Ciao a tutti, cari lettori! Il fiume
dell’ispirazione ha proprio ripreso a scorrere in me! ^__^ Stavolta è bastato
tornare su una vecchia idea che vi ho già proposto una volta, ma che negli
ultimi tempi è continuata a risuonare nella mia fantasia come un campanello,
pregando di sfruttarla ancora.
Quelli di voi che hanno letto la mia
altra fanfic “Swapped”, ossia “Io non mi arrenderò”, sapranno già cosa
aspettarsi. Per chi invece non la conosce, è stato il mio primo tentativo
(chiamiamolo esperimento) di scambiare personaggi, solo nei ruoli e mantenendo
intatte le personalità, e riscrivere così scene di questa magnifica serie.
Alla fine di questa inserirò il link a
quest’altra storia, essendo ambientata cronologicamente dopo, potete
immaginarla come una sorta di continuo ^__°
Detto questo, bando alle ciance, vi
lascio alla lettura!
Spero vi piaccia!
Non fu esattamente come tuffarsi al lago
come faceva da bambino.
Berthold riemerse, boccheggiando, ma
l’aria lì dentro non gli diede alcun sollievo: era torrida, pesante, pungeva e
bruciava nelle narici e nella gola, viziata dalla morte.
Così finiva dunque, nella maniera
peggiore di tutte: nello stomaco di un titano, ingoiato ancora vivo, ad
attendere la fine circondato da membra umane che gli galleggiavano attorno.
Dall’orrore che lo paralizzava, tornò
un’istante alla realtà, e si ricordò di non essere stato condannato da solo a
quel triste supplizio.
“Reiner! Reiner!”
Aveva perduto una gamba, e poi un
braccio quando aveva cercato inutilmente di tenere aperta la bocca del titano
nella pancia si trovavano, tutto per cercare di salvarlo mentre stava già
venendo inghiottito: il suo amico era stato tanto caparbio e tanto folle da non
abbandonarlo nemmeno sul ciglio del baratro, aveva preferito cadervi insieme
piuttosto. In quelle condizioni, monco di due arti, gli era difficile, se non
impossibile, riuscire a galleggiare.
“Reiner!” –lo chiamò, scuotendolo perché
si riprendesse, cercando di tenerlo a galla, impresa difficile data la
differenza di forza e di peso tra i due. Avrebbe dovuto cercare di appoggiarlo
a qualcosa, ma ebbe ribrezzo al pensiero che l’unica cosa lì attorno che
avrebbe potuto fargli da galleggiante era qualche cadavere.
Ebbe ancora più ribrezzo, quasi da
fargli perdere i sensi, quando nel pieno dei suoi sforzi, gli giunsero dalle
spalle dei suoni, suoni umani: respiri, gorgoglii, gemiti, singhiozzi…
Alcune di quelle membra, galleggianti in
quel soffocante brodo, erano ancora vive. Smettetela, implorò. Tacete, pregò.
Le sentì spegnersi, e un sollievo lo pervase: il loro calvario era finalmente
terminato. Non restava che pregare fosse lo stesso per loro due, il più presto
possibile.
Trascinò con immensa fatica il corpo
mutilato dell’amico, stordito e sfinito dall’emorragia, fino alla parete dello
stomaco del gigante.
“Appoggiati.”
Trattolo in salvo, se così ci si poteva
azzardare a dire, poté tornare a pensare a quel luogo e al loro destino, e
scoppiò in lacrime.
Era stato tutto inutile, si sentiva
patetico, patetico come la razza a cui apparteneva: la loro brama di vendetta e
rivincita, il loro addestrarsi, la loro combattività, entusiasta ed illusa, al
momento del loro primo e ultimo scontro contro i giganti, ogni loro sforzo, era
stato ridicolizzato.
Sentiva l’universo intero ridergli
addosso, e addosso tutti gli umani, che, anche in quel preciso momento,
venivano spazzati via senza appello. Non restavano ora che le lacrime e la
pazienza di aspettare la liberazione da tutto ciò.
La sua disperazione fu nuovamente
interrotta, stavolta dal verso rauco chi stringe i denti. Riaprì gli occhi e vide
la mano di Reiner tremare tutta, nell’impresa di avvinghiarsi alla parete
carnea, come vi stesse concentrando ogni energia residua: riusciva ad
immaginare le vene del suo braccio forzuto disegnarsi, gonfie di sangue, sui
muscoli contratti, come non volessero saperne di limitarsi a tenerlo a galla in
quel viscido lago, come avessero ancora qualcosa da dare.
“Reiner… Che fai?”
“Voglio… scalare…”
No. Dannazione no. Arrenditi per una
volta, gli gridò silenziosamente, digrignando i denti per la rabbia.
“Non voglio… finire così…”
Perché, credi che io lo voglia? Berthold
sentiva il sangue ribollire, più caldo delle lacrime che gli scorrevano per le
guance, più rovente dei rossi succhi gastrici in cui era immerso.
“Piantala…”
“Ce la devo fare… Su, provaci anche tu!”
“SMETTILA!” –gridò esasperato.
Uscire fuori dallo stomaco di un titano
scalando sulla sua parate, scalando tutto l’esofago, fino a rivedere il sole
attraverso le sue fauci affilate: non sarebbe stato possibile nemmeno se avesse
avuto tutti e quattro gli arti, che ci provasse con un solo braccio e una sola
gamba non era testardaggine, era un insulto all’intelligenza!
“Smettila, Reiner, è finita ormai.”
“NO!”
Perse la presa e finì di nuovo a mollo.
Riemerse, tossì, sputò disgustato e poi artigliò nuovamente la parete.
Fece forza, aiutandosi anche col piede
rimastogli.
“Per favore, basta! È tutto inutile!”
Un unghia gli si spezzò nel tentativo di
far forza, e il suo urlo di dolore si tramutò in un comico gorgogliò del suo
sprofondare una seconda volta.
“Non… mi arrenderò!” –ringhiò, abbarbicandosi
di nuovo alla parete al meglio che il suo corpo a pezzi poteva
concedergli- “Dopo aver detto quelle
cose davanti a tutti che figura ci farei a morire così?”
Quanti, come lui e prima di lui, avevano
giurato e spergiurato di riscattare l’umanità dal giogo dei titani, ed erano
finiti in pasto a quei mostri senza concludere niente. Eppure lui ancora si
sentiva diverso, anche in quelle condizioni. Non poteva andarsene così e
privare i suoi compagni del 104°esimo della loro fonte d’ispirazione.
“Ho detto che l’avrei fatto, che li
avrei combattuti… Io devo… sterminarli tutti…”
“… dal primo all’ultimo…” –concluse in un tono stanco il suo compagno, come si
asseconda un bambino troppo cresciuto.
Come non l’avesse già lasciato
abbastanza di stucco, il biondo iniziò anche a ridere, col suo solito tono
spaccone.
“Stai tranquillo, Berthold!” –disse
proprio il più esagitato dei due- “Non ti faccio morire qui, non adesso: devi
ancora dichiararti ad Annie, ricordi?”
Dannazione, perché me la riporti alla
mente, gemette dentro di sé, proprio mentre cerco in tutti i modi di metterti
l’animo in pace.
È la giusta punizione per i timidi,
morire pieni di rimpianti, lo sapeva e la accettava. Eppure, a causa sua e
della sua idiozia, la sua mente era subito tornata in volo da lei,
immaginandola come l’avesse davanti a sé, immaginando tutto ciò che avrebbero
potuto essere se solo avesse trovato il coraggio prima dello scadere del tempo
concessogli, tutto ciò che aveva già perso per sempre. Quegli occhi freddi e
magnifici, quel suo naso curioso, i suoi movimenti indomiti e incantevoli
mentre si esercitava nei calci e nelle tecniche di combattimento, la sua
concretezza, la premura per i deboli e l’odio per gli oppressori nascosti
dietro il suo guscio di apatia, e tanto altro ancora attraversava i pensieri
dei suoi ultimi istanti, un po’ consolandolo, un po’ fustigandolo con altro
dolore.
Annie, la chiamava, come avesse potuto
raggiungerla, spero almeno tu stia bene, che riuscirai a salvarti, che non ti
tocchi una fine così orrenda: in gamba come sei, so che ce la farai.
“Perciò…” –continuava Reiner- “Ti farò
uscire da qui ad ogni costo, amico! Devo proprio godermi la scena!”
Già, quasi riusciva ad immaginarsela,
lui, rosso e imbranato davanti a lei a cercare di non rendersi troppo ridicolo
e quel tontolone di Reiner in un angolo a tifare e imprecare contro di lui.
Incredibile, un attimo prima l’avrebbe
preso a pugni, e ora grazie a lui gli veniva da sorridere anche in
quell’inferno.
“Sempre il solito, Reiner: te stesso
fino in fondo, eh?”
Non stava facendo nulla che meritasse la
sua riprovazione in fondo, Reiner stava solo facendo il Reiner. Mentre lui, per
perdersi nei suoi piagnistei da condannato, a momenti arrivava persino, con la
scusa dell’animo in pace, ad andarsene senza salutare Annie un’ultima volta,
anche solo nei suoi pensieri.
Continuò a guardarlo, sforzarsi, ancora
e ancora, ignorando il tonfo di un altro corpo maciullato appena venuto giù dal
lontanissimo e buio pertugio sopra le loro teste da cui si illudeva di fuoriuscire.
“Sono contento di essere tuo amico, e di
averti qui con me.”
“……”
“Certo, se fossimo fuori di qui lo sarei
di più ma non si può avere tutto suppongo.”
Contento avesse recuperato un po’ di
spirito, Reiner si girò per sorridere insieme a lui della sua battuta.
Poi, inteneritosi il suo spirito in
quella dimostrazione di affetto fraterno, una crepa di consapevolezza dovette
aprirsi sulla sua maschera d’acciaio, e Berthold osservò il suo sorriso
trasformarsi in smorfia, bagnarsi di lacrime, incresparsi di rughe, crollare
tra i singhiozzi trattenuti a stento, come crolla una casa durante un
terremoto.
Prese fiato e gridò, battendo stizzito
il moncherino del braccio sinistro nel liquido disgustoso in cui erano immersi.
“Dannatissimi mostri!” –echeggiò
nell’aria pregna di morte tra quelle pareti di carne.
Al diavolo l’unghia rotta, avrebbe
resistito a un po’ di dolore, pur di affondare quelle che gli restavano in
profondità in quella parete mucosa, fino a fargli male, fino a farla
sanguinare.
“Io uscirò da qui! Finché avrò un briciolo
di forze le userò tutte per uscire fuori! Mi avete sentito?”
Berthold sospirò, lasciando l’amico
sfogarsi, senza darsi più tutti i pensieri di prima. Le sue grida erano una
magnifica testimonianza della potenza della vita, capace di farsi onore e farsi
sentire anche da lì dentro, in quell’angusto, disgustoso budello di
disperazione.
“Vi farò a pezzi! Vi distruggerò! L’ho
detto e non me lo rimangio! Dovete smetterla di rubarci l’esistenza, mostri
maledetti!”
Aveva ragione, tutte le ragioni del
mondo. Eppure eccolo lì, spacciato, a perdere le ultime forze sgolandosi, senza
che il resto dell’umanità lo sentisse, senza che si rendesse conto.
Il loro era crimine più abietto di
tutti. Rubare la vita, rubare i sogni, rubare il futuro.
Sentenziare, giudicare, condannare, uccidere, solo in virtù della propria arrogante
superiorità.
Il suo braccio si mosse da solo, e compì
lo stesso gesto stizzito dell’amico: colpì quella brodaglia rossa, un’altra
volta, un’altra ancora, mentre un grido gli premeva, doloroso, nella gola
perché lo lasciasse uscire, perché si unisse a quelli di Reiner.
“Vi ucciderò… Vi sterminerò fino
all’ultimo!”
Un’altra unghia si spezzò. Le ossa delle
dita stavano per frantumarsi per lo sforzo. Ma Reiner non mollava la presa.
Berthold allora, nuotando nervosamente,
gli si avvicinò.
Non voleva sperare che Annie fosse
salva, non voleva augurarle di sopravvivere, voleva rivederla! Voleva essere
lui a salvarla! Voleva continuare a vivere insieme a lei!
E invece sarebbe dovuto morire per dar
da mangiare a un enorme, stupido, bestione assassino? No! No! No! Era
insopportabile!
Non era stata la rabbia di Reiner a
contagiarlo infine, ma la furia sua propria, montata nel suo profondo come una
marea che ora voleva straripare e inondare il loro mondo crudele.
“FINO ALL’ULTIMO!” –lo assordò il suo
amico nel momento in cui lo raggiunse.
Berthold scagliò il suo lungo braccio e
artigliò anche lui la parete.
I due squarciarono insieme le proprie
gole, sforzandosi di tirarsi su.
Altre unghie si spezzarono.
Poi fu come esplodere, come se la troppa
rabbia non potesse essere contenuta in involucri tanto piccoli come i loro.
Ma loro non erano piccoli.
Erano umani.
<< Fino all’ultimo! >>
Ed erano enormi, colossali, infiniti
come il mondo che ciascuno di essi aveva dentro di sé e che reclamava il
proprio diritto di esistere.
<< Fino all’ultimo! >>
Da quell’istante, non seppero più se
fossero ancora vivi, o se il loro comune ultimo pensiero, nel loro ultimo
istante, si fosse cristallizzato in un eco.
<< Fino all’ultimo! >>
Che non smetteva di risuonare.
<< Fino all’ultimo! >>
Attack
on Titan Swapped – Io non mi arrenderò >>> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3362511&i=1
La fine non è giunta per i due. L’umanità
continua a ruggire, e promette ancora grande battaglia. Se vorrete seguire il
link, nel caso non lo conosceste, potrete ancora vederli all’opera sotto le
insolite vesti dei “buoni”.
Spero questa mia versione alternativa vi
risulti realistica e gradita, e, dal canto mio, spero di riuscire a “riscrivere”
così anche altre delle scene più belle!
Alla prossima!