Ciao a tutti, cari lettori! Se siete qui
avete letto che questa storia è spoiler sull’ultimo capitolo attualmente
uscito, pertanto posso parlare liberamente perché significa l’avete già letto.
Il capitolo 80 mi ha scosso un sacco
(come suppongo abbia scosso molti di voi)… T__T Certamente la sorte di Erwin, a
dir poco epica, ne è la chiave di volta, ma il mio tributo a tale capitolo
parte dalla mia passione per un personaggio secondario, che, come Erwin, è
presumibilmente andato incontro alla propria fine, ossia Marlo. E con lui
ovviamente va via anche la coppia Marlo x Hitch che tanto mi piaceva…
So che si tratta di personaggi secondari
e di un pairing con poco o nulla seguito, quindi probabilmente non mi beccherò
granché in letture e commenti, ma non potevo resistere alla tentazione di
scrivere questa storia sul loro addio.
Spero vi piaccia, buona lettura!
Hitch seppe di essere sulla strada
giusta quando iniziò a vedersi venire incontro abiti neri e persone in lacrime.
La tanto decantata spedizione a
Shiganshina di riconquista del Wall Maria era stata un fiasco colossale: aspettative
deluse, un gran numero di vittime, e la Legione Esplorativa, uscita con le ossa
più che rotte dall’impresa, orfana persino del suo comandante, che metteva in
pubblica mostra i suoi “eroi” nel piazzale di una delle loro caserme, affinché
il popolo e i loro cari potessero piangerli.
Al diavolo gli eroi, così pensava lei, e
al diavolo quegli idioti suicidi: prima li avevano mandati a morire,
inutilmente per giunta, e ora li innalzavano su un piedistallo splendente,
giusto il tempo di scavare le buie fosse in cui seppellirli.
Doveva ammetterlo però: per un po’,
anche lei ci aveva creduto, come tutti, aveva creduto nella loro riscossa, la
riscossa di tutta l’umanità.
Ma alla fine, la Legione li aveva
illusi, e ora era responsabile per tutte quelle lacrime di vedove, orfani,
amanti ed amici che vedeva intorno a sé, per gli “eroi” che aveva sfornato con
la sua ultima disastrosa avventura.
Ma a chi voleva darla a bere?
Non le importava nulla di quei poveracci in lutto.
Aveva già il suo dolore, e le bastava.
Scansò via una vecchia disperata senza
troppi complimenti, ed attraversò il grande arco di mattoni che immetteva nello
spiazzo rettangolare: lì, circondate dalle mura dell’edificio, erano state
schierate le bare aperte.
Nella maggior parte di esse non vi era
alcun corpo, poiché nella ritirata non c’era stato modo di portar via tutti i
resti, sicché familiari, commilitoni e astanti erano costretti a deporre i loro
fiori su vuoti mantelli verdi, sul simbolo, da sempre carico di fatue speranze,
del corpo a cui avevano scelto di appartenere e per il quale avevano combattuto
con coraggio fino all’ultimo istante.
Così almeno si sperava, così almeno si
voleva pensare per rendere tutto un po’ più sopportabile.
Trovò la sua, e constatò che dopotutto
gli era andata bene: il corpo di Marlo era stato composto con molta cura, e
soprattutto, tra i pochi che c’erano, era uno dei più integri. Bastava passar sopra
al fatto che gli fosse stato scavato via tutto il fianco sinistro dal torace in
giù, ma si notava poco, coperto com’era dal mantello con le Ali della Libertà
come fosse un lenzuolo.
Poggiò le mani sui fianchi e scosse il
capo.
“Lo sai, non sono per niente sorpresa di
trovarti qui.” –gli disse.
Gli rivolse un lungo sguardo di
rimprovero; nel mentre l’aria, senza la sua voce, si riempì di gemiti e lamenti
di altri lì intorno, che lei ignorò del tutto.
Hitch sbuffò e proseguì con la sua
ramanzina: “Te l’avevo detto io, no? E tu niente. So che ho detto più volte di
trovarti spassoso, Marlo, ma se vuoi sapere tutta la verità, molte volte
finisci col darmi sui nervi! Tu e le tue fisime da salvatore del mondo! A
quest’ora potevamo starcene a raccogliere tranquillamente i frutti del nostro
aver contribuito alla riuscita del colpo di stato: denaro, scatti di carriera, rispetto
assicurato, come si fa a sputarci sopra? Solo tu potevi riuscirci! Se mi avessi
dato retta, adesso staresti una pacchia, e io non starei qui a parlare come una
scema al tuo corpo.”
Non che si sentisse ridicola per questo.
Se pure qualcuno, in quel momento, stesse facendo caso a lei, non gliene
importava nulla.
“Dì, ne valeva la pena?”
Chi tace acconsente, si suole dire.
“Scommetto rifaresti tutto tornando
indietro, o mi sbaglio?”
Figuriamoci se anche da morto quel tonto
si sarebbe mai degnato di darle ragione per una volta.
“Testone…
Che altro avrei dovuto fare per convincerti?”
La
Legione Esplorativa, forte di truppe fresche reclutate negli altri due corpi,
si era radunata quel giorno a Trost: tutti i preparativi erano stati ultimati,
e la conquista del Wall Maria poteva avere inizio.
Naturalmente
lei si era recata lì, e aveva cercato tra le decine di cappe verdi, votatesi
alla vittoria o alla morte, finché non era riuscita a trovarlo.
“Hitch?”
“Ehi!”
–lo salutò col suo vispo sorriso volpino.
Marlo
tirò piano le redini per far voltare il suo cavallo: “Cosa ci fai qui? Non
sarai di nuovo venuta a cercare di convincermi, vero?”
“Tsk, figuriamoci! Ci ho rinunciato ormai, tu sei una causa persa.” –lo derise
come suo solito- “Se ci tieni così tanto va pure. Ti farai ammazzare.”
Marlo
alzò gli occhi al cielo, desiderando di avere un centesimo per ogni volta le
aveva sentito ripetere quella frase negli ultimi tempi.
“Si,
possibile.” –scrollò le spalle.
“E
pensi davvero che ne valga la pena?” –chiese ben conoscendo la risposta, e il
tono in cui l’avrebbe pronunciata.
“Si. Senza dubbio.”
Eccolo
lì: sempre meno spassoso e sempre più irritante e basta.
Si
schiarì la voce: “Ad ogni modo, Hitch, mi dispiace molto che tu non riesca
proprio a comprendere il mio punto di vista e la mia scelta."
Sospirò:
“Vero, non ci riesco per niente.”
Gli
rivolse un sorriso. Che non passò certo inosservato a giudicare dal confuso
rossore dipintosi suo viso.
“Oh,
beh, padrone di fare come vuoi. Se vuoi rinunciare alla bella vita per
diventare uno stuzzichino per giganti che ci posso fare io?” –tornò a
sghignazzare lei, facendo spallucce- “Che peccato, avremmo potuto davvero
spassarcela se solo fossi stato meno idiota. Ricordi quella locanda a Stohess
che volevamo provare? Questa settimana ho sentito fanno uno sconto speciale
sulla birra scura!”
“Hitch,
io sono astemio.”
“E
che altro poteva essere un guastafeste come te?!”
“Ehi,
perché ti scaldi tanto tutto a un tratto?” –sbiancò davanti la sua reazione.
“Perché?!”
–osava chiedere!
In
quel momento, dalla testa del drappello iniziò a propagarsi l’ordine di
mobilitazione: redini vennero scosse una dopo l’altra, e le cappe verdi presero
con ordine ad avviarsi verso il portale della città, obiettivo Shiganshina.
“Devo
andare.”
“Si,
ecco bravo, vai! Sparisci dalla mia vista, così eviti di farmi venire
l’ennesimo mal di testa!” –si voltò, e prese a camminar via, rigida come un
fascio di nervi- “Vai pure a fare il grand’uomo, a combattere per il supremo
bene e il futuro dell’umanità e altre boiate, quella birra me la sgolerò alla
tua memoria!”
Che
stupida, voleva davvero che fossero quelle le ultime parole che gli rivolgeva?
Ma sarebbe stato fin troppo imbarazzante voltarsi adesso!
“Ehi,
Hitch!”
Fermarsi.
Quello si, poteva farlo.
“Se
hai un po’ di pazienza al mio ritorno quella birra te la offro io.”
Capì
dalla sua voce che stava sorridendo. Ma non avendo idea della faccia che lei,
piuttosto, poteva star facendo in quel momento, preferì resistere alla
tentazione di girarsi ancora una volta.
Alzò
la mano per salutarlo, mormorando a fior di labbra la sua speranza di vedergli
mettere mano al portafoglio.
Così non era stato, né mai sarebbe
stato.
Prima che potesse accorgersene, la sua
mano stava carezzandogli la guancia. Un desiderio rimasto inespresso per tanto
tempo e che ora non aveva più senso trattenere. Il suo era un gesto di misurata
dolcezza, come si maneggia qualcosa di preziosissimo e delicato, carico di
ricordi spassosi e irritanti, e sogni che sarebbero rimasti tali.
Aveva davvero un bel viso, gli dicevano
i suoi occhi fissandolo e le sue dita sfiorandolo, dai lineamenti maturi e
decisi.
Peccato per quei capelli portati in
maniera così ridicola! Eppure non riuscì a resistere alla tentazione di toccare
anche loro. Li lasciava scorrere tra le dita, li raccoglieva in ciocche, ne
scombinava l’ordinata frangia con fare dispettoso, come volesse poi vedere la
faccia che avrebbe fatto guardandosi una volta sveglio; come quella volta che
gli aveva impasticciato il viso con la penna mentre faceva un pisolino, che
spasso quel giorno!
Due lacrime caddero sulla sua guancia, e
passò col pollice ad asciugarle.
Un'altra cadde sul mento, e lei fece
subito lo stesso.
Si asciugò gli occhi con una mano,
risistemandogli i capelli con l’altra che tremava tutta.
Perché? Perché doveva andare a finire
così?
Perché non era riuscita a convincerlo?
Perché non era rimasto con lei?
Perché era stato così idiota?
Ma soprattutto, come aveva fatto, lei,
ad innamorarsi di un uomo del genere?
La domanda era sbagliata: come avrebbe
potuto non innamorarsene, semmai.
Quanto più in superficie lo aveva
canzonato, tanto più in profondità lo aveva ammirato.
Perché quanto più lei era egoista e
concreta, tanto più lui era idealista e generoso.
Quanto più lei era maliziosa e scaltra,
tanto più lui era ingenuo e puro.
Una come lei, cresciuta imparando che al
mondo dominano i forti e sono i furbi quelli a cavarsela, una che aveva sempre
creduto che l’importante è far star bene sé stessi e fare presto il callo
all’ipocrisia e alle stortezze del mondo, non avrebbe potuto in nessun modo ignorare
un individuo così “assurdo”, così stupidamente determinato ad essere una
persona per bene.
Una persona onesta, una persona speranzosa, una persona che vuole cambiare le
cose, una persona che crede davvero con tutto sé stesso nelle cose stupende che
dice, e non ha paura di mettersi in gioco per il bene degli altri.
Dalle risate e dall’ilarità era nata
prima la tenerezza, poi la stima per quegli ideali da lei così lontani e da lei
così in fondo invidiati, e infine un affetto di cui lei stessa aveva tardato ad
accorgersene, e ad accettare.
Ci fosse riuscita un po’ prima, e se
fosse stata ancora più diretta, forse, solo forse, sarebbe riuscita a fargli
cambiare idea: del resto, uno così duro di comprendonio come lui, da solo non
l’avrebbe capito nemmeno in un milione di anni!
Asciugò un’altra lacrima dalla sua
fronte, per poi guardargli le labbra, livide su quella maschera di gelido
bianco che era il suo viso. Si immaginò in quella locanda, lasciarlo di stucco
con un bacio improvviso e poi ridere della sua reazione.
Una fantasia fuori tempo massimo, non
v’era più tela ormai per dipingerla.
Si sentì attrarre da quella bocca.
Vicina, indifesa, e lei era proprio lì,
e avrebbe potuto protendersi su di essa, indisturbata, in qualunque momento.
No.
Non voleva. Non voleva riscuotere adesso
il bacio che non aveva mai avuto occasione di donargli, al costo di portare
sulle proprie labbra, per il resto della vita, il ricordo del pungente gelo
della morte che impregnava le sue.
Non così, non senza poterlo vedere
annaspare, trasalire, balbettare, arrossire tutto.
Lui non c’era più, dietro quella
maschera bianca, nessuna risposta sarebbe giunta da quel guscio vuoto, solo
l’eco straziante di uno schioccare di labbra.
Non c’era più nulla da fare o da dire
per lei lì.
Così, Hitch frugò nella tasca, e
raccolse il suo ultimo saluto per Marlo, adagiandolo sul suo cuore.
Un fiore.
Un fiore, ironico dono, al suo amore mai
sbocciato.
Ancora una volta le canzoni tristi si
dimostrano una benzina potente per la mia ispirazione… ç__ç
Quei due mi piacevano in quanto diversi,
in quanto “cane e gatto”, con due visioni nettamente opposte della vita, e
proprio per questo da essi poteva nascere tanto di divertente. Peccato che
l’autore abbia deciso altrimenti, e peccato anche non aver scritto altro su di
loro prima… Mi sono rifatto comunque, dato che sono abbastanza soddisfatto di
come sia venuta, voi che ne dite?
Spero di aver contribuito alla nascita
di qualche altro fan della Marlo x Hitch XD
E con questo, passo e chiudo fino alla
prossima storia!
Arri-leggerci a tutti! ^__°