Al tuo cane,
perché ti ha amato
e ti amerà
fino al suo ultimo
giorno.
Capitolo
primo
Vado
a casa e casa non ce l’ho.
Vado
a casa e casa non la so.
Ho
provato a stare senza te…
Son
perduto e son tradito.
Ma
ti sto annusando,
e
ti sto cercando … e non so mica dove sei.
Stanco
più stanco al vento.
Che
piove già… Sta gocciolando.
In
questa notte sola che… Cancella i passi e il tempo.
Cancella
me, cancella il mondo.
(Tobia
di Zucchero)
È
sollevando il muso al cielo che se ne accorge. Presto si
bagnerà. Non ha un
riparo, non sa dove nascondersi. E l’acqua gli
porterà via quell’unica traccia
rimasta.
Come
tornerà a casa?
È
sicuro che il suo padrone lo stia chiamando.
Grida
più forte!
Pensa, mentre avanza lungo la strada.
Quando
il portellone dell’auto si è aperto, ricorda di
essere sceso con un salto, di
aver scodinzolato vedendo le campagne.
Non
lo portavano mai in campagna, conosceva appena il profumo
dell’erba, o il tocco
morbido della terra bagnata; e ricordava il colore degli alberi contro
il
cielo, ma arbusti diversi, che non riuscivano a riempire di verde il
parco.
Nulla rispetto all’immensità che lo circonda.
Se
loro fossero ancora con lui, ora potrebbe dedicarsi a tutti gli odori
che ha
intorno, potrebbe mettersi a scavare la terra e strofinarla con il
muso.
Potrebbe inseguire pietre, mordere bastoni, correre contro il vento.
Sono
passate ore da quando l’auto è ripartita.
Lui
si chiede come sia possibile che lo abbiano dimenticato
lì… Ha corso con tutta
la forza che aveva quando li ha visti andare via.
Come
hanno fatto a non vederlo?
La
ruota ha strisciato appena contro la sua gamba, lo sa, ha dovuto
leccare quel
punto a fondo perché smettesse di bruciare.
Si
sente perduto. Ha paura, ha paura di non ritrovarli, ha paura che
possano
accorgersi che lui non è con loro. Si arrabbieranno, ne
è sicuro.
Sa
di aver sbagliato spesso, nell’ultimo periodo.
La
casa era sempre piena di grida, di indici puntati contro di lui. Di
mani
sollevate, pronte a colpirlo.
A
niente serviva mettere la coda tra le gambe, chinare la testa e
chiedere
perdono. Scodinzolava per scusarsi, in modo lieve, quasi per timore di
creare
disturbo.
Dove
sei…
Comincia
a sentirsi stanco.
La
paura, il vento che gli arruffa il pelo, la solitudine, sono tutte cose
che lo
distruggono dentro. Mette una zampa davanti all’altra,
sperando di vedere casa.
Ma
sta iniziando a non sentire più nulla…
L’odore del suo padrone è scomparso. È
durato un istante, l’istante in cui erano entrambi fuori
dall’auto, un momento
prima che il suo amato risalisse senza di lui.
Cosa
dirà Marta quando non lo vedrà rientrare? Loro
non possono stare soli, lui deve
proteggerli.
Prende
a correre, di nuovo, come se il galoppo riuscisse a riportarlo a casa.
Sposta
tutto il peso su una zampa e, mentre salta, resta un istante senza
toccare
terra. È uno sforzo, per lui che non è abituato a
correre.
Rallenta,
passa dal trotto all’ambio finché non si ferma.
Sta
facendo buio. Sta iniziando a piovere.
Pensa
al suo amore, il suo padrone lontano, che non sa ancora di essere solo.
Cosa
dirà… Cosa farà quando, aprendo il
portellone, troverà il bagagliaio vuoto?
Finalmente
capisce: deve aspettare.
Presto,
molto presto, i fari dell’auto lo accecheranno, il suo
padrone tornerà a
prenderlo, e Marta sarà di nuovo felice, con lui.
È
certo di essere stato perdonato dopo il loro gioco, dopo la sgridata
della
Mamma. È più che sicuro che Marta gli si
getterà al collo e lo stringerà forte,
riderà di nuovo con lui, come quando era solo un cucciolo.
Ha
sette mesi adesso, un bisogno impellente di mordere, di muoversi, di
giocare.
Siede
a lato della strada, nella cunetta, e ripensa a ciò che ha
passato in quei suoi
mesi di vita. Ricorda il sapore del latte di sua madre, ricorda i suoi
fratelli, che lo schiacciavano sotto di loro, ricorda l’uomo,
quello alto, che
l’ha malamente separato dalla sua famiglia.
Ricorda
i primi giorni, il buio della scatola, il viso di Marta… La
cosa più dolce.
Ricorda i biscottini a forma d’osso, il naso premuto nella
sua pipì, quando il
suo padrone voleva solo insegnargli…
E
ricorda la pioggia.
Una
pioggia diversa da questa, una pioggia vista attraverso un vetro, quasi
desiderata, quasi temuta.
Eppure
Marta l’ha sempre odiata… Odiava andare a scuola
quando pioveva, odiava separarsi
da lui.
Fino
a quel giorno.
Aveva
cambiato i denti da poco, e ricorda, ricorda quasi con dolcezza la
risata
tenera che faceva Marta ogni volta che ne trovava uno da latte. Ricorda
il suo
bisogno di affondare in qualcosa, in qualunque cosa. Ricorda il sapore
cattivo
della prima ciabatta rubata, della prima pallina fatta a pezzi, della
gamba del
tavolo rosicchiata.
Tutto
è cominciato da lì.
Fino
a quel giorno…
Marta
giocava con lui, si lasciava rincorrere, ma certe volte, certe volte
esagerava.
La prima volta, afferrandogli il pane secco davanti al naso, lui era
rimasto
immobile, limitandosi a guardarla con delusione.
Ma
alla seconda volta era partito l’avvertimento.
Non toccarlo.
È mio.
Era
suo. Marta non avrebbe dovuto toccarlo. E più lui la
avvertiva, più mostrava le
zanne, più lei sembrava divertirsi a fargli i dispetti.
Fino-a-quel-giorno.
Giocavano,
Marta gli tirava la palla nel parco, la Mamma li seguiva a distanza. Ma
quando
lui aveva guadagnato la palla, quando l’aveva stretta tra le
fauci e aveva
cercato di fuggire, Marta gli aveva preso la coda.
Era
stato istinto.
La
palla era finita nell’erba, bagnata di bava, e le sue labbra
nere erano corse
al braccio magro di lei.
Può
ancora udire il grido di Mamma, il colpo contro di lui, il sapore del
sangue
quando Marta ha tirato via il braccio, strappando la pelle.
Quella
sera stessa l’aveva passata rinchiuso in cantina, mentre
loro, e l’auto, erano
via. Al ritorno Marta aveva una fascia bianca intorno al braccio e un
muso
lungo puntato contro di lui.
Era
stato suo padre a farlo uscire e a spingerlo in casa.
Nulla
è più stato lo stesso, da quel giorno.
Se
chiude gli occhi sente ancora l’odore di Marta, quello strano
profumo che
sembra mischiare fiori e fumo. Si chiede quando potrà
tornare ad annusarla.
Rimane
immobile, l’acqua gli inzuppa il pelo, ma lui tiene la testa
bassa. E aspetta.
┌
I cani, quando
amano, amano in modo costante,
inalterabile,
fino all’ultimo respiro.
(E.Von Arnim)
┘
Tobia
la guarda, seduto accanto a lei, mentre il docente di Economia Politica
è
intento a spiegare Il Dilemma del Prigioniero. Ma Luna non ascolta, si
lascia
accarezzare dalle parole di Montale.
“Giravano
al largo i
grovigli dell’alighe e tronchi d’alberi alla
deriva.
Nella conca ospitale
della spiaggia non erano che poche case di annosi mattoni, scarlatte, e
scarse
capellature di tamerici pallide più d’ora in ora;
stente creature perdute in un
orrore di visioni.”
«Che
fai?» sussurra Tobia, incrociando le braccia mentre si china
su di lei.
È
alto, e Luna lo vede piegare la schiena per arrivare al suo orecchio.
«“Fine
dell’infanzia”.»
«Dal
titolo non…»
I
ragazzi davanti a loro si voltano, ed è allora che Tobia
sembra accorgersi del
silenzio. Il docente li sta guardando.
Luna
lo vede aprire la bocca in un largo sospiro, prima di riprendere con i
suoi
esempi sulla nozione.
Lei
la conosce già, ha passato il pomeriggio precedente a
leggerla sul libro, e
pensa che sia spiegata molto meglio.
Non
è il migliore dei docenti, per lei, ma a Tobia sembra
piacere.
Lei
preferisce persone più appassionate.
Quando
la lezione finisce, i ragazzi si affollano alla porta, ma loro due
rimangono
seduti. Aspettano, sanno che è inutile gettarsi nella
confusione per niente.
«Alla
fine tua madre ha preso un cane?» domanda Luna, scostando le
ciocche ribelli
dalla guancia. Le accompagna lentamente dietro l’orecchio e,
come al solito,
qualche capello rimane incastrato all’anello.
È
Tobia ad aiutarla a liberare la mano. Le sue sono grandi, callose, con
le
unghie corte.
Luna
ha una fissazione per le mani.
«No…»
Sembra più un mugolio che una risposta, e Tobia abbassa gli
occhi. «Non le
piacciono i cani.»
«Ma
perché!» si infervora lei, mentre si stanno
alzando. «Cioè, io proprio non la
capisco! Tuo padre l’ha lasciata, almeno lo sa che un cane
non si separerebbe
mai da lei? Lo sa che un cane piuttosto ne morirebbe? Cavolo, diglielo!
Digli
che lo vuoi!»
Tobia
si sistema la giacca marrone prima di parlare. Sembra sapere che
è meglio
aspettare che il “treno”, come la chiama lui,
finisca il suo discorso.
«Sei
tu che lo vuoi, Luna» confessa infine.
«Tu
no?»
C’è
delusione nella sua voce, e Tobia sembra accorgersene. Non riesce mai a
sostenere il suo sguardo, arrossisce ogni volta che Luna alza il viso
per
guardarlo negli occhi.
È
molto più bassa di lui, eppure sembra lei la gigante quando
parlano.
«Sì»
mormora Tobia, grattandosi il naso.
«Anch’io…»
Luna
non sembra accorgersi della sua voce incrinata. Rimane ancorata a
ciò che ha
detto un momento prima. Tira indietro i capelli e solleva il mento con
fare di
sfida.
«E
perché hai detto così? Perché hai
detto che sono io che lo voglio? Mica posso
costringerti.»
Tobia
sembra farsi piccolo piccolo, ed è impressionante vedere
quel ragazzone arrossire
nell’aula vuota.
Non
c’è nessuno ad ascoltarli.
«Ma
mi hai convinto tu… Tempo fa.»
Luna
passa lo sguardo intorno a loro: l’aula enorme, ora vuota,
è solo una sfilza di
sedie con ribaltina, muri bianchi e scrostati, una cattedra rossa che
fa
contrasto con il pavimento a puntini neri.
Dai
finestroni alti entra una luce opaca, che schiarisce i suoi capelli
ramati, ma
non riesce ad attraversare il nero che Tobia ha in testa.
«Convinto?
Non ci dovrebbe essere qualcuno che ti convince
ad amare gli animali…»
Tobia
solleva le braccia al cielo: sembra un’invocazione, e Luna
capisce di avergli
fatto perdere la pazienza. Di nuovo.
«Miseria,
Luna!» grida lui, e finalmente sembra trovare la forza di
guardarla negli
occhi. «Non ne ho mai avuti! Non so cosa significhi! Sei tu
che non parli
d’altro! È la tua ossessione! Dovresti
preoccuparti di più di chi hai intorno,
invece che pensare solo e soltanto ai cani!»
Lo
vede prendere la sacca e uscire di filato dall’aula.
Luna
si sente in colpa. Il fuoco che ha albergato dentro di lei sembra ormai
svanito. Tobia è in grado di fare questo, a volte.
Mette
lo zaino in spalla e lo segue, raggiungendolo in cima alle scale. Un
paio di
ragazzi sono in fondo alla rampa, vicinissimi, come se stessero per
baciarsi,
ed è allora che Tobia la guarda.
Ma
è un istante, e subito distoglie gli occhi da lei.
«Mi
dispiace…»
«No
che non ti dispiace!» grida ancora Tobia, scendendo le scale
di fretta. «Sempre
così con te! Non si può dire niente!»
I
due di prima li guardano con astio, come se avessero interrotto
qualcosa. E
Tobia, in genere così riservato, se ne accorge.
Purtroppo per loro.
«E
voi? Andatevene in albergo, va!» grida, davanti a loro.
Luna
si sente in imbarazzo: sono due che seguono Diritto Privato con lei.
Sorride
come a scusarsi, mentre l’indice corre alla tempia. Si sfiora
la fronte con il
dito quando è in difficoltà. Sempre.
È
quando sono fuori che lo raggiunge.
Gli
sfiora il braccio per sentirsi puntare i suoi occhi azzurri addosso.
Sono
ancora carichi di furia.
Luna
non sa perché, ma Tobia si arrabbia solo con lei. Con nessun
altro.
«Mi
dispiace.»
«L’hai
già detto, Luna. Possibile che ti ripeta sempre?»
Tobia sospira, sposta la
sacca da una mano all’altra, e sembra averla già
perdonata. «Ti ho detto che lo
voglio. Voglio-un-cane. Ma non ho il coraggio di andare in
canile… Non saprei
come scegliere, da quello che mi hai raccontato stanno tutti
lì a guardarti. Mi
sentirei in colpa dopo aver scelto, capisci?»
Luna
assume di nuovo il suo cipiglio di guerra.
Porta
le mani ai fianchi e si sente pronta ad affrontare l’ennesima
battaglia. Vuole
convincerlo, non c’è verso.
«E
cosa pensi? Che cada dal cielo? Certo che è brutto, lo so.
Ma darai la casa a
un cane, capisci? Ne salverai uno, e sarà come aver salvato
l’umanità intera.»
Tobia
sorride divertito.
«Che
c’entra l’umanità? Credevo parlassimo di
cani.»
«È
lo stesso» risponde lei, convinta.
┌
Dall'assassinio
degli animali
all'assassinio degli uomini il passo è piccolo.
(Lev Tolstoj)
┘
Marta
torna a casa da scuola.
Si
sente triste e un po’ colpevole. Ma sa che sua madre, presto,
le farà tornare
il sorriso. Hanno detto addio al suo cane, ma era giovane, ha detto
papà, e
avrà un futuro bello anche da solo. Lontano da loro.
Quando
attraversa il giardino, l’occhio corre alla casetta
dell’animale. È vuota, ora.
È triste.
Capisce
di essere davvero una persona sensibile a preoccuparsi del cane.
L’ha pur
sempre morsa, le sue amiche le hanno chiesto perché non
l’ha fatto abbattere.
“Ti
hanno messo i punti?
Dio, che schifo. Ma perché lo avete preso, poi?
Puzzava.”
La
porta si apre davanti a lei, una grande porta rossa con vetri decorati,
e il
sorriso lucente di sua madre la accoglie.
Marta
sistema meglio i capelli lisci, Anna l’ha avvertita che il
biondo sta iniziando
a svanire e, davvero, non riesce a pensare ad altro.
Deve
andare a farsi sistemare il taglio, il colore, tutto!
Ma
poi il ricordo del cucciolo invade
il
suo campo visivo. È preda di una visione, forse. Le sembra
di vederlo, quando
le correva incontro, scodinzolando, gli occhi illuminati alla sola sua
presenza.
Era
sempre felice quando lei tornava da scuola.
«Com’è
andata? Stai meglio? Fammi vedere il braccio» È
l’esordio di sua madre.
«Ma’,
ti prego, non sei un medico. Ho la fascia, la cambio stasera, ok? Mi
cambio che
devo andare da Becca.»
«Che
hanno i tuoi capelli?» chiede sua madre, mentre
l’atrio, pulito e ordinato, è
sgombro dall’odore di cane. «Se me lo dicevi
prendevo appuntamento anche per
me.»
«Vado
con Anna.»
Marta
ricorda la prima volta che ha sentito quell’odore…
È stato quando il loro
cucciolo ha cominciato a crescere, ne è certa. Quando
è arrivato non “sapeva di
niente”.
Ma
poi, un giorno, se n’è accorta.
E
il suo naso ha fatto tutto il resto, l’ha abituata, mentre
ora, ora che lui non
c’è, Marta si accorge del
profumo dei prodotti di casa. Profumo di pulito. Mancanza di
qualcosa…
«Potevo
venire con voi!»
Marta
sbuffa e fa cenno di no con la testa.
Sale
le scale, coprendo la voce di sua madre con il rumore degli stivali.
Deve
vestirsi, cambiarsi, non vuole che Anna le faccia altre battute.
Certe
volte la detesta, ma è la sua migliore amica…
Il
corridoio, vuoto, è strano. Il tappeto è sempre
lì, i peli, per quanto sua
madre possa aver tentato di toglierli, sono al solito posto.
Manca
solo lui.
Marta
pensa che dovrà farci l’abitudine o, al
più, prendere un altro cane.
┌
È notte
quando l’auto si ferma.
La donna scende quasi con timore, lo guarda e capisce.
Si chiede come si possa, si chiede perché.
┘
In
questa notte sola che cancella i passi e il tempo.
Cancella
me… Cancella il mondo.
Guardo
fuori, dove va la strada e i perduti orrori.
“Vieni…
La notte è aperta per te.
Questa
notte di porte, di carezze e di stelle aperte di notte.”
Amore
in mano al vento.
Non
piove, ma… Sta gocciolando.
(Zucchero)
Rieccomi
con una nuova storia!
Non
so perché, ma sono già molto affezionata a questi
personaggi e a ciò che
succederà. Per ora mi limito a presentarveli, è
vero, ma dal prossimo avrete
uno scorcio dell’ambientazione, delle relazioni che li legano
e ulteriori
indizi.
Sì,
perché vi ho fornito molti, molti indizi su ciò
che accadrà. Anche sul finale a
dire il vero.
Non
sono solita mettere note, a meno che non sia assolutamente necessario,
ma ci
sono diverse cose che, sono certa, potrete individuare facilmente.
Vi
aspetto per sapere quale sia la vostra prima impressione su questa
storia e,
spero, per il prossimo capitolo!
P.S.: il titolo è ispirato alla raccolta di poesie di Pascoli.