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Autore: ErinJS    18/05/2016    11 recensioni
Dopo l'addio ad Elsa, Anna e Kristoff, a Storybrooke tutto sembra essere tornato alla normalità. La quiete, però, non può durare per sempre e l’improvviso arrivo di una giovane ragazza di circa 17 anni porta con sè un'ondata di misteri e problemi. Nessuno sa da dove venga o chi sia, o perché quegli occhi verdi sembrino tanto familiari; quello che però è chiaro alla Salvatrice è che nasconde qualcosa e prima o poi riuscirà a scoprirlo. Ma se non fosse tanto importante il luogo da cui proviene la giovane, ma il…quando?!
Una nuova minaccia aleggia nella vita dei nostri eroi e questa volta il domani sembra proprio dietro l’angolo.
La ff presenta degli spoiler sulla quinta stagione.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Il passo indelicato del troll, alle spalle di Phil, rappresentava una delle poche certezze rimaste al mondo.
Lento. Grave. Irrequieto.
Nonostante Morgana e le sue manie di grandezza avessero inquinato la terra, le principali caratteristiche di queste creature continuavano a presentarsi intatte, unica costante in una vita fatta di incertezze.
Non importava che il popolo avesse smesso di innalzare la bandiera di Biancaneve e avesse scelto di inchinarsi al male; non importava che tutto sembrasse crollare in un abisso di dolore e oscurità senza lasciare alcuna via di scampo; non importava che la speranza avesse abbandonato il cuore della gente.
Orchi e troll avrebbero continuato a muovere i loro passi nel marciume del loro mondo, incuranti di ciò che li circondava.
Staccando lo sguardo dalla figura di Jake, legato a pochi metri da lei, Eva fissò con rabbia il capo dei banditi.
Eccolo lì, Phil il Sudicio, in tutta la sua ricchezza e prepotenza.
Lo odiava. Per quanto cercasse di soffocare quel sentimento, una parte prevalente del suo spirito richiedeva a pieni polmoni una sorta di punizione divina per quell’uomo privo di onore.
Non poteva farla franca a quel mondo, non dopo che li aveva traditi senza battere ciglio, non dopo aver vinto nonostante le orribili scelte che aveva fatto.
Phil, nonostante lo sguardo collerico di Eva, sembrava non provare il minimo rimorso nel dover assistere alla fine di un ragazzo che aveva conosciuto fin da bambino. Non gli importava di averli ingannati e di aver consegnato a Morgana l’ultimo straccio di speranza rimasto al popolo della Foresta Incantata.
Lui aveva vinto ed era questo ciò che contava.
Dopotutto, però, la cosa non doveva stupirla poi molto.
Come l’atteggiamento animale dei troll, anche Phil non si stava dimostrando diverso da quello che era sempre stato. Non aveva mai dato segno di provare qualche tipo di interesse nei confronti di qualche essere umano che non fosse sé stesso: a lui bastavano il denaro, il suo gregge e le ricchezze, cose che al momento aveva in abbondanza.
La bocca di Eva si era fatta secca e il bisogno di bere un sorso d’acqua cominciava a divenire impellente. Eppure, nonostante il suo corpo richiedesse con una certa urgenza una piccola dose d’acqua, arrivando ad immaginare il liquido cristallino a contatto con la sua trachea infiammata, l’unica cosa che la giovane Swan riusciva a desiderare con tutta sé stessa era che Phil pagasse per ciò che aveva fatto.
Meritava di soffrire, più di quanto stessero soffrendo lei e Jake in quel momento. Quanto avrebbe desiderato stringere quella catena d’oro che portava al collo; stringerla così forte da impedirgli la respirazione, arrivando ad incrinare l’esofago di quel traditore, fino al momento esatto in cui l’ultimo alito di vita fosse uscito da quella bocca irregolare.
Ma lei non era quel genere di persona. O meglio, cercava di non esserlo.
Lei era una dei buoni e le persone buone facevano sempre la cosa giusta; nessun membro della sua famiglia avrebbe mai preso in considerazione l’eventualità di uccidere Phil e il fatto che lei lo avesse anche solo pensato doveva farla vergognare.
Scuotendo leggermente il capo, la giovane Jones tornò a concentrare la sua attenzione sul troll alle spalle di Phil, il quale sembrava aver appena attuato un incantesimo di sdoppiamento.
Forse Tani le aveva battuto la testa troppo forte ed ora i danni cerebrali cominciavano a farsi sentire, o forse, con molta più probabilità, i troll erano due, ed ognuno di loro si sarebbe occupato di un prigioniero.
Due boia per due condannati a morte. Da queste parti non si badava di certo a spese.
“Bene…gli addii sono finiti ragazzi, è ora di andare!” esclamò sbrigativo il bandito, sputando a terra un grumo di saliva, come aveva fatto poco prima all’interno della foresta.
Quanto tempo era trascorso da quando erano stati attaccati? Ore? Giorni?
Guardare fuori dalla vetrata alla sua sinistra non aiutava affatto.
La notte era ancora padrona del mondo esterno e la luna, così alta e splendente, non dava alcun segno di voler lasciare posto alla sua nemesi. Tutto sembrava essersi congelato nell’esatto istante in cui i due banditi avevano tradito lei e Jake, come se le lancette dell’orologio non avessero mai ripreso a ticchettare.
Possibile che fossero rimasti svenuti per più di un giorno?
Eva non riuscì a soffermarsi un’istante di più su quel quesito che, improvvisamente, la puzza orripilante delle creature appena entrate le invase le narici. Era un odore acre, simile a quello del letame lasciato al sole per troppi giorni. Se solo avesse osato inspirare dal naso, avrebbe finito col dare di stomaco lì, davanti a tutti.
Con uno sforzo non indifferente, la figlia del pirata aprì la bocca, sperando che il puzzo di quei mostri non intaccasse perfino le sue papille gustative.
Non appena il troll affidatole si avvicinò a lei, questi sradicò la catena dal muro in cui era incastonata, facendola sembrare un intreccio di piume invece che di acciaio e ferro.
Il concetto suonava forte e chiaro: quella sarebbe potuta essere la sua spina dorsale; evitare inutili tentativi di fuga.
Maledizione, come sarebbero riusciti ad uscire da quella situazione? Non potevano morire lì dentro, era fuori discussione.
Quasi guidata da una forza interiore, Eva spostò lo sguardo su Jake. Ok, lei non sapeva cosa fare al momento, ma il figlio di Regina era un soldato Ribelle; aveva dimostrato di possedere una certa inventiva, soprattutto nelle situazioni di stress, come il trovarsi faccia a faccia con la sua ex fidanzata trasformata in un mostro di sei tonnellate.
Almeno lui doveva essere stato colpito da un piano abbastanza geniale da tirarli fuori da lì. Perché succedeva così, no? Quando le cose sembravano andare del tutto a rotoli, ecco che l’idea più geniale bussava alla porta, dando agli eroi la possibilità di tirarsi fuori dai guai, anche i più neri.
Com’era successo a suo tempo ai loro genitori, ai loro amici…
Già…solo che loro non erano eroi, ma solo i figli di questi ultimi e le soluzioni, al momento, sembravano preferire l’aria aperta del bosco a quella stantia della prigione.
Quasi facendo eco a quell’amara considerazione, ciò che Eva vide nello sguardo del giovane Mills, allontanò con forza l’ultimo granello di speranza rimasto nel suo cuore.
Jake era ricoperto di lividi e sangue. Al contrario del troll accanto a lei, che ora si divertiva a strattonarla per farla alzare in piedi, quello di Jake non aveva ancora strappato la catena dal muro e nemmeno sembrava incline a volerlo far alzare.
Emettendo suoni raccapriccianti, simili al grugnito di un porco estasiato di trovarsi di fronte al pranzo del giorno, il boia si avvicinò di qualche passo al suo prigioniero, afferrando con brutalità i capelli neri di Jake, ora così sporchi e unti da non sembrare più gli stessi; quelli che lei più e più volte si era trovata a desiderare di toccare, o per lo meno sfiorare con le dita.
Con una smorfia di dolore silenziosa, Jake si mise in ginocchio. Testardo come sempre, si rifiutava di emettere il minimo verso di dolore, preferendo stringere la mascella e incendiare con lo sguardo il troll accanto a lui.
Nonostante la rabbia, però, Eva riuscì a leggere con estrema chiarezza ciò che si celava dietro quel volto: stanchezza e dolore.
Le sopracciglia, solitamente incurvate in un’espressione di disappunto, ora apparivano chiazzate di un color vermiglio, così in contrasto con il nero da apparire del tutto inappropriato. Persino le labbra, carnose e visibilmente impegnate a trattenere ogni molecola di sofferenza, sembravano attraversate da sudore e sangue, rendendolo simile ad un dipinto di una battaglia d’altri tempi.
Ma non era quello a spaventare la giovane figlia del pirata. Non era il modo in cui la mano del troll stringeva i capelli del ragazzo, obbligandolo a mantenere una posizione eretta; non erano le condizioni di Jake, stranamente peggiori delle sue, e non era nemmeno l’odore di sangue e muffa che invadeva quella stanza.
A preoccuparla era la spada.
Al contrario del troll accanto a lei, armato unicamente della sua enorme stazza, quello occupato a maltrattare Jake impugnava nella mano sinistra un’enorme spada dalle fattezze poco curate e segnate dal tempo.
Nel corso degli anni, Eva aveva avuto la possibilità di imparare alcune cose riguardo le spade: quali fossero le sue caratteristiche principali e di quali parti fosse composta. Sapeva che la lama non era volta a svolgere un’unica funzione. Al contrario, ogni lama che si rispetti veniva divisa lungo la sua lunghezza in tre parti: debole, medio e forte. Sapeva quale fosse la parte debole della lama, ovvero quella più lontana dall’impugnatura volta a ferire l’avversario, e sapeva che per difendersi dai colpi bisognava usare la parte forte, perché più robusta e salda.
Tutto ciò, però, era superfluo, soprattutto se ci si trovava davanti ad una scena come quella, dove non serviva un esperto per capire che un’arma affilata, tenuta vicina alla giugulare di un uomo, non poteva far presagire nulla di buono.
“C-che succede?” si decise a chiedere Eva, con voce smorzata dalla paura di conoscere la risposta.
“Esaudisco i desideri…” le rispose Phil, facendo qualche passo nella loro direzione ma mantenendosi a debita distanza da entrambi i prigionieri “…o meglio…li esaudisco a metà!”
A metà., che diavolo significava esaudirli a metà. Jake aveva chiesto che venissero uccisi entrambi quindi…
“C-cosa…”
Risvegliata dalle parole del bandito, la rabbia di Jake sembrò imbucarsi a quella sorta di festa a sorpresa, mettendo il troll al suo fianco in seria difficoltà. Ritrovando un’energia che le ferite sembravano aver ormai eclissato, il giovane Mills assestò una gomitata sul fianco della creatura, la quale mollò di scatto la presa dal ragazzo, finendo a terra senza molta grazia.
Simile al leone che, spesso, albergava dentro al suo animo, Jake si preparò a lanciarsi addosso a Phil, con intenti del tutto lontani da pacche sulla schiena e abbracci amichevoli. Se solo avesse potuto, Jake si sarebbe ritrovato a fare quello di cui la Regina Cattiva andava tanto famosa: gli avrebbe strappato il cuore dal petto, schiacciandolo davanti ai suoi stessi occhi.
Con estrema facilità, però, il giovane Loxley venne bloccato dalla catena che ancora lo teneva ancorato al muro, facendolo rimbalzare all’indietro come un povero cane legato troppo stretto al palo alle sue spalle.
“Maledetto bastardo!” ruggì Jake, continuando a strattonare la catena, come se potesse bastare la rabbia del suo cuore a farle smettere di opporre resistenza.
Non dovettero trascorrere molti istanti prima che il troll si rialzasse da terra e, preso di nuovo possesso dello spadone arrugginito dal sangue delle sue vittime, assestò una ginocchiata sullo stomaco di Jake, il quale si ritrovò a terra, senza fiato.
“Jake…” urlò Eva, non riuscendo a nascondere la preoccupazione nella sua voce.
Anche Phil, nonostante la sua aria così fredda e insensibile, sembrava provare una minima dose di dolore alla vista di quel ragazzo, conosciuto quando ancora era un bambino e si credeva un guerriero coraggioso in grado di poter salvare la sua principessa.
Com’era strano il destino, così imprevedibile eppure così reale. Nemmeno sei anni prima si era ritrovato a ringraziare il cielo per avergli mandato quel ragazzo così coraggioso e sprezzante del pericolo che si era lanciato nel lago ghiacciato pur di salvare la sua bambina. Ed ora eccolo lì, di nuovo davanti allo stesso ragazzo, ma questa volta pronto ad assistere alla sua morte per decapitazione, da parte di un troll.
“Forza…andiamo!” si limitò a dire il bandito, lanciando uno sguardo in direzione della creatura accanto ad Eva.
“No, no…che stai facendo?” si oppose Eva, alternando lo sguardo sconvolto da Jake a Phil “…p-prima hai detto…”
“Ho promesso qualcosa che non potevo mantenere ragazzina…mi dispiace…” Phil si limitò a fissare Eva, senza avere mai il coraggio di guardare Jake negli occhi “…non posso rischiare che Morgana uccida me o, peggio ancora, mia figlia. Lei ti vuole…e ora vuole anche che il ragazzo muoia. Non sono io a decidere le regole qui!”
“Già…ma sei tu a ordinare che Jake muoia. Sei tu il responsabile di tutto questo!” continuò a sbraitare la giovane Jones, strattonando la catena, come aveva fatto poco prima il ribelle di fronte a lei.
Dopo aver assestato altri due calci allo stomaco e al volto del giovane Mills, il troll dinanzi a lui lo alzò da terra, affidandosi nuovamente ai capelli, come se fossero un mero appiglio simile al filo di una marionetta.
Alzando il volto con fatica, Jake posò i suoi intensi occhi scuri su quelli di Eva.
E il tempo sembrò fermarsi.
Ogni volta che incrociava quello sguardo, Eva finiva sempre col chiedersi come fosse possibile che due iridi potessero essere così nere e intense da riuscire ad esprimere i più profondi desideri, quelli ben nascosti nella periferia dell’animo.
Anche in quel momento, mentre la fissava, il giovane di Loxley pareva volersi scusare, avvicinare al suo volto incredulo o semplicemente dirle che sarebbe andato tutto bene, nonostante fosse una sciocca e inutile menzogna.
Ma andava bene così no?
Eva si ritrovò a mordersi il labbro inferiore, come a voler trattenere il pianto pronto ad esplodere da un momento all’altro. Per quanto cercasse di ricacciare indietro il dolore, però, non vi era nulla che potesse aiutarla; avrebbe potuto indurire la mascella, pensare a qualcosa di abbastanza felice da farla allontanare da quel luogo, avrebbe potuto deviare lo sguardo o pensare al modo più adatto per farla pagare a Phil. Qualsiasi cosa, ma alla fine avrebbe comunque sentito quelle calde lacrime rigarle il volto.
E fu ciò che accadde.
La prima, fu la più calda e veloce. Scese così sicura dall’occhio da riuscire a rigarle il volto ferito senza incorrere in nessun rallentamento e, silenziosa com’era arrivata, scivolò sul mento, finendo per posarsi sul palmo legato davanti al suo petto. Persino il suo infrangersi, solitamente quieto come il fluttuare di una piuma d’angelo, giunse chiaro e assordante al suo orecchio.
Poi fu il turno della seconda, più graffiante, simile al solco lasciato dalla ruota di un carro su un sentiero fangoso, così delineato da aprire la strada alla terza lacrima e alla quarta, finché il suo volto ne fu completamente rigato dalle lacrime, come mai avrebbe voluto essere.
Gli occhi di Jake si fecero così dolci da farle venire ancora più voglia di piangere e urlare, come di solito facevano i bambini a quell’età in cui possono permettersi di essere capricciosi per qualsiasi cosa.
Non voleva che morisse; non lui. Non adesso che avevano iniziato a…
“Andiamo forza, Morgana non è paziente come sembra!”
Con un gesto grezzo, il troll al suo fianco la strattonò, obbligandola a camminare nella direzione presa da Phil.
Eva cominciò a camminare, voltando la testa all’indietro, come a voler imprimersi nella mente ogni istante di quel volto.
Con estrema soddisfazione, il boia di Jake sradicò finalmente la catena dalla parete, come se fosse consapevole di quanta poca strada avrebbe potuto fare il ragazzo in quelle condizioni.
La spalla, del tutto fuori posto, rappresentava forse la ferità più lieve in quel corpo forte ma segnato da giornate troppo dure e il suo volto pareva aver accolto su di sé, oltre alla dolcezza, l’improvvisa consapevolezza che quello sarebbe stato il loro ultimo scambio di sguardi.
Gongolante, il troll alzò la spada in alto, come a voler prendere la rincorsa in quella gara che, come finale, avrebbe visto unicamente il sangue del figlio di Regina.
“Aspetta…ti prego!”
Urlando quelle parole con tutto il fiato che aveva in gola, entrambi i troll e Phil si ritrovarono ad interrompere le loro azioni, volgendo la loro attenzione su volto sporco e in lacrime di Eva.
“Che diavolo vuoi ancora?!”
Controllando il tremore al labbro, così carico di rabbia e dolore che sembrava voler scoppiare da un momento all’altro, Eva volse lo sguardo sul bandito, deglutendo a fatica.
La voglia di mettersi nuovamente urlare sembrava echeggiare nella sua gola, con la forza dirompente di un mare in tempesta. Quello, però, non era di certo il momento per lasciarsi andare alle emozioni e lei lo sapeva bene.
“Ti prego…fammelo salutare…”
“Salutare? Mi sembra vi siate già salutati abbastanza…”
“E-eravamo…eravamo lontani…” continuò Eva, dando le spalle a Jake “…ti prego. Non lo rivedrò mai più…L-lo stai uccidendo davanti ai miei occhi e io non l’ho neanche abbracciato…per…per l’ultima volta…” concluse, lasciando per la prima volta che le lacrime scorressero volutamente sul suo volto.
Una piccola parte di sé nemmeno si vergognava di quel momento di debolezza. Dopotutto, chi avrebbe mai potuto biasimarla? Perfino il lato oscuro del suo cuore sembrava essersi rintanato in un angolo irraggiungibile.
Phil sembrò trovarsi sul punto di rifiutare e di sbraitarle contro le parole più squallide conosciute dal suo vocabolario piuttosto limitato.
Ma non fu così.
“E va bene...abbracciatevi, baciatevi, fate quello che vi pare…ma datevi una mossa…”
“O-ok…”
“Vai…”
“Sì…posso…posso chiederti…”
“Cosa?!” sbraitò l’uomo, con fare scocciato.
“…di farlo alzare…” Eva spostò lo sguardo su Jake, non riuscendo però a mantenerlo su di lui per più di due secondi.
“Certo!” con un gesto secco e annoiato della mano, il bandito ordinò al troll con la spada di far alzare Jake, il quale pareva così sfinito da reggersi a malapena in piedi.
Con una spinta indelicata, il mostro buttò il giovane addosso alla figlia della Salvatrice ed entrambi si fermarono l’uno di fronte all’altra. Alle spalle di Jake vi era l’immensa vetrata che Eva aveva notato poco dopo aver aperto gli occhi, il cui vetro appariva così opaco da dare l’impressione che fossero trascorsi molti anni dall’ultima volta in cui uno straccio fosse passato su quella superficie unta e impolverata.
La luna, quasi richiamata da quell’addio, aveva aumentato il suo chiarore, riuscendo a rischiarare ogni cosa.
Non appena si trovò a pochi centimetri da lui, Eva alzò lo sguardo sul volto di Jake, lasciando finalmente andare un respiro fino ad allora trattenuto.
Con delicatezza, alzò le mani legate, sistemando con le dite un ciuffo di quei capelli neri così ribelli da riuscire a strapparle un sorriso.
Desiderava toccare quella ciocca nera finitagli davanti agli occhi, fin da quando aveva aperto gli occhi e posato lo guardo sguardo su di lui.
Quasi risvegliato da quel gesto, Jake alzò il viso, incontrando gli occhi verdi della ragazza, resi ancora più chiari e accesi dalle lacrime salate.
Il pianto era riuscito ad arrossarle gli occhi e il naso, donandole un’aria quasi indifesa. Non ricordava di averla mai vista con quell’espressione nel volto; nemmeno quando aveva usato la magia nera contro Diletta.
Per quanto si trovasse in una posizione scomoda o colpevole, Eva aveva sempre finito col mantenere un’aria sicura e orgogliosa, forse perfino con una punta di arroganza, così presente nel ramo paterno della sua famiglia da lasciare ben poco spazio alla sorpresa.
Non l’aveva mai vista indifesa o in lacrime. Lei era sempre stata la bambina cocciuta; la ragazza irraggiungibile.
Ora, invece, era lì a pochi centimetri da lui, con le guance umide e sporche di terra.
Ed era la cosa più bella che avesse mai visto.
Senza mai staccare un solo istante la sua attenzione da quella ragazza dai lunghi capelli scuri, Jake le sfiorò lo zigomo, catturando una delle tante lacrime ancora presenti
“Ehi…non lo sai che i pirati non piangono?” esclamò sottovoce Jake, come a non voler far sentire una sola parola al traditore alle sue spalle.
“Io…io non…”
Non sapeva cosa dire. Era come trovarsi di fronte ad una platea di persone che, da ore, attendevano quel discorso; ritrovarsi lì davanti, con le gambe tremanti e la bocca improvvisamente secca. Le parole, poco prima sicure, ora parevano tirarsi indietro, preferendo rimanere nelle retrovie della gola.
Dopotutto, cosa ci si poteva dire in un momento come quello?
Mi dispiace? Vorrei le cose fossero andate diversamente?
Addio?
Chiudendo gli occhi, Eva si ritrovò a fare quello che il suo cuore desiderava pur di qualunque altra cosa al mondo, ma che la mente rifiutava con costante tenacia. Con urgenza, Eva si buttò tra le braccia di Jake, lasciandosi andare ad un pianto che mai avrebbe creduto di aver tenuto prigioniero fino a quel momento.
In fin dei conti, gli addii non servivano proprio a quello? Ad infischiarsene dei ripensamenti e delle paure? Di lasciare finalmente libere le emozioni dal costante vincolo dell’orgoglio?
Lei non aveva mai pianto, non a quel modo almeno. Certo, con suo padre non erano mancati gli screzi e gli occhi, in varie occasioni, avevano finito col pizzicarle; ma lasciarsi andare ad un pianto, tra le braccia di qualcuno era una cosa del tutto sconosciuta ad una ragazza come lei.
Impossibilitato dalla catena a ricambiare l’abbraccio, Jake posò il capo sull’incavo di quel collo lungo e magro, assaporando il sapore inebriante dei suoi capelli, quei capelli scuri così folti da lasciare un segno perenne nell’animo.
Se mai avesse voluto morire con un ricordo nel cuore avrebbe scelto quello. Lui che, finalmente, si lasciava andare; che finalmente inspirava quel profumo, che toccava quella pelle.
Lui con Eva, senza troppi pensieri e libero dalla paura e dal passato.
Ogni persona doveva avere la possibilità di vivere un momento come quello, di sentirsi libero, di sentirsi felice.
Strano, ora che era ad un passo dalla morte si sentiva felice. Un controsenso. Un perfetto controsenso.
“Andrà tutto bene…” esclamò Jake, stringendosi a lei.
“C-come puoi dirlo?...Nonostante t-tutto quello che hai fatto per me…io non mi sono fidata. Non ti ho mai detto quello che Tremotino…”
“Shhh non dire niente…” le sussurrò Jake, nascondendo ancor di più il suo volto in quel collo perfetto, dal quale era possibile intravedere la vena carotidea “…n-non dirlo adesso. Trova il modo di scappare Eva…e fai quello che devi!”
Eva cercò di soffocare un singhiozzo, non riuscendo a sopportare l’idea di apparire ancora più debole “…ma tu…morirai...”
“E allora?...La cosa che conta e che tu trova il modo di liberarti…” aggiunse, obbligandola a staccarsi dal suo petto e mettendosi di fronte al suo volto, la fonte dell’uno appoggiata sulla fronte dell’altro “…ehi…Eva. Non puoi mollare, me l’hai detto tu no?...Devi fare qualsiasi cosa per salvare le persone che ami…”
“Ma…” la frase si interruppe, non rivelando mai cosa potesse celarsi dopo quel semplice ma, pronunciato a fior di labbra.
In un gesto frustrato, Eva spostò lo sguardo dagli occhi di Jake ad un punto dietro di lui e, improvvisamente, il suo volto cambiò.
Eva si ritrovò a fissare qualcosa alle spalle del giovane Mills, qualcosa che, stranamente, si era sempre trovato in quella posizione, ma che non le era mai parso così perfettamente collocato.
Era sempre stata lì. E lei non l’aveva vista, non davvero.
“Vogliamo finirla?!...” esclamò irritato Phil, risvegliando Eva da quell’improvviso torpore.
Jake la guardò stranito.
Si erano persi di vista per più di dieci anni, ma quegli intensi occhi verdi continuavano ad essere un libro aperto per lui e quell’improvvisa luce comparsa nelle sue iridi, lasciava ben poco spazio all’immaginazione; Eva stava pensando a qualcosa.
“Eva…”
“Sto…sto bene” sbattendo gli occhi, la giovane Jones cercò di liberarsi dalle lacrime, puntando nuovamente lo sguardo sul volto di Jake.
Sembrava essere stata colpita da una rivelazione, una rivelazione così potente da far allontanare a gambe levate la ragazza indifesa apparsa poco prima, lasciando nuovamente il posto a quella parte scaltra di lei che mai l’abbandonava del tutto.
Vi fu un attimo di silenzio; un attimo dove nessuno dei due sapeva cosa dire, cosa fare, come salutarsi.
“Non sono bravo con gli addii…” Jake cercò di porgerle un sorriso, il quale però finì per lasciarsi annebbiare dalle ferite presenti nel volto.
“Ma io sì…”
Jake non riuscì ad incassare quella risposta che, inaspettatamente il volto di Eva si avvicinò pericolosamente al suo.
Le dita affusolate, le stesse che poco prima si erano preoccupate a spostare il ciuffo di capelli dal suo volto, si aggrapparono alla giacca di pelle del ragazzo, obbligandolo a sua volta ad avvicinarsi a lei.
I pochi centimetri che li separavamo vennero improvvisamente eliminati, facendo accadere ciò che il moro mai avrebbe immaginato.
Eva lo baciò.
Successe tuto sena alcun preavviso; nessuno sguardo, nessun accenno.
In un solo istante non vi fu più nulla a separarli, a separare i loro corpi, a separare le loro bocche fino al giorno prima esclusivamente impegnate ad attaccarsi.
Il volto dell’uno pareva incastrarsi in maniera perfettamente simmetrica sul volto dell’altro. I nasi trovarono la perfetta inclinazione per intersecarsi, come fossero due figure geometriche disegnate su carta.
Fu un bacio irruento. Un bacio fatto esclusivamente di labbra premute le une alle altre.
Un bacio casto ma affrettato e colmo di un’urgenza impossibile da ignorare.
E il cuore, nonostante l’adrenalina, sembrò cessare di battere, preso a sua volta alla sprovvista da quell’improvvisa esperienza.
Eva non avrebbe mai creduto che il suo primo bacio sarebbe stato così; men che meno con Jake Mills.
A dire il vero, non ci aveva mai pensato davvero molto. La sua vita era sempre stata così indirizzata verso la fuga e la salvezza della sua famiglia che pensare a qualcosa di così, come dire, romantico le era sempre sembrato qualcosa di sbagliato.
E poi, con chi avrebbe potuto parlarne? Con suo padre? Con Henry? Nessuno dei due si sarebbe dimostrato entusiasta ad una simile evenienza.
Eppure, che ci avesse pensato o meno, ora stava baciando Jake.
Nonostante fossero leggermente screpolate, Jake aveva delle labbra morbide; sembravano fatte apposta per essere baciate, così delineate e per nulla sottili.
Era impossibile descrivere a parole le emozioni che quel semplice contatto di labbra stava scaturendo dentro di lei e anche Jake, superato l’iniziale stupore, sembrava aver atteso quel momento da una vita intera.
Nel modo in cui si muovevano, le sue labbra sembravano voler intensificare quel bacio rubato, come se fosse impossibile riuscire ad accontentarsi di quell’inizio, come se da sempre avesse desiderato molto di più.
Ad ogni modo, nonostante l’emozione di quel gesto, nella mente di Eva vi era qualcos’altro.
Qualcosa che poco prima aveva invaso la sua mente e che, nemmeno quell’emozione indescrivibile, avrebbe mai potuto cancellare.
“Mi dispiace…” sussurrò la giovane, allontanando la bocca da quella di Jake.
Il ragazzo, colto alla sprovvista da quella interruzione, sembrava ancora confuso, con occhi, bocca e corpo troppo sinceri nel voler chiedere molto di più.
Non riuscì a capire cosa intendesse Eva con quelle parole e il modo in cui corrugò la fronte espresse chiaramente il dettaglio.
“Ti prego…non aspettarmi!”
Come accadeva ogni qual volta si trattasse di quella principessa pirata dai lunghi capelli scuri, tutto accadde come inghiottito in una voragine senza precedenti.
Rapido e inaspettato.
Dopo aver pronunciato quella frase, con tutta la forza di cui ancora disponeva, Eva spinse Jake all’indietro, guardando con occhi colmi di speranza il corpo del ragazzo infrangere il vetro sottile della portafinestra posta alle sue spalle.
Era sempre stata lì.
La loro via di fuga.
Se c’era una cosa che aveva imparato da suo padre era il riuscire a trovare sempre il modo di mettersi in salvo.
Non importava il dove, che fosse la stanza priva di porte di Tremotino o una delle celle dell’ex Regina Cattiva, un modo per fuggire lo si trovava sempre, bastava peccare della giusta dose di presunzione.
E lei ne aveva in abbondanza.
Non sarebbero riusciti ad uccidere Jake. Né ora né mai.
Era una promessa.
E fu solo nel momento in cui il corpo del ragazzo sfuggì alla sua vista che Eva si ritrovò a sperare che il piano in cui si trovavano non fosse poi così alto.
 
 
***
 
 
“Quindi…tu saresti la sorella dell’invasata?!”
La voce forte e sicura di Regina, echeggiò all’interno del suo stesso salotto, attirando su di sé lo sguardo di tutti i presenti.
La bellissima sovrana indossava un tailleur firmato, la cui tinta di un intenso blu acceso metteva in risalto le costose scarpe nere, in perfetta sintonia con le calze della stessa tonalità.
Con la sua regalità e il suo portamento sembrava riuscire a governare ogni luogo, fosse esso magico o meno. Certe cose non potevano essere acquisite col tempo, e il modo in cui Regina Mills riusciva a schiacciare con lo sguardo chiunque non le andasse a genio era tra queste.
Emma, in piedi vicino alla finestra drappeggiata da splendide tende color oro, teneva le braccia incrociate davanti al petto, con la bocca serrata e lo sguardo fermo.
Sembrava quasi impossibile pensare che, solo un’ora prima, il suo volto era stato unicamente attraversato da sentimenti di speranza e amore, indirizzati vero l’uomo che, al momento, se ne stava in piedi al suo fianco, con il suo stesso sguardo corrucciato.
Nimue.
Quella che, secondo i libri su Camelot, rappresentava l’amore perduto di Merlino (o meno, a seconda della versione della leggenda), ora se ne stava lì davanti a loro, proclamandosi, senza troppo entusiasmo, sorella di Morgana.
Pesino Biancaneve e il Principe, di solito gli ultimi ad assumere il ruolo di freddi guerrieri dalla parte del bene, faticavano ad abbandonare il velo di diffidenza che la figura davanti a loro suscitava nei loro cuori.
“Sì…in persona!” rispose Nimue, con estrema disinvoltura.
“In altre parole, la ragazza che Brontolo doveva controllare e avvisarci nel caso si fosse svegliata!?” David alzò le sopracciglia, con fare incerto.
“Fate un favore alla città e rispedite quel nano nella Foresta Incantata!” esclamò secco Killian, scambiando un’occhiata comprensiva al padre della donna che amava.
Nimue indossava degli abiti prestatele da un’ignara Ruby: dei pantaloni verde bottiglia dalla vita elastica e un semplice maglioncino nero, grande abbastanza da avvolgere la figura sottile.
Non sembrava intimorita dal tono usato da Regina, né tantomeno dagli sguardi sottili che le persone all’interno della stanza le rivolgevano, fin dal suo ingresso in quella casa maestosa.
Dal canto suo, Nimue non riusciva a biasimarli; al contrario, comprendeva il loro stato d’animo, come del resto aveva compreso la reazione dei genitori di Eva, nel momento in cui aveva interrotto la loro riappacificazione amorosa. Non si fidavano di lei, soprattutto del sangue che scorreva nelle sue vene, così simile a quello della donna che li aveva portati in quella situazione, da mettere in seria difficoltà persino la fiducia che lei nutriva per sé stessa.
“…e chi ci dice che tu non sia invasata quanto lei?!” continuò Regina, ignorando le parole dei due uomini e facendo rintoccare i suoi lussuosi tacchi a spillo, così rigidi che solo una donna col suo fascino poteva renderlo una delle cose più facili e naturali del mondo.
Mentre Regina camminava sul morbido tappeto bianco, Nimue concentrò il suo sguardo su di lei, consapevole quanto pericoloso potesse essere lo sguardo furente di quella leonessa. L’avrebbe uccisa sul posto, se solo gliene avesse data l’occasione.
“Nessuno…ma temo non abbiate molta scelta!”
Ecco. Appunto.
Era proprio quello il motivo per il quale la fronte di Emma non accennava a volersi rilassare.
Dal momento in cui le sue orecchie avevano udito quella voce, il suo sesto senso aveva iniziato a suonare le campane a tutto spiano, come se si fossero collegato ad un impianto dolby surround di ultima generazione.
Non si fidava di lei.
Non si fidava di quegli occhi, nonostante di un colore umano rispetto a quelli gialli di Morgana; non si fidava di quella sicurezza in quel volto sottile e quasi elfico; non si fidava del fatto che fidarsi di quella donna, della sorella della Fata Oscura, rappresentasse l’unica possibilità rimasta a tutti loro.
“C’è sempre un’altra scelta…” gli rispose Mary Margaret, con voce ferma, nonostante non abbandonasse mai la sua naturale dolcezza.
“Certo…come rimare qui e aspettare che un miracolo vi piova dal cielo!”
“Come fai a sapere che non abbiamo già un piano…sbaglio o eri rinchiusa insieme a me in quel labirinto?!” Uncino aggrottò le sopracciglia, scambiando uno sguardo celere con la figura bionda accanto a lui.
“Non ero io la donna col cappuccio caro Capitano Jones…e non credo di sentirmi lusingata nell’essere confusa con lei…”
Emma non fece in tempo a chiedere a Killian chi fosse la Lei di cui stavano parlando che, con più focosità rispetto a poco prima, il sindaco di Storybrooke, si intromise nuovamente nel discorso.
“Ma eri comunque dentro un maledetissimo albero…quindi come fai a sapere che stiamo lottando contro tua sorella e che, a tuo dire, non abbiamo un piano contro di lei!”
“Semplice…” le rispose Nimue, alzandosi dal divano e posando ad intervalli regolare il suo sguardo intelligente su ognuno di loro, per poi fermarsi sul volto di Emma “…perché provengo dal luogo da cui è arrivata vostra figlia!”
“Vieni…vieni dal futuro?!” il modo con cui il Principe lo chiese, lasciava chiaramente intendere quanto poco credesse a quelle parole.
“Proprio così!”
“Strano…mi sembrava di aver capito dalla figlia del pirata che se qualcuno già nato in questo momento fosse arrivato dal futuro qualsiasi sua versione presente avrebbe fatto una fine…poco piacevole!”
“Ma io non appartengo a questo tempo…” Nimue corrugò la fronte, con fare serio “Morgana mi ha rinchiusa in quell’albero molti secoli fa, quando ancora Zoso infestava il mondo con la sua magia nera…”
“Sempre meglio del suo successore...” non riuscì a controllarsi il pirata, borbottando a voce piuttosto alta.
“Nel momento in cui successe, Morgana fece di tutto per tenere nascosto il suo primo gesto oscuro; così incatenò le nostre anime in un blocco temporale…”
“Oddio…mi sembra di essere finita in un episodio di Star Trek…” esclamò Emma, con tono stanco.
Nimue abbassò per un attimo lo sguardo sulle mani serrate dinanzi al grembo, come a voler cacciare un ricordo troppo doloroso da affrontare in quel momento
“…Io e Morgana non possediamo alcuna versione differente da quella che vedete. Non siamo presenti nel passato…e non siamo presenti nel futuro”
“Piuttosto comodo direi…” esclamò Regina, con tono seccato, fermatasi poco prima accanto a Biancaneve.
“Tu dici?...non esiste nessuna versione di me. In qualsiasi modo voi cerchiate di migliorare il vostro futuro, per me non ci sarà nessun cambiamento. Non posso chiedervi di cercare la mia versione passata e di salvarla…e non posso fare nulla per impedire a Turchina di dare la magia a mia sorella!” esclamò tutto d’un fiato la mezza fata, agitandosi come non aveva ancora dimostrato di saper fare “….non è comodo…credimi!”
Regina rimase in silenzio, come a voler soppesare quelle parole, sputate fuori da quel volto arrossato come se scottassero troppo per essere tenute in gola.
“Quindi…nessuno può andare nel passato per impedire a Morgana di fare quello che farà…” esclamò Biancaneve, con espressione seria “…se solo Turchina fosse qui potremmo chiederle un aiuto”
Nel sentire pronunciare quel nome, il volto di Nimue venne attraversato da qualcosa di indescrivibile, una sorta di sentimento oscuro, simile alla rabbia, ma ben lontano dalla collera.
“Turchina…” esclamò eccessivamente zuccherosa, sistemandosi sul divano “…dove si trova in questo momento?!”
“Oh…mi dispiace dirtelo…” cominciò Biancaneve, dispiaciuta nel dover dare quella notizia alla ragazza “…ma Turchina è imprigionata insieme alle altre fata all’interno di un cappello magico”
“Oh…allora qualche buona notizia gira anche da queste parti!”
Improvvisamente, il clima già alquanto serio, finì per congelarsi all’istante, spingendo tutti gli abitanti di Storybrooke presenti nel salotto di Regina a scambiarsi qualche sguardo confuso.
Certo, dopo essere riusciti a mettere insieme i tasselli del passato di Morgana e Nimue, Emma e gli altri avevano ben intenso quanta poca stima potesse scorrere tra la fata azzurra e l’occupante del divano di fronte a loro, ma il modo in cui la giovane dai lucenti capelli castani aveva pronunciato quelle fredde parole aveva lasciato interdetto chiunque.
Quel tono celava qualcosa di simile all’odio e, se c’era una cosa di cui Emma era certa, era che l’odio non andava per nulla a braccetto con una fata, fosse stata o meno intrappolata in un albero.
“Immagino tu non sia una sostenitrice della Fata Turchina!”
“Da quando sono stata imprigionata in quell’albero ho pregato ogni giorno perché Turchina venisse punita per quello che aveva fatto a me e a mia sorella” Nimue spostò lo sguardo su Killian, non preoccupandosi minimamente di celare il risentimento per troppo tempo assopito “…non chiedetemi di aiutarla in alcun modo…e vi consiglio pure di non dirmi mai dove si trovi questo cappello…potrei inavvertitamente bruciarlo!”
“Wow…non è un discorso un po’ troppo brutale per una fata?” esclamò secca Emma, scambiando uno sguardo con Regina.
“Infatti non sono una fata!”
“Altra passo che ti avvicina alla tua cara sorella!” Regina arricciò le labbra rosse, socchiudendo lo sguardo scuro come un animale in agguato.
“Lo so che non riuscite a fidarvi di me… io al vostro posto farei lo stesso. Ma credetemi…voglio fare in modo che la Fata Oscura sparisca…voglio liberarla dall’oscurità…”
“Dubito ci sia un modo per liberarla!” esclamò David, con ancora le braccia incrociate e lo sguardo fiero che solo un principe poteva esternare con tale sicurezza, perfino in un momento come quello.
“C’è sempre un modo…”
“Quale? Ucciderla?”
I modi di Regina non accennavano a migliorare. Al contrario, il sindaco della cittadina sembrava inasprirsi ad ogni secondo che passava.
A cos’era dovuto quell’astio? Al fatto di non conoscere nulla del suo passato? Alla consapevolezza che Morgana era molto più forte di lei?
O forse, più semplicemente, all’assenza dell’unica persona oltre ad Henry, ad avere il potere di rassicurarla?
Robin. Erano trascorse varie settimane dalla sua partenza e, da quel giorno, l’umore di Regina sembrava divenire via via sempre più nero. Non il genere di nero simile a quello indossato dalla sua controparte oscura, ma un colore simile alla solitudine. La bella Mills sembrava essere caduta in una sorta di tristezza interiore. Esternamente sfoggiava la sua consueta forza e freddezza, così elegante da riuscire a far rabbrividire la più potente donna mai esistita; dall’altra parte, però, una parte di lei sembrava essere stata privata dell’ossigeno, donandole quel velo di assenza impossibile da non notare a chi la conosceva davvero, come Emma e Biancaneve.
“Alle volte la morte è una liberazione…soprattutto dopo aver trascorso tutta l’eternità dentro una prigione…”
“Ciò, però, non spiega come hai fatto a vedere quello che accadeva fuori quando eri rinchiusa lì dentro…” sottolineò Emma, lasciando a briglia sciolta la parte investigativa del suo carattere.
“Bè…è stato un dono di Merlino…chi altri sennò!”
“Merlino?...ovvio non poteva mancare lui.…” esclamò Emma con fare piccato, riuscendo a far sorridere il pirata come solo lei sapeva fare.
“Non mi stupisce che conosciate Merlino…è stato il più grande mago mai esistito!” Nimue sorrise, come se il ricordo di quella figura riportasse alla sua mente aspetti piacevoli da rivangare.
“È stato?...vuoi dire che…”
“Non ho sue notizie da molto tempo…” Nimue interruppe David, serrando le labbra “…ma ho paura non sia più un aiuto per noi…”
“Perché no?!”
“SI sarebbe messo in contatto con me subito dopo l’ascesa al potere di Morgana. Non avrebbe mai permesso che mia sorella scatenasse il caos senza fare nulla per impedirglielo. Ho paura…ho paura che gli sia successo qualcosa”
Con fare quasi distratto, Nimue abbassò il capo, perdendosi in pensieri impossibili da decifrare.
Quella ragazza nascondeva qualcosa ed Emma non nutriva più alcun dubbio a riguardo. Non era cattiva e le sue intenzioni non sembravano crudeli come quelle della sorella; ma il modo in cui parlava di Morgana e di Turchina, lasciava intravedere una parte della sua personalità del tutto differente dal volto angelico che sfoggiava.
Era gentile certo, ma quel genere di gentilezza che spesso sfociava in pazzia.
“Ad ogni modo, fu grazie a lui che riuscii a tenermi in contatto con il mondo esterno. Quando Turchina riuscì a bandire mia sorella, Merlino scoprì che nell’albero creato da Morgana c’ero io. Non lo disse a nessuno…temeva che Zoso o qualche suo successore potesse sfruttare in qualche modo il mio potere assopito. Ad ogni modo mi diede la possibilità di avere una sorta di finestra sul mondo. Mi era impossibile comunicare, ma potevo comunque sentire ciò che accadeva…anche se, in alcuni momenti,  avrei preferito essere sorda” esclamò Nimue, alzandosi dal divano, come a volersi sgranchire le gambe.
Chissà che sensazione doveva aver provato nell’essere rinchiusa in quella prigione personale. Era come stare dentro ad una cella o lo spazio era stato ancora più angusto e soffocante?
“Quindi avevi avvertito che l’esilio impostole da Turchina non aveva avuto l’effetto sperato…” suggerì Biancaneve, scambiando un’occhiata con la figlia.
“Sì…ma ho sempre saputo che era questione di tempo prima che mia sorella si rifacesse viva. Come aveva predetto la profezia, nulla sarebbe mai riuscito a fermare la Fata Oscura…nulla al di fuori della Magia del frutto del Vero Amore nata dal sacrificio di chi più l’ha amata…” rispose Nimue, ritrovandosi a recitare quella profezia ormai ben conosciuta da tutti i presenti “per quanto sperassi che l’affetto che Turchina nutriva nei confronti di mia sorella fosse abbastanza grande da rappresentare una forma di Vero Amore, in cuor mio sapevo che Morgana si sarebbe liberata…in un modo o nell’altro!”
“Ma come è riuscita a farlo?...secondo Trilli l’esilio di Turchina era qualcosa di potentissimo…!”
“Per di più era stata privata della sua bacchetta!” si accodò Killian.
“Sì…e probabilmente lo era. Ma quello che la sciocca fata di cui parlate non ha mai preso in considerazione è che, dal momento in cui Corv….Morgana è entrata in possesso della sua magia, questa è diventata un tutt’uno col suo spirito. Morgana non è più una fata…ma una strega…e mi sembra che né tu né Regina abbiate bisogno di una bacchetta per dare libero sfogo alla vostra potenza!”
“Un esilio, però, è a prova di magia…” sottolineò Regina, esperta nel settore.
“Non per Morgana. E da quando è tornata in libertà…si è interessata di una cosa soltanto…”
“Eliminare chi è destinato a distruggerla…” esclamò David.
“E noi sappiamo bene chi sia…” Regina guardò Emma, incrociando le braccia al petto.
 
 
***
 
 
Non fu dolorosa la caduta.
Forse solo l’aspettativa di quello che sarebbe arrivato dopo e la consapevolezza che più duratura sarebbe stata la discesa e meno probabilità avrebbe avuto di rialzarsi da terra.
Per una volta, però, la fortuna sembrava aver deciso di sorridergli, o perlomeno di concedere al figlio di Regina un leggero accenno di assenso, e l’impatto non fu drastico come si era immaginato.
Nel momento in cui il suo corpo, schiavo dell’effetto della gravità, entrò in contatto con l’albero a diversi metri dalla finestra da cui era stato lanciato, Jake si ritrovò a ringraziare Madre Natura per aver innalzato quel tronco in quel preciso punto, attutendo così una caduta sicuramente mortale.
Ma se da una parte l’arrivo al suolo si era dimostrato a dir poco miracoloso, dall’altro l’impatto con la superficie ruvida del terreno non fu altrettanto piacevole.
Il dolore alla spalla, già compromessa prima del salto involontario, fu la cosa più devastante che il giovane Mills avesse mai provato. Era come se, improvvisamente, qualcuno avesse deciso di concentrare la sua dose di divertimento in quella parte dolorante del suo corpo, iniziando ad infilzarlo con una serie di spilli, sottili e acuminati.
Un’insopportabile formicolio cominciò ad invadere la parte lesa, avvolgendo il collo e il braccio.
Ad intervalli irregolari, il muscolo venne attraversato da una serie di spasmi in grado di intensificare maggiormente quella tortura personale, dandogli l’impressione che nessun’altra emozione o sentimento diverso dal dolore avrebbe mai fatto parte della sua vita.
Stava impazzendo; nella maniera più lenta e lacerante che un essere umano potesse immaginare
Non riusciva a pensare, lui che, fin da piccolo, era stato addestrato a sopportare le ferite che una battaglia avrebbe potuto assestargli; lui che, in ogni occasione, non si era lasciato spaventare da niente e da nessuno, nemmeno dalla sua ragazza trasformatasi in un gigantesco mostro.
Tuttavia non riusciva ad alzarsi o, semplicemente ad aprire gli occhi. Persino le altre ferite inflittegli poco prima dai troll sembrava aver ceduto l’intero palcoscenico alla spalla. E ne aveva di lesioni: il volto tumefatto, le costole incrinate, lo zigomo destro sempre più gonfio.
Un rottame, nel vero senso della parola.
Eppure, nonostante il formicolio, gli spasmi, nonostante le numerose ferite dalle quali defluiva sangue misto ad una sostanza giallognola a dir poco allarmante, niente riusciva a gareggiare con la consapevolezza di quanto appena successo.
Eva.
Eva lo aveva buttato giù dalla finestra.
Eva si era sacrificata per lui.
Avrebbe potuto usare lei quella via di fuga; avrebbe potuto semplicemente scansarlo e fuggire al suo posto. E invece era rimasta lì, finendo dritta tra le grinfie di Morgana, pur di dare a lui la possibilità di scappare.
Ancora steso supino con una mano sulla spalla lussata, Jake strinse con forza occhi e mascella, buttando fuori tutta l’aria che aveva nel petto, trovando in maniera inspiegabile la forza necessaria per mettersi seduto.
Doveva alzarsi.
Sapeva bene cosa fare e di certo non se ne sarebbe andato da quel posto, condannando a morte Eva.
Sarebbe tornato dentro e l’avrebbe trovata, a costo di morire nel tentativo.
“Non voltarti indietro…”
Mandando mentalmente al diavolo Eva per avergli rivolto quelle parole d’addio, Jake si alzò da terra, espirando nuovamente una buona d’ose di quell’aria notturna. Doveva essere notte fonda: aria fredda, tante stelle, luna alta nel cielo.
Sprecando pochi istanti nell’osservare cosa lo circondasse, Jake si orientò velocemente, capendo con soddisfacente precisione il punto in cui era caduto.
Alzando il volto verso l’alto, il ragazzo poté constatare di aver effettivamente usufruito di gran parte della fortuna di cui ogni individuo faceva affidamento durante tutto l’arco della propria vita. Un atterraggio da quell’altezza senza l’entrata in gioco dell’albero avrebbe avuto un unico triste epilogo, con il dolore alla spalla come semplice ricordo.
Il castello sarebbe apparso perfetto se non fosse stato per quella finestra sfasciata a circa quindici metri da terra.
Eva e i suoi brillanti piani.
In un gesto del tutto involontario, Jake alzò il braccio sano, per assicurarsi di non avere altre contusioni.
Se c’era una cosa peggiore nell’avere un braccio fuori uso era quella di averli entrambi. In un faccia a faccia con quella strega, se non poteva contare sull’arco, il minimo che poteva sperare era quello di riuscire ad usare la spada, anche se con le mani legate anche quel piano pareva destinato a naufragare miseramente.
Solo in quel momento il giovane dai capelli scuri si accorse di un preciso e alquanto allettante dettaglio.
Le catene si erano visibilmente allentate.
Incredibile; possibile che la fortuna si fosse presa una sbandata per lui?
Ricordava che il troll aveva strappato le catene dal muro, dandogli così la possibilità di avvicinarsi ad Eva.
Maledizione, come aveva fatto a non approfittare subito di quell’occasione? Uno come lui, addestrato a sfuggire dalla maggior parte delle prigioni di quel reame, si era lasciato sfuggire un simile momento di debolezza.
Cosa diamine poteva averlo distratto a quel modo?
Ma bastò un secondo perché Jake Mills riuscisse a trovare l’esatta risposta a quella domanda.
Con un gesto sbrigativo, Jake si liberò le mani, aprendo e chiudendo i palmi, come a volersi assicurare che tutte le terminazioni nervose funzionassero a dovere.
Nemmeno quel gesto distratto, però, riuscì a liberarlo dal ricordo di quel bacio.
Eva lo aveva baciato.
Certo, non era così stupido da pensare che quel gesto fosse stato dettato da una sorta di sentimento più profondo, soprattutto vista l’improvvisa uscita di scena che aveva preceduto, ma non riusciva ad ignorare ciò che aveva innescatp.
Il solo ricordare la sensazione di quelle labbra a diretto contatto con le sue riusciva ad accendere in lui un’emozione così forte da riuscire a spostare il formicolio della spalla al centro esatto del suo stomaco.
Oddio, non poteva avere le farfalle allo stomaco. Quelle erano sensazioni da femmine e lui era tutto tranne che emotivo. Era Rowan quello sentimentale che non riusciva a fare i conti con i propri sentimenti, non lui.
“Dev’essere andato da questa parte…”
In maniera del tutto inaspettata, una voce gracchiante catturò l’attenzione di Jake che, veloce, andò a nascondersi dietro all’albero a pochi metri da lui, lo stesso che gli aveva salvato la vita.
“Voi andate verso il bosco…io do un’occhiata da questa parte!”
Non c’era bisogno di assicurarsene con lo sguardo per sapere a chi appartenesse quella voce aspra e mascolina, nonostante fosse ad una donna.
Tani.
Poco dopo essersi risvegliato e osservato il volto tumefatto di Eva, il giovane Mills si era giusto chiesto che fine avesse fatto la bandita di Phil; evidentemente quest’ultimo doveva averla messa di guardia, come il cane da guardia che era sempre stata.
Non gli era mai sembrata una donna aggraziata; e non solo a causa della sua decisamente scarsa dose di femminilità, dopotutto non era una cosa che Jake notava particolarmente, quanto piuttosto per la sua difficoltà nell’attutire i movimenti, nell’apparire silenziosa durante un agguato. Ogni cosa nell’atteggiamento di Tani faceva più pensare ad un ariete usato per sfondare un portone invece che ad un perfetto sicario di orchi.
Avrebbe potuto percepire i suoi movimenti anche al buio. Quel respiro affannoso acuito dalla corsa che l’aveva portata lì; gli stivali a contatto con le foglie morte e i rametti ai suoi piedi; il tintinnare dei coltelli che portava lungo la cintura stretta in vita.
Rimanendo in assoluto silenzio e facendo attenzione anche al minimo respiro, Jake studiò ogni movimento della donna.
Era a tre metri di distanza, forse meno. E si stava avvicinando.
Raccogliendo un sasso da terra, Jake lo lanciò davanti a sé, in mezzo ad un cespuglio, consapevole di quanto quel suono avesse catturati l’attenzione di Tani.
Dieci secondi e avrebbe raggiunto il punto esatto dove Jake voleva che fosse.
Dieci. Nove. Otto. Sette.
Poco silenziosa e poco astuta.
Sei. Cinque. Quattro.
Chissà cosa ci trovava Phil in un tipo del genere.
Tre. Due. Uno.
Eccola: spada alla mano, schiena incurvata e pronta ad attaccare un cespuglio solitario, inconsapevole dell’ombra scura che si stagliava alle sue spalle.
Evidentemente Tani trascorreva troppo tempo a bere birra insieme a Milo invece che a studiare le tattiche da guerra; al suo posto, infatti, avrebbe preferito farsi spiegare da qualcuno gli insegnamenti di un buon ladro, come il controllare un nascondiglio, soprattutto quello offerto da un albero alle proprie spalle.
Senza perdere un solo istante e in maniera quasi tranquilla, come se si trattasse di un simpatico agguato tra amici, Jake si scagliò contro la donna, cogliendola così alla sprovvista da riuscire a buttarla a terra, facendole sbattere il volto sul terreno ricoperto di pietrisco.
Con un’eleganza così armoniosa da renderlo ancor più simile al leone che risiedeva dentro il suo spirito, Jake disarmò la bandita; riservandole lo stesso trattamento che, poche ore prima, lei stessa aveva rivolto ad Eva.
Tani non riuscì a scoprire chi l’avesse attaccata che, nel momento esatto in cui l’elsa della sua stessa spada si abbatté sul suo cranio, perse i sensi, senza emettere il minimo suono.
Jake si sentì soddisfatto.
Farfalle allo stomaco a parte, riusciva ancora ad atterrare qualcuno.
- Hai atterrato una donna, poco da sorridere come uno sbruffone da quattro soldi – si riprese, consolandosi subito dopo al pensiero che di femminile Tanti aveva ben poco.
Senza troppo delicatezza, con l’unico braccio usufruibile, il giovane Mills nascoste il corpo della bandita in mezzo al cespuglio, non riuscendo minimamente a nascondere la fatica. Con velocità, la legò ad un albero utilizzando le stesse catene che, fino ad un attimo prima, avevano rappresentato la fine della sua libertà.
Ignorando il sudore imperlatosi sulla fronte, Jake si affrettò a raggiungere l’entrata del castello.
Aveva perso decisamente troppo tempo. Phil a quel punto doveva aver spostato Eva da qualche parte, aspettando l’arrivo di Morgana.
Sempre che non fosse già arrivata.
Chissà se si potevano avvertire certe cose. Eva sicuramente avrebbe potuto dargli una risposta.
“Non dovete torcergli un capello…siamo intesi?!”
Per la seconda volta negli ultimi minuti, una voce familiare echeggiò a breve distanza da dove si trovava.
Maledicendosi per aver abbandonato l’albero dove aveva nascosto Tani, il giovane Mills si accucciò dietro un piccolo cespuglio, sperando fosse grande abbastanza da contenere la sua figura.
“…non mi importa, fate come ho detto!!”
La voce di Phil.
Sembrava alquanto seccato, o forse sarebbe stato più corretto dire fuori di sé.
Che stessero parlando di lui? Dopotutto era scappato e il suo corpo era sparito dal punto d’impatto.
Quello che non riusciva a capire era perché il capo dei banditi lo volesse vivo; dopotutto, secondo quanto detto da Phil, la strega aveva optato per la sua decapitazione. Allora perché preoccuparsi tanto?
Dal modo in cui Phil stava urlando, poi, avrebbe creduto che avesse ordinato di staccargli la testa a morsi, riportando il suo ex pupillo a pezzetti non ben identificati.
Aspettando che la voce dell’uomo si allontanasse, Jake uscì dal suo nascondiglio di ombre e natura, avvicinandosi con urgenza all’entrata del castello, la quale ormai sembrava distare si e no una trentina di metri.
Un gioco da ragazzi se lì davanti non vi fossero gli stessi orchi precedentemente visti dal sentiero.
Maledizione.
Era armato di un’arma e per di più si trovava con la spalla destra in condizioni sempre peggiori. Ovviamente in una situazione come quella non sarebbe stato affatto male scoprirsi improvvisamente mancino, ma il modo in cui impugnava la spada lasciava ben poco spazio alla speranza. In quelle condizioni non sarebbe riuscito nemmeno ad atterrare uno di quei colossi.
Doveva trovare un modo per entrare, e il prima possibile.
Indurendo la mascella e maledicendo in maniera piuttosto colorita il dolore sempre più soffocante, Jake alzò il volto.
In maniera quasi assorta, il giovane posò le mani sulle mura antiche del castello, fatte in pietra resistente anche se non indistruttibile.
Non vi era umidità nell’aria, ma nonostante ciò la pietra appariva fredda al tatto e quasi tagliente. Quel catello doveva avere molti più anni di quanti pensasse; forse era perfino più antico del castello di sua madre, o di Biancaneve, a seconda dei punti di vista.
Espirando con forza, Jake si preparò a fare quella che, ad occhio esterno, sarebbe apparsa come una delle idee più stupide che una persona potesse avere.
Scalare una parete di quindici metri. Con una mano sola.
Se Eva lo avesse visto in quel momento lo avrebbe chiamato idiota e forse, in quel caso, anche lui avrebbe finito col darle ragione.
Che fine aveva fatto il leader freddo, calcolatore e per nulla impulsivo che, da sempre, aveva fatto parte dei ribelli e che aveva portato Heny a nominarlo suo secondo in grado? Che fine aveva fatto l’uomo pronto a tutto pur di fare la scelta più giusta e corretta, anche quando questa cozzava con quelli che erano i suoi sentimenti?
Non era stato forse lui a dire ad Alex che non sarebbe mai riuscita a salvare tutti e che doveva, almeno lei, farsene una ragione? Non aveva forse malgiudicato suo fratello Roland per vivere di false speranze e finali da favola?
E allora perché, proprio lui, il ragazzo tutto d’un pezzo, si stava per arrampicare sulle mura di un castello diroccato, con un braccio completamente fuori uso e un’orda di banditi, troll e orchi alle calcagna?
La cosa preoccupante era che lui la ragione la conosceva bene e pure le farfalle che avevano preso pianta stabile nel suo stomaco parevano divertirsi a volerlo rimarcare.
Avrebbe finito col farsi ammazzare, già lo sapeva.
Con movimenti fluidi ed esperti, il giovane sistemò la spada al fianco, dando inizio alla scalata e cercando con tutto sé stesso di non urlare di dolore ogni volta che si trovava costretto ad alzare il braccio sinistro.
Il vento della notte sferzò sul suo volto, facendo raffreddare il sudore, il quale era riuscito ad imperlare alcune ciocche scure, così pesanti da finirgli davanti al volto.
Si trovava a mala pena ad un metro da terra, quando si ritrovò costretto a bloccarsi, con il volto arrossato, gli occhi inumiditi dal dolore lancinante e le forze via via sempre più deboli.
Doveva resistere. Non poteva permettere che Eva morisse; non sarebbe sopravvissuto all’ennesimo sacrificio.
No, l’avrebbe salvata.
Stringendo i denti e chiudendo gli occhi, Jake concentrò tutte le sue energie in quel straziante sforzo, pregando bastasse la forza di volontà per farlo arrivare in superficie.
La realtà, però, finiva sempre con l’abbattersi su di lui con la delicatezza di un uragano.
Non seppe nemmeno dire quando accadde ma, improvvisamente, un senso di vertigine si impossessò del suo corpo, obbligandolo a lasciare la presa e facendolo cadere di schiena sul terreno sotto di lui.
due metri. Due miseri metri di scalata ed era già senza fiato e con le vertigini.
Con una mano sulla spalla e gli occhi serrati, Jake si ritrovò ad imprecare in vari modi, non riuscendo a sopportare l’idea che Eva fosse condannata.
Non poteva lasciare che Phil la consegnasse a quella strega, non se lo sarebbe mai perdonato.
Doveva trovare un altro modo.
Non si sarebbe arreso. Mai.
Un solo minuto di recupero e poi avrebbe tentato nuovamente quella maledettissima scalata. E se nemmeno il secondo tentativo si fosse dimostrato buono, allora avrebbe attaccato quei dannati troll.
Dopotutto chi poteva immaginare che un singolo uomo volesse sconfiggere più di un troll? Già una sola di quelle creature era impensabile.
Improvvisamente un rumore sordo echeggiò alle sue spalle, facendolo irrigidire sul posto.
Qualcuno era atterrato dietro di lui, senza troppa cura nel nascondere la sua presenza.
Ancora a terra, Jake ringraziò la i suoi riflessi e, con un gesto celere, estrasse la spada dal fianco, puntandola dritta su chiunque si trovasse in piedi dietro di lui.
Nel momento in cui aprì gli occhi, il cuore mancò di un battito.
Non poteva essere vero. Si trattava sicuramente di un’allucinazione causata dal dolore.
Probabilmente la caduta aveva finito col fargli perdere nuovamente i sensi.
Perché quel volto non poteva essere il suo.
“Mi sembrava di averti detto di non aspettarmi!”
E quella voce non poteva essere la sua.
Eppure tutto riportava a lei: il disegno creato dalle sue perfette sopracciglia scure, le braccia sottili ma toniche e quell’incurvatura del labbro superiore, simile ad un elegante arco rosso, pronto per essere accarezzato, come avevano fatto le sue labbra poco prima.
Eva.
Era lì, davanti a lui.
Se solo avesse avuto la forza di alzarsi in piedi si sarebbe avvicinato a lei e l’avrebbe…
“Ti prenderei a calci se riuscissi ad alzarmi!” il giovane Mills puntò le sue iridi scure sulla figura di Eva, non esprimendo la realtà dei suoi pensieri.
“E dopo sono io quella che non sa ringraziare!”
“Grazie per avermi gettato dalla finestra…” esclamò seccato, ancora steso sotto di lei “…Come hai fatto a scappare?!”
“Quando Phil ti ha visto precipitare è scoppiato il caos…e ne ho approfittato per sfogare un po’ di rabbia sul troll dietro di me. Scappare è stato più facile di quello che credi…” gli rispose, sicura “…meno facile è stato buttarmi dalla finestra del primo piano senza finirti addosso!”
Sembrava appena uscita da una corsa ad ostacoli.
Affaticata, certo; forse addirittura stremata, ma un senso di estasi dovuto all’adrenalina sembrava averla riaccesa, come se la vicinanza alla morte fosse riuscita ad innescare qualcosa nel suo animo, qualcosa in grado di far uscire una forza dirompente dal suo corpo.
Senza attendere una risposta da parte del ragazzo, la giovane Jones lo aiutò a rialzarsi, accorgendosi solo in quel momento dello stato in cui si trovava la sua spalla.
Lanciando un’occhiata veloce dietro di lei, Eva si accovacciò mettendosi allo stesso livello di Jake.
“La tua spalla…è peggiorata!”
“…prova a lanciarmi da una scogliera la prossima volta, vediamo cosa succede!”
“Non tentarmi!” esclamò Eva, corrugando la fronte “…devo usare la magia e guarirti”
“Non pensarci nemmeno!” la riprese il ragazzo, staccando il tessuto della sua mano “…Se usi la magia Morgana ci troverà. Dobbiamo andarcene”
Stringendo la mascella come solitamente faceva il padre, Eva si ritrovò costretta a dare ragione a Jake. Non potevano rischiare che Morgana li trovasse, non proprio ora che erano quasi riusciti a scappare.
A fatica, Eva aiutò il ragazzo ad alzarsi e, insieme, si inoltrarono all’interno del bosco alle loro spalle.
Era questione di minuti prima che troll, orchi o banditi riuscissero a rintracciarli. Dopotutto non vi erano molti sentieri da seguire oltre a quello che portava al castello e, sebbene quelle creature non brillassero per intelligenza, Phil aveva chiaramente dato prova di saper giocare le sue carte, anche se dalla riva sbagliata del fiume.
Nemmeno quella consapevolezza, però, riuscì a frenare la corsa dei due ragazzi, i quali, prosciugata la riserva d’aria, si ritrovarono a camminare con passo celere lungo il fitto fogliame, inconsapevoli delle loro mani intrecciate.
Era successo in maniera quasi inaspettata e, ora che ci pensava, Eva poteva rievocare l’esatto istante in cui la mano sinistra di Jake aveva afferrato la sua, come a volersi assicurare che nient’altro riuscisse a separarli.
Non era stato strano il modo in cui l’aveva presa per mano, come se fosse la cosa più naturale al mondo, quanto piuttosto il piacere che lei stessa aveva provato nell’avvertire la sua pelle a contatto con la sua.
Forse era normale provare quel genere di emozioni. Dopotutto stavano scappando da Morgana, Jake aveva rischiato di perdere la testa, nel senso letterale del termine, e lei, spinta da un’emozione impossibile da decifrare, aveva finito col baciarlo.
Ovviamente se qualcuno glielo avesse chiesto avrebbe risposto che baciarlo rientrata nel suo piano di fuga, sperando che quel qualcuno non le facesse notare che anche un semplice abbraccio fraterno avrebbe scaturito lo stesso risultato.
Stringendo le labbra e cercando di ignorare quei pensieri ingombranti, Eva strinse la mano che l’ancorava a Jake, rimanendo due passi dietro di lui.
E, improvvisamente, delle grida. Passi affrettati.
Erano vicini e, per quanto cercassero di allontanarsi, ogni voce e ogni suono pareva avvicinarsi sempre di più.
“Dove si trova?”
Il corpo di Eva si bloccò di scatto, obbligando il figlio di Regina a fare lo stesso.
Lei era lì.
Con fare confuso, Jake si voltò verso la ragazza, chiedendole con lo sguardo cosa le fosse preso.
Con gli occhi colmi di terrore, e non vergognandosi per la prima volta nel dimostrarlo, Eva puntò i suoi occhi su quelli di Jake.
Morgana, era lì, dietro di loro. Li aveva trovati.
Per quanto la vicinanza di suo padre le avesse permesso di darle un qualche vantaggio nel nascondersi e nel non lasciarsi trovare dalla strega, l’essere a meno di due metri da lei era come sentire il suo fiato freddo sul collo; come se la sua mano fosse già dentro i loro petti, con le dita artigliate ai loro cuori palpitanti.
Probabilmente quella domanda era rivolta a lei; un altro dei suoi mille giochetti volto unicamente a ferirla.
Si stava riferendo a suo padre? O a suo fratello? Possibile che fosse riuscita a raggiungerli?
E se suo padre…
No, no, no e ancora no. Sarebbe sicuramente riuscita a sentire qualcosa se suo padre fosse morto; il cuore avrebbe iniziato a rallentare; la gola le si sarebbe chiusa; il mondo probabilmente avrebbe smesso di girare a quel modo e il sole non sarebbe più sorto in rispetto di quell’uomo così colmo d’amore per la sua famiglia da non lasciarsi scoraggiare da niente e da nessuno.
Killian Jones era vivo. Lo sapeva.
Controllando il tremore alle mani, Eva si preparò ad uscire allo scoperto, sperando di non far trapelare alcuna insicurezza da quel suo volto ferito e colmo di paura.
Jake, però, l’afferrò per un braccio e, silenzioso come solo l’erede al trono di Regina sapeva essere, si appiattì al tronco di un albero, parallelo alla posizione della strega, ferma in mezzo al sentiero che portava al castello. Tappandole la bocca con la mano sporca di terra, Jake strinse il corpo di Eva al suo, facendoli quasi divenire una sola cosa con quella foresta silenziosa.
“N-non lo so Mia Signora…sono riusciti a scappare…”
Phil.
Ma come? La domanda non era riferita a loro? Morgana non sapeva che erano lì?
Impossibile.
Per un momento Jake si chiese se fosse paura o collera quella che trapelava da tono di voce del bandito. Nonostante non potesse vederlo direttamente, appariva fin troppo facile immaginarlo: il volto sudato, la fronte corrucciata e quel tic con la mano che sempre si presentava quando l’agitazione si faceva sentire, come se nascondesse una monetina tra le dita.
“Ma se non sbaglio…avevi detto ad Ector che loro erano qui!”
La voce glaciale di Morgana pareva rimbalzare in ogni angolo di quella foresta, apparendo ad Eva simile al canto agghiacciante di un avvoltoio, da farla sentire come una carcassa abbandonata nel deserto, in attesa di venire divorata lentamente e con piacere.
Per la prima volta, Eva ringraziò il cielo che la mano di Jake stesse sopra la sua bocca, riuscendo così a soffocare il tremolio dei suoi denti.
Non temeva per la sua vita, non aveva paura che Morgana la trovasse; dopotutto aveva atteso così tanto quel momento che sarebbe stata un’ipocrita a dire il contrario.
Temeva per Jake. Sapeva che se li avesse trovati avrebbe torturato il ragazzo per il semplice piacere di vederla soffrire; e questo non sarebbe riuscita a sopportarlo né ora né mai.
Ma allora perché non li avvertiva? Perché non appariva davanti a loro con quei suoi occhi gialli colmi di odio e rancore?
“Ed era…era così, infatti. Ma poi la ragazza ha spinto il figlio di Regina giù dalla finestra…e lei…lei è scappata!”
“E sono di nuovo insieme…” esclamò Morgana, sicura come se riuscisse a vederli.
Per un momento Eva penso che quella fosse una constatazione, come se riuscisse a vederli. Per un momento quasi interminabile, ebbe la sensazione di sentirsi chiamare dalla Fata, con il chiaro scopo di farla uscire allo scoperto.
“Questo non lo sappiamo Signora…” le rispose Phil, grattandosi con la voce la trachea, con fare nervoso “…ho mandato uno dei miei a controllare…”.
Immediatamente, Jake si ritrovò a pensare a Tani, la stessa che aveva tramortito a pochi chilometri di distanza.
“Parli della donna svenuta a due chilometri da qui?!” esclamò annoiata Morgana, avvicinandosi di qualche passo all’albero dietro il quale Eva e Jake continuavano ad usare come nascondiglio.
“C-come…come lo sapete?!”
“Semplice…lo sa perché nulla può sfuggire al controllo della temibile Morgana!”
Ed ecco la voce di Ector, il leccapiedi che mai sembrava staccarsi dalle gonne di quella Fata dedita all’oscurità.
Chi altri c’era in quella sorta di ritrovo notturno?
In un gesto colmo di coraggio o di sconsideratezza, Jake sporse leggermente il capo, voltandosi e cercando di trovare una risposta a quella domanda.
Ecco i presenti: Morgana, Ector e Phil.
Con il battito cardiaco aumentato in maniera allarmante, Eva strinse il polso del ragazzo, stringendo la mascella con la stessa energia.
Colto il rimprovero silenzioso, Jake tornò a posare il capo sul tronco dietro di lui, facendole segno con le dita che solo erano solo in tre.
Anche se il termine solo legato a Morgana, non sembrava affatto sufficiente.
Staccando la mano dalla bocca della giovane Jones, Jake le fece cenno di dare un’occhiata.
“Se nulla sfugge al suo controllo perché non riesce a trovare due ragazzi…”
Phil era sempre stato un tipo che non teneva nascosta per più di un minuto la sua opinione, ma in un momento come quello con un simile assassino davanti a lui, un po’ di riservatezza non gli avrebbe di certo fatto male.
Phil fece a malapena in tempo a concludere la frase che, improvvisamente, una forza invisibile lo sollevò dal terreno, rendendogli impossibile anche il semplice deglutire.
Sforzandosi inutilmente di opporre resistenza, il bandito mosse i piedi per aria, come se quel semplice gesto potesse fare la differenza, rendendolo invece simile ad un pesce fuor d’acqua, impossibilitato a reagire.
Con la stessa facilità con cui lo aveva sollevato, con un gesto della mano Morgana sbatté il copro del bandito su una roccia dietro di sé, ignorando volutamente il gemito di dolore proveniente da quel corpo robusto.
Nel momento in cui l’uomo colpì la materia ruvida della roccia, Eva tornò a nascondersi dietro il tronco, consapevole del respiro affannoso che si era impossessato del suo petto.
Tornando a posare la schiena sul corpo di Jake, la giovane figlia della Salvatrice tese le orecchie, puntando lo sguardo davanti a sé, come se proprio in quel punto vi fosse la diretta di quanto accadeva alle sue spalle.
Con una preoccupazione che stonava del tutto con quel suo volto glaciale, la Fata Oscura si inginocchiò accanto a Phil, iniziando ad accarezzargli il capo come, solitamente, si fa con un bambino.
“Vuoi conoscere un segreto…Phil?!”
“I-io…”
“Io non so dove si trovino…” sussurrò la strega vicino al volto del bandito, ma non abbastanza distante dai due ragazzi che stava cercando “Vedi, quando la nostra principessa è insieme al principe…io non li vedo, non li sento…divento cieca…come voi…” aggiunse, continuando a sussurrarle quelle parole, come se fosse un’amante portatrice di un segreto che, in realtà, non avrebbe dovuto svelare.
“Io non…”
“Per questo ti avevo chiesto di uccidere il ragazzo. Il loro…affetto…” Morgana sputò quella parola fuori dalle labbra, come se si trattasse di qualcosa di estremamente amaro e disgustoso “…rappresenta un problema per me…lo capisci?!” gli chiese la strega, con voce ferita, come se avesse bisogno di essere consolata.
Eva sentiva la bile risalirle lungo l’esofago. Un solo altro istante e avrebbe dato di stomaco in quel preciso punto, sopra gli stivali di Jake.
“S-sì…ma…”
“Sì lo capisci…sei intelligente…a modo tuo!” le dita sottili di Morgana cominciarono ad accarezzare i lunghi capelli unti di Phil, come se provasse reale affetto per quell’uomo dal volto poco affascinante.
“Sai dove la maggior parte delle credenze popolari creda che risiedano i sentimenti?!” gli chiese improvvisamente, cambiando la rotta del discorso, ma non smettendo per un solo istante di osservare il volto paffuto del bandito con i suoi penetranti occhi gialli.
“Nel…nel cuore…”
“Già…e tu Phil…tu ci credi? Credi davvero che i sentimenti come l’amore siano dentro il nostro cuore?!”
Improvvisamente il volto di Phil divenne pallido, come se avesse inteso dove andasse a parare quel discorso.
“Io non ci credo…” gli rispose la strega, con tono innocente, simile a quello di una giovane ragazza priva di alcun sentimento oscuro “e sai perché?!” il suo volto innocente fece improvvisamente spazio a qualcosa di deforme, segnato unicamente dalla rabbia e dalla collera. “Perché ho guardato dentro un sacco di cuori…e in nessuno di essi vi era qualcosa di simile all’amore…”
In un gesto deciso, la mano di Morgana si immerse nel petto di Phil, producendo un suono del tutto riconoscibile alle orecchie di Eva.
Deglutendo a fatica, la figlia del pirata strinse la mano del ragazzo alle sue spalle, chiudendo gli occhi con forza.
Ecco la punizione di Phil, quella che poco prima lei stessa gli aveva augurato.
Aveva sperato il peggio per lui, ma ora provava solo vergogna per quel desiderio.
“Cosa ne facciamo di lui Mia Signora?” chiese Ector, servizievole come sempre.
“Chiudetelo nelle celle…a me basta il suo cuore!”
“Il suo cuore…e a cosa vi serve?!”
“Un cuore può sempre tornare utile…quando meno te lo aspetti…”
 
 
***
 
Eva si svegliò di colpo.
L’aria nella stanza si era fatta secca, quasi insopportabile, rendendo la gola così arida da farle desiderare un bicchiere d’acqua all’istante, com’era accaduto un anno prima, nel castello dei troll.
Era stato un sogno, uno strano sogno, così reale che il battito cardiaco pareva non voler riacquistare il suo solito e normale ritmo.
Chissà perché aveva sognato la morte di Phil; non aveva mai avuto un debole per quell’uomo e dal momento in cui Morgana gli aveva strappato il cuore lei non aveva più ripensato a quel momento.
Aveva assistito a così tante morti che la perdita di un traditore non si era di certo guadagnata un posto d’onore nella sua mente, tanto meno nel suo cuore.
Sospirando stancamente, Eva posò i piedi nudi sul pavimento avvertendo immediatamente la sensazione fredda del legno a diretto contatto con la pelle. Non sopportava l’idea di dormire con le scarpe addosso e, forse, quell’antipatia era dovuta alle innumerevoli notti trascorse con stivali vecchi e sudati, troppo stretti per impedirle di avere qualche dolorante e scomoda vescica tra le dita.
Di malavoglia si mise calzini e scarpe, cercando di fare il più in fretta possibile.
Con un gesto stanco e affaticato, la giovane Jones si sistemò i capelli dietro alla testa, ignorando i nodi che le si erano formati.
Doveva aver dormito più di quanto immaginasse e, sebbene fuori facesse freddo, non si era coperta, preferendo accontentarsi dei suoi indumenti; una maglietta di cotone blu e jeans attillati.
Con la mente annebbiata, Eva percorse i pochi passi che la dividevano dal bagno.
Quando aveva aperto gli occhi, nonostante il soffitto della camera degli ospiti si stagliasse sopra di lei, per un momento aveva creduto di trovarsi dentro la foresta del suo sogno, a pochi metri da Morgana.
Con il corpo di Jake dietro di lei.
Jake.
Le sarebbe bastato chiudere di nuovo gli occhi e la forza del ricordo le avrebbe dato la sensazione di sentire di nuovo quel profumo inconfondibile, quel misto di bosco e legno di ciliegio. Avrebbe nuovamente sentito il tocco delle sue mani sulla sua pelle e la sua voce rassicurante che le diceva che tutto sarebbe andato per il meglio.
Ti amo Jones…
Con uno scatto, Eva aprì la porta del bagno, precipitandosi al suo interno e cercando con tutta sé stessa di respingere quelle immagini dalla mente.
Non poteva rievocare a quel momento.
Dopotutto, che senso aveva ripensare a lui? Che senso aveva ripensare ai momenti trascorsi insieme, al modo in cui erano andate le cose, se poi il finale non poteva essere riscritto?
La loro storia finiva sempre allo stesso modo.
Con lui che rimaneva indietro.
Scuotendo la testa, Eva aprì il miscelatore in acciaio, bevendo una cospicua sorsata d’acqua. Con un gesto secco, si buttò un po’ di quell’acqua fresca sul volto, avvertendo immediatamente l’intorpidimento del sonno fare largo alla veglia.
Alle volte bastava un semplice gesto a farla sentire meglio e ad allontanare i fantasmi del passato. Doveva ricordarselo più spesso.
Per un istante, Eva stette con le mani appoggiate al lavandino, godendosi la sensazione dell’acqua fresca a contatto con la pelle.
Con il volto bagnato e gli occhi chiusi, la giovane Jones prese uno degli asciugamani viola posti a lato, così morbidi e colmi del profumo di ammorbidente da dare l’impressione che qualcuno li avesse appena tolti dal cestello della lavatrice.
Tamponandosi il volto, la ragazza ebbe la sensazione di sentirsi meglio e del tutto libera dall’incubo appena fatto.
Incubi. Odiava il modo in cui il suo subconscio giocava con la sua vita.
Nel momento in cui l’asciugamano si abbassò dal suo viso e il suo sguardo si posò sulla sua immagine riflessa dello specchio davanti a lei, Eva sentì il suo corpo immobilizzarsi dalla paura.
Lì, dietro di lei, c’era Phil.
Aveva lo stesso sguardo del suo sogno.
Il volto corrugato, la pelle sudata.
Sembrava più vecchio, però, come se il tempo fosse trascorso impellente dall’ultima volta in cui lo aveva visto.
“Mi hai ucciso…”
La voce secca, arrugginita dal tempo.
Nel momento in cui Eva si voltò di scatto per affrontare il bandito, questi era scomparso, non lasciando la minima traccia della sua improvvisa e illogica comparsa.
Con il cuore che rischiava di esploderle dal petto, Eva uscì veloce dal bagno, non preoccupandosi di sistemare l’asciugamano nel modo in cui lo aveva trovato.
Con gli occhi verdi, fermi e pronti a cogliere il minimo movimento, Eva si diresse verso il salotto, con la sensazione raggelante di avere Phil dietro le spalle.
Non poteva essere, Phil era morto un anno prima, non poteva essere arrivato a Storybrooke.
Allora perchè le era comparso?
Eva camminò nervosa lungo il corridoio che conduceva al salotto, legando nervosamente i capelli in uno chignon decisamente morbido e disordinato.
Doveva smetterla di preoccuparsi. Phil non la stava perseguitando.
Era stata un’allucinazione, una stupida allucinazione dovuta ad uno stupido sogno.
Eva si bloccò di colpo al centro del corridoio, come se, improvvisamente, il reale significato di quelle parole l’avesse investita. Un fulmine a ciel sereno.
Un cuore può sempre tornare utile…quando meno te lo aspetti….
Un cuore.
Come aveva fatto a non pensarci prima?!
Come se ad innescarlo fosse stato un meccanismo involontario, Eva ricordò la sera in cui i suoi genitori erano entrati nel loft, chiedendo a lei e ad Henry di interrompere le ricerche su Excalibur. Quella sera le avevano chiesto di parlare, smettendo da entrambi i fronti di mentire. Lei aveva accettato, ben consapevole di non poter essere del tutto sincera, nemmeno con loro, i suoi genitori.
Ricordava perfettamente la voce di sua madre e da suo padre, il modo in cui le avevano detto che il corpo di Ector era scomparso, nonostante lei gli avesse strappato il cuore. Era stato in quel momento, infatti, che aveva capito di aver fatto l’ennesimo passo avanti verso l’oscurità.
Chissà se era stato così anche per Regina.
V…vuol dire che quello…non era il suo cuore…ho ucciso un’altra persona…ho ucciso…un’innocente…
Quelle parole. Era stata lei stessa a pronunciarle, eppure il ricordo di Phil non l’aveva mai sfiorata.
Era di Phil il cuore che aveva distrutto.
Lei…lo aveva ucciso.
Come aveva fatto a non ricordarsene.
L’ultima volta che lo aveva visto era stato proprio in quel sentiero, intento a parlare con la Fata Oscura. Non aveva più pensato a dove potesse trovarsi.
Probabilmente Morgana l’aveva imprigionarlo in una delle innumerevoli celle del suo castello, a nord della Montagna Proibita, lasciandolo solo e privo di una qualsiasi spiegazione.
Forse, quello stupido bandito troppo occupato ad arricchirsi, aveva finito per desiderare che la fine arrivasse, ritrovandosi improvvisamente ripagato da quelle preghiere sentendo uno spasmo al centro del petto.
Lei aveva messo fine alla sua vita.
La cosa che la spaventava più di ogni altra cosa, in realtà, non era l’aver dato un nome alla persona che aveva inavvertitamente ucciso, né la consapevolezza che Phil fosse morto da solo, senza speranza.
La cosa che la spaventava, più di ogni altra cosa, era che non provava nessun senso di colpa.
Pochi giorni fa, suo padre, o meglio la versione passata di quello che sarebbe stato suo padre, le aveva detto che ciò che differenziava i buoni dai cattivi era il senso di colpa.
E lei…lei in quel momento non ne provava.
Per quanto si sforzasse, per quanto sapesse che non erano giusti i sentimenti che provava, dentro di sé urlava a gran voce un unico pensiero: Phil meritava di morire, meritava di non avere un lieto fine.
Era stata sua la colpa se Morgana li aveva quasi catturati. Era stata sua la colpa, né di nessun altro.
Come sarebbero andate le cose se lei e Jake non fossero stati traditi dal bandito?
Non vi sareste parlati a cuore aperto. Non avreste imparato dai vostri errori.
O forse sì, chi lo sa.
Le cose sarebbero andate molto meglio.
Probabilmente in quell’istante lei non si sarebbe trovata in quella situazione, sola e con il cuore adombrato da sentimenti così poco limpidi.
Se Phil non li avesse traditi, in quel momento Jake sarebbe al suo fianco, con lo sguardo imbarazzato nel vedere sua madre giovane e controllata, con addosso un tailleur così costoso da dare l’impressione che il sarto glielo avesse cucito su misura.
Lo avrebbe visto corrugare la fronte, per apparire a sua volta un ragazzo tutto d’un pezzo, mostrandosi invece ancora più dolce di quanto già non fosse.
Avrebbe avuto anche lui la possibilità di rivedere le persone che aveva perso, che aveva amato.
Sarebbe stato vivo.
E sarebbero stati insieme.
Le cose, però, non erano andate a quel modo.
Phil li aveva traditi e la morte, forse, era il prezzo da pagare.
Indurendo lo sguardo, Eva strinse con forza le mani a pugno, ignorando il dolore causato dalle unghie a contatto con la pelle.
Con le labbra serrate, si diresse verso il salotto di Regina, dal quale sembravano provenire le voci dei suoi genitori e di una sconosciuta.
Non seppe dire cosa l’avesse spinta a nascondersi dietro la parete, se la curiosità o la sensazione che la sua entrata avrebbe interrotto quel dialogo.
Stette di fatto che Eva rimase con la schiena appoggiata al muro e ciò che sentì non abbandonò mai più la sua mente.
 
 
***
 
“Eva…è lei il frutto del Vero Amore, colei che riuscirà a distruggere Morgana!”
La voce del Principe riecheggiò tra le pareti del salotto, esprimendo a parole ciò che ognuno dei presenti si era ritrovato a pensare.
“Vuole ucciderla per non avere nemici e regnare così incontrastata!” Biancaneve annuì, mostrandosi per l’ennesima volta sulla stessa riga del marito.
“Ma Eva non possedeva la magia…non all’arrivo di Morgana, per lo meno!”
“Già…perché vostra figlia era destinata a non possederla…” rispose Nimue al pirata, rimanendo in piedi, davanti al comodo divano chiaro “…Non so se fosse lei il frutto del Vero Amore di cui parlava la profezia. Forse era davvero così…ma sta di fatto che tu lo hai creduto e ti sei comportata di conseguenza…” aggiunse, posando lo sguardo su Emma.
Per un attimo tutti rimasero in silenzio, non riuscendo a controllare le loro espressioni cariche di confusione; tutti tranne Killian Jones.
Perché per quanto cercasse di nasconderlo dietro la più spessa parete del suo cuore, il ricordo di quanto aveva visto in quel labirinto fatto di inganni e di magia oscura, finiva sempre per prendere il sopravvento, facendo accelerare il battito cardiaco del suo cuore.
Il volto dell’uomo divenne improvvisamente pallido, consapevole della facilità con cui l’angoscia provata in quella prigionia mentale riuscisse a tornare vivida nella sua mente.
“Che vuoi dire?!” Regina spostò lo sguardo da Nimue al pirata.
“Il Capitano Jones sa di cosa sto parlando…vero?!” con voce cristallina, ma alquanto sicura, Nimue posò a sua volta lo sguardo sul pirata, il quale non aveva mosso un solo passo di distanza dal corpo snello di Emma Swan.
“Lo so che cosa ho fatto nel futuro…” esclamò Emma, come se non volesse che quella realtà venisse resa palese a tutti, almeno non in quel modo.
“Noi, però, non lo sappiamo…” Regina le lanciò un’occhiataccia, la classica che, solitamente, riservava a chi le nascondeva qualcosa.
“Si è sacrificata…”
La voce della fata, o forse sarebbe stato più corretto dire della “non” fata, arrivò di getto, sicura e priva di alcun ripensamento. Il genere di risposta che si dava a chi chiedeva come fosse il tempo da quelle parti; così meccanica da apparire come la cosa più naturale al mondo.
Ma non era del tempo che si stava parlando e il modo in cui Nimue continuava a fissare il volto fermo della Salvatrice lasciava chiaramente intendere quanto anche lei ne fosse consapevole.
E continuò a parlare, priva di alcun senso di colpa o ripensamento.
“Mossa dalla disperazione, tra meno di dieci anni Emma Swan si toglierà la vita, in modo da donare alla figlia i suoi poteri e a dare a voi tutti la possibilità di aprire un portale verso la Foresta Incantata”.
Tutti sembrarono trattenere un sospiro, scioccati da quella rivelazione pronunciata con estrema facilità. Come poteva parlare della morte di una figlia, di un’amica, della donna che si amava, con così poco tatto?
Perfino Killian, che ovviamente non aveva ancora ben compreso i motivi che avevano spinto Emma a sacrificarsi, si ritrovò a spalancare lo sguardo, guardando la donna al suo fianco con un misto di tristezza e rabbia.
Ecco perché si era uccisa. Ecco perché non aveva seguito la sua famiglia nel portale.
Dal canto suo, Emma non riuscì a nascondere lo sconforto provato dal suo stesso cuore. Se c’era una cosa che odiava più del vedere le persone che amava soffrire, era vederle soffrire a causa sua.
Ma non si sarebbe lasciata divorare dalla paura o dal senso di colpa, dopotutto si trovavano in quella stanza proprio per quello no? Per impedire che le cose si ripetessero. Sua figlia era lì per questo.
E fu proprio la voce della sua secondogenita a far riemergere un senso d’angoscia nel cuore della giovane Swan
Non l’occhiata truce di Regina, né il pallore sul volto dei suoi genitori
Fu la voce collerica e ferita che, improvvisamente, fece capolinea all’interno della stanza.
“Che. Cosa?!”
Non aveva mai visto il volto di sua figlia attraversato dalla collera.
Per quanto Killian navrebbe sicuramente faticato ad ammetterlo, per una frazione di secondo sembrava di ritrovarsi davanti alla sua immagine riflessa, la sua immagine ai tempi in cui Tremotino gli aveva strappato la donna che amava.
Pura rabbia. Pura collera. Puro odio.
“E-Eva…”
“Ho detto….che cosa…hai fatto?!” la giovane Jones fece qualche passo avanti, quasi traballante, come se ai suoi piedi vi fosse un terreno disconnesso.
Nonostante il fisico asciutto, il modo in cui camminava sembrava incutere un certo timore, come se in quella stanza non vi fosse la stessa ragazza dal sorriso incerto che avevano imparato ad amare negli ultimi giorni.
I capelli, incapaci di rimanere raccolti in quel debole chignon, scendevano con la stessa lentezza con cui Eva si avvicinava al centro della stanza, senza mai staccare lo sguardo furente dal volto di Emma.
“Lo abbiamo scoperto da poco…non sapevamo ancora se fosse vero quello che Morgana ha mostrato a Killian!”
“N-non è stata Morgana ad ucciderti?” la voce incrinata tanto dalla rabbia quanto dal dolore.
 “Probabilmente ho fatto la cosa che credevo più giusta…la cosa che vi avrebbe…”
“Tu…tu ti sei uccisa, di tua volontà” ripeté incredula “…hai abbandonato me, mio padre e mio fratello…per loro?!” esclamò fermandosi sul posto con i pugni serrati, sottolineando i gradi di parentela come se le persone che aveva davanti a sé non facessero realmente parte della sua famiglia.
“Eva…” facendo un passo avanti, Killian cercò di smorzare la collera della figlia.
Dopotutto non era l’unico ad aver avvertito la strana energia che, improvvisamente, aveva iniziato ad avvolgere la figura della giovane ragazza davanti a loro “…so che in questo momento è difficile capire una cosa del genere ma…”
“Capire?....Capire?....Io sono venuta qui perché non c’era più niente da fare. Per colpa Tua…” esclamò, puntando il dito verso Emma “…abbiamo perso la speranza. Dopo la tua morte, nessuno ha più creduto di avere una via d’uscita. Sono morti tutti…perché tu ti sei arresa!” la voce sempre più alta, sempre più disperata “Ho sempre creduto che Morgana ti avesse uccisa, che ti avesse strappato via dalla tua famiglia…e tu invece, hai mollato!”
“Non penso proprio di aver mollato. Ho sicuramente cercato un modo per salvarti offrendoti la mia magia…realizzando il sacrificio di cui parlava la profezia”
E se c’era una cosa che, da sempre, caratterizzava Emma Swan era la difficoltà a mantenere un profilo basso. Era una cosa che l’aveva distinta fin da piccola; durante un litigio o durante un rimprovero da parte di un adulto, quella parte di lei, accuratamente sepolta dalle sue buone intenzioni, finiva sempre per riemergere quel tanto che bastava per farle dire la cosa più vera ma troppo dura per un momento delicato com’era quello. Ciò non faceva di lei una persona poco empatica, al contrario; se c’era una cosa che aveva imparato in tutti quegli anni da orfana era il capire quando una persona stava soffrendo, quando chi aveva davanti era vicino al baratro che portava all’autodistruzione ed era proprio in quei momenti che si ritrovava a porgere la mano per concedere una via d’uscita. Ma quella mano, il più delle volte, finiva sempre per lasciarsi avvolgere da parole poco adatte, parole sincere ma ruvide, come la carezza di qualcuno che, per troppi anni, si era ritrovato a fare a pugni col dolore della vita.
“La p-r-o-f-e-z-i-a-?” Eva scandì quelle parole con estrema precisione, ignorando volutamente la rabbia sempre più presente nel suo petto.
Era troppo da sopportare.
Phil. La morte di Jake. il sacrificio di sua madre.
Dalle sue dita cominciarono a fuoriuscire scariche di energia blu, così scure da apparire fili di lava neri.
Stava perdendo il controllo. Lo sapeva.
E, per la prima volta, non le importava.
“Eva devi calmarti…”
Regina fece un passo nella direzione della figlia di Emma, sperando di riuscire dove i genitori parevano aver fallito.
Un improvviso vento di una potenza disarmante, però, la allontanò dal punto in cui si trovava, facendola sbattere addosso al corpo del Principe, che riuscì a fermarla.
“Sta lontana da me Regina…” senza guardarla in volto, Eva puntò l’indice della mano verso la figura del sindaco di Storybrooke, continuando a incendiare la madre con la sola forza delle sue iridi verdi “Ho fatto di tutto per tornare qui, per salvarvi…”
“Emma si è sacrificata per…”
“Il suo non è stato un sacrificio…” la voce collerica di Eva interruppe quella di Regina, degnandola solo in quel momento di uno sguardo così nero da riuscire a mettere in dubbio quale fosse il reale colore dei suoi occhi “…quello di tuo figlio lo è stato. Lui ha dato la vita per salvare tutti…lui era un eroe. Tu…” aggiunse, putando lo sguardo su sua madre e poi sul resto dei presenti “…e voi tutti, siete solo dei codardi…”
“Eva…” esclamò Killian, scioccato d quel tono e da quel comportamento.
“E tu non sei come mio padre…mio padre non se ne starebbe fermo nel sentire che sua moglie, mia madre, ha sacrificato la sua vita…per niente!”
“Per niente dici?!” scoppiò Emma, stanca di quelle accuse, facendo un passo in direzione della figlia “…per niente? Grazie al mio sacrificio hai avuto la magia, sei riuscita ad arrivare qui!”
Un urlo di rabbia uscì dal petto della giovane Jones e con esso un’improvvisa sfera di luce andò a infrangersi sul divano del sindaco, finendo per sfiorare il corpo sottile di Nimue, il quale venne prontamente tratto in salvo da Biancaneve.
Gli occhi di Eva divennero vitrei e colmi di paura.
Stava succedendo di nuovo. Come quel giorno alla radura, quando Diletta l’aveva incolpata della morte di tutte le persone a cui teneva.
La magia nera stava completamente prendendo il controllo del suo corpo, del suo cuore.
Che stai facendo?
Nel sentire la voce di Jake, Eva si ritrovò ad alzare lo sguardo sconvolto.
Lì, a pochi passi dall’entrata del salotto c’era lui. Jake.
Com’era possibile che fosse lì? Lui era morto; non avrebbe potuto fare nulla per salvarla.
Non riesci a controllarla…ti stai perdendo Jones.
Il fantasma del ragazzo che amava continuava a parlarle e gli occhi di Eva, così colmi di paura e confusione da apparire arrossati, quasi isterici, non accennavano a volersi spostare da quel volto sorridente.
“Eva…” spaventata dallo sguardo della figlia, Emma fece un lento passo verso di lei, portando una mano davanti a sé, consapevole della fragilità in cui si trovava la figlia.
Sembrava non essere presente. Sembrava ossessionata da qualcosa impossibile da scorgere ad occhio nudo.
“Non mi serviva la magia per arrivare qui…Jake e mio padre non avevano la magia ed erano molto più forti di me…” improvvisamente Eva cominciò a parlare, con le lacrime che le rigavano il volto, ignorando volutamente lo sguardo sconvolto di Regina.
Quella donna, messa costantemente alla prova dalla vita, aveva scoperto nel modo peggiore di essere destinata ad avere un figlio e che, purtroppo, quello stesso figlio non sarebbe sopravvissuto.
“…per me la magia è sempre stata una rovina. Non sono mai stata in grado di controllarla. Io sono nata senza magia perché mi rende…mi rende una persona cattiva…”
“No Eva…non sei cattiva...tu…”
“N-non toccarmi…” con un gesto secco, Eva allontanò il tentativo di contatto di Emma, facendo un passo indietro e riportando, finalmente, lo sguardo su di lei.
“Eva….io ti voglio bene, credimi…”
Nonostante il tono sincero e dispiaciuto della Salvatrice, non arrivò alcuna risposta, nessun segno di assenso, nessuno rabbia collerica.
Solo il silenzio e uno sguardo fermo. E, improvvisamente, Eva fece quello che aveva fatto tempo prima, quando ancora non si fidava di nessuno.
Sparì, circondata da una scura nuvola di fumo.
Blu come la notte.
 
 
***
 
Tutto il mondo brucerà.
Anche la principessa cederà al dolore
E lo sai…lo sai…il mondo brucerà
 
Una voce melodiosa, simile al canto di una sirena in grado di ammaliare anche il più coraggioso dei pirati, inondava l’intera sala del castello.
La mancanza di qualsiasi arrendamento, al di là dell’immenso trono posto a nord della stanza, amplificava l’eco di quella voce, rendendo l’atmosfera ancora più macabra e terrificante.
Nonostante il trono fosse a pochi metri da lei, Morgana se ne stava seduta sul freddo pavimento in pietra, strappando con estrema delicatezza petali di un delicato fiore rosa.
I piedi, scalzi e pallidi, entravano in contrasto con la tinta nera della veste, anch’essa intrisa della stessa oscurità di quell’animo.
 
Le fiamme sono eterne
E con sé paura…paura e morte
La bambina sola
Soffre. Soffre. Soffre
 
A ritmo cadenzato di quell’insolita cantilena, la Fata Oscura strappava uno ad uno i petali del fiore, gettandoli nel fuoco posto al centro della sala, il quale riusciva a galleggiare nel vuoto, privo di qualsiasi combustibile in grado di mantenerne alte le fiamme.
 
Vedrai….vedrai…il mondo brucerà
 
Mormorando quelle parole, sola e attorniata dall’oscurità, Morgana oscillava il corpo avanti e indietro, come se cercasse di cullarsi da sé; come una bambina bisognosa del contatto amorevole di qualcuno che l’amasse.
E un petalo cadeva nelle fiamme.
Seguito da un altro. E un altro ancora.
“Mia signora…”
Un’improvvisa voce maschile interruppe la cantilena della Fata, la quale voltò il capo.
Il volto attraversato da un’espressione insana.
“Shhhhh….” Morgana si portò l’affusolato dito indice alle labbra “…hai interrotto la mia bellissima canzone…”
“Perdonatemi…”
Per nulla intimorito dal rimprovero, l’uomo abbassò lievemente il capo, come se un leggero inchino bastasse per meritare il perdono.
“Sai come finisce la mia canzone?”
“Che la principessa muore?!”
“No…no no…non hai ascoltato!”
Con estrema grazia, Morgana si alzò da terra, lasciando cadere ai suoi piedi la piccola camelia rosa, privata dei suoi petali, eccetto uno.
 “…la principessa ora è arrabbiata e triste. Si sente in colpa per quello che è diventata…” con fare seducente, la donna dai fitti capelli neri si avvicinò alla figura maschile, sfiorandogli le spalle e girando intorno al suo corpo, come un serpente di fronte alla sua succulenta cena “…ed è proprio questo il momento in cui segnerà la fine di questa guerra! Il momento in cui prenderà quello che mi serve…”
 
Dalle acque scure lei la estrarrà
E finalmente…
 
Sorridente ed estasiata, Morgana si allontanò dal suo nuovo fedele soldato e, con uno schiocco delle dita, i contorni di un portale si delinearono davanti a lei.
Nulla l’avrebbe sconfitta, né l’amore né il coraggio.
L’uomo dietro di lei, dopotutto, ne era una chiara dimostrazione.
Lei era potente, molto più potente di quanto sarebbero mai state Emma Swan o la Regina Cattiva; molto più potente di qualsiasi Strega Perfida.
Lei era Morgana, la Fata Oscura.
Colei che avrebbe dominato incontrastata in tutti i reami; e ora, ora che Eva era pronta, niente e nessuno l’avrebbe fermata.
Excalibur sarebbe stata sua, segnando la fine di qualsiasi lieto fine e di qualsiasi speranza ancora persistente.
Con i suoi inquietanti occhi gialli puntati sull’interno denso del portale, Morgana fece un passo avanti, lasciandosi inglobare da quella materia densa e chiara.
La risa insana della donna avvolse tutta la sala, mentre si allontanava da quel futuro oscuro, lasciando il piccolo fiore a terra, ai piedi della figura priva di alcun nome.
 
…. il mondo brucerà.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mi scuso fin da subito per la “canzoncina” (chiamiamola così va) di Morgana.
Sembrerà incredibile ma ho tardato l’aggiornamento per questo pezzo finale. Da una parte ero indecisa se metterlo come inizio del prossimo capitolo, dall’altra avevo quelle poche righe in corsivo che mi mettevano in crisi.
Della serie “Erin mettiti nei casini da sola, tanto per movimentare il tutto!”
Vabbè…cmq perdonatemi. Vi prego, non giudicate questo capitolo dal pezzo finale :P (sperando che il resto non sia stato una catastrofe, ovviamente….in quel caso ho reso tutto più omogeneo xD).
Bene…detto questo, eccomi di nuovo!
Direi che il nuovo capitolo non si è fatto attendere molto (…qualcuno probabilmente non sarà d’accordo con me…e ha ragione!!). Diciamo che l’angoscia del finale di stagione mi ha un po’ rallentata, e poi come vi ho detto questo pezzo finale è stata la ciliegina sulla torta.
Ad ogni modo, fingendo che non ci siano errori di battitura…vediamo che è successo.
Eva si è incavolata di brutto.
Forse qualcuno di voi potrà pensare che ha esagerato a reagire in quel modo, ma vorrei spezzare una piccola lancia a suo favore (…sì sono un po’ di parte, lo ammetto). Lei ne ha passate davvero tante, ha visto suo padre morire, ha perso sua madre, Jake, Regina…non sa che fine abbia fatto suo fratello e ora ha appena collegato il cuore di Phil ha quello che ha distrutto, senza provare il minimo senso d colpa. Direi che la scoperta che Emma si è sacrificata è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Ma sono curiosissima di sapere cosa ne pensate (….anche dell’avvicinamento con Jake…li shippo….lo so non si dovrebbe, scrivo di loro e li shippo, ma so di non essere l’unica ♥).
Regina, inoltre, ha scoperto nella maniera meno delicata possibile che avrà un figlio (….per chi ha visto il finale di stagione sa che la parola delicata non è stata buttata lì a caso :P)….chissà come la prenderà.
E Nimue…si è scoperto qualcosa anche su di lei.
Troppe cose…mmm….forse ho buttato troppa carne al fuoco.
Ditemi vuoi.
Siete la mia ispirazione, quindi come sempre mi affido ai vostri commenti e pareri.
Ovviamente non dimentico la parte più importante di questo angoletto: GRAZIE DI CUORE!
Non so davvero come farei senza di voi, siete così gentili con me che mi ritrovo a rileggere diecimila volte il capitolo prima di postarlo, perché so che meritate il meglio per tutto quello che fate (…chiunque stia dicendo “Rileggi tante volte e ti sfuggono tanti errori????”….sappiate che vi ho sentiti :P).
Ok mi fermo, altrimenti mi dilungo troppo come al solito.
Grazie a chi legge, a chi inserisce la storia nelle varie categorie.
E GRAZIE IN PARTICOLAR MODO A CHI COMMENTA ♥
Un grossissimo abbraccio
 
La vostra
 
Erin
   
 
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