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Autore: Asgard458    16/01/2016    0 recensioni
Se con una persona siamo felici, non la lasciamo andare, giusto? Eppure, perché mi sono bastate due parole per abbandonare me stesso e tutto ciò che amavo?
La strega rapisce, e porta malessere.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Non riesco più a dormire la notte”. Lo dissi ad alta voce, ma doveva essere solo un pensiero. La mia ragazza dormiva tranquilla, e fortunatamente non la svegliai. Guardai il telefono: quattro nuovi messaggi; era lei.
“Penso a te” mi scriveva. Pensavo anche io a lei, ma in maniera stressata: non riuscivo più a subire le sue avances, ma soprattutto non riuscivo più a tenere dentro il peso di due relazioni. Piano coi pensieri, non la sto tradendo, è solo che lei mi corteggia anche se sa che io sono fidanzato. Quindi la colpa è sua.. giusto?
Mesi fa, ero sull’orlo del suicidio: ero stato appena licenziato e sfrattato di casa; avrei potuto stare dalla mia ragazza e, piano piano, rimettermi in sesto, ma prendo sempre decisioni affrettate. Mi erano rimasti 35 dollari che decisi di usare per gli ultimi drink della mia vita. Non dissi a nessuno della mia situazione, ero lì, solo, al bancone, a sorseggiare uno scotch. Presi il bar più deprimente, per evitare risate. Il rosso bordeaux delle pareti ricordava il sangue, e le finestre erano talmente sporche da non filtrare il minimo raggio di luce, ne’ da riuscire a intravedere l’esterno. Il barista mi vide, distrutto, ma non parlò. Posò il bicchiere e se ne andò, come hanno fatto tutti nella mia vita. La mia ragazza continuava a cercarmi, ed io continuavo ad ignorarla. Si preoccupava facilmente, ma dopo che mi sarò buttato dal quinto piano le sarebbe passato. Tanto, non è che le interessi.
“Scusate! Sto cercando una persona!”. Una ragazza entrò dalla porta, urlando e sbraitando. Si girarono tutti, io rimasi sul mio scotch; anzi, presi un sorso.
“Chi sta cercando, signorina?”
“Non lo so, sentivo che qualcuno mi stesse chiamando, e sono venuta”. La sua voce catturò il mio interesse, perché dal tono sembrava sana di mente, dalle parole non si direbbe. Gli sguardi, lentamente, le si staccarono di dosso, ma il suo si attaccò su di me.
“Sei tu quello che sto cercando!”. Mi indicò, e si diresse verso di me. Fece spostare l’energumeno alla mia destra e si sedette.
“Chi sei? Perché vuoi ammazzarti?” mi chiese. Ero sinceramente sorpreso, ma l’apatia e l’alcool mi avevano pervaso. Sorseggiai ancora il mio scotch.
“Non è bevendo che ne uscirai”. Silenzio.
“Bisogna combattere, e cercare di far propria la vita! Devi farla diventare la tua puttanella!”.  Un uomo, convinto, si alzò:
“Ha ragione! Cazzo, ha ragione! Devo andare a casa a prendermi cura dei miei figli!”. Finì il suo drink e corse fuori, diretto dalla sua famiglia. Lei continuò il suo discorso, pieno di frasi fatte, e di cose che non pensava veramente. Curava solo il suo ego. Eppure, proprio quello stava motivando tutti gli uomini del locale: uno dopo l’altro, si alzarono e se ne andarono. Sotto l’occhio truce del barista, la ragazza continuava ad inondarmi di irrazionalità e sciocchezze. Finito il mio scotch, decisi di interromperla:
“Come fai a sapere come mi sento?”. La ragazza sorrise, e mi accorsi di aver ceduto al suo ego.
“L’istinto – mi disse – è la cosa più cara che ho”. Non dissi altro.
“Se hai bisogno di qualcuno, chiamami”. Mi lasciò il suo numero su di un biglietto e se ne andò. Mi accorsi anche che la voglia di suicidio se n’era andata. Presi il suo numero e andai dalla mia ragazza. Appena mi aprì la porta, mi abbracciò, in lacrime. Piangendo preoccupata mi fece tutte le domande di questo mondo; le raccontai cosa fosse successo e come mi fossi sentito, e mi accorsi di aver sottovalutato quanto questa ragazza mi volesse bene. Pensavo di essere io quello che amava di più, invece non era per niente così. Mi accolse e mi aiutò come poteva; in qualche settimana mi ero rimesso in sesto, con lavoro e tutto. Però ripensavo sempre a quella ragazza. Una notte, mi alzai dal letto: non riuscivo a dormire. Presi il telefono e le mandai un messaggio; non pensavo fosse sveglia, era solo un pretesto per acquietare i miei pensieri. Ma lei rispose. Dopo qualche messaggio, la chiamai e parlammo un po’. Questo è stato l’inizio della fine; quella stupida chiamata, quello stupido messaggio, quella stupida donna. Ci conoscemmo meglio, certo, ma non avevo alcuna intenzione di stare con una ragazza del genere. La mia vita venne sconvolta: iniziò a cercarmi ad ogni ora del giorno e della notte; voleva sapere come stavo, cosa stessi facendo, se volessi ancora andarmene. E se non le rispondevo subito, continuava a massacrarmi di messaggi e chiamate. Mi promettevo sempre che non avrei mai più ceduto, ma la vibrazione del cellulare era come un martello pneumatico nelle mie orecchie; una pugnalata col coltello dell’ansia arrivava ad ogni sua chiamata. Alla fine cedevo sempre per farla stare zitta per qualche ora, solo per poi ricominciare. Non so come ho fatto a tenerlo segreto alla mia ragazza, ma lei non sospettava nulla; eppure non era ingenua. Non che stessi facendo nulla di male, però questa ragazza aveva abbastanza potenziale per rovinare una relazione fin troppo bella e sincera.
Cosa ci dicevamo? Lei mi chiedeva come stessi, e se le rispondevo in maniera diversa da “Bene”, iniziava a spronarmi ad andare avanti, a trovare gente migliore, a pensare a me, e tutte queste cose. Era difficile non ascoltare queste parole, soprattutto per uno che prende decisioni affrettate. Nonostante ciò, ho sempre avuto una forte identità, e fortunatamente la mia ragazza me lo ricordava.
Andando avanti col tempo, la ragazza iniziò anche a flirtare con me, pensando che mi fossi infatuato delle sue frasi senza senso e del suo falso essere profonda. Le ricordavo ogni volta che avevo una ragazza, ma lei era convinta che fosse proprio lei la causa del mio malessere, e che lasciarla sarebbe stata la cosa migliore per me. Non avrei per nulla al mondo lasciato la felicità per la sua angoscia e irrazionalità. Eppure continuava, ed il mio malessere cresceva. Mi cercava ancora più spesso, ed io dovevo acquietarla molte più volte. Stavo morendo, mi sentivo a terra. Uno sporco verme che striscia sul pavimento di casa. La mia ragazza mi amava con tutto il cuore, mentre io mi subivo le avances di quell’ansiosa malata mentale. Non riuscivo più a trattenermi, avevo bisogno di levarmi questo peso. Mandai un messaggio alla mia ragazza, dicendole che quando sarebbe tornata dal lavoro avrei dovuto dirle qualcosa di importante.  Appena finito di scrivere il messaggio, il campanello suonò. Guardai dall’occhiello. Il cuore saltò un battito.
“Amoreeee.. apri la porta?”
Era lei. Mi aveva trovato. Bussò pesantemente.
“Lo so che ci sei.. fammi entrare”. Stupidamente, le aprii la porta. Qualcosa mi diceva che dovevo fare ciò che volesse, altrimenti sarebbe finita molto male. Anche se peggio di così non poteva andare.
“Amore! Ciao!”. Mi abbracciò, ma evitai un bacio. La staccai subito e la feci parlare.
“Quanto è bello essere qui da te! Hai una bella casetta, mi piace! E mi piaci tu più di tutto. Guarda quanto sei bello.. Oh! Mi sono vestita bene per questa occasione! Come sto? Dai, fammi qualche complimento, sono venuta qui solo per te! Ti ho anche portato un regalo, guarda!”
Le sue moine mentre girava compulsivamente lo sguardo a destra e a manca riempivano la casa di malessere, ed il mio cuore di ansia. Continuò per molto tempo, senza curarsi del mio silenzio. Solo dopo altre innumerevoli moine, mi chiese:
“Ma cosa ti succede? Sei tutto silenzioso.. ti ha trattato male quella bastarda?”. La guardai con odio, ma il miscuglio di sentimenti che avevo dentro era troppo vasto per esprimere solo un’emozione:
“Devi andartene…” le sussurrai.
“Devi andare via prima che la mia ragazza torni..”. Lo stress decise di uscire fuori in questo momento: gli occhi si fecero lucidi, e le lacrime scesero. Lei mi guardò e mi accarezzò il viso.
“Tranquillo.. finché ci sono io non ti succederà nulla di male”. Si avvicinò e mi baciò. Sentivo le peggiori sensazioni in quel bacio: freddo, schifo, disgusto, egoismo, ego. Pazzia. Malattia. Un lungo bacio unilaterale, dove solo lei muoveva le labbra. Io, immobile, pietrificato, ero distrutto. Lei si staccò, e sembrò per un attimo rapita dal momento.
“È il giorno più felice della mia vita – disse – è la prima volta che dico queste parole a qualcuno, ma sento di poterle dire a te: ti amo”. La strega mi rapì. Mi guardò negli occhi e mi incantò. Mi infatuò, e mi portò con se’ nel magico mondo in cui viveva, lontano dalla realtà e vicino alla malattia. Mi maledico ancora adesso per la scelta che feci quel giorno, e per la sofferenza che portai alla mia ragazza. Ma, ormai, ero diventato come lei: irrazionale, insensato, malato, egoista. Persi la ragione, e mi abbandonai al mondo dei sogni, un mondo che era – come diceva lei – “migliore di questo schifo di realtà”.

Perché abbandonarmi al “ti amo” finto e falso di una sconosciuta quando quello della mia ragazza era sincero e sentito? Non ne ho idea.
La strega mi ha portato via.
La strega mi ha dato il malessere.
La strega che quella notte mi salvò con la sua magia, mi ha condannato con la sua stregoneria.
   
 
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