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Autore: sfiorarsi    30/04/2016    6 recensioni
[Sterek | 2574 parole]
Ma stavolta, se lo sentiva, sarebbe stato diverso. Avrebbe apprezzato l’iperprotettività di Derek nei suoi confronti, l’attenzione che gli veniva rivolta, le centinaia di baci che riceveva non appena la sua goffaggine faceva nuovamente capolino nella sua vita, sbucciandogli un ginocchio o procurandogli un taglio sul sopracciglio. Si ricordò anche di come Derek lo strinse in un abbraccio, fiutando il suo repentino cambio di sentimenti che, all’interno dello stomaco, gli sconvolgevano la vita, rendendo al lupo impossibile dormire un secondo più a lungo – il minore aveva appena piantato un tallone nel suo stinco. Stiles ne era certo, avrebbe apprezzato smisuratamente.
Genere: Angst, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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I lost my mind trying to be on yours.
 
Avvertimenti: I personaggi sotto descritti non mi appartengono, ma sono proprietà – purtroppo – di Mtv e di Jeff Davis; possibile spoiler per chi non è andato oltre la terza stagione. Le spiegazioni legate alla one-shot sono riportate in fondo.
*
Non mi aspetto che tu capisca. Non mi aspetto niente, in realtà. Sono passati pochi mesi dalla tua partenza, Der, e non ce la caviamo male. Queste tue fughe non appena un problema ti viene incontro non sono più così sporadiche, e io sto cominciando a spaventarmi. Ma, come ti ho detto, non mi aspetto che tu capisca.
 
Stiles buttò indietro la testa, emettendo un forte sospiro e cancellando quell’ultimo bozzetto di e-mail risalente a due anni e mezzo prima. Si passò una mano fra la matassa castana di capelli, tentando di dare una direzione a quei ciuffi ribelli che gli spiccavano sulla nuca, per poi riportare lo sguardo sullo schermo acceso, lanciando un’ultima occhiata ai file cancellati negli ultimi due giorni, con il pretesto ho bisogno di dimenticarlo, Lydia, pretesto che la ragazza dai capelli color fragola aveva colto al volo per proporre al giovane Stilinski una serata al pub – e non accetto un no come risposta, Stiles. Spense il computer, tentando di non riportare alla memoria la voce roca di Derek e il suo sguardo colmo di astio, acceso di una profonda rabbia. Ne ricordò i contorni, il lieve accenno di sorriso che, di tanto in tanto, gli bramava gli zigomi alti e le rughe d’espressione che, inevitabilmente, si formavano inesorabili accanto agli occhi verde foresta. Stiles scosse la testa, come a volersi riscuotere da quei pensieri che parevano dolorosamente vicini, a riportare in vita il profumo di boschi e mascolinità che tanto caratterizzava l’epidermide tesa di Derek Hale.
Il trillo insistente del telefono lo distrasse – lo salvò – dalla natura fatale di quei pensieri melanconici, portandolo a estrarre il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans, rispondendo con un amaro «pronto?» alla voce squillante di Lydia, che lo informò sull’orario del loro incontro, abbandonandosi ad un lungo sospiro e a un non so cosa mettermi, Stiles. Il giovane optò per una felpa e un paio di jeans, accompagnati da una t-shirt in tinta e dalle sue immancabili Converse. La scelta di quel look – in particolar modo gli abbinamenti dei colori – erano il massimo a cui poteva aspirare. Non che a lui fosse mai interessato qualcosa, dei vestiti. Gli era capitato, solo quel paio di volte, di sentire alcuni sprazzi di desideri di sentirsi giusto – sapete, quel momento in cui i jeans vestono perfettamente e non lasciano granché spazio all’immaginazione, considerato il modo in cui avvolgono le natiche, rendendole più sode alla vista. Visione che, a Stiles, riportò in mente il modo in cui quei jeans avevano il dovere – e l’onore – di rivestire quel sedere. Sentì una fitta allo stomaco, come un lieve bruciore, che decise di ignorare. Così come le lacrime che, inesorabili, si erano andate a creare ai lati dei suoi occhi.
 
*
L’odore pungente della vodka attraversò le narici di Stiles, percezione sopraggiunta poco prima che il bruciore dell’alcool riuscì ad annebbiargli i sensi, una sorta di statica leggerezza interposta nel breve lasso di tempo che ci volle per inghiottire quella minima quantità di bevanda alcolica. Serrò le palpebre e scosse la testa, come a voler allontanare quella fastidiosa sensazione di intontimento che si era andata a creare, mista all’improvviso intorpidimento degli arti, come se tutti i suoi movimenti avessero subito una variazione di velocità. Si guardò intorno, in cerca della figura confusa e tremolante di Lydia – i canonici effetti dell’alcool cominciarono ad annebbiare ogni percezione ed emozione nel corpo di Stiles, che si ritrovò combattuto fra l’orgoglio di stare immobile sulla sedia girevole e continuare a ingurgitare alcool, oppure dedicarsi – con la poca abilità a sua disposizione – a ballare movenze che, da sobrio, non si sarebbe sognato nemmeno di immaginare, sarebbe anzi arrossito al solo pensiero. Optò per la prima opzione, ma una stretta presa al polso – e una chioma color fragola – gli impedirono di mantenere l’impegno preso, e lo trascinarono in pista, ignorando i moniti di decine di ragazzi, doloranti di gomitate che Lydia si apprestò a ricevere e restituire agli artefici. Si accinse a ballare con le movenze più sensuali che era in grado di creare – dire imbarazzanti e goffe era un eufemismo, per Stiles Stilinski –, cingendo la vita di Lydia con le mani e lasciandosi accompagnare nei movimenti, mettendo il massimo impegno per andare a tempo con gli esperti passi della ragazza che, a detta di Stiles, non so davvero come fai a camminare su quei trampoli, ancor meno sono a conoscenza del fatto di come sia possibile ballarci, su quelle pertiche. Ballarono per quelle che parvero ore e, quando si fermarono per riprendere fiato, aggiustarsi un po’ – perché la notte è giovane, Stilinski – e tracannare qualche altro bicchiere di bevanda alcolica, partì un insolito lento, inusuale a quell’ora e in quel posto. A Stiles quasi venne un colpo ad ascoltare quelle lievi note che si stavano diramando lungo l’intero perimetro della sala del pub, cui le sedute e i tavolini erano stati spostati per improvvisare una sala da ballo, sui cui decine di coppie si urtavano fra di loro per accennare a parvenze di una danza lenta e a ritmo con la canzone. Era la loro canzone, la stessa che, la sera, cantavano a voce bassa, accingendosi ad accompagnare la melodia con passi accennati, l’uno stretto all’altro, mentre Stiles si godeva uno dei pochi momenti in cui Derek si lasciava completamente andare, mettendo da parte il suo broncio da lupo cattivo e baciandogli le palpebre, gli zigomi, il profilo della mascella. Parvenze di lacrime si accatastarono ai bordi dei suoi occhi, mentre la melodia divenne solo uno sfondo sordo ai suoi passi incerti e tremolanti verso l’uscita, intenzionato a voler prendere una boccata d’aria per riprendersi da quelle note, che ancora risuonavano nella sua mente, così come il contatto che le labbra di Derek e il suo viso avevano lasciato bruciava ancora sulla sua pelle. Si sedette sull’erba umida dell’aria della notte, nel piccolo praticello di fronte al locale, circondato dal rumore dei grilli che, in coro, sfrigolavano quasi al ritmo delle note di sfondo. Stiles si lasciò andare ad un pianto sordo e liberatorio, i singhiozzi accompagnati dalle stelle che non si vedono, come la promessa che si sono detti a bassa voce quella notte in cui Stiles non riusciva a dormire – il freddo a penetrargli nelle ossa – e Derek si era infilato nel suo letto, gli occhi persi all’esterno, oltre la finestra. Stiles se ne uscì con quelle parole, con la paura di averlo spaventato, mentre Derek lo aveva solo stretto più forte a sé, baciandogli la fronte e mormorandogli «buonanotte».
Stiles si sentì colmo del desiderio di urlare contro le porte della notte, ma si limitò ad aprire la cartella “nuovo messaggio”, sentendosi spavaldo grazie all’adrenalina e all’alcool che aveva in corpo:
 
Da: Stiles Stilinski
A: Derek Hale.
 
Derek sono Stiles ma non so quasnto tyu possa ricordarti di me. Da quando sei sparitpo con quella tua Tomb Raider non ti sei più fatto né vedere né sentire e questo ha fatto preoccupare tutti parecchio in particolar modo il sottoscrittpo ma spero tiu te la stia spassando con quella tuya Braeden.1
 
Non appena terminò di digitare il messaggio, inviandolo all’incerto destinatario, sentì di aver fatto una profonda cazzata. Lo rilesse, tentando di bloccare l’invio, lo schermo che girava e veniva sfumato da chiazze trasparenti – Stiles dovette stringere gli occhi per riuscire a leggere – ma non riuscì in nessuno dei suoi intenti. Controllò anche il nome del destinatario, nella speranza muta di aver erroneamente sbagliato voce, e invece la scritta “Derek Hale.” – punto incluso, vista la velocità con cui il licantropo si era ritrovato ad abbandonarli per darsi alla pazza gioia con quella Lara Croft dei poveri – spiccava, a caratteri cubitali, sullo schermo illuminato. E, così come si era seduto su quel praticello umidiccio, si alzò, dirigendosi nuovamente verso il pub, sentendo che le note del lento avevano smesso di lottare per trovare un appiglio sia all’interno del locale sia dentro al suo corpo. Dandosi mentalmente dello stupido, proseguì nella sua caotica danza insieme a Lydia, alternando shots a passi incerti e barcollanti, rischiando di cadere e rovesciare il contenuto sulla felpa che, visto il sudore che colava dalle tempie, aveva deciso di lasciare aperta. E sentiva ancora quel bruciore all’altezza dello stomaco, mentre una confusione crescente si andava a creare e permeava su ogni anfratto della sua mente. Ballò, ballò finché il suo cuore quasi non cedette dalla fatica, si mosse fino a quando le luci dell’alba non si inoltrarono nel locale, dettando la chiusura di quest’ultimo. Ripeté alcuni passi persino quando Lydia lo trascinò, letteralmente, verso la sua auto. Si addormentò nei sedili posteriori, i motivi peculiari della stoffa delle sedute a graffiargli la faccia. Il telefono vibrò, ma non se ne accorse.
 
*
Sbatté le palpebre per abituarsi alla luce soffusa di quello che doveva essere un sole pomeridiano, stiracchiando le ossa anchilosate dall’immobilità che aveva permeato sul suo corpo durante l’intero corso di metà giornata, rovistando fra le coperte per cercare il telefono. L’orologio segnava le tre del pomeriggio inoltrate, mentre lo schermo lampeggiava di otto chiamate perse da “Scott :)” e nove nuovi messaggi in tre chat diverse. Sbuffò, prima di aprire la rubrica e scorrerla in basso, fino alla lettera S. Il bip insistente che segnalava la chiamata risuonava nell’orecchio di Stiles, steso per metà sul letto sfatto della sua camera, le coperte di lana, ormai inadatte alla temperatura di aprile, giacevano scomposte a terra.
«Stiles, perché non hai risposto?» ringhiò l’alpha, facendo percepire dalla voce lo sdegno e il rimprovero. Se fosse stato un beta, Stiles non avrebbe potuto sentire meglio quel tono, pacato ma aggressivo.
«Ero al pub, Scott. Lydia mi ci ha portato dopo che…» non terminò la frase, un singhiozzo sordo a scuoterlo, il tono dell’alpha si addolcì.
«Non fare mai più una cosa del genere, okay? Sei il mio migliore amico, ed è questo che i migliori amici fanno. Ubriacarsi insieme, nonostante io non mi possa ubriacare» disse Scott, e Stiles poté percepire le labbra dell’altro tendersi in un sorriso dolce, protettivo.
«E comunque Lydia me lo aveva detto» aggiunse l’alpha, per poi rivolgere un sorriso affettuoso verso Stiles, e chiudendo la chiamata.
 
Da: Derek Hale.
A: Stiles Stilinski
 
No, Stiles, non me la stavo spassando con Tomb Raider, come la chiami tu. Ci siamo lasciati più di un anno fa. DH
 
Stiles boccheggiò, incapace di trovare una risposta e una spiegazione che giustificasse il perché di quel messaggio. Rilesse ciò che aveva scritto e, alla fine, decise di non rispondere. Avrebbe digitato una risposta quando anche l’ultimo effetto della sbornia sarebbe scivolato via, come Derek era scivolato tre anni prima, fra le sue dita sottili.
 
*
«Perché odori di lupo mannaro, Stiles?» gli domandò Scott non appena entrò in casa, dandosi uno scossone per liberare i capelli dalle gocce di pioggia che lo avevano sorpreso. Scott scovò Stiles steso sul divano, intento a guardare il soffitto. Erano le tre di notte inoltrate, e il giovane Stilinski si era svegliato, come se fosse stato richiamato da un ringhio familiare, circa un’ora prima. Aveva ispezionato la casa, ma non aveva trovato altro se non la confezione pronta e vuota di lasagne che suo padre si era scordato di buttare, la sera prima.
«Penso sia Malia, l’ho incrociata questo pomeriggio al supermercato. Incredibile a dirsi, ma non mi ha ringhiato contro» disse sorridendo Stiles, incrociando le braccia al petto e sistemandosi alla bell’e meglio il cappuccio sulla nuca, un ciuffo ribelle a spuntare dalla stoffa.
«No, non può essere Malia. Ha un odore particolare, questo è troppo forte» ribatté Scott, sedendosi sul bracciolo del divano su cui erano appoggiati i piedi di Stiles, avvolti in corti calzini neri.
«Allora è Liam» ipotizzò l’altro, tirando su il busto, una smorfia di curiosità a piegargli le labbra. Gli bastò lanciare uno sguardo confuso verso Scott che, dalla preoccupazione sul suo volto, si strinse maggiormente nel suo stesso abbraccio, fra due braccia gracili.
«Quello che hai addosso è l’odore di Derek, Stiles» affermò l’amico, osservando Stiles cambiare colore ed espressione – un qualcosa che manifestava confusione e rabbia, perché aveva capito chi lo aveva svegliato. E forse fu la vicinanza delle denominazioni che Scott pronunciò – scontrate come onde sulla battigia – a svuotare i polmoni di Stiles, l’ossigeno aspirato da due suoni così maledettamente diversi, ma così maledettamente vicini, che da troppo a lungo Stiles non riusciva più a percepire. E poi arrivò la rabbia. Ma non quella dei bambini che mettono il broncio per una caramella, la rabbia cattiva, quella che ti porta a rompere oggetti e perfino sé stessi, una rabbia cruda e maligna, di quella che fa storcere la bocca in un ghigno e mostrare i denti.
Scott sapeva. E anche Derek sapeva. E nessuno me lo è venuto a dire.
Questo pensava Stiles, accusando Scott con lo sguardo, ma chiedendo spiegazioni in un lieve alzarsi delle sopracciglia, la bocca aperta in una smorfia scomposta. Risposte che non tardarono ad arrivare.
«Viene a farti visita ogni notte, da quando ha lasciato Braeden. Conosceva i rischi, sapeva che sarei riuscito a fiutare il suo odore, anche a distanza. Mi ha chiesto lui di dirtelo» mormorò Scott, tutto d’un fiato. Se gli sguardi potessero uccidere, l’alpha sarebbe morto da un pezzo. E se i lupi mannari potessero arrossire, Scott sarebbe rosso di vergogna e senso di colpa verso l’amico, a cui aveva nascosto l’unica ragione che Stiles aveva trovato per vivere. Il giovane Stilinski, impietosito dall’espressione del suo migliore amico, rintanò la sua rabbia in un anfratto buio e nascosto della sua mente, circondando le spalle di Scott in un abbraccio, e mormorando un «dov’è?» scosso da un tremolio di agitazione mista a paura nel rivederlo. Scott indicò, con un cenno del mento – che, Stiles si accorse, era lievemente coperto da uno strato di sudore – le scale semi illuminate dalla luce della luna. Non si scambiarono parole, la casa riecheggiava solo dei passi svelti e nervosi di Stiles che – Scott poteva sentirne il respiro accelerato –, si stava dirigendo, trafelato, verso la sua camera buia.
Ne sentì il sospiro, ma volle mascherare i successivi suoni, alcune parole confuse, mormorii incessanti, e schiocchi di baci voraci. Scott rise al pensiero del corpo minuto di Stiles fra le muscolose braccia di Derek – di quei sorrisi appena accennati, che trasmettono felicità.
 
*
Stiles si ricordò, la mattina in cui la luce del sole non arrivò a disturbare i suoi occhi – il corpo di Derek a coprirlo e a proteggerlo – di quanto avesse sempre odiato essere il minore. Era successo con Lydia quando, una dozzina di anni addietro, aveva scoperto che il compleanno della ragazza cadeva in aprile, mentre lui era nato a giugno. La scena si era ripetuta con Malia, e ugualmente il ragazzo aveva odiato sentirsi il minore, soprattutto nei confronti di una ragazza che aveva passato otto anni della sua vita sotto forma di un feroce e vorace animale. Ma stavolta, se lo sentiva, sarebbe stato diverso. Avrebbe apprezzato l’iperprotettività di Derek nei suoi confronti, l’attenzione che gli veniva rivolta, le centinaia di baci che riceveva non appena la sua goffaggine faceva nuovamente capolino nella sua vita, sbucciandogli un ginocchio o procurandogli un taglio sul sopracciglio. Si ricordò anche di come Derek lo strinse in un abbraccio, fiutando il suo repentino cambio di sentimenti che, all’interno dello stomaco, gli sconvolgevano la vita, rendendo al lupo impossibile dormire un secondo più a lungo – il minore aveva appena piantato un tallone nel suo stinco. Stiles ne era certo, avrebbe apprezzato smisuratamente.
 
 
Nota 1: gli errori ortografici sono voluti dall’autrice, per mettere in risalto lo stato di ubriachezza in cui si trova Stiles.
  
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