– 2013; Londra, Regno Unito. –
Jane si era trasferita a casa di sua madre da qualche mese, ormai.
Di Thor non c’era traccia, ovviamente; altrimenti, perché avrebbe avuto bisogno di continuare a fare le sue ricerche in un Paese oltreoceano?
Partire l’avrebbe aiutata a crescere, a lasciarsi alle spalle un passato pieno d’illusioni e tormenti… A scoprire un nuovo lato di se stessa, magari.
In fondo, ovunque fosse andata, Thor sarebbe potuto riuscire a trovarla con facilità. Il problema era della Midgardiana, la quale aveva fatto di tutto per scoprire come mettersi in contatto con lui, ma tutto ciò che aveva ricevuto poteva riassumersi in quattro parole: un fastidioso, disarmante silenzio.
Quel giorno si stava rivelando pieno di sorprese: aveva appena mollato Richard, ovvero un potenziale nuovo flirt, al ristorante con un menu che non le diceva nulla di che e il suo ricettore astronomico - che non suonava più dall’incidente in New Mexico - aveva ripreso vita, come se fosse un profeta elettronico venuto ad annunciare il risveglio del suo cuore.
Ma questo Jane Foster non lo sapeva ancora.
Mentre viaggiava con Ian e Darcy seguendo le onde captate dal ricettore, un unico pensiero attraversò il suo cervello: “Che diavolo sta succedendo?”. Quella domanda percorse il suo cranio diverse volte, sempre più intensamente, intanto che il pick-up attraversava alcune strade strette.
Non voleva illudersi che Thor fosse tornato. Non doveva illudersi. Non in Inghilterra. Non ora che stava cominciando a farsene una ragione.
I tre scienziati arrivarono davanti ad un vicolo spento e umido, nel quale albergavano, quasi in attesa, dei bambini dubbiosi.
Dopo avergli assicurato che fossero scienziati e non membri della polizia, i tre si lasciarono guidare dall’innocente flusso, finché non arrivarono davanti ad un autocarro che inghiottiva oggetti di tutti i tipi; questi, poi, cadevano dal cielo e l’autocarro li masticava ancora.
Il ricettore parve impazzito. Continuava a suonare sempre più velocemente nella tasca della giacca di Jane. Eppure, malgrado i tre stessero assistendo ad un fenomeno senza pari, quello non era il punto di massima concentrazione di quella forza.
L’astrofisica prese a seguire le indicazioni del ricettore, quasi governata da una forza superiore, una forza estranea.
Forse, qualcosa (o qualcuno) voleva che lei andasse in quel punto. Forse l’Aether esigeva di essere trovato e ricordato.
Il freddo aumentava. Il vento frustava i suoi occhi. Non riusciva più ad udire alcuna voce.
Il mondo si era stretto in una cappa fredda e buia.
Provò a chiamare la sua stagista, provò anche a gridare, ma niente. Quello spazio ampio risucchiava tutti i rumori e vomitava piccoli schizzi di luce.
Non aveva mai visto un posto del genere.
Ad un tratto, nel silenzio, notò una crepa in una colonna. Da questa crepa proveniva una fiamma rossa. Forse quella fu solo una sua impressione, ma le sembrò che quella luce scarlatta emettesse un rumore liquido, debole e incontrollato.
Provò ad osservarla, ad avvicinarsi, a sfiorare quella crepa profonda con un polpastrello, spinta dalla sua immancabile curiosità.
La curiosità era il motore principale di Jane: senza di essa, la sua vita sarebbe esistita soltanto a metà.
La luce rossa, sentitasi chiamata, lasciò il suo angusto abitacolo e, in un guizzo vitale, raggiunse la punta delle dita dell’astrofisica, cominciò a spandersi lungo la sua pelle, a scorrere nelle sue vene. Lei, stanca, crollò. I suoi occhi e le sue labbra si spalancarono, abbandonati ad una forza alla quale non poteva resistere.
L’Aether scorreva tanto velocemente nel suo esile corpo che, in un primo momento, provò dolore. Sentiva il suo sangue pesante, duro, concentrato. Poteva contare ogni cellula che aveva cominciato ad abbeverarsi di quel liquido energico, metallico, venefico.
I suoi occhi non vedevano più. Non potevano più osservare il dirupo verso il quale si sarebbe diretta se non si fosse accorta della potenza dell’Aether.
Adesso, i suoi occhi vedevano il bene, il male, la gioia e il dolore che fluivano insieme nello stesso corpo, s’incontravano, sceglievano di separarsi, cozzavano nel suo sangue.
I suoi piedi ormai galleggiavano quando vide le stelle, quando ebbe una visione che andava aldilà della conoscenza comune, dell’immaginabile, del limite umano.
I pianeti si allineavano, diventavano una cosa sola. Un buio, infinito corridoio li separava, li confondeva, cambiava le sorti dell’universo e il moto delle stelle…
Quando si riebbe, Jane non trovò altro che un soffitto sterile davanti ai propri occhi.