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Autore: Skatach    25/02/2016    1 recensioni
Dan è un ragazzo come tanti altri.
Certo però, non come tutti gli altri. Ha difficoltà a fare amicizia, è piuttosto maldestro, non ama le discoteche e gli altri luoghi di ritrovo tipicamente giovanili.
Ama però la musica, sin da quando era bambino. Ed è in quella musica che si rifugia, che trova sé stesso.
E forse troverà anche qualcun'altro.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dan Howell, Phil Lester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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You won't get much closer

Until you sacrifice it all

You won't get to taste it

With your face against the wall”

 

 

 

 

 

Rullante, ride, tom. Charleston, charleston, grancassa. Grancassa, grancassa, timpano. Crash!

Uno e, due e, tre e, quattro e. Uno e, due e, tre e, quattro e.

Un rivolo di sudore bagnò la tempia di Dan. L'aria della stanza aveva iniziato a farsi pesante, consumata dal suo respiro e da quello del suo maestro. La schiena del ragazzo iniziava a dolere dopo quasi mezz'ora di lezione di batteria.

“Attento al tempo! Uno e, due e...” l'insegnante lo aiutò battendo leggermente le mani.

Le dita di Dan iniziavano ad arrossarsi, quella sera molto probabilmente si sarebbe trovato delle vesciche a causa delle bacchette. Non che gli importasse molto, in realtà: a scuola se la cavava ma senza metterci davvero molto impegno, era stato licenziato tre volte in quattro mesi dal lavoro che faceva nel weekend e a tessere relazioni con le altre persone non era mai stato capace. Una delle poche cose che gli riusciva naturalmente -se non l'unica- era la musica, per cui i calli e le vesciche erano qualcosa di insignificante rispetto a tutte le soddisfazioni che ne ricavava.

Ora anche i muscoli delle braccia iniziavano a far male. Sin da piccolo aveva preso lezioni di piano e solo da pochi mesi aveva cominciato con la batteria e, nonostante si fosse rivelato un talento anche con quello strumento, il suo corpo non era ancora abituato all'esercizio fisico che comportava.

Colpì il rullante con entrambe le bacchette e una cadde a terra. Il suo insegnante si chinò a raccoglierla con un lieve sorriso “Va bene così, Dan, sei stato molto bravo oggi” lo congedò.

“Grazie Owen, ci vediamo la prossima settimana”

 

 

 

Dan scostò la frangia da davanti gli occhi e guardò il cellulare.

Erano solo le 16 e trenta, sua madre non sarebbe arrivata prima di un'altra ventina di minuti. L'edificio della scuola di musica si trovava troppo distante da casa per tornare a piedi e prendere un autobus sarebbe stato un spreco di soldi, visto che sua madre passava da quelle parti dopo aver finito il suo turno a lavoro, così Dan alla fine di ogni lezione l'aspettava per un passaggio.

Sedeva su una delle sedie lasciate nei corridoi dell'edificio, solitamente occupate dai genitori degli studenti più piccoli, ascoltando i suoni provenienti dalle stanze attorno a lui. Quel giorno nella stanza di fronte a lui si stava svolgendo una lezione di piano e il ragazzo (o la ragazza, per quanto ne poteva sapere) stava suonando proprio male: le note erano staccate l'una dall'altra, per nulla fluide, ogni tanto veniva commesso qualche errore e l'insegnante invitava a ricominciare dall'inizio. Molto probabilmente era un bambino alle prese con le prime lezioni di musica.

Ricordò la sua, di prima lezione al piano. Aveva solo sette anni e sua madre l'aveva portato per mano fino all'aula per cui poi sarebbe passato ogni settimana per mesi e mesi. Il suo insegnante gli aveva regolato la seggiola, troppo alta per lui, e aveva iniziato pazientemente a spiegargli cosa fossero le note e come trovarle sui tasti del piano. Era stato uno dei giorni più belli della sua vita.

Ora alla seggiola invece ci arrivava fin troppo bene, aveva diciotto anni e un'altezza che molti coetanei gli invidiavano, e i tasti e le note del pianoforte erano diventati degli amici con cui passare alcuni tra i momenti migliori della giornata.

Una vibrazione lo distolse dai suoi ricordi. Il cellulare squillava, sua madre lo stava aspettando fuori con il motore acceso. Si alzò dalla sedia e si infilò il cappotto.

Mentre chiudeva i bottoni, la porta di fronte a lui si spalancò e ne uscì il bambino che aveva appena finito la sua lezione.

 

“Grazie Harry, ci vediamo presto!”

 

Solo che il bambino non era un bambino.

Certo, a meno che non si possa definire “bambino” un ragazzo alto circa un metro e novanta.

Dan aveva pensato che il maldestro musicista fosse un ragazzino in età da elementari, quando in realtà si trattava di un giovane adulto con capelli neri che incorniciavano degli splendidi occhi blu.

 

   
 
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