La
Stanza Buia
Prologo
Roxanne Lennox, così si chiamava la ragazzina
che Black osservava da un paio di sere, e non si trattava affatto di una bimba
dai denti da latte innamorata degli unicorni. A parte avere un nome che
all’Uomo Nero sembrava fin troppo una medicina, Roxanne era un’adolescente
dalla testa calda – almeno per quanto lui aveva capito spiandola di nascosto –
e di certo una vita turbolenta alle spalle.
Pitch non sapeva neanche perché fosse tanto
interessato a una ragazzina che aveva abbondantemente oltrepassato la soglia
dell’età in cui è facile aver paura di tutto. A Black non piacevano gli
adolescenti. Li trovava troppo sfacciati, senza alcun freno alla loro
prepotenza e difficilmente spaventabili. Roxanne era ormai entrata nell’età in
cui si ride delle ombre sui muri e si vaga per la casa nel buio più completo,
inventando storie di fantasmi che avevano infestato il posto molti anni prima.
Black aveva incontrato molti visini spauriti
nel corso della sua lunga vita come Signore degli Incubi, aveva sempre
preferito come vittime bimbi indifesi, mentre adesso quella che si ritrovava
davanti era una quindicenne imbronciata dagli occhi scuri truccati di nero e un
caschetto arruffato di capelli color inchiostro, vestita di scuro con una certa
influenza della moda punk nell’abbigliamento.
D’altronde era vero: con un moccioso
qualunque il gioco era stato troppo semplice e a lungo andare monotono, e
guardando Roxanne si andava chiedendo cosa mai fosse successo a tentare di
spaventare uno di quegli adulti in miniatura. Spaventare era sempre stato
divertente, strisciare fuori da sotto i letti e gli angoli bui era diventato,
per Black, l’unico e solo scopo della propria esistenza. Tuttavia la noia
iniziava a subentrare nella sua occupazione: i bambini erano troppo sensibili e
prevedibili. Cosa c’era di strano nel volere qualcosa di più?
Più meditava su quella domanda più l’Uomo
Nero si scopriva nervoso per un motivo indefinito. Perché si era lasciato
coinvolgere in quelle considerazioni idiote?
“Perché vuoi metterti alla prova” gli rispose
un’irritante vocina nella sua testa “se riuscissi a far sì che un ragazzino
ormai cresciuto creda in te potresti avere la possibilità di avere la tua
esistenza riconosciuta, non è forse vero?”.
Detestava quel pensiero. Era come ammettere
di avere una debolezza con la quale era facile ricattarlo, qualcosa che lo
rendesse imperfetto e sempre bisognoso di qualcosa per realizzarsi. Era come se
tutto d’un tratto gli avessero promesso una vita migliore. Era stanco di
sentirsi un parassita indesiderato.
Aveva notato qualcosa in Roxanne. Per quanto
all’apparenza potesse sembrare una piccola sfacciata, il suo umore mutava
completamente quando in casa si trovava a passare davanti una porta chiusa.
Black conosceva bene l’odore della paura, era sempre stato ciò che lo aveva accompagnato
da secoli infiniti; e adesso lo avvertiva forte e chiaro ogni qualvolta la
ragazzina si trovava costretta ad avvicinarsi a quella stanza.
L’Uomo Nero sorrise: nonostante tutto allora
anche gli adolescenti avevano paura di qualcosa, e quella era un’ottima
occasione per tentare di scoprire come poterla sfruttare a proprio vantaggio.
Ma quella – si promise – era l’ultima volta
che avrebbe ceduto ad una curiosità così folle.
******
Roxanne aveva sempre detestato quello
sgabuzzino. Era piccolo, colmo fino all’inverosimile di vecchia roba
accatastata, non ci si poteva muovere liberamente e, come se non bastasse,
dentro regnava il buio totale. Non importava quanta luce ci fosse all’esterno:
quella piccola stanza rimaneva sempre e comunque oscura come una caverna nella
quale si rintana il peggiore dei mostri.
In realtà non aveva sempre mostrato
avversione verso quella stanzetta. C’era stato un tempo in cui non le faceva né
caldo né freddo; almeno fino a quando un pomeriggio Roxanne non era riuscita a
convincere quell’odioso del suo fratellastro Jason a giocare a nascondino. A
Jason non piaceva giocare con lei, e a dirla tutta neanche lei amava molto la
sua compagnia: faceva sempre il gradasso, le faceva i dispetti e preferiva
rimanere tutto il giorno cementato sul divano in compagnia della playstation. Ma
a quel tempo si erano trasferiti in quella casa da poco e ancora non avevano
amici da invitare a casa per avere un po’ di compagnia, così Jason aveva
acconsentito sbuffando alle sue proteste. Rox era
convinta che l’avesse fatto solo perché si era stufato di sentirla
piagnucolare. A lui era toccato contare, mentre lei era scappata nelle varie
stanze a cercare il nascondiglio perfetto. Infine aveva deciso di entrare
proprio in quella piccola camera che avevano adibito a ripostiglio; la sua
matrigna le aveva impedito di entrare perché aveva paura che mettesse disordine
nella perfezione metodica che sempre accompagnava le sue pulizie, e più volte
Jason l’aveva presa in giro dicendole che non avrebbe avuto il coraggio di
entrare in quella stanza buia. Sì, quello sarebbe stato il posto ideale. Così
era entrata di soppiatto e si era chiusa la porta alle spalle. Era rimasta in
piedi, al buio, e il cuore aveva iniziato a batterle forte. Aveva stretto e
pugni con decisione: no, non sarebbe scappata, così avrebbe dimostrato a Jason
e Rita che non aveva paura del buio e che sapeva mantenere l’ordine. Solo pochi
secondi dopo aveva sentito Jason urlare “cinquanta!”, anche se era passato
troppo poco tempo perché avesse davvero contato fino a cinquanta, e i suoi
passi avevano iniziato a risuonare per la casa.
Dopo poco si erano avvicinati alla porta e
uno strano scatto metallico appena accennato aveva fatto impensierire la
bambina. Non appena Jason si era allontanato Rox
aveva cercato a tentoni la maniglia per poter uscire e vincere la partita, ma
la porta non voleva saperne di aprire per quanti sforzi lei facesse. Era
inutile tirare o spingere, e un pensiero maligno la mise in agitazione: Jason
l’aveva chiusa dentro dall’esterno, non c’era modo di uscire. Era rimasta per
quelli che gli erano sembrati secoli in quello spazio stretto, al buio nel
quale sembravano prendere forma strane immagini e occhi rossi di esseri
misteriosi la scrutavano dall’alto. Aveva iniziato a battere i pugni sulla
porta e gridare per attirare l’attenzione, anche se sapeva che tutti quegli
sforzi non sarebbero serviti a un granché: suo padre era a lavoro, Rita passava
la giornata attaccata al telefono e Jason… bè, lui l’aveva chiusa dentro,
perché avrebbe dovuto farla uscire?
Quando finalmente la porta si era aperta Rox era uscita alla luce tutta tremante, con le lacrime
agli occhi e la gola che le faceva male a furia di gridare. Jason le aveva
sorriso soddisfatto, per nulla pentito di quella crudeltà.
-Hai
perso-
Le aveva detto solo, e quando lei aveva
cercato di vendicarsi prendendolo a pugni Rita si era affacciata da una porta
richiamata dalle grida, rimproverandola per quel suo comportamento che lei
definiva “da animale selvatico”.
-Per forza che Jason si è arrabbiato- aveva
detto mentre digitava furiosamente sui tasti del telefono –scommetto che lo hai
esasperato con le tue morbose richieste di attenzione-
Rox non aveva tenuto in conto quel commento: Rita avrebbe perdonato al
figlio qualsiasi cosa e lo difendeva a spada tratta anche quando si trovava
palesemente nel torto. L’unica soddisfazione che la bambina aveva avuto era
stata quella di vedere Jason massaggiarsi un braccio la sera stessa, e di
constatare che aveva un cerotto sulla guancia sinistra. Jason era un gigante a
confronto con lei, eppure Rox sapeva picchiare forte
quando voleva, soprattutto quando era costretta a farsi giustizia da sola.
Quell’episodio era stato presto messo da
parte insieme alle altre liti giornaliere tra i due, eppure da quel giorno in
poi Rox non aveva più voluto mettere piede in quello
sgabuzzino. Rifiutava di sistemare le sue cose lì dentro e quando doveva prendere
qualcosa al suo interno si sporgeva dalla porta con una serie di acrobazie
impossibili pur di non entrarci del tutto. Crescendo quella paura le era
rimasta, non c’era modo di farla avvicinare a quella porta. Del resto tutti
hanno paura di qualcosa: e per lei quella stanza buia era l’incubo peggiore.
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Ecco, ci sono cascata
di nuovo. Salve gente, sono sempre io, tornata a psicanalizzare Black per la
gioia di tutti *O*/ … Tranne che per la sua, forse <.< cosa posso farci,
mi diverte studiare la mentalità contorta di quel cosino nero!
Questa storia è nata
principalmente da una frase che un’amica ha detto qualche giorno fa e che
ripeterò a tempo debito nei capitoli a seguire per inserirla ne contesto. E
oltre a questo, mi sono sempre chiesta se Black avesse mai osato provare a
spaventare qualcuno che non sia un bimbetto dai denti da latte, e cosa sarebbe
successo se la sua attenzione si fosse rivolta a ragazzi più cresciuti.
Così puff! è nata Roxanne, che *Confessioni dell’autrice - time* all’inizio era stata concepita come
una ragazzina timida e insicura e poi si è evoluta nella piccola punk
scapestrata di cui abbiamo fatto la conoscenza qui sopra. Ahi, questi
personaggi ribelli!
E a proposito di
evoluzioni, questa storia avrebbe dovuto essere una One
Shot, poi è andata via via dilungandosi tanto che ho
deciso di dividerla in capitoli per riuscire a creare un lavoro fatto bene
senza nulla togliere ai miei mattoni di introspezione xD
anche perché ammetto che le storie troppo lunghe a volte risultano difficili da
leggere e a volte stufano anche, e l’ultima cosa che voglio è annoiare qualcuno
con la mia scrittura. Quindi, che dire? Vi aspetto al prossimo capitolo e
grazie a chi seguirà questa nuova creazione :D
Kisses,
Rory_Chan