Piccola song-fic su Violence
dei miei amatissimi Blink 182, nata in un momento no e conclusa tra le lacrime
dopo mesi di incubazione.
Sono graditissimi commenti di qualsiasi tipo, lasciare
una recensione vi ruberà un minuto e mi fareste davvero davvero contenta J Grazie!
Trix
A chi ha sofferto.
A chi ha taciuto e ha mentito.
A chi avrebbe voluto qualcosa di diverso.
A chi alla fine ha trovato il suo angelo.
A te che
mi avrai, sempre, nella violenza.
Violence.
Camminava lenta sotto la
pioggia, iPod nelle orecchie e All Star ormai fradice,
i lunghi capelli bagnati sul viso, la matita colata, non era giornata,
decisamente. Ci aveva litigato ancora, era un rapporto al massacro ormai, ma
proprio non riusciva a chiudere la faccenda, non riusciva ad allontanarlo una
volta per sempre. Erano 3 anni che si tiravano avanti così, tra litigi,
schiaffi, tradimenti e notti insonni, giorni passati senza parlarsi e a volte
settimane senza vedersi. Non era mai stato facile per entrambi, per lei che
cercava solo un po' di pace, per lui che viveva pensando che tutto ruotasse
intorno a lui. Avevano 26 anni ormai, non erano più dei ragazzini, eppure si
comportavano ancora come tali, sbagliando.
La pioggia continuava a cadere
incessante e lei, così fragile e disperata, era ritornata sui suoi passi,
sbagliava ma stava tornando da lui, un’altra volta ancora. Lui domani ripartiva
e non l’avrebbe rivisto per almeno due settimane, era da stupidi restare
arrabbiati per così tanto tempo.
Fredda ormai come la pietra,
correva verso casa, quella che infondo era anche casa sua perché praticamente
convivevano quando riuscivano a non tirarsi dietro di tutto, la porta era lì a
due passi eppure era così difficile suonare, ammettere di non riuscire a stare
senza lui. Perdonarlo e provare a dimenticare tutto
per l’ennesima volta. A metà del vialetto stava già per tornare indietro quando
la porta si aprì di scatto ed apparve lui, faccia altrettanto distrutta,
stupore sul viso nel vederla proprio lì.
Corse da lei sotto la pioggia e
la abbracciò di slancio, la strinse tanto da toglierle il fiato, la sentiva
così fragile ed era soprattutto colpa sua, lui che la feriva di continuo non
telefonando, non facendola mai sentire speciale. Lei che piangeva colpendogli
il petto con i pugni chiusi, arrabbiata una volta ancora perché si era
dimenticato di dirle che era tornato il giorno prima e sarebbe ripartito
l’indomani. Sapeva di sbagliare comportandosi così e si era promesso mille
volte di cambiare ma poi vinceva l’abitudine, avrebbe voluto stupirla e farle
vedere che era capace di essere migliore. La ascoltava ripetere quei “ti odio”
già sentiti cento volte prima che si perdevano nel rumore della pioggia e la
stringeva forte ancora un po’, voleva dimostrarle qualcosa, neanche sapeva cosa
di preciso, ma voleva solo che lo sentisse lì.
Si erano conosciuti per caso,
una sera come tante altre, lui che faceva lo spaccone e lei troppo testarda per
dargli retta, lui che era uno come tanti infondo, uno di quelli che andava in
giro con gli amici e se ne passava anche tre a sera, lei una che la testa ce
l’aveva sempre avuta sulle spalle, prima di conoscerlo.
Lei che studiava per diventare
grande, lei che da sempre lottava per coronare i suoi sogni, lei che amava la vita
e che si lanciava in ogni avventura certa che le
avrebbe insegnato qualcosa. Lui che si sentiva già grande da sempre, lui che
aveva la sensazione di tenere il mondo tra le mani, lui che l’aveva catalogata
solo come una buona preda per una nottata come le altre. Loro che però il
destino aveva altri programmi, lei che si fa offrire da bere perché un cocktail
non si rifiuta mai, lui che si perde un po’ troppo nel suo profumo, lei che
flirta senza pudore perché ha voglia di dimenticare l’ennesima storia finita
male, lui che è preso in contropiede. Poi una notte e via, tutto secondo i
piani. Lei che però la mattina dopo nel suo letto non c’era, scomparsa nel
nulla. E tornavano alla loro vita, lei all’università, lui in giro come al
solito. Entrambi ricordavano, nessuna informazione particolare, solo un bel
ricordo.
Lei che ci era passata sopra,
però a dimenticare del tutto non ci riusciva.
Lui che ne aveva già avute
altre mille, ma quella sensazione non l’aveva più riprovata.
Poi un secondo incontro,
qualche parola in più, due nomi e due sorrisi. Il battito del cuore che
accelerava, lei che arrossiva imbarazzata nell’ombra del locale, lui che ci
provava perché infondo non aveva nient’altro da perdere. Un bacio che era
rimasto nell’aria, un bacio che però aveva qualcosa di diverso. Voglia di
volersi, voglia di avere di più, voglia di scoprire qualcosa dell’altro. Loro
che iniziavano a uscire, cinema e pizzeria, un concerto e tanto alcool, la
testa che non capiva più che cosa vuole. Loro che non si sbilanciavano mai,
loro che prima di ammettere che qualcosa c’era già cominciavano a litigare.
Lei che non riusciva a fare più
tutto quello che faceva prima, troppo presa da quella loro cosa, lei che andava
su tutte le furie per un niente, lei che cominciava a cambiare.
Lui che non aveva smesso di
andare in cerca di qualcosa che lo distraesse, lui che non era cambiato e mai
l’avrebbe fatto, lui che non le concedeva più del necessario.
Un anno a momenti, a vivere
sprazzi di tempo, concedendosi attimi e istanti e poi rubarsi la vita.
Lei che piangendo diceva che
no, non ci stava, non riusciva a sopportare una situazione così, che voleva di
più perché si era innamorata, lei che le amiche non le aveva ascoltate quando
le avevano detto che un’altra volta lui era quello sbagliato, lei che nei suoi
sogni cominciava a non crederci più. Lui che alla fine gli andava anche bene
così, lui che l’aveva tradita e troppo male non ci stava, lui che l’amore
neanche sapeva che cos’era, lui che però la voleva e basta e non ammetteva
repliche, lui che diventava geloso e s’incazzava per giorni.
Amore e sesso, alcool e
perdizione, urla e silenzi.
Opposti che si combattevano,
lei che chiudeva gli occhi per dimenticare, lui che non c’era mai.
Lei che cominciava a cedere,
lei e il primo tradimento, lui e la rabbia di non avere più il controllo sulla
sua vita, lui e le notti insonni senza sapere lei dov’era e cosa faceva. Lei
che non chiamava più, lui che non la cercava per orgoglio.
Mesi senza parole, mesi di una
lotta senza vincitori né vinti.
Un nuovo incontro, gli occhi
che si cercavano senza sosta, la passione che tornava a galla.
Fuori le bugie, fuori le colpe.
Una notte per amarsi, una notte
per rivendicare quell’amore che era stato sepolto sotto strati di rancore per
una promessa mai pronunciata e troppo spesso calpestata, una promessa di voler
davvero provarci insieme.
Un voler ripartire insieme, lei
che ci credeva stavolta che tutto sarebbe andato bene, lui che s’illudeva di
poter fare come se niente fosse del suo passato. Lei che gli scheletri
dall’armadio li aveva tirati fuori tutti, lui che invece non ci riusciva, lui
che non voleva cambiare e continuava ad accumulare bugie. Lei che piangeva in
silenzio, lui che tornava e pretendeva la luna, lei che scappava ma non
riusciva a non tornare da lui, a cui aveva ormai lasciato il cuore.
Lui che cominciava a capire che
qualcosa doveva fare o l’avrebbe persa, lei parte della sua vita nel bene e
soprattutto nel male, lei che lo accettava nonostante l’avesse tradita, lei che
però era cambiata e se n’era accorto, lei che non lo voleva più, lei che
cercava altri per divertirsi.
Lei e la vendetta, portata
avanti anche se la faceva star male, lei che faceva la peggior cosa, lei che si
portava a letto il suo migliore amico per ripicca, lei che voleva farlo stare
male.
Lui che cominciava a capire
cos’era la gelosia, lui che si trovava costretto a sopportare in silenzio
quelle scuse che lui stesso le aveva propinato, lui che ora voleva di più.
Una casa per loro, loro così
diversi, loro che da due anni si facevano solo del male a vicenda ma che in
quel dolore non smettevano di amarsi, un amore che non erano mai riusciti ad
esprimere, un amore che li stava consumando e li distruggeva lentamente. Lei
che la vendetta la metteva da parte, lui che ci provava davvero. Finalmente un
po’ di pace, un periodo d’oro. Entrambi fedeli e felici, lei che riusciva a
finire quegli esami troppo a lungo rimandati, lui che realizzava il sogno di
una vita, insieme a combattere le difficoltà, mesi sereni, mesi da passare in
compagnia, con amici più o meno nuovi, mesi per scoprire che non bisognava per
forza farsi del male per stare bene.
Mesi che finirono troppo in
fretta, quell’amore che come una candela accesa si era consumato, e subentrava
la noia, l’abitudine, il lavoro. Lui che partiva troppo spesso, lei che
lavorava per vincere la sua personale guerra con l’orgoglio, lui che ricascava
in quel vizio, lei che era lontana e non sapeva e viveva nell’illusione di un
amore vero. Lui che tornava e faceva buon viso a cattivo gioco, che la
ricopriva di regali per sentirsi meno in colpa, per cercare di dimenticarsi che
c’era ricaduto un’altra volta. Lei che nei suoi occhi ricominciava a vedere
quel sentore di menzogna che era scomparso per un tempo che le era parso
infinito, lei che non voleva crederci. Lui che era in giro e non avvisava mai
delle sue partenze e dei suoi ritorni, lei che sopportava in silenzio. Era un
circolo vizioso, dove era troppo facile cadere ogni santissima volta.
Il tempo scivolava lento e
inesorabile, dietro sorrisi falsi e occhi assenti, nelle buie notti milanesi
lei si chiudeva in se stessa e cercava la forza di andare via e rinunciare a
quella folle relazione. Era masochismo rimanere. Era un
volersi condannare a star male. Male per
lui. Lui che non c’era troppo spesso, lui che non tentava neanche di fingere.
Lui che a farla sentire speciale non ci riusciva mai. Fare l’amore era
diventato meccanico, poca passione e gesti dettati dall’abitudine. Finiti i
silenzi complici, finiti gli sguardi languidi.
Impossibile trovare la forza di
continuare così. Scappava e tornava da lui, sempre. Perché stargli lontano era
anche peggio che averlo affianco, nonostante la consapevolezza del tradimento.
Sapevano di non poter andare
avanti così, era un rapporto al massacro.
Se era amore? Probabilmente
si. Ma quell’amore che ti uccide.
Quell’amore che ti logora. Quello che ti scivola dentro piano piano, che si insinua là dove niente e nessuno andrà a
disturbarlo, là dove nessuno può arrivare.
Ed ora era lì sotto la pioggia a
farsi abbracciare da lui, da lui da cui era scappata per l’ennesima volta, da
lui che l’aveva tradita, da lui che la stava uccidendo.
Piangeva forte e gli diceva di
odiarlo, perché ormai non riusciva a pensare altro.
Più piangeva, più pioveva, più
lui la stringeva. Quasi fino a farle mancare il respiro. Quasi a volerle
imprimere sulla pelle la sua presa. Quasi a farsi del male.
Lui la osservava bagnata e
disperata, tra le sue braccia, e si chiedeva come aveva fatto a ridurla così,
come aveva potuto? L’aveva avuta nella violenza,
sempre.
Non c’era giustizia, non c’era
lealtà.
E più si rendeva conto di
essere totalmente dipendente da lei, più la cacciava.
Si era fatto odiare. Si era
fatta amare. C’era ancora un futuro? Non lo sperava più.
La trascinò in casa, in quella
casa che aveva comprato per lei, con lei.
Le prese il volto tra le mani e
la fissò in quei grandi occhi dorati. Immobile.
6 bottles went down the drain,
one hours waste of time,
I’d ask if you feel the same,
still pushing that chance to try,
your breath in this cool room chill,
long hair that blows side to side,
you speak and make time stand still,
and each time you walk right on by
Lei osservava la camera da
letto, lui forse dormiva. Erano riusciti a consumarsi una volta ancora, a uccidersi
e bruciarsi in un gioco di labbra e piacere, annebbiato dalle bottiglie di
birra e alcolici trovati sul loro cammino. Era quello, il futuro?
Era giusto, voler continuare a
ignorare i problemi? Si odiava, lo odiava. Non era giusto.
Non era naturale, non era
spontaneo, non era corretto. Non era.
Quando aveva cominciato la sua
storia con lui sapeva che, nonostante tutto, l’avrebbe avuto sempre. Con
l’inganno, con la forza, con la violenza.
Lei lo sapeva, lui era sbagliato.
Avrebbe potuto trovarne mille
migliori di lui. Qualcuno che la amasse davvero. Qualcuno che la rispettasse.
Qualcuno che le
stesse affianco e le facesse coraggio. Eppure inconsciamente lo aveva
scelto, senza remori.
Lui perché era dannato. Lui
perché era uguale a lei. Lui perché infondo a nulla sarebbe servito cercare
altrove quella morsa allo stomaco che la prendeva ogni volta che se lo trovava
davanti.
Like violence you have
me, forever, and after
Like violence you kill me, forever and after.
Un angelo condannato a non
vedere la luce. Un angelo triste.
La sua piccola era un angelo ed
era andata a incatenarsi a lui, uno che di angelico non aveva niente.
Un angelo che aveva perso le
ali e la forza per riuscire a volare via da lui, dal male, dall’errore.
La guardava dormire al suo fianco,
la bella schiena scoperta dal lenzuolo che le copriva la vita, i lunghi capelli
sparsi, una mano sotto la guancia e l’altra abbandonata su di lui. Proteggerla
non sarebbe stato abbastanza.
Proteggerla non le avrebbe
ridato l’innocenza. Non le avrebbe ridato la felicità che lui, in base a chissà
quale diritto, le aveva tolto in quegli anni. Nulla sarebbe bastato. Perché? Perchè aveva voluto legarla a se a tutti i costi? Perché
quel batticuore guardandola dormire non riusciva ad abbandonarlo? Non c’era giustizia.
Non se la meritava. Gli angeli
dovrebbero stare lontani, al sicuro, lontani da chi poteva strappar loro le
ali.
Can’t count all the eyes that stare
can’t count all the things they see,
she kills with no life to spare,
just victims are left to bleed,
one drink and the pain goes down,
soft shadows lay by her feet,
lay soft as you slowly drown,
lay still while you fall asleep.
Si svegliarono insieme. O forse
si svegliarono da soli e finsero di dormire finchè l’altro non si mosse.
Si guardarono negli occhi, ma
non ci fu il tempo di dirsi niente. Un auto suonava
prepotente il clacson dalla strada, era tempo di separarsi ancora. Non una
parola, non un sorriso, non un movimento. Non un bacio.
Lo vide alzarsi e vestirsi in
silenzio, ancora sdraiata in quel letto troppo grande per lei, senza di lui.
Lo seguì con lo sguardo mentre
il cuore urlava, dilaniato dal dolore. Lo vide sparire oltre la porta.
Si alzò, arrivando alla
finestra. Lo osservò caricare silenzioso il bagaglio sull’auto e chiudersi la
portiera alle spalle, senza guardarla, senza voltarsi. Abbandonandola, ancora.
Lasciandola, ancora.
Pianse. Pianse senza che ci
fosse nessuno a dirle che sarebbe andato tutto bene. Pianse maledicendolo.
Pianse per non aver saputo
fermarlo. Pianse per non aver avuto la forza di amarlo come avrebbe dovuto.
Il piccolo angelo pianse fino a
non avere più lacrime.
Like violence you have me, forever, and after
Like violence you kill me
Like violence you have me, forever, and after
Like violence you kill me
Passò il tempo, scemò la
rabbia. Scomparve il rimpianto, finirono le lacrime.
Piovve e venne il sole. Prese
una decisione, il piccolo angelo. Lo fece per se stessa, lo fece per lui.
Prese lo stretto necessario e
si chiuse anche lei quella porta alle spalle, senza voltarsi indietro.
Sparendo.
Lui tornò, ma del piccolo
angelo che aveva abbandonato non c’era più traccia. Una lacrima solcò il suo
viso. Aveva un cuore, dopotutto. Sapeva amare, e soffriva. L’aveva persa, ed
era solo colpa sua.
Avrebbe potuto voltarsi, quella
mattina.
Avrebbe potuto telefonarle,
quel giorno.
Avrebbe potuto dirle che gli
mancava come l’aria, quella settimana.
Ma la storia non è fatta di se,
e quella era finita. Finita com’era più giusto.
Con un angelo che scappava per
ritrovare le sue ali. Sotto il suo cuscino trovò una lettera, parole bagnate di
lacrime che chiedevano scusa. Scusa a lui che era la causa. Scusa a lui che
doveva implorare perdono.
La sua piccola,
inconsapevolmente, gli stava dando il colpo di grazia. Lo uccideva e solo ora
capiva che la vittima, forse, tra i due era proprio lui. Lui che sarebbe stato
suo per sempre, nella violenza. Lesse
e rilesse, pianse, bevve per dimenticare. Ma quel letto vuoto era una pugnalata
ogni sera, ogni giorno.
Le scrisse una lettera e la mandò
a casa dei suoi. Prima o poi l’avrebbe ricevuta, prima o poi avrebbe saputo.
La spedì e se ne andò anche
lui. Troppo doloroso rimanere.
My dearest
I've missed you very very much since that last night
we were together
And will hold that night especially in my memories for years to come
I've been turning it over and over in my mind lately
I've read you're letter through at least 4 times
And will probably read it more times before I'm through
I've been sitting here
Looking at you're picture and getting more home sick every minute
I've wanted that picture more than anything else I know of
Except of course you, you're self
I keep thinking of you darling
I keep wishing I could be home with you
I want to leave in the worst possible way so I could come home to see you But:
Things don't look to good on that subject
This war has spoiled a lot of things for everyone I guess
I've never been so lonesome in my life as I am right now
I'm completely lost without you darling
I never realized I could miss anyone person so much
I just hope it won't be too much longer till I'm able to be with you again
And live a sane and normal life
Gli anni passarono. Le stagioni
si alternarono una dietro l’altra.
Nessuno ebbe notizie
dell’altro, nonostante quelle due lettere fossero arrivate ad entrambi i
destinatari.
Lei sapeva, lei era riuscita a
scappare abbastanza lontano, portando con se qualcosa di lui. Qualcosa che ora
aveva 3 anni e due occhi neri uguali ai suoi. Lei voleva dirglielo, ma ormai
che importanza aveva?
Lui non aveva dimenticato, ma
era tornato alla sua vita. Fatta di donne, fatta di sesso senza importanza.
Fatta di viaggi e spostamenti continui per occupargli la testa. Voleva sapere
di lei, ma ormai che importanza aveva?
Fu il caso. Fu il destino. Fu
il volere di qualcuno lassù per quell’angelo triste.
Fu nell’aeroporto affollato di
New York. Fu questione di un attimo.
Una giovane mamma con un
bambino che tornavano in Italia, a trovare dei parenti.
Un giovane uomo che tornava a
casa, dopo l’ennesima trasferta lavorativa.
Un bambino che senza saperlo si
ritrovò per caso seduto in mezzo ai suoi genitori, che non si vedevano da molto
prima della sua nascita. Un bambino che importunò quel ragazzo con cappellino e
occhiali da sole.
Un bambino che tirò la sua
mamma per il braccio, bofonchiando chissà cosa.
Un bambino che decise per il
destino di due che avevano odiato, avevano amato, avevano pianto.
Occhi negli occhi,
non ci furono dubbi.
Scoprirsi colpevole di aver
mentito e taciuto.
Scoprirsi padre, ad osservare
l’unica cosa buona fatta nella propria vita.
Scoprirsi innamorati, ancora,
sempre.
Scoprire che si avranno sempre,
nella violenza, perché è parte di
loro.
The End