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Autore: Selvi3108    18/04/2016    5 recensioni
"Quando dissi a mia mamma che mi piacevi, evidentemente non capì bene la frase.
"Lui non può piacerti." Mi disse. Ma io non capivo.
Perché non poteva piacermi, quando mi piaceva? L'amore non è forse questo?
Se ne andò lasciandomi un bacio in fronte. Io piangevo perché non sapevo chi ero.
Il giorno dopo lo dissi a lui, mi rispose - "Anche a me piaci, dobe." E mi diede una pacca sulla testa.
Io ridevo. Conscio che lui mi piaceva tanto."
SasuNaru - OneShot
Genere: Generale, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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Quando ero in terza elementare,

pensavo di essere gay.

Perché lo potevo disegnare, mio zio lo era 

e tenevo la mia stanza in ordine. 

Lo dissi a mia madre, le lacrime mi scorrevano sul viso, 

lei rispose: “Beh, ti son piaciute le ragazze da prima dell’asilo.”

Mi gasai.

Penso che lei avesse centrato il punto, no? 

 

 

 Quando lo conobbi eravamo solo bambini. Infantili, che non sapevano niente dell’amore e i suoi significati. I nostri genitori si conoscevano e, di conseguenza anche noi diventammo conoscenti.

 Giocavamo, parlavamo, ridevamo. Inventavamo mondi immaginari con noi due protagonisti. Iniziai a sentire la sua mancanza la sera tardi, iniziavo a sentire qualcosa quando lo vedevo. Ero felice.

C’era qualcosa che mi attirava di quei occhi scuri.

Entrambi così diversi, eppure così simili.

 Ad una cena, scoprimmo che all’inizio delle medie avremmo frequentato la stessa scuola. Lui rispose con un grugnito, mentre mi stringeva la mano sotto il tavolo. Io ridevo.

 

 Quando dissi a mia mamma che mi piacevi, evidentemente non capì bene la frase. 

“Lui non può piacerti.” Mi disse. Ma io non capivo. 

Perché non poteva piacermi, quando mi piaceva? L’amore non è forse questo? 

Se ne andò lasciandomi un bacio in fronte. Io piangevo perché non sapevo chi ero.

 Il giorno dopo lo dissi a lui, mi rispose - “Anche a me piaci, dobe.” E mi diede una pacca sulla testa.

Io ridevo. Conscio che lui mi piaceva tanto.

 

 

“Dio ama tutti i suoi figli" è spesso dimenticato,

ma parafrasiamo un libro scritto, 

3500 anni fa.

Non so…

 

 

Cominciammo le medie. Insistette per farci mettere in classe insieme, ovviamente vinse lui. Nessuno poteva dirti di no. E come si faceva? Dire di no agli occhi del mare? 

 Cominciava a piacermi. A piacermi parecchio. Ero preoccupato.

Mi continuavo a ripetere “Mettitela via. Passerà.” 

Non passò mai.

 Crescevamo insieme, uscivamo insieme, parlavamo insieme. Tutto era dettato da Io e Te. 

Lui cresceva fiero e spensierato, nessuno lo poteva scalfire. Io crescevo con la disinvoltura della mia famiglia. Da mio fratello in giro per il mondo, ad un padre impresario che non mi avrebbe mai accettato. 

Eppure mi piacevi. Uscivo di casa solo per vederti, ero fin felice di aiutarti a studiare pur di stare con te. 

Come mi aveva ridotto?

 Alle medie si inizia a capire qualcosa. Del sesso e l’amore. Io ero quello al centro dell’attenzione, lui era sempre al mio fianco; pensavo di essere io quello forte. Ma quando lei si dichiarò a lui, il mio mondo sembrava essere in bianco e nero.

“E te cosa le hai risposto?” domandai frettolosamente. Avevo paura della verità, che non saresti sempre stato con me, non saresti mai stato mio. 

Mi rincuorai - “Non mi piace lei.” Mi risposi. 

Sospirai, tornando ai colori. Eri i miei colori.

 

 

E non posso cambiare,

nemmeno se ci provassi,

anche se volessi. 

E non posso cambiare, 

nemmeno se ci provassi ,

nemmeno se volessi. 

Il mio amore, il mio amore, il mio amore. 

Lui mi tiene caldo

 

 

Le superiori furono il passo decisivo. Il brio adolescenziale iniziava a scorrerci per le vene. Era l’era delle prime-volte. 

 Ti ricordi la nostra prima ubriacata? A quella festa di capodanno, prima superiore. 

Scherzavamo e bevevamo. I muscoli si rilassavano. 

 Eravamo seduti sul divenetto, a bere e guardare gli altri ballare. Una ragazza passò, Ino, mosse la coda lunga e bionda, si piegò su di lui e lo baciò, lui piegò il collo.
Non era il suo primo bacio, alle medie baciò un paio di ragazze chi per gioco, chi perché ne aveva voglia. Lui era quello ammirato dalle ragazze. Mi sentivo inferiore a volte. Diverso.

 Passó a sedersi sulle sue ginocchia, beveva dal suo bicchiere. Era bella. Soggettivamente, era bella. Cominciò a coccolarla, le aveva scostato una manica, le aveva iniziato a baciare il collo. 

Cercai di non farci caso, guardavo il mio bicchiere, la sala con i ragazzi ballare. Volevo andarmene.

 Aveva cominciato a muovere la gamba, la coscia di lei premeva sulla sua. Li strinse la vita piccola, passo le dita sulla sua spina dorsale, mentre lei sussurrava qualcosa al suo orecchio. E rideva. 

Cosa mi aspettavo? - mi chiesi mentalmente. 

 La mia gamba tremava affianco a lui, e se ne accorse. Fece scivolare la mano dalla schiena di lei, fino alla mia gamba e me la strinse. E il calore mi attraversò il corpo. Lasciò Ino, lei si alzò e trotterellò fino alla pista. 

“Fermo.” La mia gamba si muoveva ancora. Conficcò le unghie sul tessuto, il mio movimento cessò. E la sua stretta diventò una carezza. 

 Sospirai. Avrei voluto dirli qualcosa. 

La stanza era oscurata, non si vedeva molto. Solo le luci colorate che ti facevano male agli occhi. Misi la mano sopra la sua. Con la coda dell’occhio guardai la sua espressione stupita, a guardare quelle mani unite. Una sopra l’altra.

Non la scostò. “Guarda che io non sono …”

Sorrisi, ma non lo guardai - “Così, come?”

Non riuscivo a liberarmi del pensiero di quella mano. 

“Non sono frocio.” Ecco, lo aveva detto. Ricevetti il colpo. “A me piacciono le ragazze.” continuò lui. 

Strinsi la sua mano, e la lasciai. Dovevo lasciarlo andare.

“Lo so.” Lo sapevo. Volevo tornare a quella sensazione. Perché era difficile? 

Respirai a fondo, fino a sentire l’aria nello stomaco galleggiante nell’alcool, mi mancava qualcosa.

Tolse la mano dalla mia gamba, fino ad alzarsi. Alzò gli angoli della bocca, e se ne andò verso il tavolino dei drink.

La mia gamba tremò.

 

 

Se fossi gay, 

crederei che l'hip-hop mi odierebbe. 

Hai letto i commenti su YouTube:

"Oh, è da gay!” 

Guarda il quotidiano,

siamo così offuscati da quello che diciamo 

la nostra cultura fondata dall’oppressione.

Non li accettiamo ancora. 

Ci chiamiamo froci, 

dietro le chiavi di una bacheca di messaggi. 

Una parola radicata nell’odio, 

e il nostro genere la ignora ancora.

Gay è sinonimo di inferiore.

 

 

Lui si fidanzò. Una Shion spuntata dal nulla, una che faceva nuoto con lui, erano nella stessa squadra. Ogni lunedì e giovedì lei passava a prenderlo a scuola, mi lasciava fare la strada da solo. Non era brutta, non era bella. Di sicuro non assomigliava ad un ragazzo. Snella e lunghi capelli lisci color cenere, sobria. Una sera li vidi baciarsi, lei aveva le fini braccia allacciate al suo collo. Lui la teneva per la vita, avvicinandola. Mi dava fastidio, mi sentivo tradito. Perché? Non me lo sapevo spiegare.

 La presentò alla nostra compagnia di amici, tutti le diedero un caloroso benvenuto, facendo domande poco opportune, giusto per metterlo in imbarazzo. “Come ti fa a piacere?” le chiedevano ridendo, e lei si attaccava al suo braccio ridendo. Lui arrossiva. 

Lei mi tese la mano. Sentì solo il freddo.

“Ah, sei tu? Ho sentito parlare molto di te … A scuola, mezze compagne della mia classe parlano sempre di te.” E rideva. Perché diavolo rideva sempre? Te me lo stai portando via. Non c’è niente da ridere.

Lui sorrise, era sempre il solito. Pacato, istintivo, come se non fosse successo niente.

“Che le hai raccontato, dobe?” - Domandai per gioco, alzando un po’ gli angoli della bocca. Dopo guardai lei e la scrutai con lo sguardo, avevo l’intenzione di sedurla. Sembrò starci. Volevo ristabilire le cose, Io e Lui eravamo in primo posto, lei era solo una macchia che sarebbe sbiadita. 

 

“Te la sei scopata?” Glielo chiesi a bruciapelo. Passeggiavamo tra le vie del quartiere, avevamo appena accompagnato Shion a casa. Piegò la testa e sorrise.

“Sei curioso?”

“Capito. Non te l’ha ancora data.” 

Gli diedi una pacca sulla testa, come quando eravamo bambini.

“Sei proprio un teme.” ribatté.

 

Che bisogno avevo di interessarmi alle ragazze? Nessuno. Ma scopai lo stesso con Ino. Mi picchiettò la faccia di baci con violenza, mi prese per i capelli li strattonò con forza. Aveva un odore strano, ma eccitava. Le tirai io i capelli stavolta, e li ficcai la lingua dentro, le toccai il seno. Ci demmo il via con quei baci carnosi. Scopri le sue gambe, e ci infilammo in camera sua. Quel pomeriggio d’autunno. L’unica cosa che mi ricordo ancora vivamente, è che in un certo momento, mentre gemeva sotto di me, e vedevo i capelli biondi sparsi nel cuscino, non pensai a niente. Solo a lui, e dopo venni.

 

 

É lo stesso odio che ha causato le guerre di religione,

il genere come il colore della pelle,

il colorito del tuo pigmento. 

Le stesse lotte che hanno portato le marce e i sit-in,

i diritti umani per tutti.

Non c'è differenza 

vivi, e sii te stesso. 

Quando ero in chiesa, 

mi insegnarono qualcos’altro. 

Se preghi odio al servizio 

quelle parole non saranno consacrate 

e quell'acqua santa 

in cui ti immergi 

diventa avvelenata. 

Quando chiunque altro 

è più tranquillo 

a restare senza voce,

invece di lottare per gli umani 

che potrebbero vedersi sottratti i diritti. 

Non sarebbe lo stesso,

ma non importa. 

Non c'è libertà finché non siamo tutti uguali.

Cavolo, io lo sostengo.

 

 

Stavo insieme a Shion ormai da cinque mesi. Poche settimane prima del mio compleanno, la invitai da me per un film. I miei erano fuori a cena. E quella sera feci sesso con lei. Era un anno più grande di me, lo aveva già fatto. Ma non mi interessava minimamente. E mentre io mi spingevo su di lei, pensavo a lui. Mi facevo schifo da solo. Come potevo sentire quei ansimi minuti e curati, mentre io pensavo a qualcosa di più virile e roco? Non potevo andare avanti la mia maschera si stava sgretolando da sola. 

 Mi ricordo quando ancora non sapevo di cosa si trattasse, se fosse amore o altro. Ma sapevo, che ogni mio piccolo pensiero, gesto, parola, lui ci sarebbe stato. In un modo o nell’altro.

 Lasciai Shion, il giorno della mia festa di compleanno. A tratti mi credevo innamorato di lei. Mi sentivo libero. Non penso più a te, - mi ripetevo orgoglioso. Poi è ricominciato, e io persi. 

Lei non pianse, non mi chiese il perché mi baciò sulla guancia e mi augurò una buona vita. Si trasferì l’anno successivo.

 

La sera del mio compleanno invitai i miei amici da me, i miei sarebbero stati via fino a tardi. Era tutto perfetto, e calcolato. Lui mi aiutò ad organizzare, per questo venne bene. 

 Compì sedici anni quel giorno, il 10 ottobre. Avevo la piscina fuori casa. Ci buttammo dentro, al freddo, con i vestiti addosso. Vedevo Kiba passare una sigaretta a Neji. Sakura e Ino chiacchieravano, lui che beveva stando fermo su una sedia che parlava con Shikamaru. 

 Più tardi le ragazze tornarono a casa, alcuni miei amici dormirono da me. Dopo un paio di gare alcoliche, una passeggiata notturna per il quartiere siamo andati a dormire. 

 Dormimmo nel mio salotto: due ragazzi sul divano, un’altro si era posizionato su quello laterale. Io e lui nel tappeto, coperti solo da un lenzuolo. 

Poi rimase solo il rumore della notte, il vento fischiava forte quella sera. Eravamo di spalle, non ci toccavamo. 

“Dormi?” 

 Mi girai, facendomi leva sui gomiti. Notai che anche lui era nella stessa posizione. Ridemmo, per non so quale strano motivo. Forse proprio per la posizione uguale. Cominciammo a parlare, scoprì che aveva fatto sesso con Ino. Lui scoprì di me. Ci fu un momento che sentivo solo la sua voce, nient’altro. Mi raccontava. Ridevamo perché sfottevamo il fatto che la nostra rima volta, non fu affatto come ce la aspettavamo. Il sesso era facile. 

Non volevo più dormire, più parlava più mi svegliavo. Il tempo passava, era quasi mattino. Avevamo parlato per ore. Gli occhi si chiudevano da soli ormai. 

 Lui mi aveva fatto una sega. Gli altri dormivano ancora. Chiusi gli occhi, cercai di capire se fosse un sogno o la realtà. Mentre parlavamo le nostre mani erano sempre accanto, e si sfioravano.

 La sua mano si posò sul mio ventre teso, sentivo il calore della sua mano. Una scarica di adrenalina. Io mi stavo addormentando, avevamo appena finito di parlare. Non aprì gli occhi, non volevo spezzare quell’atmosfera. Scivolò verso il mio sesso, fino ad impugnarlo. La sua mano era liscia, lunga. Era quasi dolce da un lato, rude al momento giusto. Non era affatto paragonabile con Shion. Cercai di trattenere i sospiri troppo forti, non volevo aprire gli occhi. 

Tratteneva il respiro, era girato di fianco e non aveva scostato le coperte, solo i boxer. Sembrava conoscermi anche lì. Si muoveva perfettamente. Iniziavo a non capirci più niente, gemevo e sobbalzavo ad ogni suo tocco più veloce. 

Venni. Aprii gli occhi e lui se ne andò chiudendosi in bagno.

 Quando arrivò mattino, lui era già in cucina a fare colazione con tutti gli altri. Non mi guardò, ne rivolse occhiate di disappunto. Lo ritenevo come un regalo di compleanno. E pensai a quanto mi sarebbe piaciuto stare sempre con gli occhi chiusi, mentre la sua mano si muoveva.

 

 

Spingiamo play, 

non pausa. 

Progresso, marciamo! 

Con un velo sugli occhi, 

torniamo indietro alla causa 

fino al giorno, 

in cui i miei zii saranno uniti per legge. 

I bambini camminano nei corridoio, 

infettati dal dolore nel cuore, 

un mondo così odioso. 

Qualcuno preferirebbe morire 

piuttosto che essere se stesso 

e un certificato sulla carta.

 

 

I suoi genitori ebbero un incidente stradale, verso fine Aprile. 

Le bare attraversavano la navata principale per il cimitero, non venne lì. Dopo l’applauso si voltò, seguì le bare fino all’auto. Non ce l’avrebbe fatta e lo sapevo. Il tempo che la macchina partì, io mi affiancai a lui. Mi ricordo la scena come da copiane: si girò e mi guardò. Con gli occhi lucidi si morse le labbra e li alzò al cielo, lo abbracciai e scoppiò a piangere. 

 Lo portai al mare, gli era sempre piaciuto. Camminammo sulla spiaggia a piedi nudi in quel freddo primaverile. Stava bene vestito così, era più bello di quanto già non lo fosse. 

 Restammo a gironzolare per la spiaggia, a parlare del futuro. Mi disse che non gliene fregava più un cazzo, che voleva andarsene da qui. Fanculo la scuola. Anche io non volevo più stare a casa, la odiavo. Ero etichettato la dentro come pezzo difettato, non avrei studiato legge a fine superiori come voleva mio padre. Ho sempre amato la fotografia, volevo fare quello come lavoro. 

Arrivammo fino in centro, prendemmo due birre e ci sedemmo sulle sedie di un bar chiuso. Volevamo onorare i suoi, bevendo come spugne.

“Andiamo ai campi?”

I campi erano uno dei nostri posti da bambini, una piccola prateria in mezzo agli alberi. 

 Abbiamo camminato fino a là. Eravamo distrutti. E lui si addormentò subito dopo appoggiato ad un tronco. 

 Quando si svegliò era il tramonto. Io mi ero messo dentro una casetta di legno poco distante. Era semplice, un tetto e due muri di legno che la tenevano su. Il davanti e il dietro erano scoperti. Davano la vista degli alberi. Una casetta in mezzo ad un piccolo bosco. Un gioco per bambini, che solo ora mi accorsi che la casetta si era ristretta.

“Potevi svegliarmi.” 

Mi avvisò da dietro di me. Lo sentì avvicinarsi fino ad affiancarmi, sedendosi su quel pavimento in legno pieno di schegge. Si stava bene, non faceva caldo né freddo. Si distese sulla piattaforma, e io lo seguì. Avevamo l’immagine di un soffitto marrone scuro. Il gioco di luce, che pian piano si andava a diminuire. Restammo così, e il silenzio parlò per noi. 

 Mi voltai appena, per vedere il suo profilo perfetto. Di quella pelle bronzea, le ciglia chiare dritte, il naso piegato lievemente all’insù. Le labbra che volevo baciare. Si girò, ci guardammo negli occhi. Io sollevai la mano e gli carezzai la guancia e ci baciammo, assaggiando uno la saliva dell’altro. Muoveva la lingua lento, assaporavo ogni suo lato, ogni suo sapore. Fu un bacio semplice, indimenticabile ma senza esagerare. Non capì come andammo avanti, io mi stesi sopra di lui e seguendo i miei movimenti, si alzò fino a sorreggere il mio peso sulle gambe. Apriva la bocca, voleva di più. A volte si fermava, rideva, piangeva mi chiamava.

 Accadde. Fu contro natura. Fu bellissimo. Sapevo che l’omosessualità era contro natura, era vero. Ma solo perché non è in grado di generare nuova vita. La chiamano contro natura per questo, il non poter procrearsi. Come se non ci fossero già troppi esseri umani in questo mondo malato da sé. Ciò non significa che sia sbagliato. L'amore non è mai sbagliato. Ci trovammo, i nostri vestiti caddero a terra. Lui abbronzato, io niveo, lui biondo, io color inchiostro. Aveva il mare limpido al posto degli occhi, io avevo il profondo scuro.

 Mi guardò, affogai nei suoi occhi fino a farmi trattenere il fiato.

“Ti amo, - dissi - ti amo Naruto.”

Sospirò felice, e sorride: “Anch’io Sasuke. - mi baciò - Ti amo.” 

 

 

Non si risolverà tutto,

ma è un buon inizio da cui partire.

Nessuna legge ci cambierà.

Dobbiamo farlo noi, 

qualunque dio in cui tu creda, 

nasciamo dallo stesso ,

tira via la paura.

Alla fine di tutto è lo stesso amore,

è ora che ci svegliamo.

 

 

Affrontammo i pregiudizi, le critiche. Dopo la morte dei miei andai a vivere da solo, ero maggiorenne. Lui veniva spesso a farmi compagnia. Nel primo periodo diventò quasi un gioco, il doversi nascondere per baciarci. Era divertente da un lato, eccitante oserei dire. Ma il quinto anno stava arrivando, dovevamo deciderci. 

 Si alzò, e io lo seguii. - “Ragazzi.” attirai la loro attenzione. Eravamo a casa di Kiba, una serata tra amici. Quella serata fu il nostro coming out. Mi prese la mano. Avevo paura. Ci guardarono, stringendo gli occhi.

“Stiamo insieme.” dichiarai.

Il silenzio, echeggiò nella sala. Cosa avrebbero potuto dirci? Oddio, no? É disgustoso? Okay? Ero in ansia. Lui mi strinse la mano più forte. C’era ancora silenzio.

“Insieme … insieme?” chiese conferma Choji.

“Si.” rispose il mio compagno. Mio. Era bello da dire.

Shikamaru alzò il bicchiere “Congratulazioni” e bevve. Gli altri lo seguirono. Volevo piangere dalla gioia. La serata si trasformò in un continuo vociferare e domande poco caste. Sakura rischiò la vita alla domanda di chi stava sopra o sotto. Risi fino a piegarmi. 

 La sera la passammo a fare ancora l’amore, a casa mia.

 

Mancava suo padre, lui voleva parlarci e io volevo accompagnarlo. Non mi fece venire. Voleva sbrigarsela da solo. Lo aspettai in piedi quasi tutta la notte, in cucina a farmi overdose di caffè. Alle quattro del mattino, la porta si aprì. La chiuse con un calcio, e si appoggiò ad essa. Io lo raggiunsi. 

Aveva il volto di un ragazzo distrutto, con la testa china. Doveva aver corso perché aveva il fiatone.  Mi avvicinai, fino ad averlo a pochi centimetri di distanza. Lui alzò la mano fino alla mia vita, mi trascinò su di lui e mi abbracciò. Posando tutto il peso sul mio corpo. Portai una mano sulla sua testa, lo accarezzai. Annusai il suo profumo buono che mi era mancato. Sussurrai che era il mio amore. Alzò il viso, gli occhi rossi e lucidi un piccolo sorriso in volto. 

“Me ne sono andato.” 

Il mio cuore tremò.

“Come…?”

Mi baciò il collo, ansimando: “Voglio vivere con te.”

“Sei andato via di casa, per colpa mia…” Mi sentivo in colpa. Io lo amavo e lui ha lasciato la sua famiglia per me.

“No, no … - sussurra scuotendo la testa - Me ne sarei andato comunque… volevo diventare un …”

“Fotografo.” finì la frase per lui.

“Si. - sorride - Non me lo avrebbe mai permesso.” 

Continuava a lasciare scie umide di baci sulla giugulare, - “Ce la faremo.”

“Certo.”

“Potremmo girare un po’ …”

Lui puntò gli occhi su di me, - “Come quando sognavamo da bambini?”
Sorrido, - “Perché no? Ho i soldi ereditati, prendiamoci una pausa da qui.” 

Sfregai il naso contro di lui, - “Ti amo.”

“Anch’io”

Ho amato chi siamo e quello che saremo, amerò quello che faremo. Rideremo di noi stessi e della nostra vita strana, e nulla potrà mai toccarci.

 

 

 

L'amore è paziente, l'amore è gentile.

L'amore è paziente.

L'amore è gentile.



 

Una piccola One-Shot, per voi. Spero vi piaccia, baci Selvi.
La canzone si intitola: 
Macklemore & Ryan Lewis, Same Love feat. Mary Lambert.

Ps: per chi non capisse, nella storia si parte con un dialogo di Naruto, poi un pezzo della canzone, un dialogo di Sasuke, pezzo della canzone, Naruto ... e così via ;)

 

   
 
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