Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: Kuri    26/03/2009    4 recensioni
"Appena Yūko gli aveva chiesto di andare a prenderle del sakè e del tabacco per la serata, in fondo non se l'era sentita di obiettare. Era legittimo pensare che la donna volesse festeggiare l'anno nuovo nel modo migliore che conosceva e lui non aveva voluto – per una volta – fare la figura del guastafeste. Perciò aveva ignorato la sorda protesta della propria coscienza e si era tolto il grembiule di buona voglia, dopo aver intercettato Mokona nel suo ennesimo raid verso i toshikoshi soba, uno dei piatti tradizionali di quell'ultimo giorno dell'anno, e aveva afferrato la borsa per la spesa."
Andare a fare la spesa non fu mai tanto pericoloso. Secondo Watanuki, ovvio.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Kimihiro Watanuki , Yūko Ichihara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fic scritta per l'iniziativa de i Criticoni Temporal-mente.







E il gatto ci mise lo zampino

"Ogni vita lo sa che rinascerà in un fiore che ancora vivrà." (Il cerchio della vita – Ivana Spagna)



Era una cosa inaudita.
Inaudita.
Inammissibile.
Inaccettabile.
Incomprensibile, a ben vedere.
Era una di quelle cose in grado di lasciarlo di sasso, fermo a fissare il vuoto di fronte a sé come un ebete, nella più totale desolazione dei propri pensieri, incapace di capire il perché.
Perché proprio a lui?
Era solo la vittima della tirannide di quella strega impossibile.
Appena Yuko gli aveva chiesto di andare a prenderle del sakè e del tabacco per la serata, in fondo non se l'era sentita di obiettare. Era legittimo pensare che la donna volesse festeggiare l'anno nuovo nel modo migliore che conosceva e lui non aveva voluto – per una volta – fare la figura del guastafeste. Perciò aveva ignorato la sorda protesta della propria coscienza e si era tolto il grembiule di buona voglia, dopo aver intercettato Mokona nel suo ennesimo raid verso i toshikoshi soba, uno dei piatti tradizionali di quell'ultimo giorno dell'anno, e aveva afferrato la borsa per la spesa.
L'orribile donna, poi, gli aveva specificato che il negozio in cui doveva andare era quello del signor Cheng a Yokohama, e che sarebbe stato davvero un Capodanno infausto se lui non le avesse procurato quello che desiderava così fortemente, senza contare che quella voglia repressa l'avrebbe tormentata per tutto l'anno nuovo. Non aveva avuto bisogno di specificare che avrebbe poi scaricato quel tormento su di lui.
Uno spasmo involontario gli aveva distorto il sorriso in una smorfia isteria, tuttavia Watanuki aveva lo stesso indossato il cappotto e si era avvolto bene nella sciarpa. Yokohama distava solo mezz'ora di treno da Tokyo. Non sarebbe stato un viaggio così insostenibile.
Aveva già preparato dei cibi freddi, disponendoli ordinatamente in una pila di scatole di lacca dalla notevole altezza. La tradizione imponeva infatti che i primi giorni dell'anno nuovo i lavori fossero ridotti al minimo, e lui doveva anche preoccuparsi di sfamare un numero spropositato di bocche prive di qualsiasi senso della morigeratezza. Aveva concluso il giorno prima le pulizie del proprio appartamento e del negozio, affinché ogni traccia di sfortuna e di malanno dell'anno vecchio se ne andasse insieme alla polvere. I consueti bigliettini d'auguri, quelli che i postini giapponesi portavano da una casa all'altra come segno di buon auspicio e dimostrazione di affetto, erano già stati scritti, imbustati e affrancati, pronti per la spedizione del giorno dopo.
La mattina, poi, aveva preparato una montagna assurda di polpettine di riso, mochi soffici e profumate che aspettavano solo di finire sotto i denti.
Quindi, si era detto, quella commissione non gli avrebbe rubato molto più di un paio d'ore e sarebbe arrivato al negozio in tempo per cambiarsi, indossare il kimono di lana, ed andare con Himawari al tempio della famiglia di Doumeki per sentire i centootto rintocchi delle campane del tempio buddista[1], ed assistere all'esplosione multiforme e variopinta dei fuochi d'artificio.
Una volta sentito l'ultimo rintocco, ogni brutta cosa dell'anno vecchio sarebbe svanita, ogni avventura al limite del paradossale non sarebbe più stato affare suo, e lui avrebbe potuto godersi in santa pace la compagnia di Himawari-chan, avvolta nel suo kimono più grazioso.
Era riuscito, dopo poco meno di mezz'ora trascorso in un treno stipato di persone già ubriache di festa, a farsi strada in mezzo alla baraonda impazzita del quartiere cinese di Yokohama e ad arrivare incolume di fronte alla porta dell'emporio del signor Cheng. Il vecchio cinese faceva parte a tutti gli effetti della bizzarra schiera di personaggi conosciuta da Yuko, e Watanuki non si preoccupava più delle lunghe occhiate che si sentiva puntate sulla schiena ogni volta che entrava lì dentro.
Aveva scoperto che, malgrado tutti i suoi sforzi, quel mondo strano e senza regole era entrato nella sua tranquillità quotidiana, scombinandone i presupposti. Nulla si sarebbe più rimesso a posto, ne era consapevole. Era andato da Yuko per liberarsi degli spiriti, di strane visioni, e di tutte le cose innaturali che riusciva a vedere, ed invece ci era rimasto invischiato dentro ancora più di prima.
E tutta la colpa poteva essere solo di quella donna crudele e sadica. Era lei il principio e la causa di tutti i suoi mali.
Il signor Cheng aveva pigramente alzato lo sguardo dal bancone appena i campanellini di ceramica appesi alla porta avevano lanciato il loro trillo allegro, mentre Watanuki entrava.
Il ragazzo si chiedeva sempre come facesse in signor Cheng a vederlo attraverso le palpebre cascanti e la pelle increspata dal reticolo di rughe, eppure aveva percepito una scintilla di interesse verso di lui, un'attenzione inusuale.
Avevano parlato del più e del meno, con apparente indifferenza, poi il signor Cheng era sceso dallo sgabello posto dietro il bancone e aveva accompagnato Watanuki attraverso gli scaffali, alla ricerca della merce desiderata dalla strega delle dimensioni.
Sugli scaffali dell'emporio si poteva trovare ogni cosa, a patto che fosse una cinafrusaglia del tutto inutile o un qualche strano rimedio medico completamente inaffidabile o pericoloso.
Watanuki, ogni volta che si era ritrovato in quel posto, aveva avvertito il peso di tutte quelle cose vecchie e dimenticate, l'impercettibile battito che sembravano emanare per quella vita mai vissuta al di fuori del negozio, un uso mancato che le aveva rese del tutto inutili.
Quella sera in particolare, la sensazione gli era chiara e percettibile e gli metteva addosso un'indefinibile malinconia, quasi un senso di rammarico perché la passeggiata tra gli scaffali si era conclusa in un silenzio immoto. Non che potesse provare realmente la mancanza di uno degli strani fenomeni che lo accompagnavano da sempre, e se ci pensava in modo razionale era proprio un'idiozia, tuttavia quella solitudine era come un buco. Nera e vuota.
Aveva dato i soldi al vecchio mercante, aggiungendo anche una scatolina di legno che gli aveva consegnato Yuko, sigillata da un grumo di ceralacca nera su cui era impressa la sagoma di una farfalla.
Il cinese aveva sogghignato appena e si era affrettato a far scomparire tutto sotto il bancone, seguito dallo svolazzare delle ampie maniche del suo abito tradizionale.
Watanuki era uscito nuovamente nel crepuscolo freddo. Aveva infossato il viso nella sciarpa, scuotendo le spalle in un brivido. La serata era tersa e limpida e il cielo violetto iniziava a punteggiarsi di stelle.
Era semplice, malgrado il frastuono di sottofondo parlasse di festa, sentire la pace e la tranquillità di quel vicolo secondario. L'avvertiva spandersi dentro di sé, in un dilagare soffice e appena palpitante, come il frullio d'ali di un uccellino.
Forse la sua vita sarebbe sempre stata così.
Nessun cambiamento sarebbe sopraggiunto con il nuovo anno, nessuna trasformazione si sarebbe affacciata all'orizzonte delle sue giornate.
Tutto uguale e in preda ad uno spostamento così impercettibile da essere di fatto immobile.
Aveva sbattuto le palpebre incredulo, ancora perso nelle proprie fantasticherie, quando aveva visto una figura grassoccia arrancare lungo la strada, illuminata a tratti dalla luce gialla dei lampioni.
L'esserino era molto basso, tanto che sembrava notevolmente più largo in proporzione alla scarsa altezza, ed indossava un ampio cappello di paglia a forma di cono che nascondeva appena il muso a punta socchiuso nello sforzo della corsa e da cui uscivano frettolose nuvolette bianche di condensa.
La lingua gli penzolava da un lato e il fiatone lasciava pensare che la grossa pancia dal pelo bianco maculato non avrebbe retto per molto a quella strana corsa trafelata.
Watanuki si era bloccato in mezzo alla strada ed era rimasto ad osservare l'animale corrergli incontro. Poi aveva spalancato gli occhi, con uno sbigottimento che non aveva mai creduto di poter provare in vita sua. Tra le ginocchia della bestiola, concentrata nella sua corsa con l'applicazione di un maratoneta, ballonzolavano due grossi testicoli. [2]
Aveva voltato la testa sulla spalla per seguirlo con lo sguardo, gli occhi strabuzzati sotto l'ipnosi di quella bizzarra visione.
Non aveva fatto caso agli altri rumori che venivano dalla strada, nella direzione appena percorsa dal tanuki, al rimbombo sordo di passi sull'asfalto. Era riuscito appena ad udire il grido acuto di avvertimento che era arrivato dal buio soffice di fronte a lui, ma il suo sguardo non aveva voluto saperne di staccare la propria attenzione dalla schiena del cane-procione.
Sentì lo spostamento d'aria di qualcuno che scattava a pochi centimetri da lui e poi la pressione leggera di un piede sulla testa.
Quando decise di volgere lo sguardo di fronte a sé, l'asfalto gli stava andando incontro in modo decisamente troppo veloce.

***

«Ehi!»
Era tutto annebbiato e confuso, come se una patina grigiastra, dalla consistenza densa e fumosa, non solo gli bloccasse la vista, ma gli si fosse riversata anche nella bocca e nelle orecchie, isolandolo.
Qualcosa di caldo gli sfiorò il viso. Aveva una consistenza morbida e piacevole, la dimensione giusta di una carezza.
«Ehi, ti vuoi svegliare? Va bene che voi esseri umani siete molto fragili, ma non si può neppure morire per così poco!» la carezza diventò più forte, sempre più forte, fino a diventare uno strattone in piena regola.
«Svegliati!» la voce roca e lievemente lamentosa che fino a prima aveva parlato piano al suo orecchio gli esplose nella testa con una potenza inaudita.
Watanuki si sollevò dall'asfalto, massaggiandosi piano il capo. Sentiva le ossa pulsare appena, in una vaga protesta di dolore.
«Finalmente, lo sapevo che non eri morto! Certo, lei non me lo avrebbe mai e poi mai perdonato!»
Watanuki sbattè le palpebre. Subito non riuscì a riconoscerla, acquattata com'era nella penombra del vicolo, avvolta in un pesante cappotto di lana nero. Poi lei gli sorrise, socchiudendo le labbra e mostrando i canini aguzzi, inclinando la testa di lato in un moto di contentezza spontaneo e un po' infantile.
«Ciao!»
«Tu...» il colpo gli rimbombava ancora nella testa.
«Davvero, non volevo farti cadere. È che non immaginavo che te ne saresti rimasto così impalato in mezzo alla strada...» la ragazza aveva iniziato a parlare velocemente, quasi le parole non fossero altro che una catena infinita «Comunque sono contenta che tu non ti sia fatto niente, non oso pensare a cosa mi avrebbe fatto la strega delle dimensioni, mi hanno già raccontato di averla vista arrabbiata, e ti giuro che ho letto il terrore negli occhi di chi mi parlava e...»
La ragazza si bloccò non appena la mano di Watanuki si frappose tra loro con un gesto di supplica.
«Aspetta un secondo!» Watanuki sbattè le palpebre, con un'espressione intontita sul viso che strappò un sorrisetto a lei «Tu sei... la ragazza gatto, quella dei pesci rossi?»
Lei si sporse in avanti, arrivando a pochi centimetri dal viso di Watanuki, appoggiandosi la punta del dito che sbucava dai mezzi guanti sul naso, in un moto di allegria.
«Che bello, ti ricordi di me! Sei un bravo ragazzo, servo della strega delle dimensioni!»
«Io non sono il suo servo!» esclamò lui piccato, mentre lo spiritello si alzava in piedi con un balzo, ruotando su sé stessa con un piccolo passo di danza.
Watanuki sollevò appena la mano verso il viso, in direzione del proprio occhio destro.
Gli sarebbe risultato difficile dimenticarsi di tutto quello che era accaduto negli ultimi mesi, degli eventi che erano succeduti al giorno in cui, nel tempio della famiglia di Doumeki, il ragno aveva deciso di prendersi la sua vendetta.
Tutto quello che ne era conseguito aveva lasciato sensazioni vivide nella sua mente, quasi fosse stato lo spettatore angosciato di un film destinato a ripetersi all'infinito, ma a qualcun altro.
Era stato in quei giorni vacui che aveva incontrato la ragazza gatto, l'esserino guizzante e ambiguo che in quel momento si trovava di fronte. Anche lei aveva desiderato il suo occhio, quello che alla fine si era mangiato la demone ragno. Watanuki indietreggiò istintivamente, strisciando lungo l'asfalto con le mani.
Lei lo fissò con i grandi occhi paglierini e poi abbassò le sopracciglia, scuotendo appena la testa. Dalla bocca socchiusa le uscì un sospiro che sembrò arricciarsi nella sua gola in un rantolio morbido.
«Ti ho detto che non ho intenzione di farti del male. Stavo solo cercando questo.» disse portando avanti la mano e mostrando a Watanuki una lunga striscia di stoffa scura al centro della quale brillava un grosso campanello tondo che sembrava catturare tutta la luce debole dei lampioni del vicolo. La ragazza gatto si rigirò il collarino tra le mani, finchè non si udì il tintinnio argentino del sonaglio. Watanuki rimase stupito a fissarla mentre sul suo viso si dipingeva un'espressione di assoluta beatitudine e lo scampanellio aumentava d'intensità. Poi sentì il suono di poco prima, quel raspare leggero ed in estasi, provenire dal petto dello spirito.
Watanuki si mise una mano tra i capelli, scuotendo la testa.
«Non ci credo...»
La ragazza gatto sollevò la testa di scatto, con le pupille gialle ed immense piantate sul viso del giovane che le stava di fronte.
«Beh, gli esseri umani si divertono con cose ben più sciocche o dannose di questo, non vedo perchè tu ti debba scandalizzare tanto. Ai gatti queste cose piacciono.» gli rispose senza smettere di fissarlo.
«Non volevo offenderti.» le rispose lui accennando ad un sorriso imbarazzato. La forza del suo sguardo lo turbava «Era... strano. Piacevole.»
Il sorriso sul volto di lei si allargò ancora di più.
«E poi dovevo recuperare il sonaglio! Non credi che sarebbe stato disdicevole permettere a quello sporcaccione di andarsene in giro questa sera? Certo, non avrebbe fatto male, però avrebbe fatto una confusione inimmaginabile!»
La ragazza gatto si allungò verso di lui e rimase ad osservarlo dall'alto verso il basso, senza voler accennare all'intenzione di lasciarlo alzare.
«Hai visto il tanuki che ti è passato accanto, vero?» gli chiese la ragazza storcendo la bocca in una smorfia di dubbio «Parlare con te mi fa pensare che tu non sia davvero l'essere potente che dicono... sei sicuro di essere il servo della strega delle dimensioni?»
«Io non sono il suo servo!» esclamò Watanuki tirandosi in piedi con un gesto furioso. Cominciava ad averne abbastanza di queste creature curiose ed impiccione.
Si spazzolò il cappotto con gesti bruschi, cercando di ignorare lo spirito che lo osservava attento, dimentico persino della propria recente cattura.
Watanuki raccolse la borsa della spesa, constatando che per fortuna non si era rotto nulla.
«Accidenti, devo prendere assolutamente il treno, altrimenti non arriverò mai all'appuntamento con Himawari-chan!» trasalì dopo aver gettato un'occhiata all'orologio. Quella serata, come il giorno dopo, erano troppo importanti per lui. Gli era impossibile immaginare un Capodanno senza che tutto fosse meticolosamente perfetto, come era sicuro che non ci fosse una sola persona in tutta Tokyo, o nel Giappone, che non la pensasse come lui.
Alle sue spalle, intanto, poteva sentire il fruscio leggero del cappotto della ragazza gatto, accompagnato dallo scampanellio dolce del sonaglio.
«E non seguirmi! Non ce l'hai un posto dove andare?» esclamò d'un tratto voltandosi.
La ragazza si bloccò, tenendo gli occhi piantati su di lui. Stringeva il nastro nero tra le dita della mano, lasciando il campanellino ondeggiare lentamente.
«Non dovresti trattare così male gli animali portafortuna, non la notte di Capodanno, almeno! Sei davvero poco furbo.»
Watanuki sollevò un sopracciglio.
«Mi fai quasi morire, rischi di farmi perdere l'ultimo treno della sera del trentuno dicembre, e poi tu porteresti fortuna?» le chiese dubbioso.
«Certo, io e il tanuki. Anche se ormai lui...» lo spirito si portò davanti al viso il nastro e lasciò che le alcune note argentine cadessero tra di loro.
Watanuki sollevò l'indice.
«Vuoi dire che...»
Lei annuì, mentre un sorrisetto malizioso le piegava le labbra.
«I tanuki sono le anime degli oggetti che vengono usati per più di cento anni. Lo stavo prendendo il collarino dalla scatola in cui l'avevo riposto per indossarlo, quando invece ne è saltato fuori il tanuki, e si è messo a correre come un forsennato.» rispose sporgendo appena le labbra in un'espressione concentrata, mentre si stringeva il nastro intorno al collo, cercando di formare un fiocco più grande possibile «In effetti non ci avrei mai pensato, ma malgrado la loro stazza sono dannatamente agili, quegli sporcaccioni! In ogni caso per altri cento anni non accadrà nulla!»
Si voltò verso Watanuki con un sorriso enorme.
«Davvero sei uno spirito porta fortuna?» chiese sollevando esasperato gli occhi verso il cielo. Le stelle gli ammiccavano dal nero profondo «Sicura di non essere un nekomata?»
«Ma sei scemo?» esclamò lei continuando a camminare al suo fianco «Ti sembra forse che abbia due code?»
Anche se non la stava osservando, a Watanuki sembrò di sentire l'ombra di un sorriso nella sua voce.
«Sono contenta che adesso il tuo occhio sia a posto.» disse lei dopo un attimo di silenzio.
Watanuki sollevò la mano, sfiorandosi la palpebra destra.
«Ma se te lo volevi mangiare tu.» mormorò appena. Il peso dello sgomento che avvertiva al centro del petto era ancora troppo forte.
«È vero.» rispose sincera «Però ho saputo che ti sei battuto con coraggio, e vedo che questo ti ha dato l'occasione per stringere un nuovo vincolo.» concluse accennando con il mento al suo viso.
«A dir la verità non è così nuovo...»
«Ne sei sicuro?»
Nell'oscurità del vicolo le pupille nere della ragazza gatto gettarono un riflesso verde.
«Tu non sei più lo stesso di ieri, e domani sarai una persona sconosciuta a te stesso, non credi quindi che quell'occhio diventerà sempre un nuovo legame, ad ogni attimo che passa?»
Watanuki si fermò, le braccia lunghe abbandonate lungo il corpo.
«Hai visto il tanuki? Secondo te, la natura di questo» strappò una nota con la punta del dito al sonaglio «è di essere un oggetto inanimato o un tanuki? E il tuo occhio... sei sicuro che fosse più tuo prima di quanto lo è adesso? E...»
«Ferma!» Watanuki sollevò la mano. Sul suo viso si disegnò una smorfia di sofferenza «Cosa centra tutto questo? L'occhio di Doumeki, il tuo sonaglio... cosa stai dicendo?»
Dalla ragazza gatto giunse un brontolio che assomigliava ad una risatina soffocata tra le fusa.
«Non devi avere paura del tuo futuro, del tuo domani in trasformazione. Se sarai sempre te stesso, senza accorgertene, diventerai qualcun altro uguale eppure diverso. Ci penseranno le persone che ti vogliono bene a non smarrirti, anche quando crescerai.»
Watanuki tentò di muovere un passo, ma i muscoli rimasero paralizzati, come il suo cervello sotto la malia delle parole morbide dello spirito. La ragazza gatto indietreggiò di un passo. Alle sue spalle il vicolo svoltava in uno snodo buio, da cui proveniva il vocio festoso del quartiere cinese.
«Chi sei?»
La ragazza gatto sorrise nell'udire quel sussurro. Congiunse le mani dietro la schiena, dondolando sulle punte degli stivali.
«Diciamo che non solo la tua padrona ha il potere di esaudire i desideri. Certo, lei è potente in una misura che non ha eguali nell'universo, ma anch'io nel mio piccolo posso fare qualcosa...» lo spirito arretrò ancora di un passo.
Attorno alla sua figura, come se un enorme pennarello avesse tracciato una linea nera, si disegnò il buio della strada. A Watanuki sembrò che tra di loro fosse iniziato a soffiare una brezza che lo sospingeva verso l'ombra oltre le spalle della ragazza gatto. Era un'aria che lo accarezzava gentile, dalla consistenza pura e dolce. Gli sembrava di essere sul punto di ricordare dove l'avesse già sentita, ma il pensiero, che pure sapeva piacevole, continuava a sfuggirgli.
«Un'amica comune di augurava che tu potessi trovare un periodo di tranquillità, dopo tutto quello che è accaduto. Per questo sono qui. Per riequilibrare almeno per un poco la bilancia della tua sorte.» il nero dell'aria assorbì maggiormente la figura dello spirito. Ora Watanuki riusciva solo a scorgerne il viso pallido e i polsi che sbucavano dal cappotto. Lei alzò la mano destra, tenendo le dita arricciate verso il palmo come la zampa di un gatto. Dondolò piano il braccio [3] in un gesto di saluto e gli sorrise.
«Buona fortuna per tutto, Kimihiro Watanuki.»
Quando la vide scomparire, Watanuki sentì i suoi muscoli sbloccarsi, liberi dall'ipnosi di quella magia. Si sbilanciò in avanti, arrancando lungo la strada. Quando girò la svolta, i suoi occhi si spalancarono di stupore.
La strada era quella che conduceva al negozio di Yuko. Un gatto nero gli sfrecciò accanto, saltando su un muricciolo e scomparendo nell'ombra dall'altra parte.
La strega si trovava davanti a lui, di fronte all'ingresso del giardino, e appena udì i suoi passi lungo la strada si voltò, osservandolo con gli intensi occhi rossi.
La sua figura si stagliava dritta e solenne sotto le luci artificiali e i disegni creati dal buio. Indossava un ricco kimono color indaco, ricamato nella parte inferiore con fantasiosi arabeschi che intrecciavano stelle e farfalle. L'obi frusciante, rosso e bianco, le ricadeva sulla schiena in un enorme fiocco. Il viso, infine, pallido come l'argento che le decorava la veste, affondava in un collo di pelliccia candida.
«Beh? Guarda che se non ti sbrighi non riuscirai ad arrivare al tempio in orario e non sentirai i rintocchi... vuoi forse attirarti la sfortuna, Watanuki?» lo apostrofò. La sua voce risuonò divertita, appena soffocata dalla confusione che pervadeva le strade in festa.
«No. Non credo che sarebbe una buona idea.» rispose lui come intontito, mentre muoveva alcuni passi, incapace ancora di credere di trovarsi di fronte al negozio e non più tra le stradine strette di Yokohama.
«Io e Mokona ti aspettiamo qui.» gli disse voltandosi mentre la testolina nera dell'animale sbucava dalla borsetta allacciata al polso della strega «Maru e Moro ti hanno già preparato il kimono. Fai presto.»
«Sì!» Watanuki annuì improvvisamente risoluto. Avrebbe potuto vedere Himawari-chan e già la immaginava deliziosa nel proprio kimono da festa. Avrebbe potuto vedere i mille colori dei fuochi d'artificio riverberarsi sul suo viso illuminato dalla meraviglia. Avrebbe pregato per la pace dei suoi genitori e dei suoi amici. Certo, ci sarebbe stato anche quello scocciatore di Doumeki, ma forse in fin dei conti la cosa non aveva molta importanza...
Yuko rimase a guardarlo mentre Watanuki entrava in casa a passo di marcia, perso nelle sue fantasticherie.
«Hai mandato tu la ragazza gatto, Yuko?»
La strega abbassò la mano e lisciò il pelo tiepido della testa di Mokona.
«No. Ma credo di sapere chi è stato. Il nostro Watanuki e la Zashikiwarashi non hanno avuto molto modo di parlare da soli dopo quanto è successo, perciò credo che lei volesse fargli arrivare un messaggio e un regalo.»
Sollevò il viso verso il cielo limpido. Le stelle tremavano come fiammelle.
«Non credo però che lui abbia capito.» disse con un sospiro la palletta pelosa, scuotendo le lunghe orecchie.
Yuko si concesse un sorriso tenero.
«Capirà. Un giorno comprenderà il mutamento delle cose e la forza di quella trasformazione. Per il momento c'è altro che deve capire, che preme su di lui con urgenza. La buona sorte della ragazza gatto gli concederà il tempo che gli serve.»
Mokona rimase in silenzio, ma annuì con forza.
«E ora per i prossimi tre giorni godiamoci la festa, ok?» esclamò Yuko con un ampio sorriso «Il nostro caro Watanuki ha preparato toshikoshi soba per quando ritorneremo dal tempio e ci sono un sacco di altre leccornie! Con il saké del buon vecchio Cheng, sarà un Capodanno memorabile!»
«Evviva!»
«Se ti bevi tutto il saké stasera io non torno a Yokohama a prenderne dell'altro!» la voce di Watanuki la raggiunse querula mentre le suole di legno dei suoi zoccoli rimbombavano lungo il vialetto «Per i prossimi tre giorni sono in ferie!»
Yuko sorrise mentre lui le passava accanto e si incamminava di fretta nella strada.
«Chi lo sa...»
«Come “Chi lo sa”? Ho diritto anch'io a riposarmi! Non c'è un sindacato del sovrannaturale o qualcosa di simile?»
«Come sei noioso, Watanuki!»
«E tu sei una donna orribile!»
Yuko chiuse gli occhi, mentre si godeva il chiacchiericcio crescente delle strade che si andavano affollando, le luci calde che arrivavano dalle sale delle case imbandite a festa.
Anche qualcosa dentro di lei era cambiato. Era cresciuto un fiore bellissimo, che si abbeverava dell'affetto per quel ragazzo. Le piaceva starlo a guardare, soddisfatta del suo colore scintillante e del profumo intenso che sprigionava.
Ma questo a lui non lo avrebbe mai detto. Però, forse, un giorno lo avrebbe capito da solo.












[1] Centootto rintocchi della campana buddista. Sono i rintocchi che vengono dati ad una grossa campana cerimoniale presente nei tempi buddisti tramite un tronco di legno appeso a grosse funi. Quando viene fatto risuonare il centottesimo rintocco, inizia formalmente il nuovo anno. Ogni colpo dato alla campana ha il compito di purificare i centotto desideri che tormentano l'animo umano.
[2] Tanuki. Cane-procione del folklore giapponese. È caratteristico per la sua stazza rotondetta, per l'ampio cappello di paglia e perchè talvolta è raffigurato con testicoli enormi che a volte porta sulle spalle come un sacco. Per questo motivo, anche se alcune storie lo vogliono un po' dispettoso, il tanuki è in Giappone simbolo di prosperità, abbondanza e fortuna.
[3] Il gesto tipico del Maneki Neko! Il gatto gesticolante che porta fortuna è tipico dei locali e dei ristoranti di Cina e Giappone, e segue la tradizione legata a civiltà anche molto lontane (come quella egizia) secondo cui i gatti portino fortuna. La ragazza gatto agita la mano destra, che comunemente simbolegga l'allontanamento degli influssi negativi ed è vestita di nero, che nei maneki neko significa salute e prosperità.

   
 
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