Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Raykha    15/02/2016    4 recensioni
Dopo Reichenbach, Sherlock dà la caccia all'organizzazione di Moriarty. In quel periodo scrive a John molte lettere che per ovvi motivi non saranno mai inviate.
Tornato a Londra, Sherlock nasconde le lettere, perchè per motivi sempre ovvi ma diversi, nessuno dovrà mai leggerle.
Cosa succede quando John trova quelle lettere, pochi giorni prima del suo matrimonio?
[Johnlock]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NdA: giusto un paio di precisazioni, spero di non stressarvi troppo :) ho messo come rating giallo in quanto le torture inflitte a Sherlock sono solo accennate ma comunque presenti, così come la scena di sesso... se il rating è sbagliato fatemelo sapere e provvederò a correggere...
Per il resto spero che la storia vi piaccia, so che forse Sherlock può sembrare un po' OOC ma credo che due anni così possano farsentire chiunque molto fragile e un po' sentimentale... ma non aggiungo altro, buona lettura!
E per qualsiasi commento o osservazione scrivetemi pure!
 
Letters to J

Giorno 14, Governatorato di Gharbiyya (Egitto)

Caro Nessuno John,

Vorrei tanto poterti scrivere per davvero questa lettera. Dico sul serio. Ma invece queste rimarranno solo parole scritte su un qualsiasi foglio di carta, in un angolo qualsiasi del mondo.

Credo proprio che la brucerò.

Sono passati 14 giorni da quando sono partito da Londra, e avevo intenzione di scrivere delle lettere nei momenti di noia. Non ho nessuno con cui parlare e in questo maledetto villaggio le speranze di un caso interessante sono completamente a zero.

Nessuno leggerà mai queste lettere, non posso certo inviarle a te (o a chiunque altro), e per questo le avevo intitolate "Lettere a Nessuno", ma poi ho scoperto curiosamente che ora vorrei parlare con te, perciò è a te che ho scritto.

Cosa ti direi se ti parlassi di persona? Cosa mi risponderesti tu?

Ovviamente noteresti che sono vivo. Ti arrabbieresti? Mi picchieresti? È probabile. E avresti ragione, non ho fatto una cosa carina nei tuoi confronti. Anche se, onestamente parlando, ti ho salvato la vita, il che di per sè mi sembra una cosa abbastanza carina. Ma comunque ti ho fatto soffrire, perciò avresti ragione ad arrabbiarti. Ad odiarmi. Mi odieresti, John?

Arriverà il giorno in cui ti farò un discorso di scuse studiato e drammatico, come in uno di quei film romantici e banali che guardi sempre quando credi che dorma sul divano, e che so che ti fanno piangere.

Quel giorno, comunque, ti farò capire che quello che ho fatto è stato necessario, per la sicurezza di tutti, ma comunque la cosa più dolorosa che ho fatto in vita mia.

Forse la tua analista ha ragione, dopotutto. Scrivere aiuta davvero, e di certo a voce non ti direi mai queste cose.

John, quella telefonata mi ha distrutto. Sapevo che non mi sarebbe successo niente, e sapevo che Mycroft ti avrebbe tenuto al sicuro, ma non sopportavo l'idea di farti del male.

Per questo credevo che venire al cimitero mi avrebbe aiutato. Volevo

 

Sherlock sospirò. Aveva scritto quelle parole di getto, senza pensarci due volte, senza rileggerle.

E ora, cos'era quella sensazione? Quel dolore al centro del petto che lo costringeva a piegarsi tenendosi l'addome con le braccia, che non gli permetteva di respirare, che rendeva doloroso pensare a John, al cimitero, davanti alla sua tomba, che pregava per un miracolo. Cos'era?

Sherlock Holmes, la Razionalità fatta persona, preda dell'emotività. Della nostalgia. Della paura di fallire. Della solitudine. Della paura.

Il detective si fece forza e si alzò dalla brandina di quella lurida locanda sperduta nel deserto egiziano e guardò il sole tramontare in mezzo alle dune, facendo brillare la sabbia. Uno spettacolo unico. Quando riuscì a tenere sotto controllo le proprie emozioni, tornò alla lettera.

 

Volevo vedervi tutti, un'ultima volta. Volevo vedere te. Ma mi ha fatto solo stare peggio. È stato davvero difficile non palesare la mia presenza, restare in disparte a subire le conseguenze del mio gesto, ma eravate ancora tutti in pericolo. Lo siete ancora. Sei in pericolo e io devo rimediare.

Non importa quanto ci vorrà, smantellerò la rete di Moriarty e tornerò a Londra.

Devo ancora farti quel discorso studiato e drammatico.

SH

 

 

Giorno 27, Provincia del Sėlėngė (Mongolia)

Caro John,

Ho trovato un teschio. Maschio, etnia asiatica, morto presumibilmente 350 anni fa per decapitazione. Il lavoro di un principiante, a giudicare dai segni lasciati sulle ossa. Il poveretto deve aver sofferto molto prima del colpo fatale.

Ripensandoci, questo forse non è l'inizio migliore per una lettera. Ma tanto nessuno la leggerà mai.

Dunque, ho trovato un teschio. L'ho chiamato Hamish, e ogni tanto ci parlo. Spesso in realtà. Immagino che sia tu e cosa mi risponderesti. Cristo, sto diventando sentimentale...

Ma a volte parlare con Hamish non basta, a volte devo scriverti, come se scrivere "Caro John" mi rendesse più vicino a Londra. Alla mia vecchia vita. Alla nostra vecchia vita.

E in questi momenti divento così odiosamente sentimentale che quasi mi vergogno.

Mycroft ha catturato i cecchini che vi seguivano, perciò forse ora siete un po' meno in pericolo. Ma la minaccia alle vostre vite persiste. È per questo che sono finito in Mongolia, pare che qui ci sia una cellula particolarmente attiva. Ho risolto un paio di crimini in città vicine nel frattempo, un noioso omicidio appena da 4 (stupida polizia locale) e un furto in un museo che appena sfiorava la soglia della tollerabilità. Ma non ho molto altro da fare mentre aspetto di infiltrarmi nell'organizzazione di Xxxxxxx Xxx Xxxx.

(Non posso scrivere il suo nome, sarebbe rischioso, ma mi piace pensare che un giorno se non le avrò bruciate rileggerò queste lettere e mi ricorderò di lui, magari allora ti dirò il suo nome completo)

Penso spesso a come sarebbe se qui ci fossi anche tu. Sarebbero avventure interessanti...

SH

 

"Fermati prima di pentirti, Sherlock" il detective sbuffò, e tornò alla finestra. Prese il cannocchiale e osservò il piccolo bar di fronte all'edificio abbandonato in cui si era appostato già tre giorni prima. Non successe niente per 20 minuti, poi finalmente l'oggetto del suo interesse si palesò.

Il gioco era iniziato.

Prima di uscire si girò verso il teschio e mormorò: "Mi fai davvero un effetto terribile, Hamish"

 

 

Giorno 50, Lima (Perù)

Caro John,

La noia si fa davvero insopportabile. Ah, forse dovrei dirti che sono in ospedale. Ho avuto un acceso incontro con alcuni uomini di Moriarty, ma loro ne sono usciti peggio di me. Me la sono cavata con una spalla slogata e un paio di costole fratturate. Scusa, coste. Dimenticavo la puntigliosità di voi medici su certe questioni. "I maiali hanno le costole Sherlock, gli uomini hanno le COSTE." * Mi facevi sempre ridere quando lo dicevi.

Comunque sia gli ospedali sono davvero noiosi. Grazie a Mycroft e alla segretezza di tutta questa faccenda ho una stanza singola senza banali individui irritanti.

Conosco già tutto di tutti ormai qui dentro.

Davvero, come faceva quella radiologa a non sapere che suo marito la tradisce con la commessa del negozio sotto casa? Andiamo, mai notato il risvolto dei suoi pantaloni?

E quell'infermiera? Era ovvio che il suo ragazzo fosse implicato in affari di droga, insomma dai, non gli ha mai osservato i padiglioni auricolari?

Credo di non essere molto apprezzato tra lo staff... Non che mi importi qualcosa. Ma so già che tu mi diresti di essere più diplomatico e di darmi meno arie.

Che noia gli ospedali, John, come fai a lavorarci? È forse meno noioso, dal vostro punto di vista? Fare i pazienti è noioso. Potrei morire. Non posso neanche parlare con Hamish finché non esco.

Un giorno mi racconterai se fare il medico è più interessante che fare il paziente.

Credo che per ammazzare il tempo imparerò il peruviano.

SH

 

 

Giorno 58, Lima (Perù)

Caro John,

Oggi sono stato finalmente rilasciato dimesso. Non ho molto da dirti, non è successo nulla nel vero senso della parola, NULLA. Neanche un omicidio interessante. Dove siete, criminali peruviani?

Volevo solo condividere con "qualcuno", in qualche modo, una bella notizia.

Il gioco continua.

SH

 

 

Giorno 96, Taipei (Taiwan)

Caro John,

Oggi non è una buona giornata. Sono sconfortato. L'organizzazione di Moriarty è davvero immensa. Sembra quel mostro mitologico... Tagli una testa, e altre due spuntano fuori. Hydra?

E quelle due teste sono dannatamente brave a nascondersi.

E mi sento solo. È strano, sono stato da solo per tutta la vita, mi sono sempre sentito a mio agio, ma ora fa davvero male. Non ho nemmeno più la compagnia di Hamish, ho avuto dei guai alla dogana. Mi manchi John. Non riesco a dirlo, ma posso scriverlo. Scriverlo è facile.

Pensa che mi mancano perfino le cose banali e stupide che facevamo insieme.

Mi manca ridere sulle scene del crimine, prendere in giro mio fratello, correre per Londra inseguendo i criminali. Mi manca

 

"Sherlock, coraggio, scrivilo. Tanto lui non lo leggerà mai, nessuno lo farà. Le brucerai queste lettere."

Il detective prese fiato, guardò la penna che teneva nella mano tremante e ricominciò a scrivere

 

Mi manca la tua rabbia quando trovi parti di cadavere in frigorifero, o quando non compro il latte. Mi manca cercare le sigarette solo per vederti sorridere e sentirmi dire "Sherlock, stai andando bene, resisti". Mi mancano i tuoi complimenti quando deduco qualcosa (e a volte quasi li sento come un'eco nella mia testa, pensa!). Pavoneggiarmi non è più così divertente, se non ci sei tu a darmi dell'idiota.

E mi manchi sempre di più quando penso che non posso tornare perchè sei ancora in pericolo.

Per quanto tempo ancora dovrò inseguire fantasmi?

SH

 

 

Giorno 105, Montrèal, Quebec (Canada)

Caro John,

Sono appena atterrato a Montrèal, e siccome il mio contatto si sta facendo attendere, ho deciso di scriverti. Spero di trovare un nuovo teschio, magari da chiamare Hamish II.

Osservo le persone intorno a me, e mi chiedo cosa stia facendo tu. Penso spesso a queste cose...

Come va la tua vita, John? Stai andando avanti? Vorrei davvero che tu lo facessi. Abiti ancora a Baker Street? Vedi ancora Greg, Molly, Mike? C'è qualcuno di nuovo nella tua vita, John?

Al di là di tutto, io voglio davvero che tu sia felice. E sappi che se ho sabotato tutte le tue relazioni (più o meno volutamente) l'ho fatto solo perchè nessuna di quelle banali ragazze comuni ti meritava. Ma se c'è qualcuno di davvero speciale John, sono felice per te, e mi piacerebbe conoscerla.

 

"Oh, caro, come mai sei così triste, qui tutto solo? Hai appena salutato qualcuno che è partito?"

Sherlock alzò la testa di scatto e sorrise vedendo lo sguardo amorevole di quella signora.

 

Mi si è avvicinata una vecchia signora mentre ti scrivevo, ovviamente una ricca vedova da una famiglia dell'alta borghesia parigina (perfettamente evidente dalla pelliccia), in Canada per visitare i nipotini (ovvio per il fatto che nella borsa aveva dei giocattoli incartati).

Mi ha ricordato molto la Signora Hudson però.

Mi ha chiesto come mai fossi triste e gli ho detto che mi mancava il mio amico. Le ho raccontato una storia parzialmente vera, ma non tanto da compromettermi. Non so perchè l'abbia fatto, forse perchè sembrava davvero gentile e interessata a quello che avevo da dire. Mi guardava come faceva la signora Hudson tutte le volte che litigavamo e tu uscivi di corsa. Quando ho terminato il mio racconto mi ha detto che non sembrava parlassi di un amico, ma non ho capito come sia arrivata a una conclusione così errata e fuori da ogni logica.

Credo sia arrivato il mio contatto.

SH

 

 

Giorno 130, Montrèal, Quebec (Canada)

Caro John,

Sono di nuovo in un aeroporto. Sto per lasciare il Canada, ma non so ancora dove andrò.

Tra qualche ora un aereo potrebbe portarmi in qualunque parte del mondo per vivere quella che molti definirebbero"una grande avventura alla James Bond"... e sai una cosa?

Non c'è niente che vorrei di più al mondo che essere a Baker Street e guardarti scrivere una nuova storia sul tuo blog, suggerendoti un titolo. Ma tu ne troveresti uno migliore,come sempre.

Lo rileggo spesso, il tuo blog, mi piace vedere me stesso attraverso i tuoi occhi, mi fa sentire più intelligente. Quasi un eroe. Un eroe....

Quando ci rivedremo, John, non ti dirò che Xxxxxx Xxxxxxxxx e i suoi uomini mi hanno regalato una serie di cicatrici sulla schiena. Non ti dirò che è stato doloroso, che sento ancora dolore. Non ti racconterò di tutte le torture che mi hanno inflitto. Non ti dirò di tutte le azioni orribili che ho dovuto compiere. Non ti dirò di aver dovuto uccidere delle persone che in fondo erano solo costrette a eseguire degli ordini. Non ti dirò niente di tutto ciò, altrimenti non sarei più un eroe ai tuoi occhi. E questa, John, è una delle cose più preziose che mi sia rimasta nella vita. La tua stima, la tua fiducia incondizionata, la tua amicizia.

Mi manchi, Dottore.

SH

 

 

Giorno 177, Da qualche parte nel Distretto Federale degli Urali

Caro John,

Credimi se ti dico che odio non poter essere più preciso riguardo la mia localizzazione (non che importi qualcosa, dato che non invierò mai questa lettera, né nessuno la leggerà mai, ma lo odio comunque). Sono su un vecchio treno della Trans-siberiana, uno di quelli turistici arredati come nell'800. Secondo Mycroft è un modo più sicuro di viaggiare, meno controlli, più segretezza. Sembra di essere in uno di quei vecchi film che guardavamo con la signora Hudson.

Pensa che mi mancano anche quelli. Mi mancano anche i momenti più banali. Mi manca Londra.

Sai, John, questi vecchi treni hanno davvero qualcosa di romantico, credo. Non me ne intendo molto, ma suppongo sia così. Cè una coppia seduta qualche posto davanti al mio, tedeschi, festeggiano il terzo anniversario di matrimonio, hanno un bambino che è rimasto a casa, forse con i nonni. Ovviamente l'ho dedotto, non l'ho chiesto.

Sembrano molto felici. È così una relazione, John? Un altro essere umano può essere davvero tutto ciò di cui si ha bisogno per essere felici? Può essere davvero così bello, John?

Io non lo so. Non l'ho mai saputo. Sono sempre stato abituato a stare solo, non ho mai sentito il bisogno di avere vicino un altro essere umano.

Ma qualcosa è cambiato, John. Sono 177 giorni che sono da solo ad affrontare una rete criminale in giro per il mondo. Certo, ho l'appoggio di Mycroft e di varie agenzie di intelligence, ma in quanto a contatto umano... Credo mi siano rimaste solo queste lettere.

Sei mai stato innamorato John? Com'è essere innamorati?

SH

 

 

Giorno 178, Sempre sul treno

Caro John,

Sono partito ieri da Vladivostock, e il treno impiega una settimana per arrivare a Mosca.

Il paesaggio non cambia mai: steppe innevate, freddo, steppe innevate. Ogni tanto qualche città dimenticata da Dio.

Questo posto, questo treno, questo paesaggio... Ti fanno riflettere John. Possono farti sentire solo. Mi hanno fatto capire che adesso vorrei solo chiacchierare con te, bere una buona tazza di thè con il latte (non sai quanto faccia schifo il thè, in Siberia) e suonare il mio violino.

Vorrei suonare per te. Vorrei insegnarti a ballare, a suonare se tu avessi voglia di imparare, vorrei sentirti parlare dei tuoi "noiosi pazienti ipocondriaci" (parole tue, John, non mie, ricordatelo!), vorrei passare un'intera giornata in vestaglia, sul divano, e sparare al muro insieme a te. Potremmo fare una gara, sarebbe divertente. Anche se forse vinceresti tu.

Come sta andando la tua vita John? Sta andando avanti, anche senza di me? Lo spero, per te almeno.

Mi manchi John

SH

 

 

Giorno 181, Sul treno

Caro John,

Oggi sono 6 mesi che sono andato via.

Siamo quasi a metà del viaggio, e pensare al tempo che abbiamo trascorso insieme a Baker Street è l'unica cosa che mi impedisce di morire di noia.

Ho conosciuto la coppietta felice, anche loro vanno a Mosca, dove si sono incontrati per la prima volta. È bello parlare finalmente con qualcuno, anche se ho dovuto dar loro un nome falso, e raccontare una serie infinita di bugie. Almeno faccio pratica con l'accento francese.

Ieri ho chiesto loro com'è essere innamorati. Perchè credo che loro lo sappiano, loro lo hanno trovato. Mi hanno risposto che amare qualcuno significa aver bisogno di qualcuno più di quanto hai bisogno di te stesso, che amare è mettere la felicità di un altro prima della tua, essere disposti a fare qualsiasi cosa per l'altro, sentire istintivamente di stare bene solo se l'altro è felice.

Dovevi vedere le loro facce mentre parlavamo John, erano... luminose, in qualche modo.

Ha un senso tutto questo?

Comunque ci ho pensato, John. Ci ho pensato davvero e ho capito che io ho bisogno di te, voglio saperti felice, perchè la tua felicità è più importante di qualsiasi cosa per me. Sono forse innamorato di te, John? Non lo so. So che sei la persona più importante della mia vita.

Sto piangendo, John, ci credi?

E tu, John? Tu sei innamorato? Vorrei chiedertelo di persona, un giorno te lo chiederò.

E se tu mi dicessi di sì, se tu mi dicessi che la tua felicità ha un nome e che quel nome non è il mio...

Dopotutto, chissà tra quanto tornerò. E se non eri interessato a me prima, figuriamoci dopo.

Ma ti lascerei andare John. Perchè se tu sei felice allora lo sono anche io.

Dopotutto, non leggerai mai questa lettera. E scrivere è così facile, se sai che nessuno leggerà mai. È la tua anima al sicuro tra le fibre della carta, nascosta a tutti ma allo stesso tempo condivisa, in qualche modo, esternata se non altro.

Quando ti rivedrò, cosa farò? Se non ci sarà qualcuno di speciale nella tua vita, cercherò di capire se sono davvero innamorato di te?

Mi piace pensare che sarei abbastanza coraggioso da dirti quello che sento anche a voce, John.

Ma probabilmente non sono quel tipo di persona.

SH

 

 

Giorno 184, Mosca (finalmente)

Caro John,

Oggi sono finalmente sceso dal treno, e ho ricevuto una bellissima notizia: Mycroft mi ha confermato che ogni minaccia alle vostre vite è ufficialmente cessata. Non siete più in pericolo.

La coppietta mi ha salutato calorosamente e mi ha detto che andrà tutto bene. Ho parlato loro di te in questi giorni.

Sai, John, avevo intenzione di bruciare tutte le lettere che ho scritto, ma c'era il tuo nome sopra, come avrei potuto? Così ho finito per rileggerle tutte.

Ho notato che sto diventando sempre più sentimentale man mano che il tempo passa, quasi non mi riconosco. Eppure pensavo davvero tutto quello che ho detto scritto. Pensavo? Lo penso ancora?

Forse è colpa di questo treno, così banalmente sentimentale.

Forse è colpa dei sei mesi passati a infiltrarsi in ogni cellula criminale possibile, cercare fantasmi e uccidere chiunque sia un ostacolo.

Forse è colpa dei chissà quanti mesi che ancora dovrò passare in questo modo, prima di poter tornare.

Forse è colpa tua. Forse è colpa mia.

SH

 

 

Giorno 200, Mosca (Russia)

Caro John,

Sono sempre a Mosca e non sono più vicino a trovare l'uomo di Moriarty di quanto non lo fossi 16 giorni fa, quando sono arrivato. Xxxxxxx Xx Xxxxxxxxxxx sembra introvabile.

Ho trovato Hamish II. È adatto, diciamo, anche se è morto per un colpo d'arma da fuoco che gli ha lasciato un foro sull'osso frontale. Almeno non ha sofferto come Hamish I.

Cosa fai, John? Com'è la tua vita, ora? Sei innamorato, John?

Cosa si prova a essere innamorati, John?

SH

 

 

Giorno 252 (forse), Tallin (Estonia)

John, sono quasi morto.

La cellula russa era la più spietata di tutte quelle che ho affrontato fin'ora. Mi hanno torturato per più di un mese, fisicamente e psicologicamente. Deprivazione sensoriale, è il termine tecnico.

Solo tu e il tuo aguzzino in una stanza semibuia. Non sai quanto tempo è passato, non sai più dove sei. Sai solo che il dolore non finisce mai.

Soltanto un'iniezione giornaliera di glucosio e altri nutrienti, appena sufficiente per non svenire, e il dolore ricomincia. Ma gli uomini di Mycroft sono riusciti a salvarmi.

Ho ampliato la mia collezione di cicatrici. Soffro da morire, ma non te lo dirò mai.

Perchè gli eroi non soffrono.

John, sono quasi morto. Stavo per morire e riuscivo a pensare solo a te. A te che ora non sei più in pericolo. Questo è l'importante. Tu sei al sicuro.

Credo di essere innamorato di te, John. Se tornerò, cercherò di capirlo.

Stavo per morire John, non sapevo più niente. Volevo morire, volevo così tanto che finisse, era insopportabile. Ho tentato varie volte di togliermi la vita, ma no, loro non te lo permettono. Perchè la tua vita non è più nelle tue mani, con gente come quella, ma nelle loro: e tutto ciò che sai è che ci sarà solo dolore da ora in poi. Ma non ho ceduto, John, non gli ho dato quello che volevano.

Non mi importa di quello che mi succederà, non mi importa se tornerò oppure no; se tu sei al sicuro, io posso anche morire.

SH

 

 

Giorno 260 (quasi sicuramente), Tallin (Estonia)

Caro John,

Sono ancora in ospedale, a Tallin. È una bella città, o almeno lo sembra dalla finestra della mia camera. Sto girando il mondo, ma vorrei vederlo davvero. Insieme a te.

Dove ti piacerebbe andare, John? Vorresti venire a vedere il mondo insieme a me?

Ho la febbre, svengo spesso, le ferite si sono infettate. Sto così male John.

Anche scrivere è atrocemente difficile. Ma devo farlo, devo avere almeno l'illusione di averti vicino.

Vorrei che tu fossi qui, e contemporaneamente non vorrei mai che mi vedessi in questo stato.

Continuo a pensare a quello che provo per te, ma non lo dico mai neanche sottovoce.

Sono davvero così patetico?

Mi manchi, dottore.

Tuo, SH

 

 

Giorno 297, Pisa, Italia

Caro John,

Sto meglio. Sono uscito dall'ospedale e ho dovuto riprendere subito a viaggiare.

L'Italia è meravigliosa, John. Ho visto molte città e molte regioni, e mi affascinano tutte.

Ti piacerebbe l'Italia, John?

Ma tutte queste città hanno un problema: non hanno il 221B. Non sono Londra. In nessuna di queste città c'è John Watson. E questo, credimi, fa perdere un sacco di punti.

Cosa succede nella tua vita, John?

Sono riuscito a portare con me Hamish II, insieme a poche altre cose, come le lettere. Le ha recuperate uno degli agenti di Mycroft che mi hanno trovato. Ancora le conservo tutte, le lettere, in una scatola di legno di abete che ho comprato a Mosca.

La mia anima nero su bianco. Drammatico, non trovi? Ma è una definizione appropriata.

Sai John, oggi in piazza ho visto un militare che da lontano ti assomigliava molto. Bassino, capelli biondi, portamento fisso. Aveva quasi il tuo stesso modo di camminare.

Mi manchi, Capitano.

Credo che la mia missione non durerà ancora molto, sento di essere vicino.

Com'è avere una relazione, John?

SH

 

 

Giorno 311, Siviglia (Spagna)

Caro John,

La cellula che inseguivo in Italia si è spostata in Spagna, ma sono a un passo dalla vittoria.

Tolta di mezzo questa, Moriarty dovrebbe avere ancora un paio di agenti in Nuova Zelanda e un gruppo piuttosto numeroso in Serbia, per cui John... Tra poco tornerò da te a Londra.

Cosa succederà allora, John?

 

"Già, Sherlock, cosa succederà allora?" gli chiese una vocina nella sua testa, che Sherlock tentò di ignorare. Col tempo, la solitudine e la vicinanza alla morte aveva accettato di provare sentimenti di un certo tipo per il dottore. Ma questo non significava che sapesse cosa fare. Si alzò di corsa e uscì dal piccolo hotel, lasciando la lettera incompiuta e senza firma, per la prima volta.

 

 

Giorno 352, Melbourne (Australia)

Caro John,

Grazie alla compagnia di Hamish II ho potuto evitare il turbinio emotivo che provo ogni volta che scrivo il tuo nome. Sono successe tante cose nell'ultimo mese, John.

Ho risolto alcuni casi in varie parti del mondo, ma nessuno così interessante da meritare un post sul tuo blog. Sono quasi sicuro di aver sconfitto tutti gli uomini di Moriarty, resta solo l'organizzazione serba. Potrebbe essere difficile, potrebbe volerci molto tempo, potrei non tornare.

Come vanno i pazienti, John? Dove vivi adesso? Sei innamorato, John?

Io credo di esserlo.

Tuo, SH

 

 

Giorno 365, Kragujevac (Serbia)

John, è passato un anno.

Un anno fa me ne sono andato, e ancora non so quando tornerò. Ma tornerò, puoi starne certo.

Ti devo un discorso studiato e drammatico.

Un anno, John. Fa così male. Mi manchi così tanto. Anche scriverlo non è più così facile.

Ho pensato di prendere qualcosa, per stare meglio, per non pensarci, almeno per qualche ora. Ma non posso, per sconfiggere la cellula serba ho bisogno della mia mente al massimo.

Un anno senza di te. Ho pensato di uccidermi. Che senso ha ormai lottare, tu sei al sicuro.

Ma poi mi sono ricordato che ti devo delle scuse, perciò resterò in vita almeno fin quando non ti avrò fatto le mie scuse. Sei tu che mi fai andare avanti, John, sei l'unico motivo per cui sopravvivo e continuo a lottare. Sei l'unico per cui ne valga la pena.

Ho deciso che voglio essere quel tipo di persona che ti guarda negli occhi e ti dice sinceramente quello che prova per te. Sarò quella persona per te, John. Perchè ripensandoci non l'ho ancora neanche scritto, ma ne sono davvero convinto, ogni giorno di più.

Io ti amo, John Hamish Watson.

Tuo, SH

 

 

Sherlock conteneva a stento la gioia, solo per non dare a Mycroft la soddisfazione di avergli salvato la vita, ancora una volta. Erano passati 479 giorni da quando era partito da Londra.

Era stato torturato, aveva rischiato di morire. Aveva fatto tante cose orribili quante ne aveva subite. Ma aveva avuto successo: l'organizzazione di Moriarty era stata smantellata, estirpata come un'erbaccia velenosa che minaccia i fiori più belli. E ora, Londra. Baker Street. John.

Soltanto l'idea provocava in Sherlock un turbine confuso di emozioni di cui, un anno e mezzo prima, si sarebbe vergognato. Un anno e mezzo prima avrebbe provato anche disgusto, ma ora era tutto diverso; ora riusciva ad accettare quelle sensazioni così belle che lo travolgevano.

"John, sono passati 114 giorni dall'ultima volta che ho scritto una lettera – pensava Sherlock, mentre saliva su un aereo privato che stava per decollare da una località segreta nei pressi di Belgrado – ma ora non ho più bisogno di scriverti per raccontarti cos'è successo con la cellula serba. Perchè sto tornando, John. Sto tornando a Londra, da te."

Non c'era un minuto da perdere, aveva un discorso di scuse da fare.

 

 

La realtà colpì Sherlock duramente. 3 lapidarie constatazioni, 3 strike per eliminare il battitore.

"Passerò a Baker Street e uscirò da una torta."

"Baker Street? - rispose Mycroft – Lui non abita più lì"

Strike 1: John Watson è andato via da Baker Street.

 

Quando Sherlock vide John al ristorante, quella sera, ricevette il secondo strike.

Ristorante romantico, tavolo per due, John visibilmente nervoso. Una piccola scatola poggiata di fronte a lui, sul tavolo, che John continua a muovere e sistemare.

John è andato via da Baker Street, e c'è una persona speciale nella sua vita.

Sherlock osservò l'intera scena dalla porta della cucina, trattenendo a fatica le lacrime: John non l'aveva riconosciuto quando si era presentato con la carta dei vini; quando era arrivata quella donna, John non aveva avuto occhi per nessun altro. Non esisteva nient'altro, in quel momento, tranne lei.

John Watson ha una nuova vita. Strike 2.

 

Il colpo di grazia arrivò più tardi, quella stessa sera. John si era arrabbiato, come previsto, e l'aveva colpito. Se lo meritava in fondo. Sherlock aveva finto per tutta la sera di non sentire più dolore, ma la Serbia aveva lasciato un segno profondo, e soffriva ancora. Faceva tremendamente male, ma lo nascondeva egregiamente. Perchè gli eroi non soffrono.

Ma Sherlock non era più un eroe, agli occhi di John. Era solo un bugiardo, che l'aveva fatto soffrire come un cane per un anno e mezzo, quando sarebbe bastata una sola parola.

John Watson è andato via da Baker Street.

John Watson ha una nuova vita.

Nella nuova vita di John Watson non c'è posto per Sherlock Holmes. Strike 3. Battitore eliminato.

 

Quella sera, Sherlock tornò a Baker Street con il cuore spezzato.

Fu sul punto di bruciare tutte quelle lettere. Si maledisse per aver lasciato che una debolezza, un difetto chimico, prendessero il sopravvento su di lui, sulla sua logica, sulla sua mente.

Bruciare le lettere. Bruciare quella parte della sua anima così fragile. Come poteva?

Il detective trascorse tutta la notte a pensare a John e a quella donna, invece che alla cellula terroristica che ora minacciava Londra. Cosa doveva fare ora?

Decise che avrebbe lasciato a John il suo spazio, doveva riprendersi dallo shock e doveva farlo con i suoi tempi. Sì, ma dopo? Cosa avrebbe fatto, dopo?

Sarebbe tornato tutto come prima? Avrebbe mai svelato a qualcuno il contenuto di quelle lettere?

Ripensò alle parole della coppia di tedeschi incontrata sul treno.

John era felice con questa Mary, felice per davvero. Come Sherlock non l'aveva mai visto con nessun'altra ragazza prima.

E se tu mi dicessi di sì, se tu mi dicessi che la tua felicità ha un nome e che quel nome non è il mio...

Dopotutto, chissà tra quanto tornerò. E se non eri interessato a me prima, figuriamoci dopo.

Ma ti lascerei andare John. Perchè se tu sei felice allora lo sono anche io.

Questo Sherlock aveva scritto nelle sue lettere, molto tempo prima. Sembrava passata un'eternità.

Avrebbe avuto il coraggio di lasciare andare John? Di guardare John e Mary, così felici insieme, ed essere felice per loro? Beh, tutto considerato, cos'altro poteva fare?

Si riscosse. Dopotutto aveva fatto una promessa a se stesso quando era arrivato in Serbia: si era promesso di essere un certo tipo di persona. Una persona migliore, coraggiosa.

E Sherlock avrebbe fatto qualsiasi cosa per avere ancora un posto nella vita di John, anche se non avrebbe mai avuto il posto che aveva sperato di poter occupare nel cuore del dottore.

"Sono felice, John, se tu sei felice." sussurrò Sherlock, lo sguardo triste rivolto a quella poltrona vuota. Prese le lettere, le rimise ordinatamente nella scatola, sopra la quale aveva fatto incidere semplicemente "Lettere a J", e nascose la scatola in uno scomparto segreto dell'armadio, dove sarebbe stata al sicuro da tutti.

La sua anima, per sempre rinchiusa dove nessuno l'avrebbe mai trovata.

 

 

John ripensava spesso a tutto quello che era successo.

Sherlock Holmes, redivivo. Il grande detective, tornato dal regno dei morti. Sembrava ancora così assurdo.

Erano passati mesi da quel giorno, al ristorante, e le cose sembravano tornate quasi alla normalità. Lui e Sherlock avevano chiarito la faccenda, lui l'aveva perdonato.

Avevano sventato insieme un attacco terroristico che minacciava Londra, e nel farlo avevano di nuovo rischiato di morire. E su quel vagone della metropolitana, John gli aveva detto di averlo perdonato. Ma in realtà l'aveva perdonato molto prima, quasi nell'istante in cui l'aveva finalmente riconosciuto. Aveva avuto bisogno di tempo per superare lo shock, le bugie, e tutto il resto, ma non era mai stato davvero arrabbiato con lui; certo, questo a Sherlock non l'avrebbe mai detto.

Ma ora era tutto come prima: risolvevano ancora i casi insieme, ridacchiavano sulle scene del crimine, prendevano in giro Mycroft e insultavano Anderson in modi sempre più creativi.

E lui stava per sposare Mary. Mary, la donna che l'aveva tirato fuori dal baratro, la donna senza la quale probabilmente sarebbe finito in depressione. Amava davvero Mary, e stava per sposarla.

John si stupì, ripensandoci, del fatto che il 221B fosse diventato una specie di quartier generale dell'"Operazione Matrimonio". Certo, Sherlock aveva accettato di fargli da testimone, ma si stava davvero impegnando tanto per rendere quel giorno perfetto.

John pensava a tutto questo mentre camminava lungo Baker Street. Quella sera Mary aveva il turno di notte in clinica, perciò lui sarebbe rimasto da Sherlock a cercare di imparare quel maledetto waltzer che a quanto pare era fondamentale per il grande giorno.

 

"Ok, John. Waltzer" disse Sherlock, in piedi accanto allo stereo "Il waltzer è la base, il più classico dei balli. Sono tre tempi: 1,2,3. Senti il ritmo? Cominciamo dalle basi. Il quadrato."

il detective si mise di fianco a lui e gli mostrò come muovere i piedi.

"Nel ballo l'uomo conduce la donna, John. E per condurre l'uomo deve conoscere anche i passi della donna. Ok, guarda: 1,2,3, 1,2,3. Un quadrato. La donna gira in questo verso, mentre l'uomo al contrario: 1,2,3, 1,2,3"

 

"John, più delicato! È un ballo, non una marcia! Di nuovo."

 

"Avanti, John, cerca di impegnarti!" disse Sherlock dopo l'ennesimo quadrato eseguito fuori tempo.

"Ok, direi che per stasera può bastare, Sherlock" rispose il medico, seccato.

Sherlock era davvero un insegnante molto esigente. Ma anche molto bravo, John dovette ammetterlo. Il genio sapeva il fatto suo riguardo al ballo.

"No, John. È importante. Mancano pochi giorni al matrimonio, devi impararlo bene. Proviamo così." disse il detective mettendosi di fronte a lui.

"John, chiedimi di ballare" disse lui, calmo come sempre.

"C-che? Cosa?" rispose l'altro improvvisamente rosso in viso. Sherlock alzò gli occhi al cielo.

"John, sarai tu a dover chiedere a Mary di ballare, non il contrario."

 

"Okay, bene, ora però vieni più vicino. Andiamo, John, fa finta che io sia Mary"

John alzò un sopracciglio e lo guardò scettico.

"John, sul serio. Si suppone che gli sposi siano innamorati mentre ballano il primo waltzer. Più vicino." John si avvicinò di qualche centimetro. Sherlock, esasperato, gli mise una mano sulla schiena e lo trascinò finché i loro corpi non aderirono l'uno all'altro dal petto al bacino.

"Ho detto vicino, John." la voce profonda e baritonale che gli sussurrava all'orecchio fece venire i brividi a John.

"O-ok, credo che... mi servirà... ehm... più alcol, per questo, Sherlock" John era visibilmente imbarazzato. Sherlock si limitò a sbuffare.

"John, sei un medico, dannazione! Sai benissimo che effetti ha l'etanolo sui circuiti spino-cerebellari che controllano la postura e il coordinamento motorio."

 

Danzarono per ore. Dapprima fu Sherlock a condurre, ovviamente; ma poi man mano che John acquisiva un certo automatismo nel muoversi, il detective lasciò che fosse l'altro a condurre. Dopotutto tra qualche giorno John avrebbe dovuto condurre Mary durante il ballo.

Sherlock soffriva da morire nel vedere John e Mary così felici, ma cercava in tutti i modi di non darlo a vedere. "Ok, John, ora aggiungiamo una difficoltà: proviamo a cambiare giro, così."

 

Era notte fonda quando Sherlock decretò che John aveva ormai imparato abbastanza bene da non fare brutta figura il giorno del matrimonio. John doveva ammettere che in fondo ballare non era poi così male.

Si sedettero nelle loro poltrone, e per un attimo fu davvero come se nulla fosse cambiato.

"Sei... davvero bravo, Sherlock. Dove hai imparato?"

"Mia madre ci ha insegnato quasi tutti i balli classici... Anche se il Waltzer è il mio preferito, sai da suonare sia da ballare..."

"CI?! - disse John ridendo. E cavolo, quanto era mancata a Sherlock quella risata! - Mi stai dicendo che anche Mycroft sa ballare?! Oddio, non voglio pensarci!" Anche Sherlock rideva insieme a lui. Come una volta.

"Sì, sa ballare anche lui. Ma sono io quello davvero portato per la danza, tra i due."

"Già, ho visto..."

Calò il silenzio. Sherlock lottava contro le proprie emozioni, cercando di tenerle a freno; John cercava di capire cosa non andasse in Sherlock, aveva capito che c'era qualcosa che lo turbava, ma ovviamente lui non voleva condividere quella cosa con il suo "conduttore di luce". John ne fu rattristato; un tempo riusciva a capire perfettamente gli stati d'animo di Sherlock, forse meglio di Sherlock stesso. Ma ora...

 

John fu svegliato di soprassalto dal cellulare che vibrò nella sua tasca.

Era ancora sulla sua poltrona, Sherlock dormiva profondamente di fronte a lui.

Non doveva essersi addormentato da molto, fuori era ancora buio. Guardò il cellulare: un sms da Mary.

Ciao, come va il waltzer? Siete ancora svegli? Qui non succede niente, un banalotto turno di notte. Baci baci xxx

John sorrise e rispose in fretta.

Abbiamo provato fino a poco fa, Sherlock è davvero un insegnante esigente. Ma ha finalmente decretato che sono abbastanza bravo da non farti fare brutta figura, perciò tra poco andremo a dormire. Baci.

Il medico si guardò intorno. Il muro su cui di solito erano appese le prove del caso che stavano seguendo ospitava ora una copia dell'invito al matrimonio, diversi campioni di tessuto, la planimetria della chiesa, svariate fotografie, un dettagliatissimo programma della cerimonia, il menù del rinfresco, e altre informazioni per il matrimonio. John lo trovò assurdamente divertente. Sherlock era sempre Sherlock, in ogni cosa che faceva. John si voltò a guardarlo: dormiva profondamente, sereno e rilassato. John l'aveva visto così poche volte da quando lo conosceva, e mai dopo quel giorno.

L'ex medico militare si aggirava per l'appartamento continuando a chiedersi come mai il suo migliore amico sembrasse così agitato prima. Notò che la porta della camera era chiusa, e pensò che fosse strano.

La porta della camera di Sherlock era sempre spalancata quando John viveva lì.

Perchè chiuderla ora che abitava da solo?

Vi entrò cauto, quasi timoroso. Come se stesse entrando in un luogo a lui proibito.

La stanza era perfettamente ordinata, a differenza del resto della casa. Sul letto c'era una piccola scatola di legno scuro. John si avvicinò incuriosito; sopra c'era inciso soltanto "Lettere a J"

Chi era J? J stava forse per John? Perchè Sherlock gli avrebbe scritto delle lettere? Quando?

C'era forse qualcuno di speciale nella vita di Sherlock? Qualcuno il cui nome iniziava per J?

E perchè l'idea gli dava tanto fastidio?

John aprì la scatola ed estrasse la prima lettera, delicatamente, come se avesse tra le mani un tesoro prezioso, e cominciò a leggerla.

Giorno 14, Governatorato di Gharbiyya (Egitto)

Caro Nessuno John,

"Oh mio dio..." disse John. Lettere che Sherlock aveva scritto durante il periodo in cui era stato via.

Lettere scritte a lui. Ma perchè non gliele aveva date quando era tornato, se erano indirizzate a lui?

 

Era quasi l'alba quando John finì di leggere anche l'ultima lettera, scritta dalla Serbia. Mycroft gli aveva raccontato qualcosa della missione in Serbia, ma John non aveva assolutamente idea di tutto quello che aveva passato Sherlock in quel lasso di tempo. E lui che si era arrabbiato perchè Sherlock l'aveva lasciato solo a piangere la sua morte!

Le parole scritte dal detective provocarono in John un'ondata di emozioni impossibile da contenere: rise quando lesse dei teschi e dei momenti di noia, pianse quando avvertì quanto Sherlock avesse sofferto, si arrabbiò quasi quando lesse del desiderio di suicidarsi. Poi quelle dichiarazioni... John poteva quasi immaginare quanto fosse stato difficile per Sherlock, ma non capiva come si sentiva a riguardo. In un certo senso era lusingato, quasi si sentiva onorato dal fatto di essere così importante per Sherlock.

"Oh, cazzo" mormorò. Sherlock. Il matrimonio. Dopo tutto quello che aveva passato, Sherlock si era dato così tanto da fare per il suo matrimonio con Mary. John pianse ancora, e si avviò verso il salotto.

 

Era l'alba quando Sherlock si svegliò, e capì subito che qualcosa non andava. John non era sulla sua poltrona, dove si era addormentato la sera prima, ma la sua giacca era ancora in salotto, quindi non era andato via. Il detective aveva un brutto presentimento.

In quell'istante vide John che entrava in cucina, emergendo dal corridoio che portava alla sua stanza, tenendo in mano una scatola di legno. John piangeva e singhiozzava.

E Sherlock capì di essere completamente, irrimediabilmente, totalmente fottuto.

Quella sera, prima che arrivasse John, aveva riletto le lettere. Non ricordava neanche più perchè le aveva tirate fuori proprio quando John avrebbe potuto vederle, ma leggere quelle parole gli dava sempre un effetto benefico.

Poi però aveva sentito John entrare in casa, palesemente in anticipo, ed era uscito in tutta fretta dalla stanza, senza rimettere la scatola al sicuro nell'armadio. Grave, gravissimo errore.

"Non... non mi hai mai raccontato niente di quello che ti è successo..." iniziò John, cauto

"Non avresti dovuto aprire quella scatola" Sherlock era freddo, dal suo viso non traspariva alcuna emozione. John ancora singhiozzava, cercando di controllarsi, e fissava ora Sherlock ora il muro. Il detective teneva lo sguardo fisso a terra.

"Sherlock, potevi dirmelo... Sono stato uno stronzo ad arrabbiarmi con te. Non immaginavo che avessi sofferto così tanto. Mi dispiace..."

"È passato, ora non è più importante" Sherlock alzò lo sguardo verso John, che per la prima volta vide una vera sofferenza negli occhi del detective.

"Perchè non mi hai detto nulla, Sherlock?" dal tono di voce del medico, capì che ora stavano davvero affrontando l'elefante nella stanza. Quelle parole così, nero su bianco, la verità senza possibilità di appello. Io ti amo, John Watson.

"Lo sai perchè, John" Sherlock tratteneva a fatica le lacrime; era rosso in viso, respirava lentamente. John si voltò a guardare il muro. Tre giorni e avrebbe sposato la donna che amava. E ora davanti a lui, il suo coinquilino, fragile ed emotivo come mai l'aveva visto, e quelle lettere nelle sue mani.

"Sherlock... Se solo io..."

"SE SOLO TU COSA, JOHN? - lo interruppe Sherlock, urlando – SE SOLO L'AVESSI SAPUTO? COSA AVRESTI FATTO?" Sherlock si interruppe, non riuscendo più a trattenere le lacrime. Non singhiozzava, piangeva compostamente, fissando John con rabbia mentre le lacrime scivolavano sul suo viso senza controllo.

"Stai per sposare la donna che ti rende felice – era di nuovo freddo, distaccato, ma i suoi occhi lo tradivano – e come ho scritto, se tu sei felice, io sono felice."

John avanzò di un passo verso Sherlock, che alzò una mano per fermarlo

"Sherlock... io..."

"Vattene."

"Ma..."

"HO DETTO VATTENE, JOHN! Vattene, lasciami solo. Torna a casa, da Mary, ha quasi finito il turno a quest'ora"

John prese la giacca, e rimase in piedi sulla porta, incapace di prendere una decisione. Doveva dire qualcosa. Ma cosa?

Alla fine, uscì dicendo solo:"Mi dispiace."

Chiuse la porta dell'appartamento, e uscendo sentì distintamente il detective piangere e singhiozzare.

John passò tutta la giornata al Regent's Park, vagando senza meta per tentare di mettere in ordine i pensieri. Sherlock restò sulla poltrona a fissare il violino, troppo distrutto anche per suonare.

 

Il giorno seguente, Sherlock finse di stare male, e scrisse a Mary che non si sarebbe presentato alle prove generali della cerimonia e della cena. Alla donna sembrò strano, ma John rassicurò i presenti dicendo che era passato da Sherlock qualche ora prima e che sarebbe stato meglio il tempo per il matrimonio.

 

Arrivò il grande giorno.

La chiesa era piena, gli invitati erano quasi tutti già arrivati e si scambiavano saluti allegramente.

In sacrestia, Sherlock aiutava il piccolo Archie a sistemare la cravatta, quando vide Mary comparire insieme a Lestrade.

"Mary, sei davvero bellissima" le disse Sherlock sorridendo.

"Sherlock – rispose lei preoccupata – non riusciamo a trovare John da nessuna parte."

Dopo mezz'ora di ricerche per tutta la chiesa, al cellulare di Mary arrivò un sms.

Cos'è successo a Lauriston Gardens?

Devo aver perso i sensi.

Per favore, vieni. JW

Lei, preoccupata che fosse successo qualcosa a John, fece leggere il messaggio a Sherlock, che in un attimo capì esattamente cosa stava succedendo.

"Lauriston Gardens, il luogo del nostro primo caso. Jennifer Wilson e il tassista. Lestrade, ricordi l'indirizzo?"

"Sì, certo. Andiamo, vi ci porto io con la volante." rispose l'ispettore.

"Fermi un attimo. Cos'è successo a John?" chiese Mary

"Niente di grave, tranquilla. Probabilmente solo un po' di panico da matrimonio, nulla di cui preoccuparsi. Ora andate, presto."

"Andate? Sherlock, tu non vieni?" chiese Mary

"No. Uno sposo nel panico ha bisogno di avere accanto la donna che ama, io non c'entro."

Mary si avviò verso l'auto di Lestrade, il quale si voltò a guardare Sherlock. Stava per dire qualcosa, ma dallo sguardo del detective capì tutto quello che ave a bisogno di sapere.

Non appena i due furono usciti dalla porta principale della chiesa, Sherlock uscì di corsa da una porta laterale, si precipitò in strada e saltò su un taxi.

"Al 22 di Northumberland Street, di corsa!"

 

Il civico 22 di Northumberland Street corrispondeva un appartamento abbandonato, usato occasionalmente da drogati e senza tetto. Era pieno di polvere, fatiscente e puzzava di urina e fumo.

John Watson stava in piedi, dando le spalle alla porta. Sorrise sentendo dei passi che riconobbe subito, senza esitazione.

"Sapevo che avresti capito." disse senza voltarsi.

Sherlock Holmes era entrato nell'appartamento, trovando John in abito da matrimonio che dava le spalle alla porta. Non sapeva bene cosa stesse succedendo, non sapeva cosa dovesse dire o fare in quel momento.

"Tu hai... Hai scritto a Mary... Uhm... Le hai scritto le esatte parole che io ti feci scrivere al cellulare di Jennifer Wilson, durante il nostro primo caso. Ma hai omesso l'indirizzo, che solo tu ed io potevamo sapere. Perciò... Ho dedotto che tu mi volessi qui, ma che volessi me... soltanto?"

"E a Mary questo l'hai detto?"

"No, ho detto a lei e a Lestrade di andare dove abbiamo trovato il corpo."

"Geniale. E nessuno si è accorto che sei andato da un'altra parte?"

"Mary era troppo preoccupata per te, per notarlo."

Durante tutta la conversazione, Sherlock aveva tenuto gli occhi fissi su John, che invece guardava un punto lontano fuori dalla finestra.

Quando il medico si voltò, il cuore di Sherlock perse un battito.

John in abito da matrimonio era stupendo. Elegante ma non pretenzioso, era perfetto. Ma i suoi occhi non erano quelli di un uomo in procinto di andare all'altare con la donna che amava. Nei suoi occhi c'era dolore, indecisione, paura. Sherlock riusciva a vederci anni di parole non dette, e lacrime non versate.

"John dobbiamo andare – disse tristemente Sherlock – Mary e Greg ormai saranno arrivati e..."

Il detective fu interrotto dal cellulare di John che prese a squillare illuminandosi. John fissò a lungo il nome sullo schermo, prima di lanciare il cellulare sul divano vicino, alzando una nuvola di polvere. Sherlock rimase immobile mentre John gli si avvicinava, sempre di più. A pochi centimetri dal suo viso, John parlò: "Sono felice, John, se tu sei felice – stava citando le sue lettere – come puoi, Sherlock? Come puoi essere felice di questo?" indicava se stesso, o meglio ciò che quel vestito rappresentava in quel momento.

Sherlock gli rispose, la voce che rischiava di incrinarsi: "Mary ti rende felice. Dobbiamo andare."

"Non posso farti questo, Sherlock, non dopo tutto quello che tu hai fatto per me."

Una lacrima rigò il viso del detective, che sussurrò:"Se è Mary quella che vuoi, chi sono io per impedirlo?" Anche John piangeva.

"Ho ripensato spesso, durante quei mesi, alle nostre avventure. A tutto quello che ci è capitato. E non posso negare, Sherlock, che sia stato il periodo più bello della mia vita. Non mi ero mai sentito così, Sherlock, ed era solo merito tuo. E non erano solo i casi, l'adrenalina, e il rischiare la morte. Era ridere davanti a un cadavere, in faccia a Scotland Yard. Era "Benvenuto a Londra" e altre battute assurdamente divertenti. Era ridere di Mycroft e delle sue diete. Era prendere il thè in poltrona, fare esperimenti assurdi a orari improbabili, e giocare a Cluedo anche se non rispettavi mai le regole. Eri tu. Sei stato il periodo migliore della mia vita, e quando sei saltato giù da quel tetto sono quasi morto anche io. Ero devastato, vuoto, non avevo più niente. Come ero prima di incontrarti. Poi è arrivata Mary. E io credo... Credo di averla amata davvero... - si guardarono negli occhi per un lungo momento, prima che John riprendesse a parlare – ma ora sei qui. E io non so bene come questo mi faccia sentire. Per la prima volta nella vita, Sherlock, non so che cosa provo. Non so che cosa devo fare. Tu mi confondi, l'hai sempre fatto. A me non piacciono gli uomini eppure ogni volta che mi guardi ho i brividi. Io amo Mary, ma una parte di me è convinta che quell'altare non è il posto in cui dovrei trovarmi ora. Perchè quel posto è dove ci sei tu, e non Mary."

"John... Io... Io credo che tu... Debba cercare ciò che ti rende felice."

"Allora credo proprio che dovrò fare un esperimento."

E prima che Sherlock potesse replicare, le labbra di John furono sulle sue. Delicate, leggere, eppure sicure. Sherlock rispose al bacio, e fu più bello di ogni cosa avesse mai potuto immaginare.

Ci aveva pensato tante volte, a come potesse essere baciare John, abbracciarlo, persino fare l'amore con lui. Ma non avrebbe mai immaginato che un semplice bacio gli avrebbe dato così tante sensazioni. Fu riportato alla realtà, come sempre, da John, che gli mise una mano sulla nuca e l'altra sulla schiena. Sherlock decise di fare lo stesso e in un attimo i baci si fecero più caldi, più bagnati, più esigenti.

Uno ad uno, gli eleganti abiti da matrimonio vennero gettati chissà dove, in un angolo polveroso.

Fecero l'amore per ore, sussurrando l'uno il nome dell'altro, soffocando i gemiti sulla pelle nuda.

Persero completamente il controllo, consapevoli solo della passione e del desiderio che li travolgeva, crescendo sempre di più.

E quando la lussuria venne meno, i due si ritrovarono a fissarsi e a sorridersi. Nudi, sudati e sporchi di polvere e sperma, in un appartamento abbandonato e fatiscente.

"E ora – chiese Sherlock timoroso – cosa facciamo?" John lo guardò teneramente.

"Beh, in base ai risultati dell'esperimento... Direi che annulliamo il catering e ci prepariamo a fare tanti discorsi di scuse"

Sherlock fece una finta espressione delusa che John giudicò adorabile: "Ho imparato a piegare tovaglioli a forma di Opera House per niente."

Si misero a ridere, felici come non lo erano mai stati.

"Beh, Sherlock... Non sai mai cosa può esserti utile, nel mondo dell'investigazione criminale"

Risero ancora, e si scambiarono teneri baci, lenti e pieni d'amore.

"No, sul serio John... Come ci si comporta in questi casi? Cosa si suppone che facciamo, noi?"

E allora John si ricordò di tutte le volte in cui Sherlock, nelle lettere, gli aveva chiesto come fosse essere innamorati, come fosse avere una relazione, come ci si comportasse.

"Beh... In questi casi si va ad un appuntamento. Cena?" Propose il medico sorridendo. Sherlock lo guardò e semplicemente capì.

"Sono affamato."

Si vestirono in modo sbrigativo, pantaloni e camicia, lasciando il resto degli abiti tra la polvere. Uscirono dall'edificio tenendosi per mano, e si diressero da Angelo, che li accolse come sempre con un sorriso e il tavolo migliore del locale, lo stesso di quella sera. La sera in cui tutto era cambiato.

"E... Angelo? - disse John sorridendo – Credo proprio che ci servirà quella candela."

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Raykha