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Autore: Trixilla    10/04/2009    4 recensioni
Ed ora era lì sotto la pioggia a farsi abbracciare da lui, da lui da cui era scappata per l’ennesima volta, da lui che l’aveva tradita, da lui che la stava uccidendo. Piangeva forte e gli diceva di odiarlo, perché ormai non riusciva a pensare altro. Più piangeva, più pioveva, più lui la stringeva. Quasi fino a farle mancare il respiro. Quasi a volerle imprimere sulla pelle la sua presa. Quasi a farsi del male. Lui la osservava bagnata e disperata, tra le sue braccia, e si chiedeva come aveva fatto a ridurla così, come aveva potuto? L’aveva avuta nella violenza, sempre.
Genere: Triste, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Violence

Piccola song-fic su Violence dei miei amatissimi Blink 182, nata in un momento no e conclusa tra le lacrime dopo mesi di incubazione.

Sono graditissimi commenti di qualsiasi tipo, lasciare una recensione vi ruberà un minuto e mi fareste davvero davvero contenta J Grazie!

Trix

 

A chi ha sofferto.

A chi ha taciuto e ha mentito.

A chi avrebbe voluto qualcosa di diverso.

A chi alla fine ha trovato il suo angelo.

A te che mi avrai, sempre, nella violenza.

 

 

Violence.

 

Camminava lenta sotto la pioggia, iPod nelle orecchie e All Star ormai fradice, i lunghi capelli bagnati sul viso, la matita colata, non era giornata, decisamente. Ci aveva litigato ancora, era un rapporto al massacro ormai, ma proprio non riusciva a chiudere la faccenda, non riusciva ad allontanarlo una volta per sempre. Erano 3 anni che si tiravano avanti così, tra litigi, schiaffi, tradimenti e notti insonni, giorni passati senza parlarsi e a volte settimane senza vedersi. Non era mai stato facile per entrambi, per lei che cercava solo un po' di pace, per lui che viveva pensando che tutto ruotasse intorno a lui. Avevano 26 anni ormai, non erano più dei ragazzini, eppure si comportavano ancora come tali, sbagliando.

La pioggia continuava a cadere incessante e lei, così fragile e disperata, era ritornata sui suoi passi, sbagliava ma stava tornando da lui, un’altra volta ancora. Lui domani ripartiva e non l’avrebbe rivisto per almeno due settimane, era da stupidi restare arrabbiati per così tanto tempo.

Fredda ormai come la pietra, correva verso casa, quella che infondo era anche casa sua perché praticamente convivevano quando riuscivano a non tirarsi dietro di tutto, la porta era lì a due passi eppure era così difficile suonare, ammettere di non riuscire a stare senza lui. Perdonarlo e provare a dimenticare tutto per l’ennesima volta. A metà del vialetto stava già per tornare indietro quando la porta si aprì di scatto ed apparve lui, faccia altrettanto distrutta, stupore sul viso nel vederla proprio lì.

 

Corse da lei sotto la pioggia e la abbracciò di slancio, la strinse tanto da toglierle il fiato, la sentiva così fragile ed era soprattutto colpa sua, lui che la feriva di continuo non telefonando, non facendola mai sentire speciale. Lei che piangeva colpendogli il petto con i pugni chiusi, arrabbiata una volta ancora perché si era dimenticato di dirle che era tornato il giorno prima e sarebbe ripartito l’indomani. Sapeva di sbagliare comportandosi così e si era promesso mille volte di cambiare ma poi vinceva l’abitudine, avrebbe voluto stupirla e farle vedere che era capace di essere migliore. La ascoltava ripetere quei “ti odio” già sentiti cento volte prima che si perdevano nel rumore della pioggia e la stringeva forte ancora un po’, voleva dimostrarle qualcosa, neanche sapeva cosa di preciso, ma voleva solo che lo sentisse lì.

 

Si erano conosciuti per caso, una sera come tante altre, lui che faceva lo spaccone e lei troppo testarda per dargli retta, lui che era uno come tanti infondo, uno di quelli che andava in giro con gli amici e se ne passava anche tre a sera, lei una che la testa ce l’aveva sempre avuta sulle spalle, prima di conoscerlo.

Lei che studiava per diventare grande, lei che da sempre lottava per coronare i suoi sogni, lei che amava la vita e che si lanciava in ogni avventura certa che le avrebbe insegnato qualcosa. Lui che si sentiva già grande da sempre, lui che aveva la sensazione di tenere il mondo tra le mani, lui che l’aveva catalogata solo come una buona preda per una nottata come le altre. Loro che però il destino aveva altri programmi, lei che si fa offrire da bere perché un cocktail non si rifiuta mai, lui che si perde un po’ troppo nel suo profumo, lei che flirta senza pudore perché ha voglia di dimenticare l’ennesima storia finita male, lui che è preso in contropiede. Poi una notte e via, tutto secondo i piani. Lei che però la mattina dopo nel suo letto non c’era, scomparsa nel nulla. E tornavano alla loro vita, lei all’università, lui in giro come al solito. Entrambi ricordavano, nessuna informazione particolare, solo un bel ricordo.

Lei che ci era passata sopra, però a dimenticare del tutto non ci riusciva.

Lui che ne aveva già avute altre mille, ma quella sensazione non l’aveva più riprovata.

 

Poi un secondo incontro, qualche parola in più, due nomi e due sorrisi. Il battito del cuore che accelerava, lei che arrossiva imbarazzata nell’ombra del locale, lui che ci provava perché infondo non aveva nient’altro da perdere. Un bacio che era rimasto nell’aria, un bacio che però aveva qualcosa di diverso. Voglia di volersi, voglia di avere di più, voglia di scoprire qualcosa dell’altro. Loro che iniziavano a uscire, cinema e pizzeria, un concerto e tanto alcool, la testa che non capiva più che cosa vuole. Loro che non si sbilanciavano mai, loro che prima di ammettere che qualcosa c’era già cominciavano a litigare.

Lei che non riusciva a fare più tutto quello che faceva prima, troppo presa da quella loro cosa, lei che andava su tutte le furie per un niente, lei che cominciava a cambiare.

Lui che non aveva smesso di andare in cerca di qualcosa che lo distraesse, lui che non era cambiato e mai l’avrebbe fatto, lui che non le concedeva più del necessario.

 

Un anno a momenti, a vivere sprazzi di tempo, concedendosi attimi e istanti e poi rubarsi la vita.

Lei che piangendo diceva che no, non ci stava, non riusciva a sopportare una situazione così, che voleva di più perché si era innamorata, lei che le amiche non le aveva ascoltate quando le avevano detto che un’altra volta lui era quello sbagliato, lei che nei suoi sogni cominciava a non crederci più. Lui che alla fine gli andava anche bene così, lui che l’aveva tradita e troppo male non ci stava, lui che l’amore neanche sapeva che cos’era, lui che però la voleva e basta e non ammetteva repliche, lui che diventava geloso e s’incazzava per giorni.

 

Amore e sesso, alcool e perdizione, urla e silenzi.

Opposti che si combattevano, lei che chiudeva gli occhi per dimenticare, lui che non c’era mai.

Lei che cominciava a cedere, lei e il primo tradimento, lui e la rabbia di non avere più il controllo sulla sua vita, lui e le notti insonni senza sapere lei dov’era e cosa faceva. Lei che non chiamava più, lui che non la cercava per orgoglio.

Mesi senza parole, mesi di una lotta senza vincitori né vinti.

Un nuovo incontro, gli occhi che si cercavano senza sosta, la passione che tornava a galla.

Fuori le bugie, fuori le colpe.

Una notte per amarsi, una notte per rivendicare quell’amore che era stato sepolto sotto strati di rancore per una promessa mai pronunciata e troppo spesso calpestata, una promessa di voler davvero provarci insieme.

Un voler ripartire insieme, lei che ci credeva stavolta che tutto sarebbe andato bene, lui che s’illudeva di poter fare come se niente fosse del suo passato. Lei che gli scheletri dall’armadio li aveva tirati fuori tutti, lui che invece non ci riusciva, lui che non voleva cambiare e continuava ad accumulare bugie. Lei che piangeva in silenzio, lui che tornava e pretendeva la luna, lei che scappava ma non riusciva a non tornare da lui, a cui aveva ormai lasciato il cuore.

 

Lui che cominciava a capire che qualcosa doveva fare o l’avrebbe persa, lei parte della sua vita nel bene e soprattutto nel male, lei che lo accettava nonostante l’avesse tradita, lei che però era cambiata e se n’era accorto, lei che non lo voleva più, lei che cercava altri per divertirsi.

Lei e la vendetta, portata avanti anche se la faceva star male, lei che faceva la peggior cosa, lei che si portava a letto il suo migliore amico per ripicca, lei che voleva farlo stare male.

Lui che cominciava a capire cos’era la gelosia, lui che si trovava costretto a sopportare in silenzio quelle scuse che lui stesso le aveva propinato, lui che ora voleva di più.

 

Una casa per loro, loro così diversi, loro che da due anni si facevano solo del male a vicenda ma che in quel dolore non smettevano di amarsi, un amore che non erano mai riusciti ad esprimere, un amore che li stava consumando e li distruggeva lentamente. Lei che la vendetta la metteva da parte, lui che ci provava davvero. Finalmente un po’ di pace, un periodo d’oro. Entrambi fedeli e felici, lei che riusciva a finire quegli esami troppo a lungo rimandati, lui che realizzava il sogno di una vita, insieme a combattere le difficoltà, mesi sereni, mesi da passare in compagnia, con amici più o meno nuovi, mesi per scoprire che non bisognava per forza farsi del male per stare bene.

 

Mesi che finirono troppo in fretta, quell’amore che come una candela accesa si era consumato, e subentrava la noia, l’abitudine, il lavoro. Lui che partiva troppo spesso, lei che lavorava per vincere la sua personale guerra con l’orgoglio, lui che ricascava in quel vizio, lei che era lontana e non sapeva e viveva nell’illusione di un amore vero. Lui che tornava e faceva buon viso a cattivo gioco, che la ricopriva di regali per sentirsi meno in colpa, per cercare di dimenticarsi che c’era ricaduto un’altra volta. Lei che nei suoi occhi ricominciava a vedere quel sentore di menzogna che era scomparso per un tempo che le era parso infinito, lei che non voleva crederci. Lui che era in giro e non avvisava mai delle sue partenze e dei suoi ritorni, lei che sopportava in silenzio. Era un circolo vizioso, dove era troppo facile cadere ogni santissima volta.

 

Il tempo scivolava lento e inesorabile, dietro sorrisi falsi e occhi assenti, nelle buie notti milanesi lei si chiudeva in se stessa e cercava la forza di andare via e rinunciare a quella folle relazione. Era masochismo rimanere. Era un volersi condannare a star male. Male per lui. Lui che non c’era troppo spesso, lui che non tentava neanche di fingere. Lui che a farla sentire speciale non ci riusciva mai. Fare l’amore era diventato meccanico, poca passione e gesti dettati dall’abitudine. Finiti i silenzi complici, finiti gli sguardi languidi.

Impossibile trovare la forza di continuare così. Scappava e tornava da lui, sempre. Perché stargli lontano era anche peggio che averlo affianco, nonostante la consapevolezza del tradimento.

Sapevano di non poter andare avanti così, era un rapporto al massacro.

Se era amore? Probabilmente si. Ma quell’amore che ti uccide. Quell’amore che ti logora. Quello che ti scivola dentro piano piano, che si insinua là dove niente e nessuno andrà a disturbarlo, là dove nessuno può arrivare.

 

Ed ora era lì sotto la pioggia a farsi abbracciare da lui, da lui da cui era scappata per l’ennesima volta, da lui che l’aveva tradita, da lui che la stava uccidendo.

Piangeva forte e gli diceva di odiarlo, perché ormai non riusciva a pensare altro.

Più piangeva, più pioveva, più lui la stringeva. Quasi fino a farle mancare il respiro. Quasi a volerle imprimere sulla pelle la sua presa. Quasi a farsi del male.

Lui la osservava bagnata e disperata, tra le sue braccia, e si chiedeva come aveva fatto a ridurla così, come aveva potuto? L’aveva avuta nella violenza, sempre.

Non c’era giustizia, non c’era lealtà.

E più si rendeva conto di essere totalmente dipendente da lei, più la cacciava.

Si era fatto odiare. Si era fatta amare. C’era ancora un futuro? Non lo sperava più.

La trascinò in casa, in quella casa che aveva comprato per lei, con lei.

Le prese il volto tra le mani e la fissò in quei grandi occhi dorati. Immobile.

 

6 bottles went down the drain,
one hours waste of time,
I’d ask if you feel the same,
still pushing that chance to try,
your breath in this cool room chill,
long hair that blows side to side,
you speak and make time stand still,
and each time you walk right on by

Lei osservava la camera da letto, lui forse dormiva. Erano riusciti a consumarsi una volta ancora, a uccidersi e bruciarsi in un gioco di labbra e piacere, annebbiato dalle bottiglie di birra e alcolici trovati sul loro cammino. Era quello, il futuro?

Era giusto, voler continuare a ignorare i problemi? Si odiava, lo odiava. Non era giusto.

Non era naturale, non era spontaneo, non era corretto. Non era.

Quando aveva cominciato la sua storia con lui sapeva che, nonostante tutto, l’avrebbe avuto sempre. Con l’inganno, con la forza, con la violenza. Lei lo sapeva, lui era sbagliato.

Avrebbe potuto trovarne mille migliori di lui. Qualcuno che la amasse davvero. Qualcuno che la rispettasse.

Qualcuno che le stesse affianco e le facesse coraggio. Eppure inconsciamente lo aveva scelto, senza remori.

Lui perché era dannato. Lui perché era uguale a lei. Lui perché infondo a nulla sarebbe servito cercare altrove quella morsa allo stomaco che la prendeva ogni volta che se lo trovava davanti.


Like violence you have me, forever, and after
Like violence you kill me, forever and after.

Un angelo condannato a non vedere la luce. Un angelo triste.

La sua piccola era un angelo ed era andata a incatenarsi a lui, uno che di angelico non aveva niente.

Un angelo che aveva perso le ali e la forza per riuscire a volare via da lui, dal male, dall’errore.

La guardava dormire al suo fianco, la bella schiena scoperta dal lenzuolo che le copriva la vita, i lunghi capelli sparsi, una mano sotto la guancia e l’altra abbandonata su di lui. Proteggerla non sarebbe stato abbastanza.

Proteggerla non le avrebbe ridato l’innocenza. Non le avrebbe ridato la felicità che lui, in base a chissà quale diritto, le aveva tolto in quegli anni. Nulla sarebbe bastato. Perché? Perchè aveva voluto legarla a se a tutti i costi? Perché quel batticuore guardandola dormire non riusciva ad abbandonarlo? Non c’era giustizia.

Non se la meritava. Gli angeli dovrebbero stare lontani, al sicuro, lontani da chi poteva strappar loro le ali.


Can’t count all the eyes that stare
can’t count all the things they see,
she kills with no life to spare,
just victims are left to bleed,
one drink and the pain goes down,
soft shadows lay by her feet,
lay soft as you slowly drown,
lay still while you fall asleep
.

Si svegliarono insieme. O forse si svegliarono da soli e finsero di dormire finchè l’altro non si mosse.

Si guardarono negli occhi, ma non ci fu il tempo di dirsi niente. Un auto suonava prepotente il clacson dalla strada, era tempo di separarsi ancora. Non una parola, non un sorriso, non un movimento. Non un bacio.

Lo vide alzarsi e vestirsi in silenzio, ancora sdraiata in quel letto troppo grande per lei, senza di lui.

Lo seguì con lo sguardo mentre il cuore urlava, dilaniato dal dolore. Lo vide sparire oltre la porta.

Si alzò, arrivando alla finestra. Lo osservò caricare silenzioso il bagaglio sull’auto e chiudersi la portiera alle spalle, senza guardarla, senza voltarsi. Abbandonandola, ancora. Lasciandola, ancora.

Pianse. Pianse senza che ci fosse nessuno a dirle che sarebbe andato tutto bene. Pianse maledicendolo.

Pianse per non aver saputo fermarlo. Pianse per non aver avuto la forza di amarlo come avrebbe dovuto.

Il piccolo angelo pianse fino a non avere più lacrime.


Like violence you have me, forever, and after
Like violence you kill me
Like violence you have me, forever, and after
Like violence you kill me

 

Passò il tempo, scemò la rabbia. Scomparve il rimpianto, finirono le lacrime.

Piovve e venne il sole. Prese una decisione, il piccolo angelo. Lo fece per se stessa, lo fece per lui.

Prese lo stretto necessario e si chiuse anche lei quella porta alle spalle, senza voltarsi indietro. Sparendo.

Lui tornò, ma del piccolo angelo che aveva abbandonato non c’era più traccia. Una lacrima solcò il suo viso. Aveva un cuore, dopotutto. Sapeva amare, e soffriva. L’aveva persa, ed era solo colpa sua.

Avrebbe potuto voltarsi, quella mattina.

Avrebbe potuto telefonarle, quel giorno.

Avrebbe potuto dirle che gli mancava come l’aria, quella settimana.

Ma la storia non è fatta di se, e quella era finita. Finita com’era più giusto.

Con un angelo che scappava per ritrovare le sue ali. Sotto il suo cuscino trovò una lettera, parole bagnate di lacrime che chiedevano scusa. Scusa a lui che era la causa. Scusa a lui che doveva implorare perdono.

La sua piccola, inconsapevolmente, gli stava dando il colpo di grazia. Lo uccideva e solo ora capiva che la vittima, forse, tra i due era proprio lui. Lui che sarebbe stato suo per sempre, nella violenza. Lesse e rilesse, pianse, bevve per dimenticare. Ma quel letto vuoto era una pugnalata ogni sera, ogni giorno.

Le scrisse una lettera e la mandò a casa dei suoi. Prima o poi l’avrebbe ricevuta, prima o poi avrebbe saputo.

La spedì e se ne andò anche lui. Troppo doloroso rimanere.


My dearest
I've missed you very very much since that last night we were together
And will hold that night especially in my memories for years to come
I've been turning it over and over in my mind lately
I've read you're letter through at least 4 times
And will probably read it more times before I'm through
I've been sitting here
Looking at you're picture and getting more home sick every minute
I've wanted that picture more than anything else I know of
Except of course you, you're self
I keep thinking of you darling
I keep wishing I could be home with you
I want to leave in the worst possible way so I could come home to see you But:
Things don't look to good on that subject
This war has spoiled a lot of things for everyone I guess
I've never been so lonesome in my life as I am right now
I'm completely lost without you darling
I never realized I could miss anyone person so much
I just hope it won't be too much longer till I'm able to be with you again
And live a sane and normal life

 

Gli anni passarono. Le stagioni si alternarono una dietro l’altra.

Nessuno ebbe notizie dell’altro, nonostante quelle due lettere fossero arrivate ad entrambi i destinatari.

Lei sapeva, lei era riuscita a scappare abbastanza lontano, portando con se qualcosa di lui. Qualcosa che ora aveva 3 anni e due occhi neri uguali ai suoi. Lei voleva dirglielo, ma ormai che importanza aveva?

Lui non aveva dimenticato, ma era tornato alla sua vita. Fatta di donne, fatta di sesso senza importanza. Fatta di viaggi e spostamenti continui per occupargli la testa. Voleva sapere di lei, ma ormai che importanza aveva?

Fu il caso. Fu il destino. Fu il volere di qualcuno lassù per quell’angelo triste.

Fu nell’aeroporto affollato di New York. Fu questione di un attimo.

Una giovane mamma con un bambino che tornavano in Italia, a trovare dei parenti.

Un giovane uomo che tornava a casa, dopo l’ennesima trasferta lavorativa.

Un bambino che senza saperlo si ritrovò per caso seduto in mezzo ai suoi genitori, che non si vedevano da molto prima della sua nascita. Un bambino che importunò quel ragazzo con cappellino e occhiali da sole.

Un bambino che tirò la sua mamma per il braccio, bofonchiando chissà cosa.

Un bambino che decise per il destino di due che avevano odiato, avevano amato, avevano pianto.

Occhi negli occhi, non ci furono dubbi.

Scoprirsi colpevole di aver mentito e taciuto.

Scoprirsi padre, ad osservare l’unica cosa buona fatta nella propria vita.

Scoprirsi innamorati, ancora, sempre.

Scoprire che si avranno sempre, nella violenza, perché è parte di loro.

 

The End

  
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