Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: TonyCocchi    25/03/2016    1 recensioni
Dall’inglese “to swap”: scambiare, fare a cambio.
Torno a “riscrivere” gli eventi della serie Attacco dei Giganti scambiando i personaggi nei ruoli e nelle situazioni! In questa versione alternativa, il “Titan Trio” si ritrova al posto del trio dei protagonisti.
La battaglia di Trost è in realtà una impari carneficina: gli umani muoiono invano come mosche dinanzi la furia dei titani. Anche Reiner, dopo aver perso l’intera squadra, e non essere riuscito ad estrarre Berthold dalla bocca del gigante che cercava di ingoiarlo, si ritrova nel suo stomaco, insieme all’amico, ad aspettare la triste fine.
Ma lui non vuole saperne: non si tratta di non voler morire. Si tratta di voler vivere.
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Berthold Huber, Reiner Braun
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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snk swapped - reiner berthold

Ciao a tutti, cari lettori! Il fiume dell’ispirazione ha proprio ripreso a scorrere in me! ^__^ Stavolta è bastato tornare su una vecchia idea che vi ho già proposto una volta, ma che negli ultimi tempi è continuata a risuonare nella mia fantasia come un campanello, pregando di sfruttarla ancora.

Quelli di voi che hanno letto la mia altra fanfic “Swapped”, ossia “Io non mi arrenderò”, sapranno già cosa aspettarsi. Per chi invece non la conosce, è stato il mio primo tentativo (chiamiamolo esperimento) di scambiare personaggi, solo nei ruoli e mantenendo intatte le personalità, e riscrivere così scene di questa magnifica serie.

Alla fine di questa inserirò il link a quest’altra storia, essendo ambientata cronologicamente dopo, potete immaginarla come una sorta di continuo ^__°

Detto questo, bando alle ciance, vi lascio alla lettura!

Spero vi piaccia!

 

 

 

Non fu esattamente come tuffarsi al lago come faceva da bambino.

Berthold riemerse, boccheggiando, ma l’aria lì dentro non gli diede alcun sollievo: era torrida, pesante, pungeva e bruciava nelle narici e nella gola, viziata dalla morte.

Così finiva dunque, nella maniera peggiore di tutte: nello stomaco di un titano, ingoiato ancora vivo, ad attendere la fine circondato da membra umane che gli galleggiavano attorno.

Dall’orrore che lo paralizzava, tornò un’istante alla realtà, e si ricordò di non essere stato condannato da solo a quel triste supplizio.

“Reiner! Reiner!”

Aveva perduto una gamba, e poi un braccio quando aveva cercato inutilmente di tenere aperta la bocca del titano nella pancia si trovavano, tutto per cercare di salvarlo mentre stava già venendo inghiottito: il suo amico era stato tanto caparbio e tanto folle da non abbandonarlo nemmeno sul ciglio del baratro, aveva preferito cadervi insieme piuttosto. In quelle condizioni, monco di due arti, gli era difficile, se non impossibile, riuscire a galleggiare.

“Reiner!” –lo chiamò, scuotendolo perché si riprendesse, cercando di tenerlo a galla, impresa difficile data la differenza di forza e di peso tra i due. Avrebbe dovuto cercare di appoggiarlo a qualcosa, ma ebbe ribrezzo al pensiero che l’unica cosa lì attorno che avrebbe potuto fargli da galleggiante era qualche cadavere.

Ebbe ancora più ribrezzo, quasi da fargli perdere i sensi, quando nel pieno dei suoi sforzi, gli giunsero dalle spalle dei suoni, suoni umani: respiri, gorgoglii, gemiti, singhiozzi…

Alcune di quelle membra, galleggianti in quel soffocante brodo, erano ancora vive. Smettetela, implorò. Tacete, pregò. Le sentì spegnersi, e un sollievo lo pervase: il loro calvario era finalmente terminato. Non restava che pregare fosse lo stesso per loro due, il più presto possibile.

Trascinò con immensa fatica il corpo mutilato dell’amico, stordito e sfinito dall’emorragia, fino alla parete dello stomaco del gigante.

“Appoggiati.”

Trattolo in salvo, se così ci si poteva azzardare a dire, poté tornare a pensare a quel luogo e al loro destino, e scoppiò in lacrime.

Era stato tutto inutile, si sentiva patetico, patetico come la razza a cui apparteneva: la loro brama di vendetta e rivincita, il loro addestrarsi, la loro combattività, entusiasta ed illusa, al momento del loro primo e ultimo scontro contro i giganti, ogni loro sforzo, era stato ridicolizzato.

Sentiva l’universo intero ridergli addosso, e addosso tutti gli umani, che, anche in quel preciso momento, venivano spazzati via senza appello. Non restavano ora che le lacrime e la pazienza di aspettare la liberazione da tutto ciò.

La sua disperazione fu nuovamente interrotta, stavolta dal verso rauco chi stringe i denti. Riaprì gli occhi e vide la mano di Reiner tremare tutta, nell’impresa di avvinghiarsi alla parete carnea, come vi stesse concentrando ogni energia residua: riusciva ad immaginare le vene del suo braccio forzuto disegnarsi, gonfie di sangue, sui muscoli contratti, come non volessero saperne di limitarsi a tenerlo a galla in quel viscido lago, come avessero ancora qualcosa da dare.

“Reiner… Che fai?”

“Voglio… scalare…”

No. Dannazione no. Arrenditi per una volta, gli gridò silenziosamente, digrignando i denti per la rabbia.

“Non voglio… finire così…”

Perché, credi che io lo voglia? Berthold sentiva il sangue ribollire, più caldo delle lacrime che gli scorrevano per le guance, più rovente dei rossi succhi gastrici in cui era immerso.

“Piantala…”

“Ce la devo fare… Su, provaci anche tu!”

“SMETTILA!” –gridò esasperato.

Uscire fuori dallo stomaco di un titano scalando sulla sua parate, scalando tutto l’esofago, fino a rivedere il sole attraverso le sue fauci affilate: non sarebbe stato possibile nemmeno se avesse avuto tutti e quattro gli arti, che ci provasse con un solo braccio e una sola gamba non era testardaggine, era un insulto all’intelligenza!

“Smettila, Reiner, è finita ormai.”

“NO!”

Perse la presa e finì di nuovo a mollo. Riemerse, tossì, sputò disgustato e poi artigliò nuovamente la parete.

Fece forza, aiutandosi anche col piede rimastogli.

“Per favore, basta! È tutto inutile!”

Un unghia gli si spezzò nel tentativo di far forza, e il suo urlo di dolore si tramutò in un comico gorgogliò del suo sprofondare una seconda volta.

“Non… mi arrenderò!” –ringhiò, abbarbicandosi di nuovo alla parete al meglio che il suo corpo a pezzi poteva concedergli-  “Dopo aver detto quelle cose davanti a tutti che figura ci farei a morire così?”

Quanti, come lui e prima di lui, avevano giurato e spergiurato di riscattare l’umanità dal giogo dei titani, ed erano finiti in pasto a quei mostri senza concludere niente. Eppure lui ancora si sentiva diverso, anche in quelle condizioni. Non poteva andarsene così e privare i suoi compagni del 104°esimo della loro fonte d’ispirazione.

“Ho detto che l’avrei fatto, che li avrei combattuti… Io devo… sterminarli tutti…”
“… dal primo all’ultimo…” –concluse in un tono stanco il suo compagno, come si asseconda un bambino troppo cresciuto.

Come non l’avesse già lasciato abbastanza di stucco, il biondo iniziò anche a ridere, col suo solito tono spaccone.

“Stai tranquillo, Berthold!” –disse proprio il più esagitato dei due- “Non ti faccio morire qui, non adesso: devi ancora dichiararti ad Annie, ricordi?”

Dannazione, perché me la riporti alla mente, gemette dentro di sé, proprio mentre cerco in tutti i modi di metterti l’animo in pace.

È la giusta punizione per i timidi, morire pieni di rimpianti, lo sapeva e la accettava. Eppure, a causa sua e della sua idiozia, la sua mente era subito tornata in volo da lei, immaginandola come l’avesse davanti a sé, immaginando tutto ciò che avrebbero potuto essere se solo avesse trovato il coraggio prima dello scadere del tempo concessogli, tutto ciò che aveva già perso per sempre. Quegli occhi freddi e magnifici, quel suo naso curioso, i suoi movimenti indomiti e incantevoli mentre si esercitava nei calci e nelle tecniche di combattimento, la sua concretezza, la premura per i deboli e l’odio per gli oppressori nascosti dietro il suo guscio di apatia, e tanto altro ancora attraversava i pensieri dei suoi ultimi istanti, un po’ consolandolo, un po’ fustigandolo con altro dolore.

Annie, la chiamava, come avesse potuto raggiungerla, spero almeno tu stia bene, che riuscirai a salvarti, che non ti tocchi una fine così orrenda: in gamba come sei, so che ce la farai.

“Perciò…” –continuava Reiner- “Ti farò uscire da qui ad ogni costo, amico! Devo proprio godermi la scena!”

Già, quasi riusciva ad immaginarsela, lui, rosso e imbranato davanti a lei a cercare di non rendersi troppo ridicolo e quel tontolone di Reiner in un angolo a tifare e imprecare contro di lui.

Incredibile, un attimo prima l’avrebbe preso a pugni, e ora grazie a lui gli veniva da sorridere anche in quell’inferno.

“Sempre il solito, Reiner: te stesso fino in fondo, eh?”

Non stava facendo nulla che meritasse la sua riprovazione in fondo, Reiner stava solo facendo il Reiner. Mentre lui, per perdersi nei suoi piagnistei da condannato, a momenti arrivava persino, con la scusa dell’animo in pace, ad andarsene senza salutare Annie un’ultima volta, anche solo nei suoi pensieri.

Continuò a guardarlo, sforzarsi, ancora e ancora, ignorando il tonfo di un altro corpo maciullato appena venuto giù dal lontanissimo e buio pertugio sopra le loro teste da cui si illudeva di fuoriuscire.

“Sono contento di essere tuo amico, e di averti qui con me.”

“……”

“Certo, se fossimo fuori di qui lo sarei di più ma non si può avere tutto suppongo.”

Contento avesse recuperato un po’ di spirito, Reiner si girò per sorridere insieme a lui della sua battuta.

Poi, inteneritosi il suo spirito in quella dimostrazione di affetto fraterno, una crepa di consapevolezza dovette aprirsi sulla sua maschera d’acciaio, e Berthold osservò il suo sorriso trasformarsi in smorfia, bagnarsi di lacrime, incresparsi di rughe, crollare tra i singhiozzi trattenuti a stento, come crolla una casa durante un terremoto.

Prese fiato e gridò, battendo stizzito il moncherino del braccio sinistro nel liquido disgustoso in cui erano immersi.

“Dannatissimi mostri!” –echeggiò nell’aria pregna di morte tra quelle pareti di carne.

Al diavolo l’unghia rotta, avrebbe resistito a un po’ di dolore, pur di affondare quelle che gli restavano in profondità in quella parete mucosa, fino a fargli male, fino a farla sanguinare.

“Io uscirò da qui! Finché avrò un briciolo di forze le userò tutte per uscire fuori! Mi avete sentito?”

Berthold sospirò, lasciando l’amico sfogarsi, senza darsi più tutti i pensieri di prima. Le sue grida erano una magnifica testimonianza della potenza della vita, capace di farsi onore e farsi sentire anche da lì dentro, in quell’angusto, disgustoso budello di disperazione.

“Vi farò a pezzi! Vi distruggerò! L’ho detto e non me lo rimangio! Dovete smetterla di rubarci l’esistenza, mostri maledetti!”

Aveva ragione, tutte le ragioni del mondo. Eppure eccolo lì, spacciato, a perdere le ultime forze sgolandosi, senza che il resto dell’umanità lo sentisse, senza che si rendesse conto.

Il loro era crimine più abietto di tutti. Rubare la vita, rubare i sogni, rubare il futuro.
Sentenziare, giudicare, condannare, uccidere, solo in virtù della propria arrogante superiorità.

Il suo braccio si mosse da solo, e compì lo stesso gesto stizzito dell’amico: colpì quella brodaglia rossa, un’altra volta, un’altra ancora, mentre un grido gli premeva, doloroso, nella gola perché lo lasciasse uscire, perché si unisse a quelli di Reiner.

“Vi ucciderò… Vi sterminerò fino all’ultimo!”

Un’altra unghia si spezzò. Le ossa delle dita stavano per frantumarsi per lo sforzo. Ma Reiner non mollava la presa.

Berthold allora, nuotando nervosamente, gli si avvicinò.

Non voleva sperare che Annie fosse salva, non voleva augurarle di sopravvivere, voleva rivederla! Voleva essere lui a salvarla! Voleva continuare a vivere insieme a lei!

E invece sarebbe dovuto morire per dar da mangiare a un enorme, stupido, bestione assassino? No! No! No! Era insopportabile!

Non era stata la rabbia di Reiner a contagiarlo infine, ma la furia sua propria, montata nel suo profondo come una marea che ora voleva straripare e inondare il loro mondo crudele. 

“FINO ALL’ULTIMO!” –lo assordò il suo amico nel momento in cui lo raggiunse.

Berthold scagliò il suo lungo braccio e artigliò anche lui la parete.

I due squarciarono insieme le proprie gole, sforzandosi di tirarsi su.

Altre unghie si spezzarono.

 

Poi fu come esplodere, come se la troppa rabbia non potesse essere contenuta in involucri tanto piccoli come i loro.

 

Ma loro non erano piccoli.

 

Erano umani.

 

<< Fino all’ultimo! >>

 

Ed erano enormi, colossali, infiniti come il mondo che ciascuno di essi aveva dentro di sé e che reclamava il proprio diritto di esistere.

 

<< Fino all’ultimo! >>

 

Da quell’istante, non seppero più se fossero ancora vivi, o se il loro comune ultimo pensiero, nel loro ultimo istante, si fosse cristallizzato in un eco.

 

<< Fino all’ultimo! >>

 

Che non smetteva di risuonare.

 

<< Fino all’ultimo! >>

 

 

Attack on Titan Swapped – Io non mi arrenderò >>> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3362511&i=1

 

La fine non è giunta per i due. L’umanità continua a ruggire, e promette ancora grande battaglia. Se vorrete seguire il link, nel caso non lo conosceste, potrete ancora vederli all’opera sotto le insolite vesti dei “buoni”.

Spero questa mia versione alternativa vi risulti realistica e gradita, e, dal canto mio, spero di riuscire a “riscrivere” così anche altre delle scene più belle!

Alla prossima!

  
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