Piccolissimo avviso: "Serghei" è il nome che io ho scelto per Romania. Detto questo, vi lascio alla lettura. Suudelma!
# 1916
Che Bucarest marci su Sofia, armate i porti di Costanta, rinforzate i castelli di Brasov, pretendete la leva, trascinate i giovani se necessario, uccidete le loro famiglie: incattiviteli più di quanto già non siano.»
«Ma, voivoda--.»
«E quando saranno in ginocchio, voglio i rappresentanti qui, in fila, davanti a me.
Tutte le città.
Trascinate Bulgaria qui, in ginocchio, voglio vedere direttamente le sue rotule.»
Con un gesto della mano zittì il sottoposto: aveva dato i propri ordini, l'incontro era chiuso. Guardò la cartina che aveva davanti, portando le pedine nere su Bucarest, Costanta e Brasov, con un gesto della mano, fece capitolare l'alfiere fermo sulla Bulgaria, come già era capitolato quello fermo sulla Serbia e riportò le nocche a mantenersi il viso.
Gli occhi cremisi si alzarono di nuovo sulla figura dell'uomo, infastiditi per averlo ancora lì, l'altro rabbrividì ma strinse i pugni e resse lo sguardo.
Romania inarcò un sopracciglio, perplesso.
«I nostri giovani non sono preparati alla guerra. Avremo un esercito di veterani.»
«Mi stai dicendo forse che non mi hai ascoltato? O, peggio, stai contestando le mie decisioni?»
«Le sto dando dei consigli.»
Quello che confuse Mircea fu la risata bassa di Romania che di umano conservava poco e niente.
Lo vide alzarsi, fu tentato di indietreggiare ma restò fermo al suo posto, il rappresentante era più basso di lui e nonostante questo, il viso troppo vicino al proprio lo fecero sentire piccolissimo.
Contrasse la mascella.
«Posso consigliarti, io?»
Confusione. Il tono gentile contrastava troppo con gli occhi affilati.
Deglutì.
«Da, voivoda.»
«Ti consiglio di ucciderti, ora. Non credo che alla tua famiglia giovi il dolore della tua morte unito all'esecuzione in piazza con l'onta di alto tradimento alla patria.»
«Voivoda.»
«É un consiglio. Tu hai figli, Mircea? Da, sono ancora bambini. Quanto vuoi traumatizzarli?»
Gli occhi rossi seguirono la mano dell'uomo, mentre prendeva il pugnale dalla fondina, lo vide portarselo alla gola, le labbra si incresparono in un sorriso eccitato quando la prima macchia di sangue colorò la pelle di Mircea, poi le dita gelide si allungarono a stringere il polso altrui, fermandolo.
Ancora confusione.
«Ma I'angelo del Signore lo chiamò dal cielo:
"Abramo, Abramo!"
- Eccomi! - gli rispose Abramo.
E l'angelo:
- Non colpire il ragazzo. Non fargli alcun male! Ora ho la prova che tu ubbidisci a Dio, perché non gli hai rifiutato il tuo unico figlio.»
Non ebbe la forza di rispondere e neanche di rantolare per il dolore, terrorizzato non per aver sfiorato la morte quanto per la follia palpabile del momento.
Le falangi gelide toccarono la ferita, si tinsero di rosso come gli occhi che si abbassarono a guardarle prima di tornare a lui.
«É la genesi. Puoi andare, Mircea.»
#1918
«Ecco, viene
con le nubi e ogni occhio lo vedrà,
anche quelli che lo
trafissero,
e per lui tutte le tribù della terra
si batteranno
il petto.»
Si fermò, riprese fiato, sputò in direzione
di chi lo trascinava, sputò sangue misto a veleno.
Mosse il busto
convulsamente ma era inutile, le braccia erano legate dietro la
schiena in un modo innaturale ma non gli dolevano, non più.
Non
le sentiva, forse erano rotte entrambe.
Scoppiò a ridere.
«Sì,
Amen.»
Cadde, fu trascinato, i capelli aderivano alla
fronte, gli coprivano la visuale sporchi di fango e chissà
quali
altre schifezze.
Si rialzò, ancora rideva.
«Dice il
Signore Dio: Io sono l'Alfa e l'Omèga, Colui che
è, che era e che
viene--
l'Onnipotente.»
Sedò un conato di vomito,
ancora le ginocchia sbatterono sulla pietra fredda e fu così
che
restò.
Le rotule, aveva parlato di vedere rotule.
C'era
dell'insano nel contrappasso che voleva le uniche rotule a soffrire,
fossero le sue.
«Michele e i suoi angeli combattevano contro
il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non
prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il
grande drago,
il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che
seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono
precipitati anche i suoi angeli.»
Qualcuno lo sollevò, solo
per spingerlo, ancora in ginocchio, fermo, sentì la presenza
dell'altro, la sentì forte ed ancora le labbra erano
increspate.
«Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai
buoni.»
Finalmente, come un lampo, il viso chino si alzò
ed il cremisi incontrò il verde degli occhi altrui.
«e li
getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e
stridore di
denti.»
Questa volta urlava, la voce tacque
istantaneamente e la schiena tremò mossa dall'ultima
insensata
risata mentre il volto si abbassava ancora per sputare ai piedi del
bulgaro.
«Ma il Signore gli disse: "Però chiunque
ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte.".»
Abbandonò
la guancia sul pavimento gelido.
Continuò a ridere.
«Hai perso il lume della ragione.»
Romania dondolava la testa ad un ritmo che solo le sue orecchie erano capaci di udire, Bulgaria restava in piedi, le braccia in conserta a guardarlo dall'altro e si chiese se ci fosse più degrado in un re che si trascinava sui fasti dell'antichità o in un conte spezzato e ridotto ad un folle e ridicolo giullare. Lo sguardo verde del bulgaro si assottigliò quando il romeno alzò le dita all'altezza del proprio volto, anche quelle si muovevano a ritmo.
A Romania restava il silenzio della follia in una melodia muta.
A lui, il ticchettio inesorabile del tempo che scorre.
Una condanna a morte per entrambi.
Magari.
«Non-ho-per-so-pro-prio-nulla~»
Canticchiò
Serghei, non accennava ad alzarsi, non accennava a fare movimenti se
non quelli della testa e delle mani. Bulgaria non fu di diverso
avviso, continuava a guardarlo a provare ad interpretarlo e non
serviva a nulla se non ad incrementare la rabbia che faceva vibrare
le sinapsi e con scariche elettriche, riusciva a far tremare
qualunque terminazione nervosa. Non c'era via di scampo, non c'era
via d'uscita.
Non c'era pace, non era concessa.
Non c'era
morte, non era permessa.
C'era
il limbo. E Romania snervante in quel limbo.
Con
uno scatto, Bulgaria, si portò le mani ai lati delle tempie:
il
silenzio era assordante, il ticchettio sferzava sui suoi timpani e
penso che non doveva essere male uscire di senno sino ad ascoltare
musiche inesistenti, non doveva essere malvagio reinventarsi per
riempire il vuoto del silenzio.
«Basta, stai fermo. Stai zitto.»
«Oh. Non voglio zittire. Stai zitto tu. Mh?»
«Alzati.»
«Non ho più
le
gambe.»
Romania rantolò, si teneva il petto, si tastava le
ginocchia e continuava a ripeterlo: “Io le gambe non le ho
più”.
Fu insopportabile, come poteva riuscire a partorire pensieri coerenti
con l'altro che, imperterrito, progrediva sulla via della pazzia e
sembrava crogiolarsi nell'irritazione del bulgaro.
Si sbagliava, 'ché bulgaria non era irritato quando sfiancato da una visione tanto umiliante e bassa.
Gli
afferrò le
spalle, lo costrinse in piedi. Le labbra di Romania si
spalancarono.
Passarono diversi secondi prima che Bulgaria si
accorgesse che Serghei stava urland.
Era innaturale.
Non era umano. Ed era così acuto. Così assurdo.
Surreale tanto da ferire.
Insopportabile.
Non
servì
scuoterlo, non servì provare a coprirgli la bocca con una
mano.
Il
cazzotto partì d'istinto, Romania tacque.
Il silenzio tornò
ingombrante tra di loro e Bulgaria si sentì pesante: pesava
più il
fardello dei secoli o gli avvenimenti contemporanei?
No.
Pesavano
le mani di Romania artigliate alle proprie spalle, pesavano i
singulti a vuoto: respirare così velocemente non lo avrebbe
aiutato
a recuperare aria, né a sedare il dolore.
Pesò ancora di più la
guancia del romeno appoggiata al suo sterno, quanto pesava
l'affanno.
«Bul, mi hai colpito.»
La
voce non era
incredula, non stupita: quella aveva tutta l'aria di una
constatazione, una presa visione dell'accaduto e Romania
sembrò
eccessivamente calmo. Non lo guardava, respirava solamente,
continuando a stringere le dita al tessuto della giacca della sua
divisa e Bulgaria annuì, con le mani penzoloni lungo i
propri
fianchi, 'ché ora sembrava a lui di non riuscire
più a respirare:
quel che, in quel momento, si rivelava pesante, era Serghei,
nonostante la fisicità più minuta.
Cosa rappresentava? Una carta
riarsa che s'accartocciava su sé stessa che da sola aveva
acceso il
fuoco del proprio rogo.
Quella presa, quel respiro profondo,
marciavano sul petto del bulgaro più delle milizie che
diverso tempo
prima avevano marciato su Sofia. Deglutì ed ancora
afferrò i suoi
avambracci per allontanarselo: non riusciva più a
respirare.
Portatori
sani di
morte.
«Avrei voluto
vederti agonizzare.»
Ed anche questa fu una semplice
constatazione dalle labbra del rumeno.
«Avrei voluto
amarti in maniera convenzionale.»
Il
naturale e solo
epilogo laconico che Bulgaria aveva potuto dare all'umiliazione di
due uomini.
Non ci fu punizione più grave e dolorosa di una
verità totalizzante ed odiata.
Puzzavano
di morte,
si sentiva da miglia.
Puzzavano di morte e, tuttavia, non
l'avrebbero mai raggiunta.
Portatori sani di morte.
«Mi hai colpito ancora.»
Chi non muore si rivede. Infatti, rieccomi con qualcosa di leggero-leggero, restando fedele al mio stile. Cosa dire?
In realtà da dire c'è davvero poco, mi sento esausta dopo aver scritto questa fanfiction, sopratutto per lo studio che c'è dietro e per il lavoraccio fatto nell'immedesidarmi a realtà prima completamente estranee a me. In ogni caso, dubito fortemente sarei mai riuscita a scrivere qualcosa del genere senza il dovuto sostegno di chi m'assiste e di chi mi ha invogliato a terminare una delle tante storie in cantiere e mai concluse. Tornare a scrivere su questa serie è un po' come tornare a casa: rinfrancante ma a tratti malinconico e nostalgico. Potrebbero o non potrebbero arrivare altre RoBul/BulRo, recentemente i miei interessi si sono spostati nella zona balcanica.
Come potrebbero spuntare delle SveNed (sì, avete letto bene), o persino una miriade di SuFin.
No, nessuna spamano in cantiere, per il momento. Lo so, non uccidetemi.
Vi lascio tranquilli.
Ringrazio chi ha letto e ringrazio chi sceglierà di farmi sapere il proprio parere (oh, com'è strano dirlo dopo tanto tempo!)
Alla prossima!