. Lei era stata la Regina Cattiva,
aveva
seminato il panico e il terrore nella Foresta Incantata, aveva
massacrato
villaggi interi per raggiungere il suo obiettivo... aveva cercato di
eliminare
la Salvatrice quando era giunta a Storybrooke dopo ventotto anni. Ora
toccava
sempre a lei proteggere la città. Toccava a lei proteggerli
dall’Oscuro, da
quella stessa donna che aveva liberato tutti un tempo. E che la
accusava di
qualcosa di terribile.
“Ce
la puoi fare, mamma. Puoi essere
la Salvatrice”.
“Non
succederà”
La
gente si sarebbe fidata di lei? Avrebbero creduto che fosse in grado di
proteggere Storybrooke?
“Tu
non pensi che io possa
esserlo”.
“So
che non lo sei”.
Continuò
a camminare, tenendo Henry per mano e sentendo quello sguardo addosso.
Sentendolo su di sé.
-
Non ascoltarla, mamma – disse suo figlio, scuro in volto.
– Quella che parla...
non è Emma.
Ma
Regina non ne era così sicura. L’Oscuro ci metteva
del suo, di certo, ma quello
sguardo tempestoso era di Emma. C’era
l’entità che aveva preso possesso del suo
corpo e c’era Emma che era furibonda. Che pensava sinceramente che avessero fallito tutti.
“Non
c’è più nessuna Salvatrice in
questa città”.
***
Camelot.
Sei settimane prima della
maledizione.
Artù
aveva preparato un ballo in grande stile solo per i suoi ospiti. La
sala più
grande del castello era illuminata a giorno e gremita di cavalieri,
lord e dame
pronti a lanciarsi nelle danze. I colori erano talmente vividi da
restarne
abbagliati. Nell’aria aleggiavano la musica e il profumo dei
fiori.
In
cima alla scalinata che le avrebbe condotte al centro della sala, Emma
e Lily
aspettavano il loro turno per scendere.
-
Dobbiamo proprio partecipare a questa farsa? –
domandò Lily, sforzandosi di
sorridere e parlando a bassa voce per non farsi sentire dai due uomini
posizionati ai lati della scala.
-
È solo un ballo – le rispose Emma.
-
Non è solo un ballo. E
sono stata
costretta a mettermi questo. Perché
non ho potuto scegliere come vestirmi? – Lily indossava un
abito nero, con le
maniche lunghe che si aprivano verso i polsi e avevano gli orli bordati
da
rifiniture viola. Il vestito era munito di uno strascico corto e la
scollatura
era abbastanza generosa. Portava la sua collana, quella a forma di
mezzaluna e
le avevano anche acconciato i capelli in modo che le ricadessero tutti
su una
spalla.
-
Credo che dipenda dal fatto che qui siamo ospiti, Lily. –
Emma le sorrise. –
Stai molto bene.
-
Non sto bene. Faccio fatica a muovermi. E detesto ballare.
Emma,
dal canto suo, stava certamente bene con quell’abito candido
come la neve e la
corona di fiori tra i capelli biondi, sciolti sulle spalle. Nessuno
avrebbe mai
sospettato che fosse l’Oscura. Splendeva come un sole. Lily
era convinta che
Uncino avrebbe anche avuto l’onore di ballare con lei, ma
molti in quella sala
avrebbero fatto carte false per invitarla.
-
Pensa solo che non durerà molto –
continuò Emma.
-
Non sembri tanto preoccupata. Quindi sai ballare?
-
Diciamo che Neal... mi ha insegnato qualcosa.
L’araldo
del re annunciò le due ospiti, facendosi sentire in tutta la
sala. – Lady Emma
Swan e Lady Lilith!
Lei
roteò gli occhi, notando che l’attenzione degli
invitati si era spostata su di
loro. - Avrei voluto conoscere questo Neal. Forse mi sarebbe piaciuto.
-
Lo credo anch’io.
Emma
cominciò a scendere e Lily la seguì, sperando che
quel dannato vestito non la
intralciasse. Ai piedi delle scale Uncino attendeva la sua amata con la
tipica
divisa da pirata, pantaloni in pelle nera e giacca lunga sopra la
giubba rossa.
Avrebbe preferito quella all’abito che le avevano riservato.
-
Lady Lilith – disse il giovane cavaliere di nome Percival,
elargendo un inchino
e poi tendendole la mano. – Ho chiesto a vostra madre di
potervi invitare per
questo primo giro di danze.
Lily
cercò sua madre in mezzo alla gente, ma non
riuscì a scorgerla. Se fosse
riuscita a trovarla, le avrebbe fatto sapere che sua figlia non amava
quel
genere di cose.
Tuttavia
Percival le sorrideva, gentile. Era alto e di bell’aspetto,
con i capelli
biondi tagliati corti, molto elegante con quella giacca rosso scura
sopra la
camicia chiusa da bottoni neri. Aveva con sé la propria
spada, agganciata alla
cintura.
-
Forse mia madre avrebbe dovuto dirti... dirvi che non ho mai fatto
queste cose.
Nemmeno nel mondo in cui sono cresciuta – gli rispose,
prendendo la sua mano.
Lui
non sembrò sorpreso e la condusse al centro della sala.
– Mi piacciono le
sfide. E poi... basta che uno di noi due sia in grado di farlo e sappia
guidare
l’altro.
-
Vi presento... la Salvatrice! – annunciò
l’araldo, alzando ancora di più la
voce.
Tutti
applaudirono e levarono esclamazioni ammirate quando Regina apparve in
cima
alla scalinata, agghindata in un vestito che mandava barbagli
argentati. Se
quello di Emma era particolarmente elegante, anche se non
così elaborato,
quello di Regina appariva molto più regale, con
l’ampia gonna bianca e le
spalline sottili.
“Io
sono la Salvatrice”, aveva
detto quel giorno, quando Artù aveva chiesto esplicitamente
chi di loro fosse
colei che aveva spezzato la prima maledizione.
Emma
era stata sul punto di rivelarsi, ma Regina aveva sfruttato il pugnale
per
coprirla. Se Emma avesse detto di essere la Salvatrice,
l’avrebbero costretta
ad usare la magia. E la magia dell’Oscuro non era certo
quella che Artù si
aspettava.
“Io
sono la Salvatrice. Io sono
quella che libererà Merlino... così poi potremo
occuparci dell’Oscuro”. Si
era voltata verso Emma, che non aveva detto una parola, ma non aveva
potuto
nascondere il suo disappunto e la sua tristezza. Regina era sembrata
enormemente dispiaciuta per ciò che stava facendo.“E torneremo tutti a casa”.
Lily,
però, non aveva apprezzato affatto. Immaginava che fosse
giusto, che fosse
necessario per evitare ulteriori problemi ora che si trovavano a
Camelot... eppure,
al tempo stesso, per lei era tutto sbagliato.
C’erano
molti dettagli che le sembravano sbagliati. Camelot, prima di tutto.
Camelot
sembrava troppo perfetta e lei delle cose perfette non si fidava. Mai.
Artù.
Appariva ben disposto, cordiale, onesto, un vero re. Ma nei suoi occhi
verde
chiaro c’era qualcosa che non riusciva ad afferrare. Sua
moglie, la regina
Ginevra, stava sempre accanto a lui, come la più fedele
delle mogli ma, se non
ricordava male la storia, era tutto fuorché fedele. E per di
più il suo sguardo
era opaco, distante, come se stesse guardando il mondo attraverso un
velo. Merlino.
Merlino, il mago più potente che quel regno avesse mai
conosciuto, era
intrappolato in un albero da... non si sapeva bene quanto tempo.
Emma.
Emma era l’Oscuro e quello era già sbagliato, ma
ancora più sbagliato le
sembrava il fatto che non si appropriasse del pugnale. Che lasciasse
che
qualcun altro la controllasse. L’Oscuro aveva bisogno del
pugnale. Era più
sicuro che l’avesse lei.
“Io
ti ho salvata. Ora tu salva me.
E se non potrai salvarmi, allora fa quello che nessun altro
sarà capace di
fare. Sei l’unica in grado di mettere da parte le emozioni e
fare ciò che è
necessario. Distruggermi”.
Regina
scese le scale, raggiungendo Robin Hood.
Lily
distolse lo sguardo e si lasciò guidare da Percival, giusto
per non apparire
scortese.
Da
almeno venti minuti Henry stava osservando la figlia di uno dei
cavalieri di
Artù.
Pensava
che fosse una delle ragazze più carine che avesse mai visto.
Doveva avere più o
meno la sua età, portava i capelli neri sciolti sulle spalle
e in quel momento
aveva l’aria un po’ annoiata mentre ascoltava le
chiacchiere di due invitati.
Henry
pensava anche che avrebbe potuto chiederle di ballare. O magari lei non
voleva
ballare. Magari suo padre non le avrebbe permesso di farlo
perché toccava a lui
scegliere il cavaliere a cui affidarla.
Si
morse il labbro. Scrutò la folla alla ricerca delle sue
madri e le vide tutte e
due impegnate nelle danze. Tornò a guardare la ragazza.
Azzurro
si avvicinò e si appoggiò ad una colonna.
– Sai, potresti semplicemente...
andare da lei e presentarti.
Henry
alzò un sopracciglio. – Questa sarebbe la tua
tattica, nonno? Presentarsi?
-
Oh, pensaci! Tu vieni da un altro mondo, sei misterioso... intrigante
– Azzurro
prese un paio di bicchieri dal vassoio che una serva gli stava porgendo
e
glieli offrì. – Avanti, vai.
Henry
si sentì la bocca secca, la gola così riarsa che
ebbe voglia di scolarsi quella
bevanda, qualunque cosa fosse. Gli tremavano le ginocchia. E tuttavia
si fece
coraggio, seguendo i consigli del nonno.
-
Sembri... assetata – disse, porgendole il bicchiere.
Idiota,
pensò,
sbigottito. Che cosa mi passa per la
testa?
Un
vero cavaliere l’avrebbe prima salutata, si sarebbe inchinato
e si sarebbe
presentato. Non era quello lo scopo? Presentarsi? Fare bella figura?
Apparire
misterioso?
Lei
sorrise apertamente, accettando il bicchiere. – Vuoi dire
annoiata. Grazie.
Henry
pensò febbrilmente. – Quindi... non ti stai
divertendo?
-
Oh, per favore... i balli a Camelot sono all’ordine del
giorno.
Glielo
disse come se fosse una cosa ovvia, quindi Henry cercò di
migliorare la sua
esternazione precedente. – Già, sì,
è... davvero noioso.
La
ragazza non disse niente e lui avvertì il sangue affluirgli
alle guance. Non
stava andando esattamente come aveva sperato.
“Tu
vieni da un altro mondo. Sei
misterioso... intrigante!”
Pescò
l’Ipod dalla tasca. Era una vera fortuna che
l’avesse con sé quando Lily aveva
attivato la bacchetta magica. Districò le cuffie.
La
ragazza lo fissò, incuriosita. – Che
cos’è?
-
È un... un regalo della Salvatrice – rispose
Henry, imprimendo sicurezza nella
propria voce. Misterioso. Intrigante. Ecco.
-
Un regalo della Salvatrice? Davvero?
-
Sì... diciamo che è un... un premio. Un premio
per aver salvato la situazione
quando eravamo intrappolati in un altro universo.
Lei
sembrava stupita.
-
Sì... qualcosa del genere. – minimizzò.
Rise.
– Che gesto eroico. Sei un cavaliere?
Gesto
eroico.
Misterioso.
Intrigante.
Henry
cominciava a capire che suo nonno aveva ragione. – Molto
meglio. Sono uno
scrittore.
Non
ebbe esitazioni mentre le offriva la cuffia e le mostrava come usarla.
La
ragazza se la infilò in un orecchio. Non ebbe esitazioni
nemmeno quando scelse
la canzone da farle ascoltare. Perché era una di quelle
canzoni che ascoltava a
ripetizione. Era stato suo padre a parlargliene. Una volta le aveva
raccontato
come aveva conquistato Emma.
“Con
una canzone?”, aveva
chiesto Henry.
“Non
una canzone qualsiasi. La mia
preferita. Funziona sempre, fidati. Beh, certo, ammetto che non
è stata solo la
canzone. Ero abbastanza... intrigante”. Ricordava
anche il
sorriso di Neal. Era sicuro che Emma si fosse innamorata di lui anche
per via
del modo in cui sorrideva.
Qualche
settimana prima aveva cercato la musica su Youtube.
Only
you.
Schiacciò
il tasto “play”. Lei assunse
un’espressione stranita, persino incredula quando
Yazoo iniziò a cantare.
“Looking
from a window above, it’s like a story of love... can you
hear me?”
-
Mi chiamo Violet – annunciò.
Henry
pensò che anche il suo sorriso fosse bellissimo.
Allungò la mano e gliela
strinse brevemente. – Henry.
Non
fu una tragedia.
Lily
continuava a sentirsi legnosa, mentre si sforzava di imitare i passi
degli
altri ballerini e mentre Percival la aiutava a mantenere il ritmo, ma
almeno
evitò di schiacciargli i piedi.
-
Posso domandarvi una cosa? – domandò Percival,
facendole fare un giro su se
stessa.
-
Dipende. Di che si tratta? – chiese Lily.
Il
cavaliere stirò le labbra all’insù in
quello che avrebbe dovuto essere un
sorriso. Ma lo sguardo rimase serio. Attento. – Forse mi
giudicherete
inopportuno. Ma ho notato la vostra collana. Sembra qualcosa di...
speciale.
Lily
si portò una mano al collo, sfiorando il ciondolo con le
dita. Non rispose.
Percival
aspettava, paziente, e intanto continuava a danzare.
-
Sì... l’ho sempre avuta. Fin da quando sono nata.
– gli rispose, guardinga.
-
Come la stella sul polso?
Lily
guardò la voglia, istintivamente. La stella era visibile
perché le maniche del
vestito si aprivano proprio all’altezza dei polsi.
-
Si sposa molto bene al vostro ciondolo. Vi dona –
commentò Percival.
La
canzone terminò. Finalmente. Con la coda
dell’occhio Lily vide Artù in
disparte, che valutava la situazione con la moglie appesa al suo
braccio. I
genitori di Emma erano accanto a lui e ridevano, beatamente. Henry
stava
chiacchierando con una ragazzina, con la quale stava anche condividendo
le
cuffie di un Ipod. Persino Granny aveva trovato un cavaliere e Brontolo
ballava
con Belle. Mancava solo Zelena, costretta ad interpretare la parte
della serva
muta. Regina le aveva tolto la voce per impedirle di dire qualsiasi
cosa che
potesse metterli nei guai.
-
Una volta qualcuno mi ha detto la stessa cosa – disse Lily,
cominciando a
chiedersi se avesse fatto bene ad accettare l’invito di quel
tizio. – Forse è
meglio... che mi prenda una pausa.
-
Come desiderate. Sono sempre a disposizione, se avrete voglia di
ballare
ancora. – Percival si inchinò.
Lily
notò che il suo sguardo continuava a passare dal ciondolo
alla voglia. Si
sistemò meglio la manica dell’abito per
nasconderla.
“Che
splendido ciondolo”.
“Grazie”.
“Hai
mai notato che si sposa bene
con la voglia che hai sul polso?”
Il
pensiero era talmente nitido, talmente tridimensionale e sonoro, che
Lily
trasalì, come se l’Apprendista si fosse
materializzato accanto a lei e avesse
parlato a voce alta. Nessuno notò niente. Percival si era
allontanato.
-
Posso intromettermi? Sarebbe un onore per me ballare con la Salvatrice
– disse
Percival, piazzandosi tra Robin e Regina.
Era
lo stesso cavaliere che le aveva portato la collana di Artù,
lo stesso che
cavalcava alla destra del re quando il manipolo li aveva trovati nella
foresta.
Robin
gli diede il permesso, concedendogli la mano della compagna. Regina
sorrise,
sebbene trovasse la situazione un po’ strana. Nessuno dei
cavalieri di Artù si
era mai avvicinato, nel corso della festa, per chiederle di ballare.
Non era
successo a lei e non era successo ad Emma. Percival aveva ballato con
Lily fino
a pochi istanti prima e avrebbe giurato che i due fossero abbastanza
affiatati,
anche se quella ragazza non aveva la minima idea di cosa fosse un
ballo. Più o
meno come lei. Ma per Lily sembrava ancora più complicato.
Non aveva mai visto
un ballo in vita sua e quindi sembrava totalmente fuori luogo.
-
Spero che stiate passando una piacevole serata – disse
Percival, accompagnando
le parole con un sorriso e un breve inchino.
-
Oh, sì. Tutto è così... –
Regina vide suo figlio in mezzo alla folla. Con una
ragazzina.
Suo
figlio, con una ragazzina. Si erano scambiati le cuffie
dell’Ipod e ora
parlavano e ridevano come se si conoscessero da una vita. Sembravano
assai
indaffarati. Più in sintonia che mai. Non aveva mai visto
Henry chiacchierare
con una ragazzina con tanta naturalezza.
Non
può essere mio figlio, pensò,
costernata.
Ma
era Henry, invece. Armeggiava con l’Ipod, che certamente era
una cosa nuova per
una ragazzina di Camelot. Ora le stava mostrando qualcosa sullo schermo
e
pigiava dei tasti. Lei si sporse un po’ di più per
vedere, sempre
sorridendogli.
Regina
ebbe un moto di stizza. – Chi è quella ragazzina
che sta parlando con mio
figlio?
-
La domanda giusta è: chi siete voi? –
ribatté Percival. La sua espressione era
mutata. Continuava a ballare, come se fosse tutto normale, ma i suoi
occhi
erano diventati più affilati. Le sue labbra erano pressate
in una linea piatta.
-
Di che cosa state parlando? – domandò Regina. In
realtà aveva la brutta
sensazione di saperlo. Però non era possibile. Era stata
attenta. Non aveva
parlato con nessuno di Emma e dei suoi poteri. Aveva nascosto il
pugnale in un
luogo sicuro, proteggendolo con un incantesimo. Non potevano averlo
trovato...
-
Lasciate che vi racconti una storia – proseguì
Percival. Non smetteva di osservarla.
– Molti anni fa un ragazzo tornò al suo villaggio,
nella Foresta Incantata... e
lo trovò in fiamme. Le persone urlavano, il terrore impresso
nei loro occhi...
Regina
aggrottò la fronte. Il cuore prese a batterle più
forte. Mantenne il ritmo, ma
qualcosa stava ardendo nel suo stomaco.
-
Tutto il suo mondo... bruciava, come un rogo. Il ragazzo
pregò, chiedendo
pietà, ma non gli venne concessa.
Regina
non lo interruppe. Non ricordava l’episodio che stava
raccontando. Aveva
bruciato talmente tanti villaggi quando ancora dava la caccia a
Biancaneve...
villaggi che le sembravano tutti uguali, tutti pieni di persone che
cospiravano
contro di lei, che nascondevano la sua acerrima nemica, che si
inginocchiavano
al suo cospetto, ma intanto la tradivano. Era così piena di
rabbia e così
assetata di vendetta, che ogni uccisione era uguale alla precedente e
alla
successiva, ogni villaggio non era che un covo di inganni che voleva
piegare o cancellare
dalla faccia del suo regno.
-
Vide solo un angelo della morte. Lei si muoveva tra le fiamme,
godendosi il
disastro che aveva provocato, in sella al suo cavallo... ma prima di
andarsene,
lei vide il ragazzo. – C’era rabbia nella voce di
Percival, adesso. Contenuta a
stento. C’era odio. Odio
puro. – E in
mezzo a quella carneficina, sapete che cosa fece lei? Gli
sorrise.
-
Voi siete quel ragazzo – disse Regina.
-
E voi siete la Regina Cattiva.
Fine
della storia.
Regina
smise di ballare e lo stesso fece Percival. –
L’avete detto a qualcuno?
-
A nessuno.
-
E perché no?
-
Perché Artù mi avrebbe impedito di fare questo.
– Percival estrasse la spada e
si mosse in avanti per infliggerle il colpo mortale.
A
Lily, che si trovava vicino ad una delle finestre e non aveva
più badato alle
danze, presa com’era dai suoi pensieri, sembrò di
vedere più cose
contemporaneamente; Percival che sguainava la spada, Regina che
indietreggiava
per evitare l’affondo, Robin che gridava il suo nome e si
gettava sul
cavaliere, iniziando a lottare con lui, gli invitati che formavano un
cerchio
intorno ai contendenti, Artù e sua moglie paralizzati, Emma
che sollevava una
mano pronta ad usare la sua magia, Uncino che la bloccava, afferrandola
per il
polso, Malefica che si faceva largo in mezzo alla gente...
Lily
spintonò alcune persone per arrivare dove si stava svolgendo
la lotta. Vide
Percival che allungava una mano per arrivare all’elsa della
sua spada, Robin
sotto di lui cercava di impedirglielo, dibattendosi e colpendolo
ripetutamente...
La
mano di Percival arrivò comunque all’elsa, la
impugnò e la sollevò, gli occhi
accesi di furia omicida.
Lily
avvertì il potere scorrere in lei, come a Storybrooke quando
Zelena aveva preso
la bacchetta, come nella Foresta quando aveva percepito
l’oscurità di Emma.
Quando vide la lama alzarsi, pronta ad affondare nella carne ed Emma
che non
poteva usare la maledetta magia, reagì slanciando un braccio
in avanti, quasi
sperasse di bloccare Percival e prenderlo per il collo. Fino ad un
attimo prima
quel cavaliere stava ballando con lei, le faceva domande strane sul suo
ciondolo e sulla voglia... avrebbe dovuto capirlo. Avrebbe dovuto
capire che
aveva in mente qualcosa. Il drago dentro di lei spalancò gli
occhi e ruggì.
Non
si trasformò. Dalla mano di Lily si sprigionò
un’onda di potere. Un risucchio
silenzioso e caldo, simile allo spostamento d’aria prodotto
da una scheggia
arroventata lanciata a velocità supersonica,
superò alcune persone, dirigendosi
verso il bersaglio.
Di
punto in bianco i pantaloni e la giacca rossa divamparono.
Percival
cacciò un grido e balzò in piedi, agitando le
mani e provando disperatamente a
spegnere le fiamme. La sua spada cadde sul pavimento con un clang che riverberò per la
sala. Brancolò
ciecamente, dimenando le braccia, girando su se stesso e urlando come
un
ossesso. I capelli presero fuoco insieme al resto e infine le fiamme
avvolsero
il suo viso. Per qualche momento fu tutto lì, avviluppato in
una muta
invocazione nel bozzolo ardente, poi i lineamenti si ripiegarono e si
fusero
insieme. Lily guardò abbastanza a lungo da scorgere non
più Percival, ma
Murphy. Con orrore le parve di rivedere il volto di Murphy, Murphy che
aveva
abbandonato in un’area di servizio dopo averlo ucciso a suon
di calci. Murphy
che le diceva di fottersi e che si fottesse pure sua madre. Murphy e la
sua
faccia insanguinata.
Le
urla cessarono e Percival bruciò, com’era bruciato
il suo villaggio.
Gli
invitati si spinsero a vicenda per allontanarsi il più
possibile dal fuoco. Si
creò confusione, baccano, si diffuse il panico. Robin era
riuscito a strisciare
via ed era stato ghermito da Azzurro, accorso con la spada sguainata.
Ginevra
nascose il viso nel petto del marito, orripilata. Artù,
invece, si era
immobilizzato, raggelato nella silenziosa contemplazione di
quell’infuocato
sviluppo. Infine alcuni cavalieri intervennero e soffocarono le fiamme
con i
mantelli.
Emma
cercò Lily con lo sguardo, in mezzo alla folla. Non fu
difficile individuarla,
anche perché intorno a lei si era creato il vuoto.
Lily
vacillò sulle gambe e poi crollò in ginocchio.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
So che sei lì. Puoi venire fuori adesso – disse
Emma. Stava ancora guardando il
punto in cui Regina e suo figlio erano spariti.
-
Da quanto tempo lo sapevi?
-
Sono l’Oscuro. Non dovresti nemmeno porti questa domanda. Da
quando sono
arrivata – Emma spostò gli occhi su di lei. - Non
puoi ingannarmi.
Lily
si avvicinò con cautela. Aveva seguito la conversazione fin
dal principio. Quella
mattina si era recata al porto, perché le sembrava un buon
posto per pensare.
Dentro di sé si era chiesta se dovesse invocare Emma.
Chiamandola, lei avrebbe
risposto. Sarebbe venuta. Si stava rigirando il giglio appassito tra le
dita,
quando aveva visto Henry. Immaginava che Regina fosse nei dintorni,
quindi si
era nascosta prima che lui potesse accorgersi della sua presenza o
prima che se
ne accorgesse l’altra madre. Anche se Henry sembrava troppo
assorto per notare
qualcosa.
-
Cosa ancora più ovvia – aggiunse. - Non puoi
ingannare qualcuno che ti conosce
bene... come me. Qualcuno che è legato a me da sempre, poi...
-
Ma l’Oscuro può ingannare gli altri, giusto?
– disse Lily.
Emma
non confermò, ma non era necessario.
-
A che gioco stai giocando, Emma?
-
Se hai ascoltato tutto, dovresti saperlo.
-
In realtà no. Non lo so. Una maledizione? Sul serio?
Emma
si staccò dalla ringhiera. – È
ciò che meritano. Questo è ciò che
merita chi
fallisce.
-
Perché? Cosa vuol dire tutto questo?
-
Quello che vedi dovrebbe suggerirtelo.
-
Sei l’Oscuro. Questo mi sembra chiaro.
L’oscurità ha preso il sopravvento.
Quello che non mi è chiaro è come sia successo.
Passò
qualcosa nello sguardo di Emma. Qualcosa di estremamente doloroso.
L’impressione
era che fosse un dolore antico, eppure anche nuovo. Molto recente.
-
Voglio i miei ricordi. Su una cosa Regina ha ragione.
Emma
sollevò un sopracciglio.
-
Non ci fermeremo fino a quando non li avremo ritrovati.
-
Lily...
-
No! Ne ho abbastanza di maledizioni. È tutta la vita che
lotto contro una
maledizione, Emma!
Ormai
erano faccia a faccia.
-
E questo mi dispiace – rispose l’Oscura.
Era
allucinante, eppure le parve sincera. – Cosa?
-
Una volta non ti ho creduta. Ricordi? – Emma le
sistemò distrattamente il
colletto della giacca di pelle che indossava. – Quando mi hai
detto che pensavi
di essere stata maledetta...
Lily
tacque. Gli occhi di Emma erano più verdi del solito. Erano
dei buchi
risucchianti. Trovava difficile distogliere l’attenzione.
-
Non ti ho creduto. Ma adesso so che cosa provavi.
-
Perché mi stai dicendo questo? Ti dispiace avermi tolto i
ricordi? Ho sentito
cos’hai detto a Regina. Abbiamo
fallito.
-
Gli altri hanno fallito, Lily.
–
precisò Emma, trattenendola per il colletto. – Tu
no. Tu non hai fallito. Né tu
né Henry avete fallito.
Lily
aggrottò la fronte. Strinse i polsi di Emma. –
Però sono nella stessa
situazione degli altri.
-
Non ho potuto evitarlo. – Lei annuì. –
Adesso vieni con me.