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Autore: Mikky    22/02/2016    0 recensioni
“Io e Winry pensavamo di andare a vivere insieme”.
"Sono felice per te, fratellone. Ma cosa mi dici di Roselyn?.
“E’ passato un sacco di tempo. E’ una storia chiusa, nemmeno si ricorderà di me”.
Alcune volte bisognare scegliere se si vuole essere felici, anche se queste alcune volte ti portano indietro.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Choice


“Io e Winry pensavamo di andare a vivere insieme”.
Edward si sarebbe aspettato una reazione entusiasta, invece il fratello annuì semplicemente, continuando a bere la sua tazza di caffè. Lo conosceva abbastanza bene da sapere che dentro la sua testa c’era qualcosa che si tratteneva dall’esternare. “Cosa c’è, Al?” gli chiese. Gli interessava sapere cosa pensasse realmente il fratello, era un passo importante e sperava di poter contare su di lui, sul suo appoggio.
Al posò la tazza sul tavolo e guardò Ed negli occhi, determinato, ma il tono di voce era molto dolce, come al solito. “Sono felice per te, fratellone. Ma cosa mi dici di Roselyn?”.
“E’ passato un sacco di tempo. E’ una storia chiusa, nemmeno si ricorderà di me”.


La vita con Winry non era esattamente come se l’era aspettata.
Visto che non poteva più usare l’alchimia, gli aveva fatto imballare tutti i suoi libri e nascondere all’interno di un armadio. Ma l’aveva accettato, in fin dei conti averli sempre davanti avrebbero riaperto solo vecchie ferite.
Winry, però, voleva che rinunciasse al suo spirito da ricercatore per favorire una professione più concreta. In quel momento si era sentito morire, come ogni volta che lei rinunciava all’intimità per mettergli mano alla gamba, per un qualsiasi assurdo motivo. Non lo voleva più al suo fianco.
Quella mattina, poi, le cose era sfuggite di mano, una parola di troppo sul lavoro di Alphonse come ricercatore per lo Stato ed era esplosa l’ennesima lite. La conclusione era la stessa di sempre: aveva sopportato tutte le sue pazzie da alchimista in quei lunghissimi anni di viaggio, non ne avrebbe sopportati altri. Lei non voleva un uomo che sarebbe sparito in guerra o a lavorare in qualche luogo desolato.
Winry aveva chiuso il discorso sbattendo la porta e andando nel suo laboratorio, lui, invece, era andato in veranda a osservare il giardino. Aveva bisogno di un po’ di tempo, aveva bisogno di spazio per pensare. Doveva andarsene.
Pensò immediatamente al fratello minore e al suo bellissimo appartamento nella capitale, che condivideva con May da poche settimane. Sospirò, non era il caso di andare subito a disturbare quella coppietta felice, e poi non voleva assolutamente incontrare nessuno della vecchia squadra. Ci sarebbero stati troppo ricordi nell’aria e lui aveva bisogno di pace.
Guardò l’orizzonte e vide in lontananza il fumo della locomotiva alzarsi verso il cielo. Molto tempo fa, quando aveva dato l’annuncio della sua convivenza, Al gli aveva dato un’informazione che aveva immediatamente accantonato come di poco conto, ma, in quel preciso momento, sembrava l’unica ancora di salvezza.
Una stazione più a sud c’era un piccolo villaggio con ampi prati e campi, molto simile a Resembool. Ma più in là, in periferia, c’era una casa dove viveva un’altra persona che non voleva più mettere piede a Central City, decisa a non aprire una ferita in particolare, che lui stesso aveva inferto. Non era conveniente presentarsi a casa sua, soprattutto dopo quello che avevano vissuto, ma sapeva che era l’unica persona che lo avrebbe accolto come il gatto randagio che era sempre stato.
Entrò in casa e preparò la valigia in fretta con lo stretto necessario. Sarebbe rimasto solo un paio di notti, il tempo necessario di riprendersi.
Osservò la vecchia borsa con cui aveva viaggiato per tutta Amestris. Lo emozionava l’idea di riprendere il treno verso una nuova destinazione, anche se questa volta più certa rispetto ad una volta. Ma non poteva partire così, Winry si sarebbe infuriata e lo avrebbe seguito se le avesse detto la verità. Doveva mentire.
Non gli piaceva l’idea, ma non poteva resistere ancora in quella situazione. Doveva veramente fare chiarezza in sé stesso per poter continuare a stare con la bionda, doveva capire se ne valeva veramente la pena. Fece un respiro profondo e scese le scale, diretto al salotto. Da lì provò a entrare nello studio, ma la porta era chiusa a chiave.
Alzò la mano pronto a bussare, ma zia Pinako gli apparve al suo fianco con la pipa tra le labbra.
“Che succede, ragazzo?” gli chiese con il suo tono burbero.
“Mi hanno chiamato per un colloquio in un’altra città e devo partire…”.
“Non dire scemenze, Edward. Non a me”.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, osservando il bordo inferiore della porta davanti a lui. “Ho bisogno un po’ di tempo per pensare. Devo riflettere su quello che è successo sei anni fa e a quello che ho perso negli anni successivi, non ho ancora avuto il tempo di farlo. Di affrontare tutto”.
La donna annuì “Capisco. Quando ti hanno tolto l’alchimia ti sei buttato immediatamente in quel viaggio verso l’Oriente, senza pensare, sei stato la solita testa calda. Il tempo te lo devi prendere, Edward, non aspettare che arrivi”. Alzò lo sguardo e mise le mani dietro alla schiena “Andrai da lei?”.
Ed annuì lentamente.
Pinako soffiò fuori un po’ di fumo, pensierosa “Penso sia un bene, per te. Ti conosce fin troppo bene” si girò e cominciò ad allontanarti “Ti conviene partire in giornata, si sa che gli scali di Central City sono sempre in ritardo. Meglio essere previdenti ed evitare subito brutte figure”.
“Central City...non capisco?”.
“Non hai il colloquio a Golens City, a sud-ovest della capitale? Se vuoi farlo e renderti un po’ più utile qua dentro ti conviene muoverti e andare a prendere quel treno. Parlerò io con Winry”.
“Grazie”. Stava già salendo le scale quando Pinako lo richiamò “Ragazzo, ti do tre giorni. Se non vuoi più stare con lei non tornare in questa casa, in questo paese, se no rimarrai incastrato di nuovo qui e per te sarà la fine”.


Flowers Town era uno di questi posti da fiaba, con le case dai colori pastello e con fiori alle finestre.
Edward camminava seguendo la via principale, nella ricerca inutile di un viso familiare. Dentro di sé aveva sperato di trovare chi cercava per strada, evitando così l’imbarazzo di presentarsi alla porta di casa, ma a quanto sembrava non rimaneva altra scelta.
La casa si vedeva già in lontananza. Era su una piccola collinetta, era più piccola e modesta delle altre. Sembrava che tutto il superfluo delle altre abitazione fosse stato tolto, per lasciare solo l’essenziale, rispecchiando la natura semplice di chi ci viveva.
Attraversò il giardino a passo svelto e sicuro, ma tutta la sua determinazione si sciolse quando vide che lei era fuori e stava stendendo il bucato su un filo teso tra due alberi. L’osservò ipnotizzato, mentre si chinava a prendere dal secchio un vestito azzurro e, dopo essersi rialzata, mandare i capelli di un colore molto simile alla fragola indietro usando il polso, poi in punta di piedi stendeva l’abito.
Rimase a fissarla finchè lei non si girò e quegli occhi verdi come le foglie sugli alberi si persero in quelli dorati come il grano. Fu così che percepì ogni minimo cambiamento di umore della ragazza di fronte a lui. Vide la rabbia, la tristezza, la malinconia, il dolore e poi un barlume di felicità.
Provò a sorridere, ma dovette risultare più una smorfia, perché la sua ospite chinò la testa e avanzò. Salì sulla veranda e gli aprì la porta, gli fece il cenno di accomodarsi dentro, per seguirlo subito dopo. Tutto questo in perfetto silenzio, che lui faceva fatica a sopportare, soprattutto in quella situazione.
“Come stai Roselyn?” chiese senza nessuna sfumatura nella voce, cercando di essere superiore a quel ansia che lo attanagliava.
“Come una che si è trovata davanti casa, a sorpresa, il suo ex”.
Edward si sentì immediatamente a disagio “Sì, scusa, avevo bisogno di stare lontano da casa e non ho pensato di chiamare”.
“Non c’è problema” lo rassicurò lei entrando in cucina. Cominciò a parlare più forte per farsi sentire in salotto “Da quel giorno non è che abbia avuto molto da fare, quindi non disturbi”.
Sentì rumori di porcellana che cozzava e il fischio di una teiera. Rimase ad attendere in piedi in mezzo alla stanza, osservandosi attorno. Le pareti erano ricoperte di scaffali colmi di libri e di quaderni riordinati in base all’argomento che trattavano, c’erano alcuni sopramobili e vasi con fiori freschi, ma non c’era nemmeno una foto. Nulla che ricordasse un passato, se no quel oggetto d’argento appoggiato sul tavolino da caffè.
Si avvicinò e osservò l’orologio degli Alchimisti di Stato. Era strano vederlo dopo tutto quel tempo. Il suo l’aveva seppellito vicino alla tomba di sua madre, cercando di dimenticare.
“Sono ancora un cane dell’esercito, ma faccio solo le ricerche, non vado in missione. Roy mi dà una mano a stare lontano da Central City” gli spiegò riemergendo dalla cucina con un vassoio con due tazze, una teiera e un piatto di biscotti fatti in casa “Siediti pure”.
Ed obbedì e si sedette, appoggiando la valigia al suo fianco. La osservò mentre versava il the nelle tazze, un ciuffo di capelli rossi le sfuggì da dietro all’orecchio, sfiorandole la guancia. Deglutì a vuoto, sentendo il cuore accelerare all’improvviso. Cercò di distrarsi cambiando discorso “Non porti più i codini”.
“Non sono più una bambina, Edward, sono una donna ormai”.
Sorrise tristemente. Era una donna come poteva esserlo una ragazzina di 21 anni, ma quando si erano incontrati la prima volta lei, in effetti, era una bambina. Roselyn aveva solo 11 anni, mentre lui 15, ed era appena diventata Alchimista di Stato, battendo il suo record. Sorrise ripensando a quella bimbetta cicciottella, con quei codini cortissimi, nascosta dietro a Roy a Riza spaventata dall’armatura di Alphonse.
Quando si erano rincontrati erano passati tre anni. Lei era diventata ormai una ragazza a tutti gli effetti, eppure i capelli erano ancora raccolti in due codini più alti. Era diventata una ragazza coraggiosa e determinata, forse un po’ troppo maschiaccio.
“Cosa vuoi, Edward?”
“Ho bisogno di stare lontano da Resembool”.
“O da Winry?”.
Il ragazzo si abbandonò sul divano, scoperto “Non sta andando come dovrebbe”.
Roselyn lo guardò con astio “E quindi vieni da me?”.
“Tu mi conosci meglio di chiunque altro, più di Al”.
“Forse perché siamo andati a letto insieme?” chiese sarcastica.
Si sentì umiliato, ma se lo meritava, l’aveva lasciata per tornare da Winry e abbandonare il mondo dell’alchimia. Ma Roselyn, in quel lontano periodo, gli ricordava troppo quello che aveva perso, non poteva stare ancora con lei.
La ragazza sospirò e si alzò dalla poltrona “Puoi rimanere qui, ho una stanza libera in cima alle scale, subito a destra. Io devo andare in paese a prendere qualcosa per cena. Fa come se fossi a casa tua”.
“Grazie mille. Sei gentile”.
“Io non abbandono chi ha fatto parte della mia vita”, detto questo uscì di casa lasciandolo solo.


Si erano incontrati la seconda volta durante gli esami per la riconferma del titolo. Non l’aveva riconosciuta finche Mustang non gliela aveva presentata.
Era diventata più alta, con tutte le curve al posto giusto, sottolineati dai jeans stretti infilati negli stivali e dal giubbotto di pelle corto sopra la maglia aderente blu. Ma non era rimasto affascinato da lei per il suo bell’aspetto, bensì per il suo coraggio e la sua intelligenza.
In quei giorni aveva dovuto affrontare un Gluttony fuori controllo e una Lust decisa a distruggere la città. Al era stato ridotto male, aveva temuto per l’ennesima volta che il sigillo si fosse danneggiato e l’anima del fratello fosse fuggita. Era con le spalle al muro, quando era piombata dal tetto Roselyn, appoggiando una mano sulla testa dell’Homunculus, che era esplosa. Non l’aveva ucciso, ma lo aveva rallentato.
Avevano lottato insieme, provando una sintonia che non sentiva nemmeno con il fratello. Si erano trovati alla fine della battaglia seduti nel vicolo, la schiena contro il muro.
“Hai visto la verità?” le aveva chiesto. Aveva notato che non usava nessun cerchio alchemico, come lui.
Gli mostrò i palmi delle mani rivestiti da guanti di pelle, a cui mancavano le dita, forse per permetterle maggiore presa nelle armi che trasmutava. C’erano dei cerchi alchemici generici incisi. “Li ho creati io, i cerchi, con quelli già esistenti non mi trovavo bene”.
L’aveva guardata sorridendo, sentendo la ferita sul labbro riaprirsi.
Quando furono portati al quartier centrale e curati, lei lo aiutò a sistemare Alphonse, che era rimasto zitto per tutto quel tempo, facendo prendere un colpo al fratello, per permettere ai due di parlare. Sembravi così tranquillo e felice aveva detto. In effetti, era vero che si era sentito meglio nel parlare con lei. Non le propose mai di uscire ufficialmente, s’incrociavano ‘casualmente’ nella biblioteca e poi andavano, sempre ‘casualmente’, a prendere un gelato prima di passare in una libreria a comprare qualche libro. Stava nascendo qualcosa tra di loro, lo sapevano entrambi, ma tennero le distanze. Ed doveva cercare la Pietra Filosofale e Roselyn lavorava come spia. Non potevano stare insieme.
Eppure quando aveva saputo che era stata mandata a Ishibar dove era stata ferita gravemente, non aveva perso tempo per tornare a Central City, dove era stata portata per essere seguita dai migliori medici dello Stato. Fu proprio in quel occasione che la baciò per la prima volta e pochi giorni dopo si misero ufficialmente insieme .
Stava bene e non aveva paura di affrontare nulla se c’era Roselyn con lui, anche se per tutto il tempo si preoccupava della sua incolumità. Voleva solo il suo bene. Ne era veramente innamorato.
Dopo la battaglia finale e la chiusura del portale era rimasto da lei per un po’. L’aveva aiutata ad archiviare tutti i verbali di quello che era successo in quegli anni, avevano vissuto felici e contenti, ma poi se n’era andato. Stare a Central City, stare con lei, gli portava alla mente la sua vecchia vita.
Non le aveva detto niente, si era solo fatto trovare seduto sul divano vicino al borsone già pronto. Roselyn si era avvicinata e aveva preso tra le mani il libro sulla cultura del lontano Oriente e aveva capito.
L’aveva baciata per l’ultima volta prima di andarsene, e non era più tornato. Non le aveva più dato sue notizie, sperando che si dimenticasse di lui, ma a quanto pareva non era successo. In fin dei conti nemmeno lui c’era riuscito, se no non si sarebbe trovato lì.
In un momento, dopo la fantastica cena, di estrema folle sincerità glielo confesso, sentendosi parecchio in imbarazzo.
“Eppure non sei tornato” gli fece notare Roselyn mentre sistemava i piatti nel lavandino.
“Sei un’alchimista”.
“Anche tu”.
“Non più!” urlò Edward sbattendo la mano sul tavolo. Si prese la testa tra le mani “Io non ho più nulla, io ho perso tutto quello che ero. Non sono più nulla! E tu continuavi a ricordarmi quello a cui avevo rinunciato”.
“Non dire così” la ragazza si andò a sedere vicino a lui, appoggiandogli una mano sulla spalla “Sei uno dei migliori ricercatori che conosco, non sarà un problema per te trovare un nuovo ambito di ricerca. Potresti fare ricerche riguardo a quello che hai visto nel Portale, quella scienza di cui mi parlavi tempo fa”.
Lui cominciò a ridere in modo sarcastico “Non ho soldi per l’apparecchiatura necessaria e non si nemmeno se sono vere quelle nozioni”.
Roselyn sospirò “Ormai ci sono talmente tante ricerche con i nostri nomi affiancati, non credo che una in più non ci ucciderà. Sto studiando alcune ricette alchemiche per guarire i malati più velocemente, potresti darmi una mano”.
“Ho rinunciato all’Alchimia”.
“Il Portale non ti ha portato via la tua mente, ma solo la capacità di usare quest’arte” gli sorrise dolcemente “Dopo divideremo i guadagni in base al lavoro che svolgerai e al tuo contributo”.
“Sei sicura?”
Roselyn annuì e lo guidò fino allo studio, dove cominciarono a lavorare immediatamente. Mentre uno revisionava tutta la parte teorica, l’altra conduceva gli esperimenti su piccoli animali feriti che aveva raccolto nei campi circostanti. Passarono così tutto il giorno successivo, senza mai riposarsi. Lo avevano fatto così tante volte in passato che non fu difficile riprendere quella vecchia routine e per Ed fu un vero e proprio tuffo nel passato. Fu meraviglioso poter riprendere in mano gli amati libri e disegni di Alchimia e lì vicino c’era una ragazza che sorrideva vedendo il suo rinnovato entusiasmo, osservandolo orgogliosa.
Quegli esperimenti, quelle teorie scritte in modo impeccabile a mano, erano già state tutte provate e riconosciute. Lo aveva portato lì per ridargli l’illusione che tutto fosse ancora come un tempo, ma non erano più bambini con grandi responsabilità. Eppure decise di fingere di essere ancora l’Alchimista d’Acciaio, di avere ancora un braccio meccanico e che Roselyn lo amasse senza remore. Tutto sembrava perfetto, tutto era al posto giusto.
Quando finirono di rivedere i passaggi che la ragazza aveva compiuto per arrivare a quella scoperta meravigliosa si abbracciarono ridendo e congratulandosi a vicenda, come una volta. E come avrebbe fatto un tempo si chinò a baciarla. Lo fece senza pensare, era stato automatico.
Trovò resistenza inizialmente, sentì la ragazza provare a spingerlo via, ma poi le sue dita strinsero la camicia di Ed e lo tirò a sé.
Le labbra di Roselyn erano morbide come se le ricordava, con il loro inconfondibile retrogusto di fragole. Gli erano mancate. Si scoprì a ricordare che ogni volta che aveva baciato Winry nell’ultimo periodo aveva cercato quel sapore, alcune volte anche mordendole il labbro quasi con cattiveria, sperando si palesasse sulla sua lingua quel aroma, ma non era successo niente. E ora eccolo! Di nuovo lì, perfetto e inconfondibile! Non doveva nemmeno sforzarsi di cercarlo, di percepirlo, era tutto per lui. Solo e unicamente per lui.
La ragazza si strinse contro il suo petto, facendo aderire i loro corpi e risvegliando quello stesso desiderio che aveva provato molto tempo prima, una vita fa. Con foga la spinse contro il muro, facendole uscire un piccolo mugolio di dolore, ma non ci fece molto caso perché entrambi approfondirono il bacio. Lei gli cinse il collo, reagendo a ogni suo tocco, allungandosi e tirandolo a sé ulteriormente, quasi volesse essere sommersa da Edward.
Quando le loro bocche si separarono, i loro sguardi s’incrociarono e glielo lesse a chiare lettere: c’era ancora qualcosa fra loro. Non si era mai e poi mai aspettato di ritrovare dopo tutto quel tempo quei sentimenti negli occhi di Roselyn.
Le sfiorò la guancia con dolcezza, per la prima volta poteva toccare la sua pelle con la mano destra, con la sua vera mano, e lei se ne accorse immediatamente. Appoggiò la sua mano su quella del ragazzo, chiudendo gli occhi, crogiolandosi in quel tocco, nel calore che Ed le stava dando.
“Non voglio rovinare tutto…” sussurrò Edward.
Lei si alzò in punta di piedi, poggiando la sua bocca contro la sua, in un contatto leggero e veloce “Seguimi”.


Sfruscio di lenzuola, una testa sulla sua spalla e una mano sul suo petto, all’altezza del cuore. Senza aprire gli occhi accarezzò i capelli della ragazza su di lui, percorse il collo e poi giù per schiena, per poi ritornare su e assaporare i suoi brividi, i suoi movimenti sotto il suo tocco. Non aveva mai apprezzato tanto quella mano di carne come quella notte.
Aveva passato, quando era ancora un Alchimista di Stato, molti notti ad assaporare a metà il corpo di Roselyn. Il suo vecchio automail poteva farle male, pizzicarla a causa degli ingranaggio o delle placche che lo componevano, inoltre era di metallo e quindi ghiacciato e per quanto lei non lo desse a vedere doveva dare fastidio in quei momenti. Ma ora, quei problemi, non c’erano più, non doveva preoccuparsi più.
Forse sì, la gamba, quella c’era ancora. Ma lei non l’aveva nemmeno notata e quando lui glielo ricordò Rosalyn si era accucciata e gli aveva baciato quel confine tra carne e metallo, cosa terribilmente dolce, ma allo stesso tempo sexy, che lo aveva fatto impazzire.
Un movimento sopra di lui lo distolse dal ricordare quello che era successo poco prima. Roselyn era sveglia. “Edward” sussurrò.
“Buongiorno” disse lui sorridendo felice, ma lei non sembrò ricambiare quella gioia, sembrava triste, abbattuta. “Quando te ne andrai?” chiese la ragazza.
Lui rimase senza parole, come poteva pensare una cosa del genere dopo la notte appena passata. Si era concesso a lei totalmente… Ma si ridiede nuovamente dello stupido, lo aveva fatto anni addietro, se n’era andato dopo una notte molto simile e averle sussurrato quanto l’amava all’ora di pranzo. Il timore della ragazza, quindi, era più che giustificato.
Roselyn, intanto, aveva preso tra le dita un ciuffo dei suoi lunghi capelli dorati e lo osservava contro luce. “Perché alla fine tornerai da Winry, tu torni sempre da lei. Lo hai sempre fatto”.
“Non questa volta” sussurrò lui “Ho fatto una scelta diversa. Ho scelto te” con un movimento rapido ribaltò le posizione, trovandosi così sopra di lei “Saremmo tu, io e le nostre ricerche, come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio”.
“Lo dici solo perché ti servono i soldi per iniziare le nuove sperimentazioni”.
Il biondo scosse la testa “Affatto. Quando me ne sono andato ero convinto che avrei trovato qualcos’altro a cui dedicarmi, ma le cose non andarono così. Sentivo la mancanza dell’alchimia ogni giorno di più ed impazzivo” le sfiorò la fronte, spostando alcune ciocche rosse dal viso “Finche non ho pensato che forse era il caso di ricordarmi cosa avessi lasciato indietro e ieri ho capito, ho capito tutto. Non mi mancava l’alchimia in sé, mi mancava l’alchimia con te! Poter studiare uno di fianco all’altro, stare la notte in piedi a pensare ai limiti del mondo guardandoci negli occhi e non avere paura che l’altro non ci capisca”.
Roselyn lo osservò, le labbra socchiuse un po’ per la sorpresa, un po’ perché voleva dire qualcosa, ma non ci riusciva. Si inumidì le labbra in quel modo infantile che piaceva tanto a Ed. “Hai lasciato la tua casa?” disse alla fine con un filo di voce.
“L’ho lasciata anche 10 anni fa”.
“Non hai paura che tutto vada a rotoli?”.
“No, se tu mi ami” disse sorridendo, per poi aggiungere titubante “Sempre se mi vuoi ancora al tuo fianco”. La ragazza sorrise “Ho scelto di stare dalla tua parte quel giorno a Central City, contro Scar e nell’ultima battaglia contro il Padre. Credo che la scelta si stata fatta già molto tempo fa: starò al tuo fianco per sempre”.
  
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