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YOUR HEART
Mugugnò
qualcosa prima di aprire un occhio
dimodoché vedesse dove fosse quel dannato tasto per spegnere
quella fottuta
sveglia. Segnava le 07:12. Era in ritardo come al suo solito. Anche il
primo
giorno dell’ultimo anno di liceo.
«Cazzo,
è tardi!» lanciò per aria il piumone.
Lo sbalzo termico quasi lo fece collassare. Sarebbe rimasto volentieri
a letto
per il resto del giorno ma, purtroppo, quello stesso e così
tutti gli altri, si
sarebbe dovuto alzare presto per andare a scuola. Cercò le
sue pantofole
gettando la testa sotto al letto.
«Ma
come accidenti ci finiscono lì sotto?»
infilò le braccia e le afferrò.
«Tooom,
farai tardi a scuola. La colazione è
pronta.»
Sbuffò
udendo la madre gridare dalla cucina.
Puntualmente non riusciva mai a sedersi al tavolo con i genitori e fare
colazione con calma.
«Sì,
mamma. Lo so. Arrivo.» urlò a sua volta.
Si
precipitò in bagno, si ficcò nella doccia e
l’aprì di getto.
«AAAAAH
MERDA. È gelata.»
ringhiò, chiudendo immediatamente
l’acqua. «Che
idiota, ovvio che esca fredda, se apro l’acqua
fredda.» si picchiò mentalmente
e aprì l’acqua calda. Molto meglio.
Dopo
circa dieci minuti, era giù in cucina ad
azzannare voracemente una frittella alla crema e a trangugiare del
cappuccino.
La madre, Lisa, lo guardò con aria esterrefatta.
«Qualche
giorno di strozzerai se continui a
mangiare così velocemente. Imposta la sveglia venti minuti
prima, no?»
Thomas
smise improvvisamente di mangiare. Posò
la frittella ed alzò lo sguardo verso la madre.
«Ma
hai una vaga idea di quanto siano
importanti per me quei venti minuti in più che
dormo?» disse con la bocca
piena. Tirò un altro morso. Dannazione, era davvero buona
quella frittella.
Avrebbe voluto gustarsela un po’ meglio, e non strafogarla di
fretta. Aveva appena
cinque minuti di tempo prima che il bus passasse. Il problema era che
la sua
fermata si trovava a tre isolati da casa sua. Avrebbe corso, come ogni
giorno.
«E
non parlare quando mangi. Quando si mangia
non si parla.» lo rimproverò Lisa. Thomas
sbuffò ancora e, stanco già di prima
mattina, decise di alzarsi da tavola. Bevve d’un fiato il
restante cappuccino e
si infilò la frittella in bocca.
«Dove
stai andando? Non hai nemmeno finito la
colazione.»
Afferrò
il suo giaccone pesante, il suo zaino e
si avvolse nella sciarpa di lana e riprese in mano la frittella.
«Devo
scappare per tre isolati prima che quel
dannato bus passi senza fermarsi. Non voglio fare una maratona
già di prima
mattina e non voglio che la colazione mi esca dalle orecchie.»
Uscì
di casa sbattendo la porta, senza
salutare. Era stufo di essere trattato come un bambino. Ormai non aveva
più
dodici anni. Aveva le cuffiette alle orecchie. Aveva cominciato la
giornata con
una delle sue canzoni preferite: Alone, dei
Falling in Reverse. Camminava a
passo
svelto e controllava l’orologio ogni dieci secondi
guardandosi alle spalle col
timore che il bus gli sfrecciasse davanti.
Il
freddo era pungente e quasi gelido. Si
strinse nelle spalle scomparendo nella calda sciarpa di lana e si
infilò le mani
nel giaccone.
«Fottuto
freddo.» sibilò a denti stretti.
Una
nube di condensa uscì dalla sua bocca. Fortunatamente,
arrivò alla fermata in meno di tre minuti. Aveva il fiatone,
il naso ghiacciato
e le gote di un rosso vivido, ma ce l’aveva fatta. Il bus, di
un giallo acceso,
arrivò con qualche minuto di ritardo; un sollievo per
Thomas. Si fermò ed aprì
gli sportelli anteriori. Thomas salì e salutò
l’autista che ormai conosceva da
cinque anni. Non era mai cambiato da quando aveva iniziato il liceo.
«Buongiorno
Adam.» disse togliendosi una
cuffietta dall’orecchio destro.
«Buongiorno
a te, Sangster. Oggi siamo stati
puntuali, vedo. Niente corse mattutine.» scherzò
l’autista che partì subito
dopo aver chiuso gli sportelli. Thomas sorrise e non rispose. Si
infilò
nuovamente la cuffietta nell’orecchio e si accinse a
ricercare un posto libero
– cosa alquanto difficile visto che, l’ultima
fermata prima di giungere a
scuola, fosse la sua – ovviamente erano tutti occupati e,
come ogni volta,
avrebbe dovuto farsi venti minuti di autobus in piedi.
Solo
dopo qualche minuto si accorse che,
nell’ultima fila, c’era un posto vacante. Si
avvicinò furtivo a quel posto che
pareva essere occupato da uno zaino.
«Scusa,
posso?» disse al ragazzo che sedeva
vicino al finestrino e vi guardava attraverso. Questi si
girò velocemente e,
sorridendogli, spostò il suo zaino mettendolo sulle gambe.
«Grazie
mille.»
Si
accomodò al proprio posto e prese a godersi
il ritornello della canzone successiva.
*
La
sua fermata era un po’ prima del capolinea.
Scendeva sempre al bar a due isolati dalla scuola. Lì
avrebbe incontrato il suo
migliore amico, Minho e avrebbero proseguito assieme.
Prenotò
la fermata pigiando l’apposito
pulsante. Si alzò dal proprio posto e si diresse verso gli
sportelli centrali.
Qualche istante dopo si ritrovò davanti al bar.
Proseguì
qualche metro prima di incontrare il
suo migliore amico.
«Ehi
Tom. Ti aspettavo cinque minuti fa.
D’altronde non è una novità il tuo
ritardo.»
«Vaffanculo
Minho.» disse Thomas, tirando un
pugno sulla spalla dell’amico asiatico. Minho si
lamentò massaggiandosi la
parte colpita.
«Auch!
Ma che sei scemo? Mi hai fatto male.»
disse continuando a massaggiarsi. Thomas gli fece il verso, colpendolo
di
nuovo; questa volta in maniera più lieve.
Minho
e Thomas non andavano in classe assieme.
Erano amici d’infanzia e i genitori lo erano stati a loro
volta. Erano
cresciuti praticamente insieme. Trascorsero assieme solo i primi due
anni di
liceo, dopodiché ognuno prese un indirizzo differente; ma
ciò non stette a
significare la fine di un’amicizia così duratura,
anzi, questo influì ancor di
più sul loro legame. Erano davvero inseparabili.
«Ti
ho preso un donuts, sapendo che non avresti
fatto colazione.» disse Minho porgendo a Thomas un sacchetto
di carta contente
un donuts al caramello. Il ragazzo lo aprì velocemente e lo
divorò in tre
morsi. Aveva ancora tanta fame.
«Gvaffie.
Fei un vevo amifo» disse con la bocca strapiena.
Briciole di donuts
fuoriuscivano da essa. Minho fece un’espressione disgustata.
«Dio
Thomas, sei un animale quando mangi.
Chiudi quella fogna.» Minho restò a fissarlo
schifato fin quando non divorò del
tutto quel donuts. Forse sarebbe stato meglio non comprarglielo. Tra
l’altro,
dove metteva tutte quelle calorie?
«Se
qualcuno mangiasse come mangi tu, credo
rotolerebbe piuttosto che camminare.»
Thomas
fece uno sguardo saccente e mise il
braccio attorno alla spalla dell’amico. Guardò
l’orologio. Era già in ritardo
di cinque minuti.
«Merda
Minho. È tardi.»
I
due amici si scambiarono un’occhiata
disperata. Iniziarono a correre. Non era la classica giornata di
Thomas, se non
iniziava con una sana maratona.
*
Qualche
minuto dopo, i due amici si salutarono
a volo. La classe di Minho era praticamente una delle prime; quella di
Tom,
invece, una delle ultime. Dovette fare lo slalom fra gli studenti per
poter
raggiungere la sua aula. Fu piuttosto bravo a schivarne tre, o quattro.
Al
quinto non fu così fortunato.
Un
ragazzo sbucò all’improvviso venendo
travolto completamente. Entrambi caddero a terra. I libri si sparsero
per gran
parte del pavimento e alcuni fogli cominciarono a volare.
«Sei
impazzito? Potevi ammazzarmi.» disse il
ragazzo moro alzandosi in piedi e cercando di raccogliere i libri
sparsi in
terra. Thomas imbarazzato, cercò di prendere sia i suoi che
quelli del ragazzo,
sedendosi sulle ginocchia.
«Dio
perdonami. Sono in ritardo.» disse poi
Thomas porgendo i fogli e i libri.
«Grazie…a
dire la verità anche io sto cercando
la mia…aspetta un attimo.» Solo dopo alcuni
istanti, il moro capì di aver già
visto quel ragazzo. «Eri sul pullman stamattina o
sbaglio?»
«Sì…oh,
sei il ragazzo che mi ha fatto sedere.
Sei stato molto gentile. Sei nuovo di qui?»
Il
moro si portò i libri sotto il braccio e si
aggiustò un ciuffo ribelle che fuoriusciva dal suo cappello
bordeaux. Annuì. Lo
scontro tra i due era già un lontano ricordo.
«Sto
cercando la 5^ A indirizzo programmatori.»
Thomas
ebbe un tuffo al cuore.
«È
anche la mia classe. Seguimi che ti
accompagno.» gli fece un sorriso smagliante e il moro
ricambiò.
«Comunque,
mi chiamo Dylan. Dylan O’Brien.»
disse il moro porgendogli la mano. Thomas
l’afferrò sicuro di sé e la strinse
forte.
«Thomas
Sangster, ma chiamami Tom o Tommy, se
preferisci.»
«Va
bene, Tommy.»
disse Dylan dandogli una leggera-ma-non-tanto pacca sulla spalla.
Un
lieve sfarfallio gli partì dallo stomaco.
Tommy. Perché proprio Tommy? Si grattò il capo ed
abbassò lo sguardo sorridendo
leggermente impacciato. Non dissero nulla per i restati venti metri
prima di
arrivare alla porta della loro aula. Ovviamente era chiusa. Thomas
poggiò
l’orecchio su di essa è sentì il
professore fare l’appello.
Bussò
ed aprì. Il signor Gregory Brown, ovvero
il professore di matematica, si interruppe e si voltò verso
i due ragazzi
ritardatari. Si portò gli occhiali sulla punta del naso e
gli squadrò da capo a
piedi.
«Sangster!
Anche il primo giorno di scuola lei
è riuscito a fare ritardo. Mi domando quando lei si
deciderà a mettere la
sveglia almeno mezz’ora prima.» ovviamente tutta la
classe si mise a ridere.
Thomas, imbarazzato, si grattò la nuca e si
guardò la punta delle sue All
Stars nere.
«Prof,
non credo lo farò mai. Amo dormire.»
«Chi
dorme non piglia pesci, Sangster…oh…lei
deve essere il nuovo acquisto…il
signor…» l’uomo sulla quarantina rivolse
nuovamente lo sguardo verso il registro e scorse lungo
l’elenco numerato. «…O’Brien,
giusto?»
Dylan
si sistemò lo zaino sulla spalla ed
annuì. Sì, prof. Mi chiamo Dylan
O’Brien.
«Sì,
d’accordo. Guardate, sono rimasti due
posti liberi nella terza fila. Sedetevi lì.» il
professore indicò con lo
sguardo i posti vacanti. I due ragazzi si fecero spazio fra i banchi e
le
cartelle gettate in terra fino a raggiungere i due posti liberi.
«Dove
eravamo rimasti? Ah,
sì…l’appello…visto
l’interruzione del nostro caro compagno di classe, Sangster,
ricominciamo.» Thomas
sentì addosso lo sguardo di tutti. Maledisse il professor
Brown in tutti i
modi.
«Ho
capito che non vai molto a genio a questo
professore.» bisbigliò Dylan, sorridendo beffardo.
Thomas gli diede una leggera
gomitata sul fianco.
«Non
vado a genio al 90% dei professori, in
generale.»
Dylan
cercò di soffocare le sue risate
dimodoché non venissero sorpresi a far comunella
già da subito. Gli era davvero
tanto simpatico. Forse aveva trovato un nuovo amico.
*
Fortunatamente
il momento dell’intervallo
arrivò molto in fretta. Thomas afferrò il suo
zaino ed andò in cortile, seguito
da Rachele e un’altra ragazza riccia; presumibilmente una sua
amica. Thomas non
l’aveva mai vista. L’anno precedente non era in
classe con loro.
Dylan
restò leggermente in disparte. Non voleva
accollarsi fin da subito ad un ragazzo che nemmeno conosceva, anche se
non
avrebbe mai voluto restare solo. Cercò con lo sguardo Thomas
e, fortunatamente,
si accorse di lui. Alzò il braccio destro e gli fece cenno
di venire.
«Certo
che…è davvero carino il ragazzo seduto
accanto a te, Tom. Quasi ti invidio.» disse Rachele
sottovoce. «…è uno strafigo
da paura.» aggiunse poi l’altra ragazza. A Thomas
parve si chiamasse Nancy.
«Ragazze,
volete piantarla? Ho capito che siete
invidiose che mi sieda accanto ad uno gnocco come lui.»
Thomas rise sotto i
baffi. Le due ragazze non ebbero il tempo di controbattere
perché Dylan sbucò
dietro di loro.
*
Thomas
addentò il suo panino e parlava
contemporaneamente con il suo migliore amico Minho. Gli
presentò Thomas. Tra i
due ci fu subito simpatia. Del resto, tutti andavano
d’accordo con Minho.
«…e
quindi…tu di dove sei, Dylan?» fece Thomas,
mordendo ancora una volta il panino preso dal distributore automatico.
«Sono
di Springfield, in New Jersey. Mi sono
trasferito qui in California per la mia ragazza. Va alla Loyola
Marymount University. È un anno più
grande di me. Si chiama
Emma. Se oggi viene a prendermi, ve la faccio conoscere.»
Sia
Minho che Thomas restarono sbalorditi.
Quella era una delle più prestigiose università
di Hermosa Beach. Doveva essere
piuttosto ricca. Omisero di dirlo. Si complimentarono semplicemente.
Okay
Thomas, Dylan è
dichiaratamente etero. Non hai speranze.
Pensò
Thomas fra sé e sé. Rise da solo. Era
davvero stupido certe volte. Diciamo che lui non l’aveva
ancora detto a
nessuno, nemmeno ai suoi genitori. Solo il suo migliore amico lo
sapeva, e le
cose dovevano restare così.
*
Quando
suonò la campanella, uno stridio
assordante di banchi e sedie invase tutta l’aula. Thomas e
Dylan si alzarono
con la stessa rapidità con cui lo fecero i loro compagni di
classe. Dylan
afferrò il suo zaino e se lo mise in spalla, così
fece anche Thomas.
«…e
quindi…sei un vero e proprio secchione eh?»
disse Thomas sorridendo e cercando di schiavare gli animali delle prime
classi.
Sembravano una mandria impazzita.
Dylan
non rispose. Sorrise imbarazzato.
«Diciamo
di sì, dai. Tutto merito di Emma. Lei
è davvero un genio. La maggior parte delle cose che so me le
ha insegnate lei.»
«Devi
esserne davvero molto innamorato…»
Dylan
non rispose, scrollò le spalle e sospirò.
«Sì,
è importante per me…non mi sarei
trasferito qui altrimenti, ma a volte ci sono alti e bassi...»
Thomas
storse leggermente le labbra e mugugnò
qualcosa.
«Non
ho mai avuto una ragazza, ma credo che sia
normale avere degli alti e bassi in una coppia, vero?»
«Sì…credo
di sì.»
Thomas
preferì non aggiungere altro. Ancora
qualche altro metro e si trovarono fuori dalla scuola. Minho li stava
aspettando davanti l’ingresso.
«Ehi
ragazzi, ci avete messo un po’ eh.» disse
il ragazzo dando una pacca sulla spalla ad entrambi.
«Minho,
la tua classe è praticamente in culo
all’ingresso. La nostra è dall’altra
parte del pianeta.» scherzò Thomas. Dylan
sorrise e cominciò a scendere le scale.
«Oh,
ragazzi…c’è Emma. Venite che ve la
presento.»
Ad
aspettarlo davanti l’ingresso, c’era una
bellissima ragazza bionda, semplice, acqua e sapone. Aveva un leggero
rossetto
color salmone, un filo di trucco sugli occhi. Indossava una camicetta
bianca e
un capotto nero lungo fino al ginocchio. In mano portava dei libri
piuttosto
tosti. Fisica quantistica. Appena
vide Dylan, il suo viso si dipinse di un meraviglioso sorriso. Era
davvero
molto bella.
«Ehi,
amore!» disse la bionda, andando incontro
al suo fidanzato. Dylan non rispose. L’abbracciò e
le diede un leggero bacio
sulle labbra.
«Emma,
ti presento i miei nuovi amici. Thomas e
Minho. Thomas è il mio compagno di banco.» Emma
rivolse lo sguardo prima su
Thomas e poi su Minho e sorrise compiaciuta.
«Sono
felice che abbiate fatto amicizia con
Dylan. Era davvero terrorizzato all’idea di cambiare
città. Per fortuna è
andata bene.»
«Sì,
ho conosciuto Thomas perché mi ha
letteralmente investito nel corridoio.» scoppiarono a ridere
entrambi.
«Era
proprio necessario farlo sapere?» disse
Thomas divertito. I due si scambiarono un’occhiata
d’intesa. Sentì una morsa
allo stomaco. Decise subito di distogliere lo sguardo dai suoi occhi.
«Beh
ragazzi, io vado. Ci vediamo domani.
Thomas, a proposito, dove prendi il pullman? Magari possiamo prenderlo
assieme.»
Non
appena disse così, Thomas sentì un fuoco
accendersi dentro di sé. Giurò di essere
diventato paonazzo perché sentiva del
calore fuoriuscire dalle sue guance. Minho lo guardò e gli
dette una gomitata
sul fianco.
«Eh?
Cosa? Oh, sì… certo. Magari mi tieni il
posto.» disse ridendo, sperando che Dylan non si fosse
accorto della sua
reazione.
«Perfetto.
Allora ci vediamo domani. Ciao
ragazzi.»
«Ciao!»
Emma agitò la mano e sorrise. I due
dettero le spalle ai ragazzi e si diressero verso l’auto.
Thomas
si morse il labbro e sospirò, chinando
il capo e guardandosi la punta delle scarpe. Si mise le mani in tasca e
scalciò
un sassolino ad un paio di metri da lui.
«Tom,
cosa c’è?» disse l’amico
mettendogli una
mano sulla spalla. Non occorreva nemmeno che Thomas gli desse una
risposta. Minho
la sapeva già, ma parlò ugualmente.
«Se
conosci già la mia risposta, perché me lo
chiedi?»
«Speravo
che mi stessi sbagliando. A quanto
pare non è così, vero?»
«No,
Minho. Credo di essermi preso una bella
cotta per il nuovo arrivato.»
Quattro
mesi dopo
«Fanculo.
Cazzo. Non ci voleva.» Thomas imprecò
in silenzio fissando il compito di chimica.
«Ehi
Tommy, è andato male?» disse Dylan
cercando di sbirciare il compito del suo migliore amico. Thomas si
spalmò sul
banco cercando di coprire quell’obbrobrio.
«No,
è andato talmente bene che non voglio
farlo sapere a nessuno.» disse sarcasticamente. Avrebbe
voluto appallottolarlo
e ingoiarselo. Se solo avesse potuto farlo.
«Insomma,
Tommy, non può essere andata così
male. Guarda, ti faccio vedere anche il mio. Ho preso una A-»
Thomas,
prima col capo chino sul banco, lo alzò
con un’estrema lentezza e lo carbonizzò con lo
sguardo.
«Spero
tu mi stia prendendo per il culo, Dyl.
Ho preso una fottutissima F. Capisci? Una cazzo di F. Questo vuol dire
che sono
una totale capra in chimica. Una capra.» sbatté di
proposito la testa sul banco
e ripeté altre tre volte di essere una capra.
«Andiamo
Tommy, la F si può recuperare con
un’interrogazione.»
«Che
è anche peggio di una merdosa verifica.
Non recupererò mai e quella stronza mi boccerà.
Così mi toccherà ripetere
l’anno.»
Si
mise le mani nei capelli. Aveva voglia di
piangere. L’anno non era iniziato affatto bene, come tutti
gli altri anni, del
resto. Con la sola differenza che questo, era quello decisivo. Avrebbe
dovuto
diplomarsi. Avrebbe…
Dylan,
vedendolo in quello stato, si dispiacque
parecchio. Storse le labbra e gli poggiò una mano sulla
spalla.
«Se
vuoi possiamo studiare assieme.»
In
quel momento Thomas ebbe nuovamente quella
fitta allo stomaco che ebbe il primo giorno in cui il suo sguardo
incontrò
quello dell’amico; ormai erano frequenti da quando lo
conosceva. Alzò il capo e
cercò di asciugarsi gli occhi prima che si accorgesse che
stava piangendo.
«C-come?
Scusa Dyl, ma non studi con Emma?»
Dylan
chinò il capo e sorrise, scuotendo
leggermente la testa.
«Diciamo
che io ed Emma stiamo affrontando un
periodo un po’ no. Lei è molto presa dai suoi
studi. Ci stiamo vedendo
praticamente… mai.»
Thomas
notò che Dylan era davvero affranto ed
amareggiato per quanto gli avesse appena detto. Avrebbe tanto voluto
abbracciarlo e dirgli che poteva contare su di lui; ma non lo fece,
anche
perché Dylan già lo sapeva.
«Io
spero davvero che riusciate a risolvere
questa situazione. Io non sono mai stato fidanzato, quindi forse sono
l’ultima
persona al quale puoi chiedere consiglio.» disse Thomas in
maniera sarcastica
dando una gomitata sul fianco dell’amico. «Puoi
sempre chiedere a Minho, lui sì
che capisce le donne. È fidanzato
dall’età della pietra.»
Dylan
sorrise. Thomas si sentì morire.
Devo
imparare a
controllare un po’ di più le mie emozioni.
Giurò
di essere arrossito. Sperò che Dylan non
se ne fosse accorto.
«…quindi
facciamo oggi da me alle cinque in
punto?» disse poi secco Dylan. Thomas non rispose,
annuì semplicemente.
*
Finalmente
il suono della campanella annunciò
la fine delle lezioni. Sia Thomas che Dylan si alzarono dai propri
posti
facendo stridere la sedia precipitandosi nel corridoio. Come sempre,
Minho era
lì ad aspettarli.
«Ehi
amico» Dylan gli andò incontro e gli diede
una pacca sulla spalla. «Thomas mi ha detto che capisci le
donne. Bene, ho
davvero bisogno del tuo aiuto.»
Il
ragazzo coreano scrollò le spalle e fece
un’espressione soddisfatta.
«Modestamente,
tutti hanno bisogno del mio
aiuto quando si tratta di capire una donna. Certo pivello, sono a tua
disposizione.»
Lo
ringraziò e, come ogni giorno, difronte
l’entrata della scuola, si salutarono. Dylan appena
uscì, cercò invano tra i
volti degli studenti, quello della sua ragazza. Non c’era
nemmeno questa volta.
Il suo sguardo era perso nel vuoto. Gli occhi lucidi e sofferenti.
Sospirò e
abbassò il capo.
«Qualcosa
non va?» chiese poi Thomas
sistemandosi lo zaino sulla spalla destra. Lui scosse la testa e disse
che
andava tutto bene.
«Ti
aspetto a casa mia alle cinque, okay? A
dopo, amico.»
Non
gli diede il tempo di rispondere. Sparì tra
la folla.
«…a
dopo…Dyl.»
*
Era
la prima volta dall’inizio della scuola che
Dylan l’aveva invitato a casa sua per studiare assieme. Non
sapeva né come
fosse fatta, né che aspetto avessero i suoi genitori.
Seppure fossero ottimi
amici, Thomas non si era mai preso la libertà di
autoinvitarsi a casa sua,
soprattutto perché sapeva benissimo che Dylan studiasse
assieme ad Emma, almeno
fino a quel momento.
Non
sapeva davvero come comportarsi. Non era
molto distante da casa sua. Decise di andarci a piedi.
«Dove
vai Tom?» domandò sua madre facendo
capolino dal bagno.
«Vado
a studiare chimica a casa di Dylan. Devo
recuperare assolutamente quella F. Spero di tornare per
cena.»
Chiuse
la porta della sua stanza e si diresse
verso le scale.
«Tom?»
lo chiamò di nuovo. Lui si fermò sulle
scale e si voltò a guardarla, sospirando. Non disse nulla
per qualche istante,
restò a fissarlo amorevolmente e, al contempo, con aria
dispiaciuta, di
compassione. «Sarò sempre orgogliosa di avere un
figlio come te, tesoro. Sono
certa che Dylan ti aiuterà a recuperare quella F.»
Thomas sorrise frustato e le
mandò un bacio volante. Uscì.
Stava
percorrendo a passo svelto la via con il
capo chino. Le mani in tasca. Dylan non gli aveva detto di portare
né un quaderno,
né una penna. Avrebbe dovuto forse? Stava torturandosi il
labbro inferiore.
Avrebbe tanto voluto fumare dieci sigarette in una sola volta, ma si
era
promesso di non farlo. In strada non c’era molta gente.
Dylan
gli aveva detto che abitava proprio di
fronte il supermercato. Lui lo conosceva molto bene. Sua mamma lo
mandava molto
spesso a fare la spesa lì. Non gli ci volle molto ad
arrivarci. Distava circa
dieci minuti a piedi.
Si
ritrovò di fronte una villetta con un
cancello di ferro battuto di colore nero. Grande. Circondato da aiuole
di
piccole margherite bianche. Camomille, forse. La villetta era sistemata
su due
piani, non molto grande all’apparenza, ma molto accogliete.
Guardò la buca
delle lettere. O’Brien. Sì. Quella era la casa di
Dylan. Diede un’occhiata
all’orologio. Segnava le 16:25.
«Merda,
sono largamente in anticipo. Mi
torturerò per mezz’ora. Dannazione.»
imprecò alzando gli occhi al cielo. Si
sfregò le mani sui jeans chiari. Decise di farsi un giro
dell’isolato per
ammazzare il tempo quando gli arrivò un messaggio. Era
Dylan.
Guarda
che ti ho
visto, idiota. Inutile che aspetti fuori. Entra. Ti ho aperto il
cancello.
Giurò
di essere diventato dello stesso colore
delle tegole del tetto della sua villetta. Rosso acceso.
Deglutì a fatica e si
avvicinò al cancello automatico che, nel frattempo, si stava
aprendo. Si guardò
attorno con aria disorientata fin quando Dylan non lo accolse, aprendo
la porta.
«Ciao,
Tommy. Sapevo che saresti arrivato in
anticipo, così mi sono messo ad aspettare davanti la
finestra. Anzi…» guardò
l’orologio. «Pensavo arrivassi dieci minuti
fa.» sorrise, dando una pacca
amichevole sulla sua schiena. Thomas deglutì imbarazzato e
ricambiò il sorriso.
«Non
ho portato praticamente un cazzo. Né un
quaderno, né una penna. Sono un povero disgraziato, lo
so.»
«Avevo
immaginato anche questo, Tommy. Ti
conosco meglio di chiunque altro, amico.»
No,
Dyl. Non credo
proprio.
«Non
c’è nessuno a casa, fortunatamente. I miei
genitori sono dai miei nonni in Irlanda. Non torneranno prima di
dopodomani
sera.»
A
quel punto Thomas sentì un fuoco accendersi
dentro il proprio stomaco, scatenando un vero e proprio incendio.
Cominciò a
sudare freddo e ad agitarsi.
Mantieni
la calma.
Non dare nell’occhio.
Fece
un respiro profondo nella sua mente per
poter allentare la tensione.
«Okay,
Dyl. Non perdiamo tempo allora. Sono
pronto a farmi il culo.» si sfregò le mani e ci
sputò immaginariamente sopra.
«Andiamo
in camera mia.»
Collasso
fra
tre…due…uno…SBAM. Morto.
*
Era
circa un’ora e mezza che stavano studiando e
ripassando tutto il programma che aveva fatto dall’inizio
dell’anno fino a quel
momento. La testa di Thomas stava letteralmente esplodendo. Vedeva
formule
anche sui muri.
«Quindi
aspetta…» disse Thomas fissando la formula
dell’acido acetico. «Nell’acido
acetico
CH3COOH, la lunghezza del doppio legame C=O (121,4 pm) e del singolo
legame
C-OH (136,4
pm) e l’angolo di legame O=C-OH (116°) sono
compatibili con un’ibridazione sp2
del carbonio centrale lievemente deformata. Giusto?»
Dylan
non rispose. Annuì. «Okay, ma non ho
capito un cazzo di come ci si arriva. Cioè, che cosa sono
tutte queste formule?
Cos’è la teoria di valenza VB? Dio mio, Dyl. Non
sto capendo un cazzo. Ho solo
imparato a memoria. Porca puttana se vengo bocciato
quest’anno, sono fottuto.»
Prese
il foglio sul quale aveva appena scritto
la formula e lo stracciò in mille pezzi. «Non sono
un cazzo di genio come te e
la tua perfetta fidanzata. Sono un povero ignorante incapace di fare
anche due
più due senza calcolatrice. Non ce la faccio, Dyl. Non ce la
faccio.»
Si
afferrò la testa con le mani e strinse forte
i capelli. Scoppiò a piangere involontariamente. Si
sentì molto imbarazzato.
«Ehi
idiota, ma cosa fai? Smettila di piangere.»
Dylan lo scosse leggermente e chiuse i libri. «Piangere non
serve a niente,
nella vita. Avanti, Tommy. Esci le palle e affronta questa cazzo di
materia.»
Thomas
non lo ascoltò. Continuò a piangere. Il
motivo non era realmente quello. Stava dando sfogo al nervosismo e alla
tensione che aveva accumulato nel corso di questi mesi. Nascondere la
propria
omosessualità e ciò che provava nei suoi
confronti, lo stava lacerando dentro.
Non era davvero chimica il motivo. Quella l’avrebbe
recuperata in qualsiasi
momento.
«Non
capisci, Dyl. Non capisci.» iniziò a
singhiozzare. Dylan iniziò a sentirsi a disagio. Non sapeva
né cosa fare, né
come comportarsi.
«Cosa,
Tommy? Cosa non capisco?»
«Non
è questa materia il problema. Non è la
scuola il problema. Non è quella cazzo di F il vero
problema.»
Alzò
il capo e si strofinò gli occhi con la
manica della maglia. Erano gonfi ed umidi. Lo stava fissando dritto
negli
occhi, cercando di non cedere. Non doveva
cedere.
«Parlami,
Tommy. Qual è il tuo problema. Sei il
mio migliore amico. Lo sai che puoi contare su di me.» lo
prese per le spalle e
lo scrollò leggermente, reggendo il suo sguardo.
«Non potrei mai e poi mai
giudicarti, intesi?»
Thomas
volse la propria attenzione altrove,
scuotendo la testa.
«No,
Dylan. Non capiresti. Non puoi capirlo.
Solo Minho lo sa.»
«Almeno
provaci, no? Cosa ci può essere di così
tanto grave da farti stare così maledettamente
male?»
Sospirò.
Cosa avrebbe comportato se lo avesse
detto? Cosa avrebbe fatto Dylan se solo avesse saputo che aveva una
cotta per
lui? Che provava qualcosa per lui diversa dall’amicizia?
«Dyl…se
io ti dicessi quello che ho da dirti,
ti perderei. Non voglio questo.»
«Ti
sei portato a letto Emma? Hai scopato con
Emma?»
Thomas
urlò un ‘no’. Giurò che anche
i vicini
l’avessero sentito.
«Non
mi permetterei mai di fare una cosa del
genere.» le mani presero a tremare. Stava per esplodere.
L’avrebbe fatto.
L’avrebbe fatto eccome. Infischiandosene di ciò
che sarebbe accaduto dopo.
«Promettimi
che resterai mio amico. Qualsiasi
cosa io stia per dirti o fare, promettimelo.»
Dylan
non capiva. Cosa poteva esserci di così
brutto? Ad ogni modo, gli promise che non si sarebbe arrabbiato. Che
sarebbe
restato suo amico.
Thomas
prese coraggio, ma non riusciva a
parlare. Era bloccato dalla paura che Dylan potesse sparire dalla sua
vita. Ma
come poteva andare avanti in quel modo? Doveva dirglielo o
l’avrebbe scoperto
comunque.
«Dyl…quello
che voglio dirti è che…io…Cristo
santo…» non terminò la frase.
Improvvisamente lo afferrò dal viso con entrambe
le mani e lo baciò. Lo baciò con tutta la forza
che aveva in corpo. Fu quasi un
bacio violento. Aveva gli occhi serrati e il cuore gli esplodeva.
Temeva che da
un momento all’altro gli fosse uscito dal petto. Aveva paura
di staccarsi.
Aveva paura di affrontare i suoi occhi. Non riusciva a vedere Dylan.
Non voleva
vederlo. D’un tratto però…
«Ma
cosa cazzo stai facendo?» Dylan si staccò,
spingendolo dalle spalle con entrambe le mani. Si pulì con
il dorso le labbra.
«Sei
impazzito? Cosa cazzo ti passa per la
mente?»
«Era
quello che stavo provando a dirti. Non
riuscivo a trovare le parole per dirtelo.»
«E
mi baci? Che cazzo dovrei capire con un
bacio? Che sei un frocio?»
Quella
parola lo colpì peggio di un pugno in
pieno volto. Peggio di una sprangata di ferro sulla schiena. Peggio di
un
calcio nel fianco. Dylan non avrebbe mai capito.
«No,
razza di idiota. Non me ne vado in giro a
baciare la gente così a casaccio. Volevo solo cercare di
dirti che sono
innamorato di te. Dal primo momento che ti ho guardato negli occhi. Dal
primo
momento che sono salito su quel maledettissimo autobus. Mi stavo
torturando. Ho
avuto il coraggio di dirlo solo a Minho. Nemmeno ai miei genitori. Sai
cosa
vuol dire?»
Dylan
andò per parlare, ma Thomas lo zittì.
«No,
anzi. Non lo voglio sapere. Non voglio
sentirti parlare. Pensavo che capissi. Pensavo che fossi leggermente
più
intelligente. Mi sbagliavo. Essere intelligente non vuol dire prendere
tutte A
o saper fare i calcoli a mente o altre minchiate di questo genere.
Essere
intelligenti vuol dire anche riflettere prima di parlare, di vedere il
mondo
con occhi differenti. Pensavo fossi diverso, Dyl. Mi sbagliavo. Adesso,
se non
ti dispiace, devo tornare a casa. Grazie per avermi dedicato del tuo
tempo
prezioso.»
Si
alzò dalla sedia e si diresse verso la porta
d’ingresso. Non si aspettò nemmeno che Dylan lo
accompagnasse alla porta.
Infatti restò lì, fermo, con lo sguardo nel
vuoto, a pensare a ciò che gli
fosse appena accaduto.
*
«Glielo
hai detto?»
L’espressione
di Minho era sorpresa. Restò con
la bocca semi aperta e gli occhi sgranati quando l’amico gli
disse che aveva
fatto il coming-out con Dylan.
«Non
gliel’ho proprio detto. L’ho baciato. Non
riuscivo a trovare le parole adatte. È stato più
forte di me, Minho.»
«Porca
puttana.» esternò poi il coreano. Si
portò entrambe le mani sul capo, stringendosi i capelli e
fissando incredulo
Thomas.
«Lui
ovviamente non ha reagito bene. Pensavo
capisse, Minho. Sono rimasto davvero deluso.»
«Anche
io sono rimasto allibito quando mi hai
confessato di essere gay e ancor di più quando mi hai detto
di esserti
innamorato di Dylan. Non è facile amico innamorarsi di un
etero se…insomma…dai
mi hai capito.»
Thomas
non rispose. Annuì. Non era affatto una
bella situazione. Stranamente quella mattina arrivò
puntuale, forse perché non
voleva trovarsi in pullman con Dylan; anzi, si sarebbe fatto cambiare
anche di
posto. Gli andava bene chiunque. Chiunque purché non lui.
«Sarà
meglio entrare. Voglio che quando arriva
deve trovare il mio posto vuoto. Deve capire che non voglio parlargli
mai più.
Mi metterò ai primi banchi, dimodoché non possa
vederlo. Mi ha ferito tanto.»
Minho
non rispose. Gli diede una pacca
amichevole sulla spalla e si sistemò lo zaino.
Successivamente entrarono a
scuola, pronti per una nuova e stancate giornata. Fortunatamente era
venerdì.
L’indomani sarebbero rimasti a casa.
*
Come
aveva detto a Minho, Thomas cambiò posto,
mettendosi due file più avanti. Ovviamente, non appena Dylan
varcò la soglia
dell’aula, rimase sconcertato da un atto così
drastico. Thomas non si degnò
nemmeno di guardarlo. Restò a fissare la lavagna ancora
pulita. Come immaginava
però, tutti i suoi compagni di classe iniziarono a riempirlo
di domande. Lui
non rispose a nessuna di queste. Li liquidò ringhiando
‘taci’ ad ognuno di
loro.
Dylan
si lasciò cadere pesantemente sulla
sedia, spalmandosi contro la spalliera e lasciando molli le gambe,
dritte sotto
il banco con le punte delle scarpe puntate verso l’esterno.
Fissò il posto
accanto a sé, ora occupato dal suo zaino. Sbuffò
e si lasciò cadere sul banco,
coprendosi il capo con le mani. Non aveva chiuso occhio. Aveva
rimuginato tutta
la notte sul comportamento che aveva assunto nei confronti del suo
migliore
amico e, per giunta, era stato scaricato da Emma. Non aveva alcuna
voglia di
presentarsi a scuola, quel giorno; ma restare solo a casa, non avrebbe
fatto
altro che peggiorare la situazione. Quella sarebbe stata la giornata
più lunga
della sua vita, ma avrebbe dovuto trovare il coraggio per parlare con
Thomas.
Non poteva perderlo. Non lui.
*
La
campanella annunciò l’intervallo e tutti si
precipitarono nel cortile come se quel suono avesse appena annunciato
lo
scoppio di un incendio. Tutti uscirono dall’aula, fatta
eccezione di Thomas e
Dylan.
Dylan
restò a fissare le spalle dell’amico che
si alzavano e abbassavano regolarmente e lentamente. Stava scrivendo
qualcosa.
Sperò fino all’ultimo che si girasse verso di lui,
almeno per un saluto. Thomas
sapeva che non era il solo ad essere rimasto in aula.
Il
moro quindi prese un respiro profondo e si alzò,
andandogli incontro. Le gambe gli tremavano e il cuore gli esplodeva
fuori dal
petto. Era più agitato di quando chiese ad Emma di
fidanzarsi.
Quando
gli fu davanti, Thomas non alzò lo
sguardo dal foglio. Continuava a scrivere.
«Tommy?»
lo chiamò piano, ma questi non rispose. Lo ignorò
totalmente. «Tommy, ho
bisogno di parlarti. Per favore. Non ignorarmi.» nessuna
risposta.
Dylan
decise quindi di accovacciarsi dimodoché
potesse incrociare il suo sguardo una volta che Thomas si fosse deciso
a
rispondergli. Posò le braccia sul banco e poggiò
il mento sulle mani. Era seduto
sulle punte dei piedi.
«Non
mi muovo di qui fin quando non ti decidi a
parlarmi.»
«Sparisci,
Dylan. Sto facendo una cosa
importante.» sussurrò Thomas senza mai guardarlo
negli occhi.
«Io
non mi muovo di qui, Tommy.»
Thomas
sbatté la penna sul banco e finalmente
si degnò di guardarlo negli occhi. Entrambi si fissarono per
un periodo
infinito senza dire niente. L’unico suono che si udiva in
quel momento era il
loro respiro.
«Cosa
diamine vuoi? Ti ho già detto abbastanza
ieri, anzi, forse anche troppo. Adesso se non ti dispiace devo finire
questo
cazzo di problema di matematica perché la prossima ora ho
un’interrogazione.»
ringhiò poi, riprendendo la penna in mano e cominciando a
scrivere.
«Perché
non torni al tuo posto, Tom? Posso
aiutarti io, se vuoi.»
«Non
mi serve il tuo cazzo di aiuto.» lo
sguardo fisso sul foglio. Iniziò a scrivere con nervosismo.
«E se non te ne
fossi accorto, io sono al mio posto. Sarà meglio che tu
torni al tuo, invece.
Oppure va a goderti l’aria fresca nel cortile.»
«Sono
stato scaricato da Emma, ieri sera.»
Improvvisamente
si fermò, smettendo di scrivere
in maniera nevrotica sul quel foglio a quadretti. Continuò a
tenere fissi gli
occhi su di esso. Poi sospirò e riprese a scrivere.
«Forse
si è resa anche lei di quanto fossi
stronzo ed insensibile. Ha fatto bene.»
In
quel momento il cuore di Dylan si fermò.
Sentì una morsa allo stomaco come se non mangiasse da
chissà quante settimane.
Si sentiva male. Voleva vomitare. Non aggiunse altro. Si
alzò di scatto ed uscì
dall’aula, sbattendo la porta.
Fu
quando restò solo che Thomas posò la penna,
alzando lo sguardo e volgendolo verso la porta chiusa.
Scoppiò a piangere.
Era
passata un’interminabile settimana da
quando Thomas si era dichiarato al suo ormai ex migliore amico. Non si
parlarono più da quella volta in classe. Sentiva
maledettamente la sua
mancanza, ma non l’avrebbe mai ammesso. Minho aveva cercato
in tutti i modi di
farli riappacificare, di farli parlare, organizzando persino un
incontro al
buio ma, una volta giunti sul posto, entrambi si voltarono prendendo
poi strade
differenti, lasciando Minho da solo.
«Perché
continui a non parlargli, Tom. Lo vedi
come sta male? Non ha nessuno se non noi due.»
«Non
me ne frega assolutamente nulla.»
«Non
puoi negare che ti manca.»
Thomas
non rispose. Eccome se gli mancava. Gli
mancava come l’aria che respirava. Niente aveva
più senso, senza il suo amico accanto.
Dylan era diventato in pochissimo tempo la sua spalla, la sua roccia e,
per la
sua idiozia, l’avevo perso.
«Non
voglio parlargli mai più, Minho e ti prego
non insistere.»
Minho
alzò le mani in segno di arresa, chinando
il capo. Non aggiunse altro ed entrò nella sua classe.
Thomas alzò gli occhi al
cielo e sospirò. Aveva ripreso a fumare da quando non
parlava più con lui. Si
mise le mani in tasca e si diresse verso l’aula. Aveva
l’interrogazione di
chimica.
«Allora
Sangster, parlami della chimica organica.»
la professoressa lo fissava con quegli occhi furbi ed ingigantiti da
quei
spessi occhiali a ‘culo di bottiglia’ –
come li aveva denominati lui – e
batteva in maniera nervosa la penna sulla cattedra. Le labbra serrate
in
un’espressione indispettita ed inacidita.
Thomas
deglutì. Doveva solo ricordarsi tutto
quello che Dylan gli aveva insegnato la settimana prima. Fece girare
gli occhi
rapidamente fra tutti i compagni di classe e, inevitabilmente, il suo
sguardo
si posò proprio su Dylan. Con sua immensa sorpresa,
notò che lo stava
osservando insistentemente. Cercava di spronarlo con gli occhi. Il suo
cuore
ebbe un tuffo, così come il suo stomaco.
«E
bene?» ripeté puntigliosa la professoressa.
Thomas
distolse immediatamente lo sguardo da
Dylan e lo rivolse nuovamente a quell’essere spregevole.
«Il termina "chimica organica" fa pensare ad un ramo
della
chimica che abbia a che fare con i composti presenti negli organismi
viventi:
in origine la chimica organica trattava infatti soltanto le sostanze
isolate da
questi organismi…Nel
corso degli anni
si notò che molti dei composti presenti nel mondo vegetale e
animale sono
costituiti nella maggior parte dei casi sempre dagli stessi elementi:
carbonio,
idrogeno, ossigeno, azoto e pochi altri. Praticamente il carbonio
è sempre
presente. Questo fatto portò così a considerare la chimica
organica come la chimica che studia il carbonio e i suoi composti…»
Mentre parlava in
maniera
scorrevole e sicura, teneva testa allo sguardo allibito e sbigottito
della
professoressa che, per il suo stupore, posò persino gli
occhiali sulla cattedra
dimodoché potesse osservarlo meglio. A Thomas si
riempì il petto d’orgoglio
vedendo che tutti furono sorpresi nel vederlo così
preparato. In maniera fugace
poi, fece scivolare lo sguardo verso Dylan. Stava sorridendo.
*
Finalmente
aveva preso una piena sufficienza. Una B
assolutamente meritata. Aveva
detto la professoressa. Quando andò al suo posto, non
poté fare a meno di
sorridere compiaciuto. Istintivamente si voltò verso Dylan e
gli sorrise, anche
lui lo fece. Poi però, si rese immediatamente conto che non
parlavano da una
settimana e quel sorriso svanì nel nulla.
«Professoressa,
dovrei andare in bagno.» disse
alzando il braccio. La professoressa gli diede l’assenso con
un cenno del capo.
Thomas si alzò ma, prima di uscire, volse il suo sguardo a
Dylan. Lui capì
immediatamente cose intendesse: seguimi.
«Prof,
non mi sento molto bene. Potrei uscire
un attimo.»
«Cosa
c’è O’Brien? È già
fuori Sangster.»
«Sì,
lo so…ma sa meglio di me quanto Thomas
stia fuori. È davvero urgente.» cercò
di fare un’espressione di dolore
mantenendosi la pancia.
«Okay,
O’Brien. Cinque minuti. Se vedi Sangster
fallo tornare.»
Non
se lo fece ripetere due volte. Si alzò dal
proprio posto e corse per i corridoi fino a raggiungere i bagni.
Aprì
la porta. Fortunatamente non c’era
nessuno. Solo lui. Era lì che l’aspettava seduto
sul marmo dei lavandini. Stava
dondolando le gambe e aveva lo sguardo fisso sulle mattonelle grigie
del
pavimento.
«Volevi
parlarmi?» disse Dylan trovando un po’
di coraggio. La sua voce era un flebile suono.
«Sì.
Chiudi la porta a chiave.» scese con un
balzo e si mise in piedi. Era ancora troppo lontano da lui. Dylan
così fece. Si
chiuse la porta alle spalle e dette un colpo alla sicura della porta.
«Scusami
per ciò che ti ho detto la scorsa
volta, sono stato davvero uno stronzo.» fece un passo verso
di lui e si fermò.
«Sì.
È stato piuttosto bastardo da parte tua,
ma anche io ho le mie colpe. Forse me lo sono meritato.»
balzò a terra e fece
un passo avanti.
«Mi
manchi, lo sai?» Thomas stavolta fece due
passi verso l’amico, l’aveva quasi del tutto
raggiunto.
«Anche
tu.» Dylan azzerò la distanza. Ora si
stavano fronteggiando. Si guardarono per un tempo indefinito. Il cuore
di
entrambi batteva all’impazzata.
«In
questa settimana mi sono reso conto di
quanto io sia stato un perfetto idiota, a non capirlo sin
dall’inizio. Solo ora
ho capito che mi hai sempre lanciato delle frecciatine, mi hai sempre
dato
degli indizi, ma sono sempre stato cieco…fino a quel momento
in cui mi hai
detto di essere innamorato di me. Solo in quel momento ho riavvolto il
nastro,
ricordando ogni cosa che abbiamo fatto assieme. Tommy, ci sei sempre
stato per
me.» gli tremavano la voce e le mani.
Thomas
non sapeva affatto cosa dire. Il suo
discorso gli aveva fatto dimenticare ogni cosa.
«Puoi
perdonare la mia ignoranza?»
Thomas
continuava a guardarlo dritto negli
occhi, cercando di non cedere alla tentazione di guardargli le labbra
ma,
sorprendentemente, Dylan lo batté sul tempo. Fece cadere per
una frazione di secondo
il suo sguardo sulle sue. Il biondo reagì
d’istinto. Gli afferrò con forza il
capo e lo baciò con prepotenza e, con suo immenso stupore,
Dylan rispose al
bacio.
Cominciò
a dominare su di lui, aprendogli le
labbra con la lingua. Il respiro di entrambi era pesante ed affannato.
Presero
a mordersi a vicenda. Entrambi avevano gli occhi chiusi e il cuore
pulsante.
Solo
dopo svariati minuti si staccarono per
poter riprendere fiato. Nessuno disse nulla. Si guardarono negli occhi.
«Tommy?»
disse poi Dylan, sospirando
affannosamente. Era senza respiro. Come se avesse corso per venti
chilometri senza
mai fermarsi.
Il
biondo non rispose. Aveva lo sguardo perso
nel vuoto. Non si sarebbe mai aspettato una reazione del genere da
parte sua.
Perché aveva risposto in quel modo al suo bacio?
«Tommy
stai bene?» Dylan gli accarezzò
delicatamente la guancia con il dorso della mano ma, sorprendentemente,
lui si
scansò.
«Scusa
Dyl. Io-io devo tornare in classe ora.»
aveva uno sguardo perso e confuso.
«Ehi,
cosa ti prende? Sei ancora arrabbiato con
me?» il moro l’afferrò per il polso
girandolo verso di sé prima che uscisse
fuori dal quel bagno freddo.
«No,
Dyl. Non sono arrabbiato. Voglio solo
tornare in aula adesso, ed ho bisogno di schiarirmi leggermente le
idee. Si può
sapere come cazzo fai a mettermi così in
confusione?»
Non
aggiunse altro. Dylan sorrise ed abbassò il
capo.
Già.
Perché l’aveva appena baciato?
*
‘Tommy,
ma perché non
rispondi al telefono? Ti ho chiamato cinque volte. Chiamami appena
puoi.’
Thomas
lesse quel messaggio quasi
immediatamente. Era sul letto a fare praticamente niente. Il televisore
era
acceso giusto per compagnia su un canale musicale. Decise di non
rispondere.
Doveva ancora fare mente locale di ciò che era accaduto
quella mattina a
scuola. Quando rientrò in aula, seguito qualche minuto dopo
da Dylan, non
riusciva a guardarlo negli occhi; eppure un attimo prima erano stati a
cercarsi
vogliosamente. L’imbarazzo fra i due era incommensurabile.
Ripose
il cellulare sul comodino e vide
l’orario segnato: 15:31. Sbadigliò e decise di
lasciarsi trasportare per
qualche ora fra le braccia di Morfeo.
«Thomas?
Thomas?» la madre picchiò due volte
sulla porta chiusa della sua camera prima di aprirla leggermente e
sbirciarci
dentro. Notò il buio incombere all’interno della
stanza. Dedusse che stesse
ancora dormendo.
«Posso
anche tornare in un secondo momento,
signora Sangster. Volevo solo fare una sorpresa a suo
figlio.»
«Assolutamente
no, Dylan. Sono le cinque del
pomeriggio. Puoi entrare tranquillamente.»
La
signora rispose e facendo entrare la mano
all’interno dello spiraglio della porta leggermente aperta,
tastò il muro in
cerca dell’interruttore trovandolo al primo colpo.
Improvvisamente la stanza
venne illuminata da una luce intensa.
«Puoi
entrare tranquillamente. Avvisa Thomas
che stiamo andando ad una riunione fuori città e che non
torniamo prima di
cena. Anzi, se vuoi cenare con lui ho lasciato il numero del ristorante
e 20$
in cucina. Potete ordinarvi una pizza.»
«È
molto gentile da parte sua, signora
Sangster. L’avviserò
senz’altro.»
Detto
questo, Dylan salutò la madre del suo
migliore amico ed entrò nella stanza. Thomas era sotterrato
completamente dal
piumone.
«Tommy?»
sussurrò Dylan avvicinandosi
cautamente al letto per non svegliarlo. «Tommy?»
ripeté di nuovo. Era giunto ai
piedi del letto e tentò di scoprirgli almeno la testa.
Afferrò un lembo del
piumone e lo sollevò leggermente scorgendo così
la chioma folta del ragazzo.
«Mmhh»
udì un lamento. «Mamma, spegni
quella dannata luce.» Thomas si
strofinò
entrambi gli occhi e, non appena mise a fuoco ciò che si
ritrovò davanti,
sobbalzò, mettendosi immediatamente seduto composto sul
letto.
«Cosa
cazz—cosa cazzo ci fai tu qui?»
«Ehi,
anche io sono felice di vederti.»
Thomas
gettò le coperte per terra e spintonò
l’amico lontano da lui.
«Dove
sono i miei genitori?»
«Ehi
Tommy, non ho ammazzato nessuno. Tua madre
mi ha detto di avvisarti che ha lasciato 20$ e il numero del ristorante
in
cucina. Loro non torneranno prima di cena e mi ha anche invitato a
restare qui
con te.»
Thomas
lo guardò con occhi ancora impastati di
sonno. Si grattò il capo e volse la propria attenzione ad un
oggetto poggiato
sul pavimento. Una palla da baseball. Cosa
diamine ci faceva una palla da baseball sul pavimento?
«Devo
farmi una doccia.»
Si
alzò controvoglia dal letto e si diresse
verso l’armadio per prendere i vestiti puliti.
«Ci
metto non più di dieci minuti.» disse poi
afferrando una felpa e un pantalone di tuta largo. «Aspettami
qui.»
«Agli
ordini.»
Thomas
sbuffò e si affrettò ad uscire dalla
stanza per dirigersi verso il bagno proprio di fronte la sua camera.
Dylan
si lasciò cadere di peso sul letto, si
tolse le scarpe e si distese. Cominciò a fare zapping fra i
canali per
ammazzare il tempo. Muoveva nervosamente la punta del piede destro.
Perché era
andato a casa sua? Quali erano le sue intenzioni? Il suo cuore prese a
battere
all’impazzata quando sentì lo scrosciare della
doccia. Deglutì a fatica. Perché
stava facendo così? Cosa gli passava per la mente? Prese a
muovere ancora più
velocemente la punta del piede. Ormai aveva volto tutta la sua
più completa
attenzioni lì. In quella stanza di fronte.
«Dannazione
Tommy!» sussultò poi, alzandosi con
un colpo di reni e mettendosi seduto. Si infilò rapidamente
le scarpe da
ginnastica e cominciò a vagare come un’anima in
pena mordicchiandosi le unghie.
Entro
o non entro?
Si
sporse leggermente dimodoché potesse
controllare se la porta del bagno fosse aperta. Lo era.
«Okay
Dylan. Entra.» prese un forte respiro e
lo gettò tutto d’un colpo fuori, svuotando
completamente i polmoni. Uscì dalla
stanza e restò sull’uscio della porta del bagno,
poggiandosi sullo stipite.
Aveva le braccia incrociate ed era di spalle. Non aveva il coraggio di
guardare
all’interno.
Passò
così la maggior parte del tempo fino a
quando non sentì lo scrosciare dell’acqua cessare
e la tendina della vasca
aprirsi di scatto. Sobbalzò e, istintivamente, si
girò.
«Dylan?
Cosa stai facendo lì impalato?» disse
Thomas, cercando di afferrare l’accappatoio. Inizialmente il
moro non seppe
cosa dire, balbettando in maniera imbarazzata.
«Tommy,
io—io non volevo stare solo in camera
e…ero di spalle…non ti ho guardato.
Giuro.»
Thomas
sbuffò ed agitò la mano nel vuoto.
«Non
hai capito, idiota. Mi stai vedendo in
difficoltà? Afferrami l’accappatoio e
passamela.»
Dylan
annuì e con il capo chinò afferrò
l’accappatoio e la porse al ragazzo, senza guardarlo. Thomas
percepì
notevolmente il suo imbarazzo, così decise di divertirsi un
po’.
«Guarda
che non sono una donna, Dyl. Puoi anche
guardarmi in faccia.»
Non
rispose. Tornò nella medesima posizione in
cui Thomas l’aveva trovato. «Quando ti metterai
l’accappatoio allora ti
guarderò.»
Thomas
sorrise in maniera divertita.
«Okay,
stupido, l’ho messa. Puoi girarti.»
Dylan
tirò un sospiro di sollievo quando si
rese conto che Thomas non gli aveva detto una stronzata.
Osservò l’amico
passarsi l’asciugamani fra i capelli biondo cenere con una
leggera pressione.
Non appena la lanciò nel lavandino, scoppiò a
ridere. I suoi capelli erano
disordinatissimi. Non gli aveva mai visti così.
«Cosa
ridi? Devo asciugarli ancora.»
Ma
Dylan non riusciva a smettere. Gli davano un
aspetto davvero buffo.
«La
vuoi piantare?» afferrò l’asciugamani
che
aveva appena posato nel lavandino, l’appallottolò
e gliela lanciò addosso,
colpendolo in pieno viso.
«AUCH!
Che male. Ma sei scemo?»
«Almeno
hai smesso di ridere.»
«Vaffanculo.»
disse Dylan, prendendo
l’asciugamani e lanciandogliela nuovamente. Thomas ebbe la
prontezza di
afferrarla al volo.
«Ho
fatto baseball tanti anni, Dyl. Non ho i
riflessi di un bradipo morto come te.» entrambi scoppiarono a
ridere in una
risata fragorosa. Il suono riecheggiava nel bagno, avvolto da una nube
di
vapore caldo e condensa. Le goccioline scivolavano lungo le mattonelle
celesti.
Dylan si piegò dalle risate ed appoggiò una mano
sulla parete bagnata per potersi
mantenere, quasi scivolò a terra. Poco dopo però,
inevitabilmente, si accasciò
sul pavimento e continuò a ridere a crepapelle.
«Non
ridevo così da non so quanto tempo.» disse
poi Thomas, asciugandosi quelle poche lacrime che uscirono.
«Anche
io.» continuò poi Dylan poggiando la
schiena sulla parete umida e portandosi al petto le ginocchia,
circondandole
con le braccia. Thomas lo guardò e sorrise di nuovo,
avvicinandosi all’amico e
mettendosi accanto a lui.
Dylan
restò a fissarsi le scarpe mentre Thomas
i piedi nudi. Nessuno dei due aveva più niente da dirsi. Il
cuore di entrambi
cominciò a palpitare velocemente; un po’ come
quella stessa mattina nel bagno
della scuola.
«Ehm…vuoi
parlare di Emma?» chiese poi di punto
in bianco Thomas, alzando il capo e rivolgendo la propria attenzione
all’amico.
Inizialmente Dylan non rispose, restò a giocherellare con i
pollici fissando sempre
il pavimento.
«A
dire la verità…no.»
Thomas
annuì e aiutandosi con le braccia, si
mise in piedi e si diresse verso la sua stanza.
«Che
fai resti lì seduto come uno stoccafisso
oppure mi segui?» si diresse verso la propria stanza. Dylan
si alzò dandosi una
spinta. Il suo cuore batteva all’impazzata. Cosa sarebbe
accaduto di lì a poco?
Non voleva pensarci, anche perché Thomas non era propenso a
relazionare più di
tanto.
Non
appena entrò nella sua camera, si sedette
sul letto e si prese la testa fra le mani. Sbuffò.
«Mi
vuoi dire cosa ti prende, Dylan? Perché sei
venuto a casa mia?» Thomas era davanti al moro, in piedi, con
le mani sui
fianchi. L’accappatoio stretto in vita.
«Sono
solo tanto confuso. Troppo confuso. Vuoi
sapere la verità, Thomas?»
«Certo
che voglio saperla.»
Dylan
sospirò, si picchiò forte sulle tempie
come se volesse scacciare via qualcosa. Thomas gli afferrò i
polsi.
«La
vuoi piantare? Mi stai mettendo ansia.»
«La
verità…la verità è che ho
detto ad Emma che
mi hai baciato.»
In
quel momento Thomas avrebbe voluto
riempirgli la faccia di pugni. Come aveva potuto dire una cosa del
genere? Una
cosa così personale? Lo fulminò con lo sguardo.
Iniziò ad inspirare ed espirare
rumorosamente dalle narici. Pareva un toro pronto all’attacco.
«TU
HAI FATTO COSA?» urlò poi.
«No,
no, no, non arrabbiarti…» Dylan tese le
braccia davanti a sé, come per dirgli di stare calmo.
«Adesso ti spiego…»
Una
settimana prima
‘Devo
parlarti. Non
per telefono. Voglio parlarti di persona. Ti aspetto tra venti
minuti’
Dylan
inviò quel
messaggio ad Emma con le mani tremanti e un po’ intimorito.
Come avrebbe
reagito? Cosa avrebbe pensato?
Durante
l’attesa, si
torturò continuamente le mani, percorse ogni centimetro
quadro del suo
appartamento.
Dopo
circa mezz’ora,
Emma bussò al suo campanello. Dylan si precipitò
ad aprirle.
«Spero
non sia una
stupidata, Dylan. Ho interrotto gli studi per venire da te e sai
benissimo che
a breve devo dare un esame molto importante.»
Dylan
era frustrato.
Il loro rapporto si era del tutto sgretolato da quando la ragazza era
andata al
College. La sua priorità era solo ed esclusivamente il
College. Non esisteva
altro.
«Buonasera
anche a
te, Emma. Non vuoi nemmeno accomodarti?»
La
ragazza sbuffò e
girò il capo dall’altra parte concentrandosi su un
punto vuoto.
«Cosa
c’è Dyl? Mh? Ti
ho detto che non ho molto tempo. Dimmi, vuoi lasciarmi? Vuoi mandarmi
al
diavolo?»
Emma
cominciò a
battere i piedi per terra. Le mani poggiate sui fianchi.
«Vuoi
entrare per
favore?»
«No,
Dyl. Non ho
tempo per le tue stronzate.»
Dylan
capì quanto
fosse arrabbiata. Emma usava un linguaggio scurrile solo quando era
davvero ma
davvero arrabbiata. Quindi decise di fare a modo suo. Le avrebbe detto
tutta la
verità davanti la porta.
«E
va bene Miss
Perfezione. Mi sono rotto il cazzo di questo tuo atteggiamento da Miss
Reginetta dello Snob. Mi sono scocciato di essere completamente
ignorato da te.
Mi sono trasferito qui per te, per stare insieme a te, per cercare di
non farti
sentire sola. Tu cosa fai? Ti comporti come se non esistessi. Vuoi
sapere una
cosa? Mh? La vuoi sapere? Oggi è venuto Thomas a casa,
volevo aiutarlo con
chimica. Sai cosa ha fatto? Mi ha baciato. Assurdo vero? Mi ha
baciato.»
Dylan
si portò le
mani tra i capelli e li strinse forte, voltando il suo sguardo a destra
e a
sinistra. Cercò in tutti i modi di non incrociare lo sguardo
della ragazza.
Emma risultò allibita, sconvolta. Non l’avrebbe
mai immaginato.
«C-cosa?»
«Sì,
hai capito bene.
Mi ha baciato…ed io…ed io come uno stupido
l’ho spinto…dandogli del frocio. Non
mi sono mai sentito così crudele in vita mia. Sai
perché ti ho fatta venire?»
Adesso
Emma non era
arrabbiata, ma triste. Sul suo volto perfetto era apparsa
un’espressione
affranta, delusa, amareggiata.
«Ho
provato qualcosa quando mi ha baciato, Emma. In quel momento
ero terrorizzato ed ho reagito così, ma ho provato davvero qualcosa.»
La
ragazza non
rispose, chinò il capo e prese a piangere. Forse non avrebbe
mai immaginato che
la sua relazione con Dylan sarebbe finita per questo motivo. Non poteva
tollerare una cosa del genere.
«Emma?»
Dylan
cercò di
accarezzarle il viso ma lei si scansò, tirandogli uno
schiaffo. Aveva gli occhi
rossi e il trucco cominciò a colarle via.
«Vaffanculo,
Dyl.
Vaffanculo. Spero tu riesca a ritrovare te stesso. È
finita.»
Lo
fissò per qualche
istante.
«Avrei
preferito
sentirmi dire che nella tua vita ci fosse un’altra…non un altro.»
sussurrò
quelle parole in maniera quasi impercettibile. Se non ci fosse stato un
silenzio assordante, Dylan non le avrebbe udite.
«Non
cercarmi mai
più…»
E
con quelle parole,
Emma voltò le spalle al ragazzo e, piangendo, si diresse
verso la macchina.
Non
l’avrebbe più
rivista.
*
Quando
Dylan finì di raccontare, Thomas era
seduto sul letto. Lo fissava con occhi lucidi. Il suo cuore batteva
così forte
da poterlo sentire rimbombare nelle sue orecchie. Aveva paura a parlare
perché
gli tremava la voce.
«I-io…non…non
so cosa dire.»
Guardò
il pavimento. I piedi nudi sul parquet
ancora bagnati.
«Non
devi dirmi niente, Tommy. Non devi dirmi
niente.»
Thomas
si alzò di scatto e si diresse verso la
porta della sua stanza fermandosi proprio sull’uscio. Dava le
spalle a Dylan,
ancora seduto sul letto.
«Hai
paura?»
Thomas
non si girò, restò così
com’era.
«No…e
tu?»
«Sì…»
Si
slacciò la cinta dell’accappatoio.
Deglutì.
Il cuore prese a tremare e le gambe a cedere. Stava per succedere? Con
un
movimento di spalle lasciò che l’accappatoio
cadesse per terra. Restò
completamente nudo.
Dylan
ingoiò il groppo di saliva che gli si era
formato in gola e inaspettatamente, si sentì strano, molto
strano. Abbassò il
capo e vide che il cavallo dei suoi pantaloni gli stava calzando
stretto.
O
cristo.
Pensò.
Non disse nulla.
Thomas
aveva gli occhi chiusi e cercò di non
perdere il controllo e di non vomitare. Il suo stomaco si stava
contraendo fin
troppo. Con lo sguardo ancora riverso al pavimento, si girò
molto lentamente,
alzando lo sguardo in una maniera così eccitante che Dylan
si sentì morire. Si
alzò anche lui ed istintivamente si leccò le
labbra guardandolo da capo a piedi.
Sentì come un fuoco accendersi all’interno del
proprio corpo. Una
concentrazione maggiore, era proprio vicino la sua virilità.
Chi l’avrebbe mai
detto? Thomas arrossì notando quella sua reazione tanto evidente.
Si
guardarono senza dir nulla. Si udivano solo
i loro respiri pesanti.
«Mi
stai prendendo in giro?» sussurrò poi
Thomas, imbarazzato. Non si era mai fatto vedere nudo da nessuno,
almeno non in
quel modo.
Dylan
lo fissò per qualche istante.
«No.»
e senza preavviso, si avventò su di lui.
Thomas fece lo stesso. Si scontrarono l’uno con
l’altro, quasi facendosi male.
Il biondo cominciò a privarlo della maglietta, gettandola
accanto
all’accappatoio. Iniziò a baciargli il collo, la
clavicola, la spalla. Dylan
prese ad ansimare.
«Non
hai idea da quanto attendessi questo…»
sussurrò Thomas al suo orecchio, facendogli accapponare la
pelle. Dylan sussurrò
qualcosa che Thomas non capì, ma poco importava in quel
momento.
Continuarono
a baciarsi, a toccarsi, avevano i
brividi entrambi. Il moro lo prese per le spalle e si lasciarono cadere
entrambi sul letto, con forza. Spontaneamente Dylan – ora
sopra Thomas –
cominciò a muovere il bacino in avanti e indietro, cercando
contatto. Thomas
girò gli occhi all’indietro e si lasciò
sfuggire un sussulto.
«Via
i pantaloni!» gli ordinò poi, aiutandolo a
slacciarsi la cintura. Dylan non se lo fece ripete due volte. Con un
rapido
movimento si sfilò i jeans e li gettò accanto a
tutti gli altri. Riprese a
baciargli ogni centimetro del suo corpo. Scese sulla pancia,
cominciando a
dargli piccoli morsi, alternandoli a leggeri succhiotti. Thomas
andò in
delirio.
«Facevi
questo ad Emma?» ansimò poi,
intrecciando le dita fra i capelli dell’amico, stringendoli
delicatamente.
«…lei
non è te. Adesso taci, e godiamoci il
nostro momento.»
Thomas
si morse le labbra quasi facendosi male.
«Sì,
okay…ma prima divertiamoci un po’.»
*
Restarono
abbracciati per un po’ di tempo, a
coccolarsi. Il letto era sfatto, c’era ancora il loro odore
impresso nelle
lenzuola.
«Tommy…che
ore sono?»
Dylan
si stiracchiò, distendendo braccia e
gambe. Thomas prese il cellulare e controllò
l’ora.
«Merda!»
imprecò. «Sono le 20:00»
Thomas
scaraventò il piumone giù dal letto
costringendo anche Dylan a scoprirsi. L’impatto con
l’aria fredda gli fece
accapponare la pelle dal freddo.
«Ehi,
ma che ti prende. I tuoi genitori non
torneranno a casa prima di cena.» Dylan si coprì
nuovamente fin sopra i
capelli. Thomas fece un sorriso malizioso e con un gesto,
scoprì nuovamente
l’amico.
«Non
è questo il punto, idiota.» con un salto
si lanciò sul letto, facendo balzare Dylan. I due si
guardarono e si persero
l’uno negli occhi dell’altro. Dylan prese a giocare
con una ciocca di capelli
del biondo, baciandogli successivamente la fronte ancora sudata. Thomas
chiuse
gli occhi e sorrise.
«Sei
tutto ciò che ho sempre desiderato…»
disse
poi, dandogli un delicato bacio sulle labbra.
«…forse c’è solo una cosa che
desidero di più però, in questo
momento.»
«…cosa
sarebbe?» Dylan corrugò le sopracciglia
e l’amico scoppiò a ridere.
«Cazzo,
Dyl…ho una fame che non ci vedo più.»
Risero
entrambi per svariati minuti,
abbracciandosi, baciandosi, erano finalmente felici.
«Pizza?»
«Pizza!»