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Autore: SonSara    29/03/2009    1 recensioni
[Raccolta di shot varie con coppie canon e crack]
- A me, gli occhi
[One Shot]
[InoKiba]
1° classificata al Contest "One song for.. one moment" indetto da Bimba_Chic_Aiko
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[3° classificata
Partecipante al contest 'Genitori & Figli' indetto da Kurenai88 e V @ale]





«Direi che è il momento di portarla al Posto, cara.»


«Inoichi, non se ne parla, è ancora piccola.  È un viaggio troppo rischioso per lei!»

«Tesoro, ha sette mesi. Deve crescere fra i fiori, per diventare una di loro.»


 

 

 

Invisibili Prati   


 

 

 


Bokutachi wa hyoumen dake
Tsukumotte shinda you na
Kao wo kakushite ikiru tame
Umarete kita wake janai
 
Furikaerareru no wa
Soko wo toori sugita kara
Tachi tomatte wa mata susumu nda*



[Marionette - Ayumi Hamasaki]

 
 



 

 

«Ino, ti sbrighi?»

«Arrivo! Non partire senza di me, papà! Mamma, lasciami, dai.»

La piccola Ino Yamanaka scivolò dalla presa della madre che cercava di infilarle, senza alcun successo, la giacchetta verde.
Inoichi poggiò le mani sulle spalle della moglie.

«Cara, è maggio: fa abbastanza caldo per uscire in maglietta.»

La bimba lanciò un’occhiataccia ai due; poi spinse il padre lontano dalla donna, allungando le manine per farsi prendere in braccio.

«Andiamo papà?»

Domandò dolcemente, dondolando la testolina bionda.

«Sì, fammi salutare la mamma...»

«No! Siamo in ritardo! Dai, dai, dai!»

«E va bene!»

Inoichi spiccò un salto oltre la porta, con la figlia allacciata al suo collo e un cenno alla moglie rimasta sul ciglio di casa.
Una volta arrivati nel bosco, rallentò il passo.

«Papà,» chiese Ino guardandolo con i grandi occhi azzurri «mi racconti di quando il mio bis-bis-bis-bis-bis-nonno scoprì il Posto

«Piccola, hai sentito questa storia centinaia di volte!»

«Non me la ricordo…»

Mentì, giocherellando con la stoffa dalle gonnellina arancione.

«Bè» sospirò il padre, sorridendo divertito «mentre scappava dai nemici del Villaggio della Nebbia, il nostro antenato non si accorse di un’insenatura del terreno e ci cascò dentro. Temendo i ninja avversari, percorse tutta la lunghezza dell’insenatura. Alla fine, fuoriuscì vicino a un laghetto, contornato da un meraviglioso prato incolto, nato grazie a particolari condizioni atmosferiche presenti proprio lì, in mezzo alla catena montuosa che abbiamo di fronte.»

Le mostrò, uscendo dal boschetto e allargando un braccio come se volesse cingere quel magnifico paesaggio che si rifletteva nelle loro pupille cerulee.

«La leggenda racconta che in quel posto trovò la concentrazione adatta per concepire lo Shintenshin no jutsu e i suoi derivati. Si favoleggia anche che sposò la ninfa del lago, una splendida creatura bionda - da cui deriva la nostra capigliatura - che lo aiutò nel perfezionare il nostro jutsu.»

Terminò Inoichi con sguardo perso nel vuoto e nel passato. Quella storia lo riportava indietro negli anni, quando ascoltava quelle stesse parole uscire dalle labbra secche del padre, mentre le loro schiene si flettevano ad accarezzare con pollici e indici, divenuti all’improvvisi delicati come soffi d’aria, i petali dei miliardi di fiori che li circondavano.

«E nessuno, proprio nessuno, apparte il Clan Yamanaka conosce l’esistenza del Posto?»

Chiese Ino, portando un ditino alle labbra con fare pensieroso.

«Direi di no, piccola.»

«Quindi è un po’ come se fosse il Giardino Segreto Yamanaka.»

«Immagino di sì.»

«Bene. Ho sempre desiderato un prato tutto mio.»

Inoichi roteò le pupille, poggiando la figlia a terra.

«Questa chiamasi cupidigia.»

«E cosa vuol dire?»

Domandò ancora lei, afferrando la maglia del padre.

«Essere avari, volere sempre più di quello che già si ha.»

Ino soppesò le sue parole.

«Quindi sono cattiva?»

La sua voce era diventata pericolosamente squillante, e lo sguardo, ,all’improvviso terribilmente lucido.

«Oh, no, no amore! Sei la mia principessa e ti merito tutto e di più!»

Si affrettò a smentire il padre, baciando la figlia – di nuovo sorridente – su una guancia rosea e piena come una pesca ancora acerba, ma lo stesso tanto, tanto, invitante.

 

 

 


«Ino, raccogli pochi fiori di quel tipo. Altrimenti non ricresceranno.»

«Ma questi possiamo venderli, papà! Guadagneremo un sacco!»

«Amore, i soldi non sono tutto. Noi due, siamo il tutto.»


 

 

 

Camminava, camminava e camminava, anche se ogni passo era una fitta all’inguine, simile a quando balli eccessivamente e il tuo corpo si lamenta con dolori lancinanti appena sopra i fianchi.
E il suo moto andante rassomigliava, in fondo, a un ballo sfrenato senza fine: con quella gamba destra trascinante, le braccia tremanti e il busto proteso in avanti, sembrava la classica ballerina che, nonostante la caviglia irrimediabilmente slogata, crede lo stesso nel suo futuro in tutù azzurro.
Ecco, Ino camminava con la stessa determinazione e la stessa intensità. Lo sguardo era vacuo e assente, ma le gambe continuavano – destra sinistra, destra sinistra – ad andare avanti.
E mentre camminava, sfregava con forza le mani, dai palmi scarlatti per l’irritazione dello strofinamento continuo; sfregava le mani nella ricerca disperata di cancellare il sangue seccato infilatosi nelle sottili e infinitesimali crepe della pelle. Neanche Dio sa quanto Ino avrebbe tanto voluto immergersi in una di quelle crepe simili a insenature come fece il suo avo per disperazione, fino a spuntare in una porzione di paradiso dove ricominciare a vivere, dimenticando il passato. Ma forse certe fortune capitano una sola volta nell’intera vita di un Clan.

Oltrepassò le foreste, superò le pianure, scalò le montagne: niente sembrava poterla fermare. E mentre arrancava su quei ultimi sassi grigi e tristi da sormontare, Ino strinse ancora più forte i denti, conscia di aver adempito a quell’ultima missione, la più importante.

La gamba destra ora sembrava un macigno attaccato al suo busto, un peso insopportabile di cui avrebbe voluto tanto sbarazzarsi; il sangue però non smetteva di sgorgare dalla ferita in cima alla coscia, come a volerle dimostrare che non era affatto un masso senza vita, anzi: le avrebbe procurato dolore fino alla fine dei suoi giorni.
Il chakra necessario alla guarigione della ferita era sgusciato via, silenzioso e sottile, come alito di farfalla, utilizzato interamente per quella faticosa scarpinata.
Ma in fondo, Ino non moriva dalla voglia di curarsi: a cosa sarebbe servito? A niente. Voleva soffrire. Doveva soffrire.

Arrivata in cima al cucuzzolo, cadde di culo e si lasciò scivolare dolorosamente verso il basso, mentre il Posto si apriva adagio davanti ai suoi occhi, sbucando da dietro l’oscuro profilo scaglioso dei monti.
Il Giardino Segreto Yamanaka; splendido come ogni volta, meraviglioso nella sua immensità e perfezione.
Ino rilassò i polmoni in un sospiro: riconoscere i particolari del Posto, immutabili negli anni, le portò una pacatezza dell’anima, la stessa che si ha inesorabilmente ogni volta che si ritrova una peculiarità in un luogo caro tralasciato da tempo.
L’uomo si ingegna in tutti i modi per rinnovare e cambiare, ma cosa c’è di più bello di quella caratteristica speciale che, in qualche modo, rende più tuo quel
determinato luogo?

Allora eccoli, tutti quei fiori incolti raccolti nei secoli solo dalle esperte mani Yamanaka; ecco l’enorme faggio, dove suo padre si sedeva all’ombra degli imponenti rami per catalogare boccioli mai visti prima dall’uomo; ed ecco il lago, dalle acque fresche e limpide che accoglieva sempre le membra stanche e sudate di padre e figlia dopo piene giornate di lavoro sotto il caparbio sole – che illumina tutti: nemici ed amici, villani ed onesti, vivi e caduti.

Camomille, giacinti, mimose, spiree, viole, bocche di leone, dature e caprifogli salutarono Ino piegando le corolle nella sua direzione, accogliendo con gioia il ritorno di una vecchia amica
Ma i mille colori non provocarono in lei il famigliare sfarfallio nello stomaco. Ormai il suo corpo sembrava un semplice involucro dall’interno vuoto.
L’ultima Yamanaka gettò a terra lo zainetto sudicio, iniziando a svuotarlo con impeto e con energia all’improvviso tornata, e che le scaldava la carne sanguinante e le ossa stanche.
Rotolarono a terra una mappa, una borraccia vuota, pochi kunai e il ciondolo regalato a Ino da Inoichi per i suoi diciotto anni, con un incisione personale marchiata sul bordo argentato: da un papà orgoglioso alla mia preziosa corolla sbocciata da tempo -  lesse velocemente, mentre il ciondolo cadeva con grazia e si sporcava di terriccio umido.
La ragazza gridò al cielo, mentre graffiava il fondo dello zaino alla ricerca di un qualcosa che lì, evidentemente, non c’era.
Tuffò le mani nelle tasche dei pantaloncini lisi, strappò della stoffa, si tastò il giubbotto ninja e finalmente, con un sorriso nervoso, osservò il pugno chiuso fuoriuscire dalle tasche della giacca, mentre i polpastrelli accarezzavano il misterioso oggetto tanto bramato.
Baciò il pugno, sporcando le labbra di rosso scarlatto.

Rosso come il sangue del padre, sgorgato sulle gambe e sulle guance dell’amata figlia per lunghi e terribili minuti, durante i quali lei non era riuscita a salvarlo, salvare lui, l’amato genitore, che le aveva sempre dato tutto nella vita.

Rosso come gli occhi di Inoichi una volta avvistati i ninja della Nebbia sfondare la porta, afferrare la moglie e violentarla brutalmente sul pavimento dell’ingresso.

Rosso come le pareti del salotto, della cucina, del tappeto, delle porta e delle
finestre di una casa abitata ormai da cadaveri. Come tante altre case di quella Konoha distrutta dai troppi nemici.

Rosso come la guerra. Perché tutte le guerre sono macchiate di rosso.
In fondo, si assomigliano tutte.

Ino chiuse stancamente gli occhi azzurri, e un lampo accecò le sue palpebre abbassate riportando al ricordo i particolari della morte di Inoichi: le sue labbra boccheggianti nel tentativo di sussurrarle le ultime parole; i grumi del suo cuore, spappolato da un katana, riversarsi sull’unica figlia dalle mani troppo tremanti per cercare di curare qualsiasi essere vivente; e la bile giallognola del suo stomaco – ora svuotato e finalmente in pace – sporcare il pavimento confondendosi con gli sputi sprezzanti lanciati dai ninja nemici.
Ino riaprì gli occhi spaventata, capendo che quell’incubo non avrebbe mai avuto fine, che l’avrebbe perseguitata fino all’ultima ora della sua stupida vita.

Niente aveva più senso, ora. Perché avrebbe dovuto, poi? Suo padre era morto.
Morto morto morto.
Lui era semplicemente tutto per lei.
Era il suo respiro, la sua anima, i suoi sorrisi. Era l’abbraccio caloroso nei giorni di pioggia, era la tazza di the in mezzo ai bisticci, la battuta irrisoria nelle noiose mattinate al negozio, la spazzola di seta prima di dormire.
Aprì lentamente il pugno, mostrando un accendino scuro.
Lo fece scattare, senza indugi, premendo il pollice sulla linguetta nera e bloccando la fiammella con la levetta posta sul bordo; questa danzò sinuosa prima nello sguardo appannato di Ino, poi nel tragitto in aria –formando gialle spirali ipnotiche – fino a cadere per terra, dove si aggrappò a un fiore blu rovinandolo, come un amore non corrisposto distrugge un’anima.
Laddove il fuoco divampava, riducendo il meraviglioso prato multicolore in un patetico falò rinchiuso fra le montagne, una Ino di nuovo bambina proclama suo di diritto quell’erbaio, mentre il padre le tiene stretta stretta la mano ridendo sommessamente.

Ino si gettò allora nelle fiamme a braccia aperte, mentre un sorriso folle si allargava tremolante tagliando le sua guance come un pugnale mal affilato.

 

Ora quel prato era davvero suo.
E non si trattava di cupidigia: ma di amore paterno.

 

 


«Papà, perché corri sempre?»

«Così sei costretta a raggiungermi, principessa.»

«Sì, ma tanto alla fine ti fermi sempre ad aspettarmi!»

«Tu però cerca sempre di raggiungermi, ok?»

«Ok, papà.»

«Brava la mia bambina.»


 

 

 


Fine.



©SonSara


 

 

 

*Noi non eravamo nati per vivere
Basta mettersi davanti
E nascondere il volto come i morti

Possiamo guardare indietro nel passato
Perchè siamo passati li
Ci siamo fermati e rifermati





***
Ho affrontato un rapporto delicato e spero solo di non essere caduta nell'OOC.
Detto questo ringrazio di cuore chi continua a seguirmi e commentare le mie storielle, ovvero Thembra, Hotaru, Topy, Jess_elric, DarkRose86, LadyFlame, TemariCross e Kaho_chan; RAGAZZE, SIETE FANTASTICHE!

Vostra,
SonSara.



Ringrazio le giudici per il topic, bellissimo anche se un po' grande ;-)
  
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