Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: barbaramente    18/05/2016    1 recensioni
Sansa e Sandor hanno vissuto nella loro vita orrori che avrebbero voluto dimenticare ma che invece hanno distrutto la loro anima e li hanno spinti a rinnegare la loro natura. Il Mastino per anni si è alimentato con l'odio nei confronti di suo fratello, ma ad un passo dalla morte qualcosa lo cambia profondamente. Per Sansa invece il dolore è troppo vivido per permetterle di voltare pagina, tuttavia le permetterà di riscoprire una forza e una maturità che non pensava di avere e di riconquistare la propria libertà. Entrambi disillusi e abbandonati da tutti si sono rifiutati di cadere e di arrendersi e hanno continuato a vivere nutrendosi di odio e solitudine, ma forse scopriranno che ognuno può offrire qualcosa all'altra.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa
Questa fanfiction segue l'andamento della serie tv e si collega alla sesta stagione. Sansa ha vissuto l'incubo di essere la moglie di Ramsay e questo l'ha sconvolta, tuttavia è riuscita a scappare. L'esperienza le ha permesso di crescere e di allontanarsi dalla "bambina" che era ad Approdo del Re e finalmente riuscirà a comprendere fino in fondo il proprio essere. Sandor invece aveva iniziato a percorrere il cammino della redenzione e qui avrà una seconda possibilità per arrivare fino alla fine ed essere in pace. 


Un lungo sonno (SANDOR)
 
Erano passate poche ore da quando Arya l’aveva abbandonato a morire e già aveva scordato il suo volto, ma non avrebbe dimenticato che non aveva nemmeno avuto il coraggio di dargli una morte pulita. La pioggia iniziava a scendere leggera e a filtrare nella sua armatura oltrepassando delicatamente ogni squarcio fino a bagnare la lana della sua tunica. Iniziava a sentire la stoffa incollarsi alla pelle, eppure non sentiva freddo, la febbre era troppo alta e la sua mente troppo offuscata dal dolore. Chiuse gli occhi, sapendo che non li avrebbe più riaperti.

Pareti di pietra, un tavolo di quercia, un letto con una coperta gialla, conosceva quel posto. Vide lo scudo con i tre cani dipinti risplendere alla luce del fuoco, la pittura gialla rovinata da ammaccature e tagli di spada gli conferiva un’aria sinistra. Suo padre voleva che lo guardasse ogni giorno per ricordarsi di quando rimase ferito a causa sua e della sua bravata, aveva promesso che non sarebbe più fuggito e aveva intenzione di mantenere quella promessa. Si mise in piedi e si rese conto di essere più basso di quanto ricordasse. Camminò silenziosamente verso la porta e notò che le sue mani erano stranamente morbide, di colpo il cuore gli si fermò nel petto e capì, era “quel” giorno. “Non di nuovo.” pensò, ma i suoi piedi si mossero furtivi attraversando l’uscio, scesero le scale di pietra e accarezzarono silenziosamente il freddo pavimento del corridoio fino alla porta che tanto temeva, eppure, di nuovo, il desiderio di entrare vinse la paura. Aprì la porta quel tanto che bastava per potersi intrufolare, il cuore gli batteva nel petto talmente forte che era sicuro che Gregor l’avrebbe sentito dall’altro lato del castello, ma non si fermò. Il fuoco si stava spegnendo nel camino, ma i suoi occhi erano già abituati all’oscurità e lo trovarono senza esitazione: il cavaliere di legno. Gregor l’aveva buttato tra le fiamme, come aveva potuto bruciare un gioco così bello. Si inginocchiò davanti alle braci e raccolse il pezzo di legno annerito dalle fiamme e con gioia si rese conto che era quasi intatto. Stava ammirando il giocattolo quando si rese conto della propria pazzia, suo fratello non avrebbe tollerato quell’intrusione e suo padre non avrebbe certo potuto difenderlo, ma non importava, finalmente poteva toccare il cavaliere in sella al suo destriero bianco con l’armatura argentata e la lunga lancia in mano. Quel cavaliere era il difensore dei deboli, il liberatore degli oppressi, e un giorno anche lui sarebbe stato come quel cavaliere, un giorno anche lui avrebbe indossato un’armatura splendente come quella, e avrebbe portato onore ai tre cani incisi sullo scudo. Stava fantasticando sulle gesta eroiche di quel piccolo cavaliere quando riconobbe la pesante falcata di suo fratello provenire dal corridoio. Il sangue si gelò nelle vene. Cercò di alzarsi ma le sue gambe non si mossero, la porta si spalancò e sentì la furia di Gregor su di lui. Voleva correre via, ma la paura lo aveva paralizzato, il gioco ancora in mano era la prova del suo crimine. Chiuse gli occhi, sapeva che sarebbe stato doloroso, i pugni di suo fratello non si facevano scrupolo del fatto che fosse ancora un bambino. Trattenne il fiato e aspettò il primo colpo, le lacrime iniziavano a solcargli il viso, provò vergogna per quella sua debolezza. Suo fratello ancora non aveva colpito, forse non gli avrebbe fatto niente, in fondo quel gioco non gli interessava nemmeno, l’aveva addirittura buttato nel camino. La speranza svanì di colpo quando sentì una mano guantata afferrargli il volto e spingerlo verso il basso. Sentì le lacrime evaporare di colpo, provò ad opporsi ma il calore divenne sempre più forte, pregò suo fratello ma lui parve non sentirlo nemmeno, provò a farsi coraggio ma quando la sua pelle toccò le braci il dolore esplose come se Gregor l’avesse colpito mille volte contemporaneamente. La puzza della pelle bruciata gli riempiva il naso, la cenere gli riempiva la bocca, la sua pelle si scioglieva sul fuoco senza che lui potesse fare niente per scampare a quel dolore, poi il buio si impossessò della sua vista e tutto tacque.

Aprì gli occhi, la faccia gli pulsava, si aspettò di vedere il baldacchino del suo letto ma invece vide solo un soffitto stuccato e ricoperto di muffa. Gli occhi si richiusero senza che lo volesse e scivolò in un sonno senza sogni. Si svegliò di nuovo quando oramai era buio, la stanza era scura e una lieve luce di candela vibrava alla sua sinistra. Provò a girare la testa ma non obbedì al suo comando, il collo gli faceva ancora più male della faccia, gli sembrava di avere un coltello conficcato nella carne e che ad ogni respiro qualcuno lo girasse per conficcarlo ancora più a fondo. Gli sfuggì un rantolo di dolore. Un’ombra si mosse e sentì il sapore del legno spingere sul suo labbro, un liquido caldo sciolse la sua gola dalla morsa del dolore, ma prima che potesse parlare scivolò in un nuovo sogno.

Era circondato da un verde cupo, la neve scendeva copiosa e il freddo gli entrava nelle ossa. Delle torce tracciavano un sentiero che conduceva fino ad un albero bianco con le foglie rosse, era in un parco degli dei. Sotto la fronda rossa dell’albero un gruppo di persone volgevano lo sguardo verso di lui, ma non erano interessati alla sua presenza o forse non lo vedevano affatto. Iniziò a camminare verso quelle persone, notò che i suoi piedi nudi nella neve non lasciavano orme. Due figure stavano camminando verso di lui ora e subito riconobbe la ragazza dai capelli ramati. Era la dolce bambina che aveva visto a Grande Inverno anni prima, indossava un pesante vestito bianco con dei ricami in argento, sulle spalle una soffice pelliccia di ermellino bianco, ai polsi aveva delle corde legate cosi strette da dare alle sue mani un colore purpureo. La ragazza continuava a camminare e quando lo superò vide che lasciava una scia di sangue. Lei continuò a camminare e si fermò davanti all’uomo che l’aspettava sotto l’albero. Un soffio di vento alzò un turbine di neve che avvolse le due figure, tutte le altre persone erano sparite. Non riusciva a vedere cosa stesse succedendo alla ragazza dai capelli ramati, la neve la circondava con una danza sempre più vorticosa rendendo indistinte le due figure. Quella che era oramai solo l’ombra di un uomo si sporse in avanti e le diede un bacio. Il vento si calmò all’improvviso, la neve si posò di nuovo sul terreno diventando rossa. Alzò gli occhi e vide il ghigno dell’uomo che ancora stringeva l’elsa del pugnale conficcato nel ventre di Sansa. Senti la disperazione squarciargli l’anima. Provo a correre verso di lei ma il terreno scomparve sotto i suoi piedi e precipitò nel buio.

Urlò con tutta l’aria che gli rimaneva nei polmoni, urlò la sua disperazione, urlò la sua impotenza. «Calmati cavaliere» una mano fredda si posò sulla sua fronte «era solo un sogno» continuò la voce polverosa. Cercò di parlare ma dalla sua bocca uscì un suono indistinto. «Bevi» disse mentre sentiva il sapore del legno sul labbro. Stavolta riconobbe l’odore del vino speziato e lo tracannò tutto in un sorso, quando deglutì il tepore e il miele gli calmarono la gola. Riuscì a parlare «Dove sono? » «Non ha importanza » rispose il vecchio «Torna a dormire». Il sonno lo vinse di nuovo, stavolta però nessun fantasma venne a tormentarlo. La luce del giorno lo accecò quando aprì gli occhi, non aveva idea di quanto avesse dormito, né come mai fosse ancora vivo. Si tirò su a sedere lasciando sfuggire un gemito di dolore «Fa piano cavaliere, non vorrai riaprire quelle ferite, ho dovuto lavorare non poco per pulirle e ricucirti» il vecchio incartapecorito era al lato del suo letto, la tunica da maestro era scolorita e consumata là dove era appoggiata la pesante catena del suo ordine, gli sorrideva. «Non sono un cavaliere» disse cercando di assumere un tono aggressivo ma non ci riuscì, «So bene chi sei» disse il vecchio senza perdere il suo sorriso. «Allora se lo sai portami del vino» ringhiò. «Non posso concederti altro vino, ne andrebbe della tua guarigione» «Dammi qualsiasi cosa vecchio, ho sete.» Il vecchio annuì e andò a prendere dell’acqua fresca, dovette impegnarsi non poco per riuscire a  mandarla giù. «Ci sono voluti ben tre giorni per farti passare la febbre, temevo ti avrebbe vinto» disse il maestro mentre posava la scodella vuota «Non è stato affatto facile cavaliere. Hai avuto incubi quasi tutto il tempo, ogni volta che ti facevo riaddormentare mi sembrava di condannarti alla dannazione»  «Ti ho già detto che non sono un cavaliere, vecchio. E per i miei incubi tranquillo, sono anni ormai che ci convivo. » disse toccandosi la pelle mangiata dal fuoco, aveva smesso di pulsare. Una campana suonò tre volte e il maestro si congedò con un cenno del capo, «Sarò di ritorno tra un’ora. » aggiunse per poi voltarsi e andare alla porta. Finalmente rimase da solo. Si tastò il collo e sentì una doppia fasciatura di stoffa sopra la ferita, il vecchio doveva avergliela appena cambiata perché era ancora fresca al tatto. “Forse è meglio non toccarla troppo, non vorrei scucirmi.” La stanza era piccola e il fuoco bastava a tenerlo al caldo, decise di togliersi le coperte di dosso ma quel semplice gesto gli causò una fitta insopportabile al torace e quando finalmente riuscì a smuovere le ingombranti coperte di lana capì il perché: un enorme livido viola si estendeva sul lato sinistro del torace. “Devo avere almeno due costole rotte” quel pensiero lo fece infuriare ma continuò il controllo dei danni. Per fortuna a parte qualche altro livido e dei tagli superficiali era ancora tutto intero. Riacquistò lentamente la sensibilità di ogni appendice del suo corpo, provò a muovere lentamente mani e piedi finché non si accorse che la sua vescica stava per scoppiare. Rinunciò ai suoi buoni propositi di prudenza e si alzo in piedi, la stanza vorticò attorno a lui e dovette appoggiarsi al muro per non cadere a terra. Quando la stanza smise di muoversi cercò con lo sguardo qualcosa che potesse assomigliare ad una latrina ma trovò solo il pitale da notte. Quando ebbe finito di svuotare la vescica si sentì abbastanza in forza per esplorare quella piccola camera. Le pareti erano stuccate ma la muffa faceva capolino negli angoli, nel camino le fiamme creavano un allegra danza rossa e arancione, quella vista però gli fece pulsare la parte destra del viso. Provò a camminare ma le gambe gli cedettero, si appoggiò al letto e fece un profondo respiro, decise di ritentare ma non ebbe più fortuna, la febbre lo rendeva troppo debole. Tornò a distendersi nel letto e l’abbraccio della coperta gli fece dimenticare per un attimo il dolore. Si issò a sedere e appoggiò la schiena alla parete, un brivido gli scese lungo la schiena. Provò a guardarsi di nuovo attorno per cercare di capire dove si trovasse ma la benda attorno al collo gli impedì di nuovo il movimento, così fu costretto a guardare le fiamme ardere nel camino. Il dolore non gli dava pace, ogni più piccolo movimento gli causava delle fitte insopportabili, ma fece del suo meglio per sopportarle in silenzio. Si concentrò a guardare il fuoco “L’ho sognato di nuovo quel maledetto giorno.” Le fiamme lo ossessionavano, una sensazione di disagio lo colse inaspettatamente, eppure non era dovuto alla vista del fuoco. Appoggiato a terra c’era un bacile di legno, il suo contenuto attirò la sua attenzione: un cumulo di pezzi di stoffa macchiati di sangue. Gli balenò in mente la ragazza dai capelli rossi e il suo vestito bianco, il sangue ruscellava da una ferita al ventre. «Sansa» invocò quel nome e la sua voce suonò come un latrato disperato. Mise i piedi a terra e si alzò di scatto, ignorò la stanza che gli girava attorno e si diresse alla porta, era di legno leggero ma i cardini arrugginiti lo costrinsero a strattonare con forza la maniglia, soppresse un gemito di dolore e si lanciò nel corridoio. La pietra gelida del pavimento sembrò dargli sollievo dalla febbre, si appoggiò al muro e cercò di capire dove andare, notò che in fondo al corridoio c’era una scala che scendeva. Cercò di raggiungerla, il corridoio era talmente stretto che riuscì a fare leva su entrambi i lati con le braccia, ma quando arrivò alla scala e guardò in basso ebbe le vertigini e si accasciò al suolo, «Maledizione» imprecò prima di svenire.
 «Svegliati cavaliere» sentì una voce che lo chiamava da lontano, aprì gli occhi e vide il vecchio incartapecorito che lo fissava. «Devi alzarti da solo ragazzo, loro non ti daranno nessun aiuto» fece cenno con la testa, ma lui non vide a chi si stesse riferendo. «Aye» fece perno con la mano destra a terra mentre con la sinistra cercava un appiglio nel muro di pietra, le sue dita intorpidite riconobbero una sporgenza e lentamente si tirò in piedi. Vide il vecchio che annuiva sorridendo, alle sue spalle notò le persone che gli aveva indicato poco prima col cenno della testa: quattro ragazzi lo stavano fissando inespressivi, avevano i capelli tagliati cortissimi ed erano vestiti di una tunica di lana grezza, notò che erano scalzi. «Andate ora» disse il vecchio in tono perentorio e i quattro si voltarono e scesero le scale in silenzio. «Andiamo ragazzo, torna a letto» gli prese il braccio, aveva una presa più forte di quella che si addiceva ad un uomo della sua età, così con il vecchio che lo sosteneva da un lato e il muro che gli dava appoggio dall’altro tornò lentamente verso la camera bianca. Lo aiutò a rimettersi a letto e poi spalancò la finestra a lato della camera «Un po’ d’aria fresca ti farà bene» una leggero soffio freddo gli smosse i capelli. Il vecchio continuava a muoversi nella stanza con un sorriso stampato sul volto che metteva ancora più in risalto le sue rughe, attizzò il fuoco e poi lentamente andò a versare qualcosa in un bicchiere. Lo porse al mastino «E’ vino dei sogni, ti allevierà un po’ il dolore ma non dormirai» svuotò il bicchiere in un solo sorso, «Ancora» ordinò sventolando il bicchiere davanti la faccia del vecchio, lui lo riempì continuando a sorridere e ad annuire. «Chi sei?» la gola non gli fece male grazie al miele sciolto nel vino. «Il mio nome è maestro Tolen, e non ho bisogno che tu ti presenti, Mastino. Non mi è stato difficile riconoscerti» sorrise ancora di più «e anche quei ragazzi che hai visto prima con me sanno chi sei, ma fosse stato per loro tu ora saresti morto. » andò a posare la brocca del vino ma lo fermò prima che la poggiasse sul tavolo «Dalla a me quella» e il maestro tornò indietro sorridendo divertito, gli porse la brocca e lui la agguantò come se fosse fatta d’oro, bevve un altro lungo sorso, le ferite gli facevano sempre meno male. «Come sono arrivato qui. » chiese dopo aver deglutito «Ero nel bosco alla ricerca di erbe medicinali quando uno dei passeri che mi accompagnava ti ha trovato ai piedi di un albero» corrucciò la fronte e le rughe si fecero ancora più profonde «Abbiamo riconosciuto subito il tuo elmo e quei quattro ragazzotti avevano deciso che stavi morendo per volere degli Dei, una punizione divina dicevano. Avresti dovuto sentirli, così giovani e così stupidi da credere di poter parlare per gli Dei. Ho dovuto convincerli che se ti avevamo trovato forse gli Dei desideravano che ti salvassi. In ogni caso avevi la febbre troppo alta e non avresti potuto sentire niente di quelle parole. Ti hanno trasportato fin qui ma hanno insistito per sistemarti nel mio letto, tanto meglio perché sono mesi che non ci dormo, le mie ginocchia rifiutano di stendersi e la sedia mi risulta molto più comoda.. » «Taci, voglio dormire. » il vino dei sogni gli stava offuscando la mente e non aveva alcuna intenzione di ascoltare le lagne del vecchio. Il maestro non parve fare caso al tono poco gentile del suo ospite e sorridendo si avviò a chiudere la finestra, nella stanza tornò il buio ma il mastino si era già assopito.
Si svegliò con la luce del giorno, un sole autunnale riscaldava l’aria, la finestra era aperta e sentì il suono di un ruscello, non doveva essere troppo lontano. Si tastò la faccia, sentì le pieghe del suo viso sotto i polpastrelli, una sensazione che lo disgustò come sempre, ma si accorse di non avere più la febbre e ne fu contento. Un suono profondo e cupo provenne dal suo stomaco, non ricordava l’ultima volta in cui aveva toccato del cibo. Provò a muovere la testa, le bende ora gli lasciavano un po’ più di libertà ma sentiva la ferita tirare. Lentamente si guardò intorno e vide sul tavolo un vassoio con del cibo, si alzò con cautela ma stavolta la stanza non si mosse e gli bastò un solo passo per arrivare alla sedia e lasciarsi cadere sui tanti cuscini che la ricoprivano. Riconobbe la brocca del vino dei sogni e subito si versò una coppa, rimanendo però deluso quando si rese conto che era solo acqua, bevve lo stesso, aveva la bocca impastata e aveva davvero bisogno di cibo. Nel piatto trovò pane nero, patate bollite e un pezzo di manzo, un pasto povero, ma era più di quanto si aspettasse, era ancora tiepido e si odiò nel rendersi conto che erano giorni che non aveva il benché minimo controllo sui propri sensi. Divorò tutto in pochi minuti e il suo stomaco parve concedergli una tregua. Rimase seduto e cercò di capire come facesse quel vecchio a dormire su quella maledetta sedia, nonostante tutti i cuscini era terribilmente scomoda o forse erano i suoi muscoli che richiedevano un po’ di movimento, tuttavia si era ripromesso di non fare stupidaggini e rimase in silenzio con i suoi pensieri. Il fantasma di Sansa continuava a tormentarlo, il suo volto innocente era inciso nella sua mente, e non capiva come quell’uomo sconosciuto potesse uccidere una bambina. Il pensiero che fosse morta gli fece desiderare di non essere mai stato salvato. La sedia divenne presto insopportabile e con un piccolo sforzo e appoggiandosi ai braccioli della sedia si mise in piedi, la forza gli stava tornando, odiava sentirsi debole. Andò ad affacciarsi alla finestra ma non riconobbe niente che potesse suggerirgli dove si trovasse. Era in una stanza molto in alto di una costruzione di pietra, l’edificio scendeva a strapiombo per quindici o venti metri sotto di lui, tutto intorno era circondata da alberi le cui chiome variavano da un verde intenso ad un rosso cupo, si rese conto che il ruscello che aveva sentito era in realtà un fiume che scorreva rapido poco lontano, tuttavia non aveva la più pallida idea di quale potesse essere.  L’aria fredda del mattino gli scompigliò i capelli ed ebbe la sensazione che il vento cercasse di spingerlo via, ma non capiva dove. Continuò a guardare fuori finché le gambe non iniziarono a fargli male per lo sforzo di stare in piedi, decise di andare alla ricerca del maestro. Indossava una leggera camicia di cotone che non gli arrivava nemmeno al ginocchio, non aveva freddo ma ebbe paura che fosse la febbre ad ingannarlo. Esplorò la camera alla ricerca di qualcosa da indossare e notò che vicino al vassoio del cibo c’era una tunica di lana grigia, la prese e vide che era uguale a quella dei quattro idioti che non l’avevano aiutato ad alzarsi “Se mi incontrassero con la spada in mano si piscerebbero nella tunica e farebbero qualsiasi cosa per me.” quel pensiero lo divertì e decise di indossare i loro panni. Cercò di essere delicato nell’infilarla, l’ultima cosa che voleva era che la ferita sul collo gli si aprisse di nuovo. Gli sembrò di metterci un’eternità, ma almeno non sentì la ferita tirare. La tunica gli andava terribilmente corta “Sono tutti dei nani in questo cazzo di posto” pensò esasperato e si avviò scalzo verso il corridoio. La pietra del pavimento gli gelava i piedi, ma non aveva la più pallida idea di dove fosse la sua roba. Si convinse ancora di più di dover trovare il vecchio Tolen. Scese le scale e si trovò in quello che sembrava un dormitorio femminile, alcune septe dai capelli coperti e vestite di azzurro scapparono appena lo videro, andandosi a nascondere dietro le porte di legno delle varie camere. Le maledisse col pensiero e torno a scendere. Il piano di sotto doveva essere invece il dormitorio maschile. Un ragazzo con la tunica gli passò a fianco e lui gli afferrò il braccio «Dov’è il vecchio? »chiese con un tono rude, il ragazzo lo guardò con indifferenza «Nei giardini» e quando ebbe liberato il suo braccio continuò per la sua strada. Scese altre due rampe di scale e arrivo in un ampio atrio di pietra, panche di legno erano sistemate lungo i muri e alcune porte si aprivano su entrambi i lati. Una pesante porta di legno era spalancata di fronte a lui e da fuori veniva un sommesso rumore di foglie e vento. Si diresse verso l’esterno maledicendo i suoi piedi nudi. Appena fuori la porta si apriva un ampio giardino, l’erba era di un verde pallido ed era ricoperta da foglie dai colori caldi. “Dove sei maledetto vecchio” disse tra sé mentre cercava la sua figura incartapecorita, tuttavia non lo trovò e decise di andarlo a cercare. Quando posò i piedi sull’erba un fremito piacevole gli attraversò il corpo, era fredda ma decisamente meglio della pietra. Iniziò a camminare e a guardarsi intorno alla ricerca del vecchio finché non lo vide su una panchina di pietra a riposare sotto un albero. Decise di non disturbarlo, e nonostante fosse sorpreso della sua scelta si limitò a sedersi su una panchina, il sole gli riscaldava il volto mentre il vento continuava a spingerlo via ma chiuse gli occhi e restò in attesa.
 
 
 
   
 
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