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Autore: Stephanie86    24/01/2016    4 recensioni
Tutti vogliono salvare Emma.
Tutti vogliono trovare un modo per liberarla dall'oscurità prima che la divori.
Ben presto, però, Regina - e gli altri - si rende conto che per raggiungerla e aiutarla avrà bisogno di aiuto. E non di un aiuto qualsiasi.
Lily è sempre stata legata ad Emma, fin dal principio. Ha sempre dovuto lottare contro il potenziale oscuro che gli Azzurri e l'Apprendista hanno trasferito in lei. Cosa accadrà quando la sua oscurità incontrerà quella della nuova Emma? Dove la condurrà il filo rosso che la unisce al nuovo Signore Oscuro?
Regina diventerà davvero la Salvatrice?
[Spoiler! per chi non segue la messa in onda americana | Pairing: principalmente Swan Queen e Swan Star]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Lily, Regina Mills, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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6

 

 

 
Minnesota. Anni fa.

 

“Lei è pazzo”.

Era la seconda volta che Lily definiva l’uomo che aveva incontrato sull’autobus in quel modo.

Perché non esisteva un’altra spiegazione.

Era reale. Lei era reale. Non era la figlia di un dannato personaggio di una storia inventata. Non veniva da un mondo incantato, non era uscita da un uovo di drago che era stato rubato dal nido di sua madre da Biancaneve e dal Principe Azzurro. Che erano i genitori di Emma. Di Emma! La sua vita era un disastro, era un grande, enorme casino, ma era fottutamente vera.

‘Non me ne starò qui a credere a tutte queste stupidaggini’, pensava, mentre il vecchio con la barba grigia la guardava, comprensivo e benevolo. ‘Sono le cazzate di un arteriosclerotico’.

Solo che non lo erano e Lily lo sapeva. Per quanto si ripetesse che erano tutte fandonie, ciò non bastava a liberarla da quella certezza. Era come se quel tizio le stesse confermando cose che in fondo immaginava già.

Emma era entrata nella sua vita e quando l’aveva incontrata al supermercato aveva subito avvertito un legame, come se un filo rosso e invisibile le unisse. Per questo era stato così facile parlarle e volerle bene. E questa era la prima cosa. Quell’Apprendista, come si faceva chiamare, sapeva un sacco di fatti che la riguardavano. E questa era la seconda. C’era qualcosa di fondamentalmente diverso, di sbagliato in lei e questa era la terza. La quarta era... che quel vecchio aveva davvero l’aria di un mago. Parlava in modo strano, usando parole a volte antiquate.

“Ho imprigionato l’Autore nel libro. Ora non può più modificare le storie. Può solo registrare dei fatti”, disse l’Apprendista, incurante del suo commento. “Purtroppo non si può tornare indietro. Nemmeno il mio maestro è in grado di sistemare questa faccenda”.

“Quei due... mi hanno rovinata”, riuscì a dire Lily.

L’Apprendista assentì. “Sono stati manipolati. Come me, del resto”.

“Mi hanno maledetta”, continuò, come se non avesse sentito.

“Già, è vero”.

Il suo primo pensiero fu che li voleva morti. Tutti e due. Erano i genitori di Emma, ma li voleva morti. Erano stati manipolati, ma a lei sembravano comunque dei mostri e li voleva morti.

“Dov’è mia madre adesso?”

“È in questo mondo”.

“E mio padre?”

“Non so niente di tuo padre, cara. Mi dispiace”. L’Apprendista guardava dritto dinanzi a lui. “In ogni caso non puoi raggiungere Malefica, adesso. C’è una maledizione”.

“Un’altra?”

“Questa è diversa. La custodiva tua madre nel suo scettro, ma la Regina Cattiva gliel’ha sottratta. Ha tolto il lieto fine e i ricordi a moltissima gente, compresi i genitori di Emma. Lei si trova qui perché loro ce l’hanno mandata”. Le raccontò della teca magica costruita da Geppetto, nella quale era stata riposta una Emma appena nata perché potesse salvarsi.

Sì, erano dei mostri. Quei due erano dei mostri, senza dubbio. Biancaneve era un mostro.

Le sovvenne l’immagine di una ragazzina con i capelli neri e le labbra rosse, la pelle candida come neve, una ragazzina in grado di incantare gli uccellini e commuovere il Cacciatore, il killer assoldato dalla matrigna. Stava per esplodere in una risata un po’ folle e isterica, ma riuscì a trattenersi.  

“La maledizione...”, ricominciò Lily.

“Deve essere spezzata. E sarà Emma a farlo. Tuttavia è ancora presto. Passeranno parecchi anni prima che il suo destino si compia. Il suo e... il tuo”.

“Il mio?”

“Questa non è stata l’ultima volta, Lily”. Si voltò di nuovo, incrociando i suoi occhi sbarrati e ripieni di furia. “Tu ed Emma siete legate e così sarà per sempre. Un giorno la rivedrai. Emma sarà la Salvatrice, ma l’oscurità incombe per tutti. L’oscurità... minaccia chiunque”.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Emma afferrò l’elsa di Excalibur con entrambe le mani. Il pugnale giaceva accanto alla spada, sulla roccia nella quale la lama era stata incastonata. Gli intarsi neri si sposavano molto bene con i disegni impressi sull’arma appartenuta ad Artù.

La gemma rossa brillò, illuminando l’antro in cui Emma custodiva la roccia.

L’Oscuro tirò con vigore per estrarla.

Un’ondata di potere si riversò fuori dalla spada e la investì, scaraventandola qualche metro più indietro.

Se lei non fosse stata l’Oscuro, ma una persona comune, si sarebbe trasformata in un mucchietto di cenere.

Tremotino ridacchiò, divertito. – Credevi davvero che fosse così semplice, cara?

Emma scosse il capo, stordita dalla magia protettiva che circondava Excalibur. Si voltò, osservando il suo pugnale e la spada ancora al suo posto nella roccia. Avvertì la furia salire come una marea. No, certo, non avrebbe mai potuto essere così facile. Avrebbe dovuto immaginarlo. Essere l’Oscuro, aver abbracciato l’oscurità, possedere tutto quel potere non era sufficiente.

- Questo tentativo è stato addirittura più ridicolo del tuo tête-à-tête con il pirata. Una perdita di tempo inutile. – aggiunse Tremotino.

Emma tornò verso la roccia.

- Se davvero vuoi quella spada... devi pagarne il prezzo – commentò lui, aggiungendo un’enfasi particolare alla sua parola preferita: prezzo.

 

 
- Datevi una mossa, ragazzi. – disse Leroy agli altri nani, al lavoro nelle miniere. – Visto che Pisolo è un albero dobbiamo essere produttivi anche per lui.

- Produciamo un po’ di ossigeno. – replicò Gongolo.

Persino Leroy sorrise per qualche momento, salvo poi recuperare la sua espressione scura e scontrosa. – Ehi! Concentriamoci.

- Giusto.

I nani si girarono di scatto, udendo la voce di Emma.

La figlia degli Azzurri se ne stava comodamente seduta su una roccia, con le gambe accavallate e un accenno di sorriso. Sembrava molto a suo agio, quasi stesse assistendo ad un film.

- Nessuno ama le brutte sorprese. – continuò la nuova Oscura.

- Niente polvere di fata per te, sorella. – disse Brontolo, risoluto.

Emma si alzò e prese uno dei picconi appoggiati al muro. – Infatti sono qui per qualcos’altro. Qualcosa di più... affilato.

- Il mio piccone. – disse Gongolo.

- Oh, sai, ho imparato una cosa, da quando sono diventata l’Oscuro. – Raggiunse Gongolo. – Se c’è il tuo nome su qualcosa... tienitelo stretto.

- Che cosa sei diventata? – domandò Leroy, agitando il suo, di piccone. – Gli Azzurri dicono che Emma, la Salvatrice, è ancora qui da qualche parte. Gli farò sapere che non l’ho vista. Io vedo soltanto l’Oscuro Signore in azione.

La voce di Brontolo ebbe su di lei lo stesso effetto che avrebbero avuto delle unghie che sfregano contro una lavagna. - Già. Io sono l’Oscuro. E tu un nano da quattro soldi che come unica arma ha un piccone.

- Fatti sotto, se ne hai tanta voglia! – esclamò Leroy.

- Fatti sotto? – Gongolo non credeva alle sue orecchie. – Ma come fatti sotto? Leroy...

- Tu taci. – lo rimbeccò il nano, squadrando l’Oscura. – Pensi che un nano non possa combattere? Non importa quanto sei forte. Sono disposto ad affrontarti.

Emma strinse gli occhi, fino a ridurli a due fessure. Brontolo ebbe la netta impressione che la ragazza che un tempo aveva spezzato la maledizione della Regina Cattiva lo stesso studiando, che stesse spiando nella sua mente.

- Cosa stai facendo? – chiese.

- Leggo dentro di te. – rispose Emma. – Ecco un’altra cosa che ho imparato, diventando l’Oscuro.

- Leggi?

- Le tue paure. I tuoi segreti. Le tue debolezze. – scandì, avvicinandosi di più a lui.

- Ah! – Leroy sollevò di più il piccone. – Le debolezze, avete sentito?

Gli altri nani avevano sentito benissimo, ma se ne stavano tutti schiacciati l’uno contro l’altro, timorosi.

- Un comportamento degno del miglior Oscuro. – continuò Leroy, imperterrito. – Un’altra cosa che farò sapere al nostro sceriffo. Così la smetterà di comportarsi come un povero padre preoccupato per la figlia e troppo spaventato per agire.

- Fallo pure. – fu il commento di Emma. – Credi che me ne importi qualcosa, di quello che dirai a mio padre?

- Oh, quindi non ti importa se gli dirò che sei diventata un mostro?

- Potrebbe importare a te nel momento in cui me la prenderò con ciò che hai di più caro in questa città. E non parlo del tuo piccone. – Emma si sporse verso il nano e gli parlò in un orecchio, come aveva fatto con Gongolo un istante prima. – Parlo... di una certa fata.

Il cuore gli balzò nel petto come un pupazzo a sorpresa impazzito. – Non lo farai.

- Prova a sfidarmi di nuovo, allora.

- Sei così codarda da fare del male ad una persona innocente? – sibilò il nano. Le mani che serravano il manico del piccone sudavano copiosamente.

- Oh, no, affatto. Colpire te adesso sarebbe un gioco da ragazzi. Ma esistono cose ben peggiori della propria morte. – L’Oscuro continuava a sussurrare le parole nel suo orecchio. Il tono era scostante e determinata. - Preferisci che le strappi il cuore o che le strappi le ali?

Le mani gli tremavano al punto tale che faceva fatica a mantenere la presa sulla sua arma. Ebbe voglia di scaraventargliela sulla testa, sapendo che comunque non l’avrebbe uccisa.

Poi fece un passo indietro e lo gettò via, con rabbia.

- Bene. – commentò l’Oscuro. – Buon lavoro, nani.

 

 
Emma tornò con il piccone e si avvicinò a grandi passi alla roccia. Lo sollevò sopra la spalla e si preparò a calarlo sulla dura pietra.

- Il piccone di un nano! – esclamò Tremotino, comodamente appoggiato alla roccia. – Questo condurrà certamente ad un insuccesso. Anche se... ammetto che le tue minacce mi sono piaciute. Sarà che non siamo in buoni rapporti con le fate.

- Il piccone di un nano spezza qualsiasi cosa. – ribatté Emma.

- Ma niente spezza la magia. A parte un bacio. – Tremotino sembrava divertirsi un mondo quando la sbeffeggiava. – Hai mai pensato di estrarla con un bacio?

Emma sferrò un potente colpo di piccone, imprimendovi tutta la forza che aveva.

Il piccone si ruppe. Le rimase solo il manico.

Tremotino emise la sua stridula risatina. – Se la spada potesse parlare ti direbbe che sei una povera sciocca! Stai esaurendo le opzioni, cara. Vedi, noi vogliamo soffocare la luce. Quindi, abbiamo bisogno di un eroe che estragga Excalibur dalla roccia.

Emma avrebbe dovuto pensarci prima. Era troppo occupata a valutare tutte le possibili opzioni e non aveva considerato la più ovvia, dato che ad estrarre l’arma era stato Artù, un uomo che era tutto fuorché un eroe. La profezia di Merlino aveva indicato lui come re di Camelot, ma poi le aspettative erano state deluse.

Tuttavia era un eroe all’inizio. Era un vero re prima di scoprire che Excalibur era solo una spada spezzata. Lo era prima di perdere la testa nel corso della sua ricerca.

- E chiariamoci. – continuò Tremotino. – L’eroe non sei tu. Perciò perché non la smetti di perdere tempo e non vai a prendere l’eroe di cui abbiamo bisogno?

Ancora prima che lui continuasse, Emma sapeva già chi doveva cercare.

- Naturalmente entrambi sappiamo... di chi si tratta.

- Tu.

Rise di nuovo. – Beh, non proprio. Ma se così per te è più facile...

Emma gettò via il manico di legno sul quale capeggiava il nome di Gongolo. – Lui non è un eroe.

- No. Non ancora, cara. Adesso è solo... un uomo. Un uomo da ricostruire. Senza di me, in effetti... non è niente.

Emma appoggiò le mani alla roccia, osservando gli elaborati disegni della lama. La gemma rossa nel pomolo era come un occhio sempre aperto che vegliava.

- Lo costruirò. – disse l’Oscura, senza distogliere lo sguardo dalla spada.

- Vuoi costruirlo tu? Sarà difficile, cara.

Il suo indice seguì i dettagli impressi sull’elsa. - Non io. Ma qualcuno lo farà per me. 

                                                                                                                                 

 
Trovò Merida dove chiunque si sarebbe aspettato di trovarla.

Vagava ai margini di Storybrooke, nel bosco, con una freccia già incoccata. Girava in tondo, più che altro. I suoi occhi cercavano disperatamente qualcosa di familiare, qualcosa che potesse ricondurla a casa, forse. I riccioli rossi le spiovevano sul viso ed erano più in disordine del solito.

Quando Emma comparve alle sue spalle, lei si voltò di scatto, tendendo la corda dell’arco al massimo.

- Merida. Che piacere rivederti – disse l’Oscura, in tono piatto.

- Tutto questo è opera tua, vero?! – gridò Merida. – Avrei dovuto immaginarmelo da quando ti ho incontrata. Alla fine i tuoi demoni ti hanno raggiunta.

- Metti via quell’arco. Non ti servirà a niente. – Emma avanzò di un passo.

Merida osservò l’essere maligno che una volta le aveva strappato il cuore, minacciando di ucciderla. Allora aveva visto una donna tormentata dalla magia oscura, tormentata da voci che sentiva solo lei e che volevano spingerla verso il baratro, verso la tenebra. Ne aveva avuto subito paura, ma l’aveva anche aiutata, perché sapeva quanto fosse terribile portare sulle spalle il peso di una maledizione.

- Stai lontana da me! – disse Merida, preparandosi a scoccare la sua freccia.

- Oppure?

- Oppure dovremo combattere.

- Non hai nessuna possibilità.

- Non ti conviene sottovalutarmi.

- Mi baso su quello che so. Non sei riuscita ad uccidere l’uomo che ha trafitto tuo padre alle spalle. L’hai mancato. L’hai mancato come una principiante. E adesso vorresti usare quelle frecce contro di me? Certo, la distanza è nettamente inferiore. È più facile... – Il sorriso di Emma le raggelò il sangue nelle vene.

La mano di Merida tremò visibilmente. La regina di DunBroch era paonazza, con gli occhi più sgranati che mai. Sembrava dovesse svenire da un momento all’altro o crollare a terra fulminata. Scoccò la freccia, urlando, presa dalla furia e quella filò nell’aria che la separava da Emma, o qualsiasi cosa fosse la creatura che aveva osato parlarle in quel modo di suo padre.

Emma non bloccò la freccia. Sarebbe stato semplice. Per quanto giungesse veloce, puntando dritta al suo cuore, lei la vedeva arrivare con una lentezza disarmante.

L’Oscura allargò le braccia e la punta la trafisse. Il dolore fu breve. Intenso, ma breve. Emma non cambiò neppure espressione, mentre afferrava la freccia di Merida e la estraeva, per poi spezzarla a metà e gettarla via.

- Dove sono i miei fratelli? Cos’è successo? Dimmelo!

- Possiamo andare avanti così tutto il giorno, Merida. – osservò Emma, ignorando la domanda. Non si chiese da dove fosse venuto quel ricordo, quello legato al padre di Merida. Immaginava che, in quanto Oscura, certe conoscenze fossero... parte di lei. Immaginava che la sua mente potesse arrivare ovunque, immaginava che, in qualche modo, potesse arrivare alle debolezze, ai segreti delle persone con cui era entrata in contatto. Così come nelle miniere era arrivata al punto debole di Brontolo. - Dipende da te. Possiamo anche cambiare gioco. Potrei trasformarmi in qualcosa che già conosci, se la cosa ti diverte.

Merida afferrò un’altra freccia e la incoccò. Una nube magica abbracciò Emma, occultandola per qualche momento. Crebbe vistosamente davanti ai suoi occhi, salì verso l’alto, verso le fronde degli alberi. Si gonfiò, come un ventre gravido in procinto di partorire qualcosa di mostruoso.

Mor’du allungò una zampa nera verso di lei e Merida spiccò un balzo per evitarlo. Incespicò e cadde malamente. Non perse la presa sull’arco e, afferrata una nuova freccia, la scagliò contro l’orso mannaro che ora ruggiva, imbestialito. L’enorme bocca piena di denti aguzzi e letali avrebbe potuto divorarla in un solo boccone.

Mor’du si precipitò verso Merida, minacciando di schiacciarla sotto il corpo possente. Lei si alzò e prese a girargli intorno, standogli il più lontano possibile. Scagliava una freccia dietro l’altra, colpendolo sempre, ma senza mai riuscire ad ucciderlo. L’orso sradicò un albero dalle sue radici e quello si piegò lentamente, scricchiolò e infine rovinò a terra, sollevando foglie e causando la fuga precipitosa di uno stormo di uccelli.

Non è Mor’du! Sta giocando con te!

La voce che urlava nella sua testa era molto simile a quella di suo padre, Fergus.

“Non sei riuscita ad uccidere l’uomo che ha trafitto tuo padre alle spalle. L’hai mancato. L’hai mancato come una principiante”.

Era la verità, lei l’aveva mancato. Aveva mancato quel cavaliere che non aveva neppure visto in faccia. La freccia gli aveva solo aperto un foro nel mantello rosso. Merida aveva sognato quel momento per molte notti, ancora adesso lo sognava. Ci aveva pensato e ripensato e quando ci pensava la conclusione era sempre diversa; riusciva a trafiggere l’uomo prima che lui trafiggesse suo padre. Quando ci ripensava lei era sempre un po’ più precisa, più veloce. Molti le avevano detto che non era stata colpa sua: Mulan, sua madre, i suoi fratelli...

Ma l’Oscuro voleva parlare solo del lato negativo delle cose. Voleva che si ricordasse solo della parte brutta, del male, perché l’Oscuro era il male. La Emma che aveva incontrato nella foresta era già preda della magia nera, eppure non era ancora stata risucchiata nel vortice della malvagità. La cosa che si era trasformata in Mor’du... quella era terribile. Infilava il dito nella piaga per avere la meglio su di lei.

- Maledetta strega! – gridò Merida, con il respiro affannoso.

L’orso ruggì ancora, levando il muso verso il cielo. Poi la nuvola magica lo riavvolse ed Emma riassunse le sue sembianze. Merida si sentì afferrare per il collo. Un attimo dopo, erano faccia a faccia.

- Adesso verrai con me. Non hai altra scelta. Non puoi battermi. La tua testardaggine non basterà. – precisò l’Oscuro.

- Vuoi il mio cuore? – sibilò Merida, senza mai staccare gli occhi dai suoi. – Prendilo! Visto che è così facile per te... che cosa aspetti?

- Prenderò il tuo cuore, puoi starne certa. Se non farai ciò che ti dico, lo prenderò. E non lo farai, ne sono sicura. Quelle come te non imparano mai. – Emma inclinò la testa di lato, quasi stesse ascoltando qualcuno che le sussurrava parole nelle orecchie. Batté le palpebre. – Ti porto in un posto sicuro. Dove nessuno ti troverà.

- Dimmi almeno se i miei fratelli stanno bene! – esclamò Merida, con la voce tremante e piena di collera.

L’Oscuro non rispose. Con un gesto della sua mano, svanirono entrambe.

 

 
Leroy disse agli altri nani di aspettarlo fuori dalla centrale di polizia. Li avrebbe raggiunti, però doveva accertarsi di una cosa. Quindi si recò in fretta e furia al convento della Madre Superiora.

Quando vi giunse, vide alcune sorelle impegnate in varie attività. Una di loro stava pulendo uno dei vetri della struttura, in piedi in cima ad una scala che un’altra suora stava reggendo con entrambe le mani. Non c’era traccia di panico o di confusione. Sembrava tutto in ordine. Ma lui doveva accertarsene. Doveva accertarsi che lei stesse bene.

“Oh, no, affatto. Colpire te adesso sarebbe un gioco da ragazzi. Ma esistono cose ben peggiori della propria morte”.

- Posso aiutarti in qualche modo, Leroy?

Il nano si girò. Non capiva da dove diavolo fosse sbucata, ma Turchina era proprio accanto a lui e lo osservava con la fronte aggrottata.

- Sorella... – cominciò Brontolo, ricambiando l’occhiata. – Volevo assicurarmi che... fosse tutto a posto. Abbiamo ricevuto delle minacce da parte di quella ragazzina.

- Ragazzina? – Turchina apparve confusa.

- Emma. La ex Salvatrice. La nuova Oscura. Come preferite voi, sorella. 

- Che genere di minacce?

- Astrid è qui?

Turchina iniziava a comprendere. Stava osservandolo attentamente, ora, e neppure per un attimo staccò gli occhi da lui. Gli sorrise. – Questo luogo è protetto contro la magia oscura, Leroy. Ho creato la barriera magica quando siete tornati. Neve mi ha informato di... quello che è accaduto ad Emma. E se è per Nova che sei così preoccupato... voglio rassicurarti. Nova non è Storybrooke.

Leroy scosse il capo. Quel sorriso non gli piaceva e glielo si doveva leggere in faccia, perché Turchina aggrottò la fronte. - Non è a Storybrooke? E dove sarebbe?

- Nella Foresta Incantata. Da parecchie settimane.

Il nano ebbe modo di riflettere sul fatto che effettivamente era da parecchio che non vedeva Astrid. Nova. Lui si era sempre limitato a... guardarla da lontano. Un po’ perché c’era sempre quella seccatrice di Turchina nei paraggi, un po’ perché, quando non c’era Turchina, c’erano comunque altre sorelle. Aveva scambiato con lei qualche frase di circostanza, quando gli era capitato di incrociarla da sola. Era sempre felice di vedere il suo sorriso dolce, di ascoltare il suono della sua voce. Non riusciva ancora a credere che quell’essere l’avesse minacciata.

Nella Foresta Incantata?

- Si trova alla Corte Seelie, dalla nostra regina. Tutte le fate ci vanno, prima o poi. E ci rimangono per un po’. – gli spiegò Turchina. Gli parlava come se lui fosse un idiota che non capiva quello che gli stava dicendo. O forse era semplicemente il suo modo di rivolgersi a chi non era suo amico o non apparteneva alla sua comunità.

- Le fate hanno una regina? – chiese, scioccamente.

- Naturalmente. La regina Titania.

- Ma... non c’è modo di aprire un portale!

- Ruby e Scricciolo sono riusciti a produrre un fagiolo magico. Un unico fagiolo, che li ha riportati nella Foresta Incantata. Astrid è andata con loro.

“Si trova alla Corte Seelie, dalla nostra regina”. Non osava nemmeno chiedersi che razza di persona... fata fosse quella regina. Però si chiese se Astrid avesse raggiunto la Corte sana e salva. Si chiedeva quando sarebbe tornata. Se sarebbe tornata.

Non seppe che altro aggiungere.

 

***

 

Camelot. Cinque settimane prima della maledizione.

 

Il cortile che ospitava il grande albero in cui era imprigionato Merlino era deserto quando Lily vi mise piede.

Le guardie di Artù sostavano sui camminamenti, gli elmi che baluginavano colpiti dai raggi del sole. Alcuni passeggiavano avanti e indietro, appoggiandosi alle lunghe lance.

Nessuno badava a lei. In realtà, quando le passavano accanto, si limitavano ad un gesto del capo in segno di saluto, ma cercavano di non starle troppo vicino. Quasi si aspettassero che si trasformasse in drago e si mettesse a sputare fuoco. Aveva notato l’uomo fuori dalla sua porta quando era uscita dalla sua stanza negli ultimi due giorni.

Lily si avvicinò all’albero.

“Ho imprigionato l’Autore nel libro. Ora non può più manipolare le storie. Può solo registrare dei fatti”.

Un Autore imprigionato in un libro. Un mago potentissimo imprigionato in un albero.

Erano tutti intrappolati, in un modo o nell’altro.

“Purtroppo non si può tornare indietro. Nemmeno il mio maestro è in grado di sistemare questa faccenda”.

Lily appoggiò una mano sul tronco nodoso. Si chiese se Merlino fosse a conoscenza della brutta fine del suo Apprendista. Era al corrente di ciò che succedeva anche se era imprigionato là dentro? La sua mente era in grado di raggiungere altre terre, altri mondi... anche se il suo corpo era impossibilitato a muoversi?

Lilith.

Lei allontanò la mano dall’albero con uno scatto nervoso.

Era stato... un sussurro. Un sussurro in un orecchio. Debole, ma chiaro. Qualcuno aveva pronunciato il suo nome. Aveva detto anche qualcos’altro, solo che non era riuscita ad afferrarne le parole.

Merlino?

Silenzio. Il vento soffiò, spostandole qualche ciocca di capelli.

Allungò di nuovo una mano verso il tronco. Vi posò solo la punta della dita. L’albero sembrò pulsare come un cuore.

- Lily?

Spiccò un balzo, colta alla sprovvista. Si voltò, ritrovandosi davanti ad Emma.

- Sei stata tu? – domandò Lily.

- A fare cosa?

- A chiamarmi. Un attimo fa. Sei stata tu?

Negli occhi di Emma c’era una luce strana. Sfuggente, persino. Ma il suo sguardo esprimeva anche perplessità. – No. Sono appena arrivata.

Lily osservò di nuovo l’albero. Ci girò intorno, anche se non sapeva bene che senso avesse farlo.

- Che cosa succede, Lily? Hai sentito qualcosa?

- Non lo so. Per un attimo... ho avuto l’impressione che qualcuno mi stesse parlando. – Scosse il capo. – Non ho capito nulla, se non il mio nome.

- Merlino... – disse Emma. Ora sembrava stesse parlando a se stessa.

Appoggiato al tronco c’era Tremotino. Sostava là, con le braccia conserte.

- Credevo non potesse... comunicare con noi. – stava dicendo Lily.

- Io credo che possa. Forse non riesce a raggiungerci come vorrebbe, ma solo per poco. Era quello che stavamo cercando nella sua torre.

- Un modo per comunicare con lui?

- Sì. Abbiamo trovato qualcosa... un fungo.

Lily batté le palpebre. – Vuoi comunicare con un mago potente attraverso un fungo?

- Non è un fungo qualsiasi. La Corona Scarlatta. Serve per... abbattere delle barriere magiche. Artù ha detto che si trova nella Foresta della Notte Eterna. Mio padre sta andando là con il re.

- È sicuro?

- La Foresta? Suppongo di no, Lily. Ma mio padre è deciso ad andarci e Artù non vuole che parta da solo.

- Non parlo della Foresta, ma del re.

Lei non rispose subito. Parve rifletterci. – Ci ha permesso di entrare nella torre per cercare un modo per liberare Merlino. Nonostante sia al corrente di quello che Regina gli ha nascosto... si è fidato comunque di lei. Credo che sappia quello che fa.

Restarono in silenzio per un minuto almeno.

Emma si avvicinò di più all’albero. – Cosa stavi facendo prima che Merlino ti parlasse?

- Niente, stavo...

“Purtroppo non si può tornare indietro. Nemmeno il mio maestro è in grado di sistemare questa faccenda”.

- Beh, pensavo al suo Apprendista. L’ho incontrato molto tempo fa. Su un autobus.

Emma aggrottò la fronte.

- Sai, quando eravamo ragazzine. La sera in cui mi hai riportato la mia collana.

Emma stava per rispondere, ma venne interrotta da un improvviso trambusto.

Qualcuno lanciò un grido soffocato e pronunciò una serie di parole incomprensibili. Sembrava che stesse cercando di parlare ma avesse uno straccio in bocca.

- Muoviti – ordinò uno dei cavalieri di Artù. Reggeva un uomo per un braccio, aiutato da un altro cavaliere.

L’uomo in questione aveva un cappuccio in testa, le mani legate da corde robuste e gli abiti polverosi. La camicia, che una volta doveva essere stata bianca, era lacera. I pantaloni marroni erano abbastanza sudici. Le nocche delle mani erano scorticate. La cosa che sembrava un po’ strana era il corvo che svolazzava sopra le loro teste. Dava l’impressione di seguire il gruppetto.

Artù accorse in cortile. Azzurro lo seguiva. Erano entrambi pronti per partire alla ricerca della Corona Scarlatta. Indossavano l’armatura e avevano agganciato le spade ai cinturoni.

- È lui? – domandò il re.

Lily ed Emma si avvicinarono per vedere meglio.

- Sì, sire. Non è stato difficile trovarlo. – rispose uno dei cavalieri. – Il corvo ci ha portati da lui.

L’uomo bofonchiò qualcosa sotto il cappuccio. Artù si avvicinò e glielo strappò dalla testa.

A giudicare dal suo sguardo incuriosito e perplesso, non era esattamente ciò che si era aspettato.

L’uomo era vecchio, con una zazzera di capelli grigi e selvaggi, la barba folta, sopracciglia cespugliose e un naso lungo e sottile. Rosso, anche. Come quello di chi beve parecchio. Sbatté le palpebre per riadattarsi alla luce del sole e mise a fuoco Artù. Appariva frastornato. Il corvo piombò sul vecchio e cercò di appollaiarsi sulla sua spalla.

- Non adesso, Heathcliff – disse. Tossì. Aveva anche un labbro spaccato e un livido violaceo sul mento. – Non vedi che sono occupato?

Evidentemente Heathcliff era il corvo, perché l’uccello arruffò le penne e mandò un gracchio spazientito. Aveva un occhio solo.

- Quindi questo sarebbe il mago... che ha incantato la spada di Percival – disse Azzurro, squadrando l’uomo dalla testa ai piedi.

- Ci hanno parlato di lui nei villaggi vicini. – rispose uno dei cavalieri. – E abbiamo trovato le monete di Camelot in casa sua, nonché una spilla appartenuta a Percival. Inoltre... non ha impiegato molto tempo ad ammetterlo.

- Ad essere onesti, ho offerto a questi uomini una sedia e una tazza di tè, ma noto con disappunto che non conoscono le buone maniere. – replicò il mago. Biascicava, più che altro. – Non c’era bisogno di usare tutta quella polvere di papavero. Lasciate che mi presenti, sire. Il mio nome è Knubbin.

- Sapete chi sono io?

- Siete re Artù di Camelot, lo so bene, diamine. – lo interruppe Knubbin, raddrizzando un po’ le spalle. – Anche il mio corvo sa chi siete. Sapevo anche il nome del vostro cavaliere ancora prima che arrivasse e me lo dicesse. L’ho visto. Nel pozzo dietro casa. Ogni tanto vedo cose nell’acqua. Beh, in realtà non mi piace vedere cose nell’acqua. Preferisco starmene seduto fuori a guardare le carote che crescono. Non che le veda crescere davvero, ma...

- Non sembra affatto un mago. Sembra solo un ubriacone – commentò Lily.

- Ubriacone! – gridò Knubbin. – Questa sì che è bella, un ubriacone! Io sono un mago. Non avete sentito questi signori? Sono Knubbin e sono un mago. “Non sembra affatto un mago”. Che razza di modi sono mai questi? Vi faccio notare una cosa, tesoro. Siete un po’ ignorante in materia.

- Basta così. Buttatelo in prigione. – decretò Artù, stufo di sentirlo ciarlare. – Abbiamo altro a cui pensare, al momento. Ma mi occuperò anche di lui.

I cavalieri gli rimisero il cappuccio in testa, soffocando le sue proteste, e lo trascinarono via. Il corvo andò con loro.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Alla centrale di polizia, il vecchio mago che aveva detto di chiamarsi Knubbin era cascato in un sonno profondo. L’uomo dormiva sdraiato sulla branda, nella cella che gli era stata riservata, con la bocca aperta e russando come una motosega. I capelli grigi formavano una corona intorno alla sua testa.

- Ecco qualcuno che non ha certo bisogno di un incantesimo del sonno – commentò Regina, posando i libri che aveva trovato sulla scrivania. – Che ci fa qui? Chi è?

- A quanto pare è un mago – disse David. – Belle l’ha ritrovato davanti alla porta del negozio di Gold stamattina.

C’era anche un pennuto, nella cella. Il corvo era sveglio e osservava i presenti con l’unico occhio buono.

- Tuttavia, avrebbe bisogno di un incantesimo che gli cucia la bocca – disse Regina, infastidita da quel russare.

- Hai trovato qualcosa? – chiese Azzurro.

Regina annuì. Le ricerche avevano prodotto qualche risultato. Aprì uno libro e mostrò un pezzo di carta sul quale qualcuno aveva tracciato un punto di domanda.

- Questa... è la mia calligrafia – spiegò Regina. – Devo aver segnato questa pagina a Camelot. Non so se è la risposta giusta, ma... i libri vengono da là. Li stavamo usando per trovare una soluzione.

Azzurro stava per aggiungere qualcosa, ma i nani fecero irruzione, guidati da Brontolo.

- Siamo stati violati! – gridò il nano.

- Qual è il problema? – chiese Azzurro.

- Quale pensi che sia? La tua bambina. – Brontolo mise molta enfasi nella parola bambina. Era molto più arrabbiato del solito. Sul piede di guerra.

- Ha preso il mio piccone! – si lamentò Gongolo.

- E mi ha minacciato! – aggiunse Leroy.

- Minacciato? – chiese Azzurro. – Che genere di minacce?

- Beh... – Lui rivolse un’occhiata agli altri nani, che guardarono lui, in attesa. – Ha minacciato Astrid. Sono stato al convento della Madre Superiora per accertarmi che fosse tutto a posto. E lo è, per fortuna! Ma non possiamo restare qui a far niente!

Regina aveva capito che era il momento di levare le tende. – I nani sono affare vostro. Io penso a questi.

Emma ha preso un piccone? Il piccone di un nano?, si chiese, uscendo dalla centrale.

- Cosa pretendi che facciamo, Leroy? – domandò Neve. Sedeva con le braccia incrociate e il suo tono era pesante. E stanco.

- Aiutateci! – rispose Brontolo. – Sappiamo che è vostra figlia, ma dovete fare qualcosa, altrimenti lo faremo noi.

- Non le farai del male. – disse Neve, scandendo bene ogni parola, quasi lo considerasse un ritardato. La sua mente si rendeva conto, a margine, che non avrebbe dovuto preoccuparsi di lui o degli altri nani. Emma era l’Oscuro. Un gruppo di nani non era niente per l’Oscuro. Nemmeno se fossero stati in cento e tutti armati di piccone. Era più preoccupata che fosse Emma a fare molto male a loro.

Il corvo mandò un gracchio.

- Non preoccuparti. – disse, infatti, Azzurro. – Non possono.

- È solo questo che ti preoccupa? – chiese Brontolo, incredulo. – Smettila di fare il genitore spaventato! Fai lo sceriffo. Ne abbiamo bisogno!

- Vi restituirò il piccone. Grazie per avermi informato. – La sua risposta non ammetteva repliche di sorta.

Knubbin smise di colpo di russare, ma non si svegliò. Si rigirò sulla branda, affondando la faccia nel cuscino.

- Sembra che questa sia un’altra questione irrisolta, che lasceremo correre... per ora. – Brontolo lo fissava intensamente. Non aggiunge altro, ma si tolse dai piedi e gli altri nani lo seguirono, borbottando scontenti.

David si strappò letteralmente la giacca di dosso e l’appese all’attaccapanni, prima di andare a rintanarsi nello studio dello sceriffo. Sbatté le porta dietro di sé. Neve lo raggiunse.

- Perché le serve un piccone? È allarmante.

Lily entrò nella centrale. Aveva passato l’intera mattinata a girare in tondo, praticamente senza scopo. Continuava a ripensare al suo incontro con Emma e non sapeva quali conclusioni avrebbe dovuto trarne. Aveva recuperato una mappa di Storybrooke e individuato la zona in cui avrebbe dovuto trovarsi la casa dell’Oscura, ma non aveva ancora deciso se ritornarci o meno. In realtà si sentiva un’impostora. Non aveva raccontato tutta la verità a Regina... e soprattutto non l’aveva raccontata a sua madre.  

- Non lo so – stava dicendo Azzurro. – Cosa può fare con un piccone che non è in grado di fare con i suoi poteri? E per quale motivo si è messa a minacciare una fata?

Evidentemente alterato, il principino colpì la sedia girevole con un calcio.

- David!

- Vorrei solo che parlasse con noi!

- Lo so, anch’io!

David scosse il capo. – Non... non possiamo salvarla!

- Non ancora! – ribatté sua moglie. – Ci stiamo provando.

- Come? Cosa sto facendo?

Niente, pensò Lily, osservandolo. Niente che possa effettivamente aiutarla.

- Sei la nostra guida – tornò a dire Neve.

- Nessuno sembra volermi seguire!

E chi si sognerebbe mai di farlo? I nani, forse, si disse Lily. Li aveva visti uscire dalla centrale, non esattamente felici. Doveva essere successo qualcosa di serio. Un piccone. Perché Emma aveva bisogno di un piccone? I suoi poteri non erano sufficienti? Il pugnale dell’Oscuro non era sufficiente?

Un piccone?!

- Non preoccuparti dei nani!

- Non lo sono! Sono preoccupato per Emma e perché questa situazione è tutta colpa mia!

- Lei ha deciso di sacrificarsi...

- Avrei dovuto fermarla! Sono suo padre e adesso... – Si fermò, come se non fosse più in grado di continuare. – Sono paralizzato. Non sono capace di fare niente. Né per lei, né per te... per nessuno.

- Stai facendo molto. Stai aiutando le persone meglio che puoi.

- È proprio questo il problema.

Lily spostò gli occhi sull’uomo nella cella. Non si era mosso di un millimetro. Il baccano non sembrava scalfire il suo sonno.

“Quei due... mi hanno rovinata”.

“Sono stati manipolati. Come me, del resto”.

“Mi hanno maledetta”.

“Già, è vero”.

Lily ripensò a quell’incontro sull’autobus. Ripensò a quando aveva scoperto tutta la verità.

“Quei due... mi hanno rovinata”.

- Vai. Ci penso io – stava dicendo Azzurro. Diede un bacio a sua moglie.

Lily si affrettò ad uscire e si diresse sul retro, prima che uno dei due si accorgesse di lei.

“Non possiamo salvarla”.

“Non ancora. Ci stiamo provando”.

“Come? Cosa sto facendo?”

Fuori, la luce del sole le parve fin troppo accecante.

La verità era che Azzurro si sentiva impotente, non sapeva che cosa fare per aiutare sua figlia, non aveva idea di come salvarla, di come riavere la ragazza che era stata la Salvatrice, ma Biancaneve invece... Biancaneve no. Lei era sembrata molto padrona di sé. Era preoccupata, certo, ma non era preda dell’agitazione e dell’impotenza come suo marito. Sembrava vedere tutto con molta chiarezza, pur essendo senza ricordi.

Nella vita di Lily non c’erano mai state molte certezze. Le uniche certezze erano legate al fatto che lei era stata maledetta e che i suoi nemici erano i genitori di Emma.

Era Biancaneve. Oh, anche suo marito, certo, il suo principe azzurro super perfetto. Ma Biancaneve era ben peggio. Nella sua storia, Biancaneve era la cattiva. L’Apprendista le aveva raccontato tutta la vicenda senza tralasciare nessun dettaglio e Lily ne era convinta. Poco importava che l’Autore fosse intervenuto. Biancaneve l’avrebbe fatto comunque, trascinandosi dietro quella testa vuota di Azzurro. Lei era la mente. Era la guida. Suo marito, senza di lei, si sarebbe messo a girare su se stesso come un povero imbecille. Non avrebbe maledetto una bambina appena nata. Non l’avrebbe rubata a sua madre.

Nella sua storia Biancaneve era esattamente ciò che era stata in quella realtà alternativa creata dall’Autore. La Regina Cattiva. E Azzurro nient’altro che il suo cagnolino.

Forse era cominciato tutto con quella maledizione. Biancaneve voleva una figlia che fosse pura, che fosse eroica e perfetta. Così aveva fatto in modo che l’oscurità le venisse strappata e aveva accettato di trasferirla in un’altra bambina. Adesso l’oscurità era tornata indietro a riprendersi Emma. Era tornata a riprendersela perché la magia aveva sempre un prezzo, tutto quanto in quel mondo aveva un prezzo. Tutto. Tutto tornava come un boomerang. Tutta la vita era un cerchio e si finiva col ricongiungersi al punto di partenza.

“Perché tu non hai fallito. Tu hai cercato di aiutarmi. Tu hai fatto la cosa giusta”.

“Non hai niente da temere da me”.

Lily sferrò un calcio ad un bidone della spazzatura, ribaltandolo. Ora aveva l’impressione che la sua oscurità stesse dilagando, allargandole lentamente un’ala nera sugli occhi.

 

 
Quando udì il ruggito, Biancaneve, appena uscita dalla centrale con mille domande che le frullavano in testa e la sensazione che una parte della disperazione di David si fosse insediata anche in lei, sollevò il capo e si schermò gli occhi con una mano.

Vide il drago nero sorvolare Storybrooke e dirigersi verso i boschi fuori città. Non avrebbe saputo dire se si trattasse di Malefica o di Lily, poiché erano pressoché identiche, ma quando la gigantesca ombra la oscurò, venne colpita da un presentimento di tale orrore e di tenebre che si fermò, raggelata. Serrò più forte i manici del passeggino. Sulle braccia e sul dorso la pelle si era accapponata in maniera vistosa e insolita. Dietro gli occhi, avvertiva materialmente il fiotto dell’adrenalina.

Guardò di nuovo il cielo di Storybrooke. L’ombra era scomparsa e così anche il drago.

_________________

 

 
Angolo autrice:

 

Buongiorno a tutti.

Vorrei fare qualche precisazione come al solito:

Knubbin non è un personaggio della serie tv, ma non è nemmeno una mia invenzione. È un mago che appare nel libro di Wendy Toliver, Red’s Untold Tale, che parla dell’infanzia e dell’adolescenza di Red/Ruby. Se non l’avete letto, vi consiglio di farlo.

Per chi non conoscesse il film della Disney Pixar, Brave: Mor’du è un enorme orso che strappa la gamba al padre di Merida. Originariamente era un principe della Scozia, il primo dei quattro figli di un re.

Titania, che qui ho citato come regina delle fate, è un personaggio che ho introdotto anche in un’altra mia storia, Clarity.


   
 
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