Flesh and Blood
Sono
passate appena due ore dall’ ultima volta che gli hai
parlato, la
solita discussione burrascosa finita con insulti, infinite ripicche e
poco
altro, eppure, da quel momento Four è scomparso alla tua
vista, infuriato come
poche volte l’hai visto, lanciandoti uno sguardo colmo
d’odio, stravolto.
E,
sebbene vorresti rilassarti, qualcosa te lo impedisce, come se una
parte
di te urlasse di voler sapere come sta, un istinto che credevi aver
taciuto
anni addietro.
Nonostante
abbiate avuto numerose liti, nel corso degli anni divenute quasi
quotidiane, ti domandi perché questa ti abbia scosso fin nel
profondo, come se
qualcuno ti abbia preso per le spalle e scosso fino a lasciarti
completamente esausto.
Aspetti
per un altro po’, senza che quella morsa che ti morde
l’anima come
un cane rabbioso accenni ad alleggerirsi, poi alla fine decidi di
alzarti per
vedere come sta.
Vorresti
negarlo, ma nel profondo di te provi qualcosa di stranamente
simile alla preoccupazione, dopo aver guardato dritto nei suoi occhi,
ed
esserti quasi spaventato di ciò che vi hai visto scritto
dentro. L’intera gamma
delle emozioni umane racchiusa in un solo sguardo. Odio, rabbia,
confusione e
puro smarrimento.
E
per un istante, uno soltanto, hai dubitato dell’effettiva
validità di
quelle parole che gli hai urlato in faccia. E ciò rende la
situazione ancora
più strana, dato che raramente dubiti della
verità che sostieni.
Sali
le scale e, passo dopo passo, arrivi davanti alla sua camera,
trovandoti davanti la porta ostinatamente chiusa.
Ti
domandi se sia stata una buona idea, mentre tendi l’orecchio,
per
cogliere un segno qualunque.
Senti solo dei fruscii, e un singhiozzo subito soffocato.
Vorresti entrare, magari parlargli, ma sai che, con ogni
probabilità,
finiresti solo col peggiorare una situazione già rovinosa di
per sé.
Aspetti ancora, per poi lasciarti scivolare a terra, la schiena
appoggiata
al mogano della porta.
Vorresti
fingere di ignorare i rumori che senti, ma le tue orecchie,
abituate a cogliere anche il sospiro più flebile,
sentirebbero comunque ciò che
il tuo cuore preferirebbe ignorare.
E ad ogni singhiozzo subito spento che senti, un nodo si avviluppa
attorno
al tuo stomaco, sempre più serrato, fino a renderti
difficoltoso anche
respirare.
“Sta
bene.” pensi, quando sai che in
realtà è tutto il contrario.
E
rimani così, sentendoti ogni minuto di più in
colpa per le accuse che gli
hai urlato, sentendole ingiuste, false, sbagliate,
parole dettate unicamente dalla rabbia e dalla frustrazione,
dall’invidia.
Già, invidia.
Invidia
per la sua capacità di tenere duro al progressivo sfasciarsi
della
sua famiglia.
Ti
fa strano che una situazione del genere riesca a turbare te, che hai
sempre murato i tuoi sentimenti dietro un muro di amianto, pura apatia.
E tutto d'un tratto ti senti come se
fossi caduto al di là di quel velo di Maya che ti era sceso
sugli occhi, come
se tutto d’un tratto, vedessi.
Tutti i danni, i silenzi gravidi di parole mai pronunciate, le
apparenze
artificiose dietro verità troppo scomode per essere
raccontate…
All’improvviso ti appare tutto, tanto chiaro e cristallino
che non sembra
far altro che acuire i tuoi sensi di colpa per ciò che
è successo ed è troppo
tardi per riparare.
“Four…”
sussurri a mezza voce a quella porta.
Non
ti aspetti certo che ti apra, tuttavia aspetti ancora, cercando di
cogliere ogni minimo fruscìo.
E
quando oramai ti sembra che non ti aprirà, la porta si
spalanca e tu ti
ritrovi steso per terra con Four in piedi sopra di te che ti fissa con
un’
espressione tra lo sconcertato e il divertito, per poi scoppiare in una
risata
che per una volta non è di scherno come ti aspetteresti, ma
di sincero
divertimento.
Per
un attimo rimani perplesso, ma quella risata ti riscalda per un attimo
il cuore, quanto tempo era che non la sentivi?
Lui,
finito di ridere, ti fissa di rimando.
“Beh,
Raperonzolo, vuoi stare lì a pulirmi il pavimento o vuoi
entrare?”
Tu ti
rialzi, spolverandoti velocemente i pantaloni e ti
accomodi su una sedia. Dentro di te esulti, dato che finalmente sei
riuscito ad
entrare in camera sua.
Le uniche differenze rispetto alla tua stanza è che i muri
sono color oro, e il baldacchino e le coperte sono di un bel bianco
panna. E’
disordinata, e chissà perché la cosa non ti
stupisce, è così diversa dalla tua
stanza, talmente pulita e ordinata da sembrare la stanza di un monaco.
Lo
guardi con attenzione e, notando i suoi occhi arrossati, il nodo che ti
serra lo stomaco si fa più stretto. Rimanete ancora a
fissarvi in silenzio per
alcuni minuti, mentre il tuo cervello pensa a come agire.
Vorresti
scusarti per il tuo comportamento, tuttavia non vorresti,
involontariamente, riportare alla luce vecchie questioni mai chiuse,
perciò
aspetti; aspetti che sia lui a fare la prima mossa, a decidere dove
portare
quella conversazione.
Ti guarda, senti i suoi occhi che ti fissano con insistenza, eppure non
parla, continua a mordersi il labbro inferiore, come a voler soffocare
le
parole.
“Four…
io-“
Ti interrompe bruscamente, guardandoti dritto in viso.
“Non
parlare, non dire una parola, sono stanco delle tue
bugie…!” esclama d’un
tratto
“Ma se tu non sai nemmeno quello che ho da
dirti…!”
“Come se non lo sapessi. Probabilmente vorrai scusarti, dirmi
che ti
dispiace, quando so benissimo che sono solo bugie. E poi sarei io
quello che
mente…” risponde brusco
“Non è come pensi.” replichi seccamente
“Ah, e com’è? Tu in questi anni non hai
fatto che riempirmi di bugie, solo
belle parole e poco altro! Dicevi che papà sarebbe tornato e
guarda con cosa ci
siamo trovati! Alla fine tutte le tue promesse si sono rivelate solide
quanto
può essere la nebbia…”
Sulle
ultime parole il tono della sua voce si fa pericolosamente acuto, e
tu sai cosa significa.
“Non è così come credi. E’
vero, vi ho mentito, ma anche io sono stato
ingannato.”
Vedi
la sua espressione cambiare, dalla rabbia passare rapidamente allo
smarrimento “Che cosa significa…?”
“Vedi,
Faker mi aveva dato dei dati su cui lavorare, dicendo che sarebbero
stati utili per ritrovare papà, e così ho fatto,
ci ho lavorato, perdendoci
anche ore di sonno. Ma alla fine ho scoperto che quei dati erano falsi,
manomessi dallo stesso Faker. E’ per quello che me ne sono
andato, non
sopportavo più di aver lavorato assieme a quel
verme.” – ecco dopo cinque anni,
cinque maledettissimi anni, l’hai raccontato.
Finalmente ti sei svuotato da quell’ultimo segreto che ti
tenevi dentro.
“…Era
per quello che eri tanto infuriato con Kite.” dice,
ammorbidendo appena
il tono.
“Il motivo della mia rabbia è più
scioccamente umano di quando possa
sembrarti. Separarti da una persona a cui hai voluto bene non
è sempre facile.”
“E’ stato un brutto periodo, quello.”
assentisce lui.
E tu non puoi fare a
meno di ripensare agli ultimi momenti in cui aveva visto loro padre,
mentre gli
raccomandava di badare ai suoi fratelli, quando lui avrebbe gridato
volentieri:
“Io bado a loro, ma chi pensa a me, se tu non ci
sei?”
Alla fine ti eri dovuto arrangiare da solo, maturare troppo in fretta
per
un ragazzo di appena quindici anni.
I
tuoi pensieri si interrompono bruscamente quando senti che Four si
appoggia con la testa sulla tua spalla.
Ad un primo impulso vorresti
scrollartelo di dosso, sentendo che sta invadendo il tuo spazio vitale,
ma poi
ti ricordi che è tuo fratello e che, sebbene il contatto
umano non ti piaccia, ha
il diritto di farlo.
“Five…”
“Dimmi.”
Noti
quasi immediatamente come quella parola ti sia uscita dalle labbra non
con gentilezza, ma come una forzatura, come una parola pronunciata per
pura
abitudine, ma lui non sembra avvedersene, o
forse non vuole.
“Tu…
tu mi odi?”
Non
riesci a credere alle tue orecchie.
Vorresti dirgli ad istinto che no,
non l’hai mai odiato, del resto, come potresti odiare tuo
fratello?
Ma,
ripensandoci, la sua domanda non è poi così
insensata.
Tu negli ultimi anni non
hai fatto altro che ignorarlo, girandoti dall’altra parte per
non vedere i suoi
sguardi, mute richieste d’aiuto a cui non avresti voluto, o non avresti saputo, dare una risposta.
Persino
quando era tornato a casa dopo l’incendio, barcollante,
sanguinante, con il cuore spezzato, tu non avevi pensato immediatamente
alla
sua salute precaria, come avresti dovuto,
ma a ciò che avrebbe detto Tron.
La rabbia e il dolore non avevano fatto altro
che renderti cieco alle sofferenze
altrui, facendo scendere una cortina rossastra che ti oscurava la
vista,
escludendo persino a quelle persone che avrebbero dovuto essere al
primo posto
nella tua mente.
Senza
pensare, ti avvicini a lui, un centimetro in più, girandogli
delicatamente il viso verso di te, e gli sfiori appena la cicatrice,
sentendo
la pelle rovinata da quella ferita scorrere sotto le tue dita. Lui
sgrana gli
occhi, vedendoti vicino, troppo vicino.
Te lo ritrovi tanto vicino che ti basterebbe allungare le labbra e
baciarlo.
Baciarlo.
Che
assurdità, non puoi baciare tuo fratello. E’
sbagliato, peccaminoso, incestuoso.
Anche se…
Non riesci a negare a te stesso che hai sempre sentito una forte
attrazione verso di lui, fino ad ora scambiata per mero affetto, ma che
ora
ricomincia ad emergere prepotente, sciogliendo il gelo che alberga
nelle tue vene.
Ti
avvicini un millimetro di più e aspetti che lui si faccia
indietro.
Non
si muove.
Poi, lentamente, un secondo dopo l’altro e lo guardi in
quelle iridi
scarlatte, accese di puro fuoco, così diverse dai tuoi occhi
di ghiaccio.
Lentamente, con delicatezza poggi le tue labbra sulle sue, saldandole
in un
unico, casto bacio.
Dopo un paio di secondi Four si stacca, lo sguardo perso
“C-che
cosa stai facendo?”
Tu
sollevi un sopracciglio “Non so, ti sto baciando?”
“Non
avevo idea che tu baciassi così bene,
Raperonzolo…” e senza darti il
tempo di reagire ti intrappola le labbra in un altro bacio, molto meno
casto,
che stravolge i tuoi sensi come vino, mentre ricambi con
intensità quell’inaspettata
intrusione tra le tue labbra, unica via di fuga per un amore
incontenibile che pian piano
germoglia, mettendo radici, avviluppandosi in un nodo sempre
più serrato intorno a voi.
Continuate il bacio
fino a che non vi staccate, entrambi senza più fiato,
stravolti da quella
svolta inaspettata.
Perché in fondo non
eravate altro che esseri umani, due forme complementari,
carne e sangue.
E la carne non vive se
non c’è sangue, così come il sangue non
esiste senza
il respiro.
Ed il respiro, voi
l’avevate lasciato custodito l’uno nella bocca
dell’altro.
Angolo di una folle autrice senza
più idee:
Eccovi il mio ultimo
delirio, la mia prima Vendettashipping.
Lo so, non è venuta bene. Sentitevi
liberi di inondarmi di bandierine bianche, arancio, viola…
Insomma, ditemi se
vi fa schifo, io mi vado a dare malata.