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Autore: Setsuka    22/03/2016    2 recensioni
[Osomatsu-san]
[Spoiler episodio 24]
La notte si sussegue al giorno e il giorno segue alla notte negli stessi colori del bianco e del nero, come si susseguono le pagine dei manga preferiti di Osomatsu, manga esilaranti, ma che non gli rubano più neanche mezzo sorriso; così si stanca per spingersi a dormire in quel futon troppo grande e che ancora la mamma non ha lavato. Si mette il centro, guarda il soffitto e dopo un respiro profondo chiude gli occhi e inizia a rotolarsi: verso destra, verso sinistra, finché la coperta non lo avvolge totalmente come un baco da seta, non sente il tepore, ma solo gli odori impregnati, tutt'altro che identici. In un mondo incolore quegli odori fanno la differenza, sei differenze.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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b/n

Questa è la mia prima fanfiction su Osomatsu-san.
Mi sono innamorata di questa serie dal primo episodio e dal primo episodio avrei voluto scrivere qualcosa, precisamente avrei voluto scrivere qualcosa di nonsense, trash e incestuoso ed invece ecco questa storia malinconica partorita dopo l'episodio 24, che raccomando di vedere per non aver spoiler.
Non mi piace spiegare i miei lavori, nella lettura è bello che ci sia interpretazione, ma mi rendo conto che in questo lavoro – nonostante sia stato scritto con poche pretese – ci sono parti che potrebbero risultare davvero prive di senso.
A voi il giudizio finale, vi auguro una piacevole lettura.


 

b/n









Sono passati ventotto giorni da quando Choromatsu se n'è andato e la zuppa di miso della mamma è diventata insipida.
Quando i lividi della rissa con Todomatsu erano ancora visibili, venticinque giorni fa, se n'è andato anche lui; non c'è più quel sottofondo di tasti virtuali dell'i-phone digitati con estrema velocità.
Karamatsu se n'è andato il giorno successivo e ha lasciato i suoi penosi occhiali da sole sul tavolino da té, Ichimatsu ci ha giocato un po' con il suo gatto, poi sono spariti, ma la mamma può giurare che non li ha visti nel cesto della spazzatura.
Jyuushimatsu ha lasciato la loro casa una settimana esatta dopo Karamatsu, così è calato il silenzio nei loro spazi e si è stabilizzata una noiosa normalità.
Ichimatsu è rimasto per giorni nell'angolo della loro stanza a giocare con il gatto, poi ha ridotto le distanze, giorno dopo giorno era più vicino, tentava di essere socievole per la prima volta in vita sua, ma qualsiasi parola sia uscita dalla sua bocca non era importante quanto guardare fuori dalla finestra. Quando Ichimatsu se n'è andato Osomatsu neanche lo ricorda, ci ha fatto caso coricandosi a letto, notando il futon così grande e inadatto che non ha chiuso occhio per tutta la notte.
Lui, Osomatsu, ha passato le mattine sul tetto cercando l'azzurro nel cielo – perché qualcosa non quadra –, sa che il cielo è azzurro, ma vede bianco e nero. Totoko-chan è passata da lui in uno di quei giorni, è stata gentile con lui, gentile come ha sempre desiderato fosse, ma le è sembrata così piccina… anche lei in bianco e nero. Non è solo il cielo che è diventato diverso.
Ha passato molti pomeriggi seduto, composto, guardando la foto di Akatsuka-sensei; gli piace quella foto, è una delle cose che più gli piace al mondo, anche in bianco e nero è bellissima perché lui sorride. Non c'è più nel mondo, ma rimane vivo il sensei nel sorridere ed è proprio quello che Osomatsu crede sia il senso di tutto, lì davanti a quel volto sorridente è ferma la sua ostinazione, anche se solo.
E poi i ventotto giorni sono diventati ventinove, poi trenta, poi trentuno.
Forse i ciliegi sono anche fioriti, forse per qualcuno bere il saké con qualche petalo di ciliegio è stato bello, ma cos'è davvero bello? Osomatsu crede di non aver mai dato un peso alla parola bellezza all'infuori del sorriso di Akatsuka-sensei, così il dubbio gli viene: è davvero bello?
Qualche volta ha pensato: “sarebbe bello se fossi stato figlio unico”, un pensiero forte e sostenuto da tanti ragionamenti e tanta logica, i campi in cui è debole.
Poi sono caduti i fiori di ciliegio e il clima è diventato più caldo, ma Osomatsu ha continuato a indossare il suo maglione rosso e puzzolente, con le maniche quasi nere; sua madre non ha insistito nel fare il bucato, aspetta ancora, con pazienza, perché passerà.

Il suo maglione è davvero rosso?

La notte si sussegue al giorno e il giorno segue alla notte negli stessi colori del bianco e del nero, come si susseguono le pagine dei manga preferiti di Osomatsu, manga esilaranti, ma che non gli rubano più neanche mezzo sorriso; così si stanca per spingersi a dormire in quel futon troppo grande e che ancora la mamma non ha lavato. Si mette il centro, guarda il soffitto e dopo un respiro profondo chiude gli occhi e inizia a rotolarsi: verso destra, verso sinistra, finché la coperta non lo avvolge totalmente come un baco da seta, non sente il tepore, ma solo gli odori impregnati, tutt'altro che identici. In un mondo incolore quegli odori fanno la differenza, sei differenze.
Sa che c'è qualcosa di sbagliato nel desiderare di essere un NEET per la vita, non è neanche quello ad interessargli in verità, ma tutti e sei avevano quell'attitudine prima che tutto cambiasse e immaginando sei strade diverse si addormenta, mentre nel silenzio la nostalgia prende forma e scende sulla guancia.



“Osomatsu nii-san?”.



Apre gli occhi e nonostante il buio della notte una figura illuminata è al suo fianco, in una improbabile veste bianca e… c'è del verde. Ha un corona di alloro verde e lo stesso assurdo colore è riflesso nei capelli scuri e nella vitalità del suo sguardo, però…
“Choromatsu?” l'occhio non può ingannarlo, ma quello davanti a se può essere davvero suo fratello?
Nel dubbio gli volta le spalle.
“So che cosa pensi”.
“Anch'io so cosa pensi”.
“Allora Osomatsu è arrivato il momento che te ne renda conto: il mondo non ruota intorno a noi” e lo sa, ma quelle parole sono come spilli, di una banalità assurda ma sempre fastidiose.
“E allora? Che senso ha se noi ruotiamo con lui e ci disperdiamo nel farlo?” ed alza ancora più la voce: “qui c'è tutto quello di cui abbiamo bisogno, perché andare a cercare qualcos'altro che non sai neanche se ti renderà felice, quando possiamo tutti stare qui ed essere felici insieme?”.
C'è una lucidità diversa negli occhi di Osomatsu, qualcosa di infantile, ma genuino e l'altro lo guarda con un misto di compassione e tenerezza, allungando una mano per accarezzargli i capelli, unti e ricchi di forfora.
“Non è una cosa stupida quella che dici, ma forse è perché il viaggio è più importante della meta stessa”.
La mano è ancora tra i suoi capelli e Osomatsu – confuso – spera sia tutto vero, anche se ancora è arrabbiato. Triste ed arrabbiato.
“Che cavolo vuol dire? Io non voglio andare da nessuna parte!” sputacchia nell'alzare la voce, sentendosi ancora più stupido di quello che è consapevole essere, ma quella figura benevola è lì, senza rabbia, senza odio, senza timori e – forse proprio per questo – gli occhi di Osomatsu diventano liquidi: quello non è Choromatsu, come non è nessun altro dei suoi fratelli. La corona di alloro improvvisamente non è più verde, ma ci prova a trattenerlo nei suoi colori, nei suoi dettagli, in quello che lo rende Choromatsu; apre le braccia e si spinge verso di lui, per tenerlo stretto, vicino.
Quando riapre gli occhi è solo il cuscino al suo fianco stretto tra le sue braccia, il cuscino di Choromatsu.
Se proprio dobbiamo fare un viaggio, solo se siamo insieme ha senso” è un suo pensiero, ma non è lui a dargli voce, lo imbarazza sentirlo echeggiare nella stanza e solo girandosi – lì dove dormiva Ichimatsu – nota il gattino esp che lo osserva distante.
“Stupido gatto” mormora, ma quelle stesse parole si plasmano in una forma più vera: “manca anche a me”.
Sono entrambi delle macchiette senza dimensione e questa è la parte rassicurante.

Non ho mai voluto essere figlio unico”.
Non ho mai voluto essere figlio unico”.

   
 
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