Capitolo
4
Quando Jill rinvenne
scoprì di trovarsi stesa su
un letto. Per un attimo la sua mente si perse in quella piacevole
novità,
mentre il suo corpo godeva delle morbide coltri su cui era stata
adagiata. Una
luce soffusa entrava dalla finestra e la Corsara si
concentrò su quel cielo: le
nubi si rincorrevano come cavalli selvaggi. Le montagne stendevano le
loro
lunghe ombre sulla vallata. Doveva essere mattina.
Quel dato la riscosse del tutto e Jill balzò giù
dal letto. Indossava un paio di calzoni e una blusa. I suoi indumenti
da
viaggio erano stati lavati e appesi al sole, ancora un po’
gocciolanti. Le sue
armi e la sua sacca erano stati poggiati su una panca ai piedi del
letto.
Insieme a un abito pulito.
“Da donna…” storse la bocca leggermente
seccata.
Lasciò la veste lì dov’era e
s’infilò gli
stivali, constatando con somma soddisfazione che nessuno
s’era accorto della
lama ivi nascosta. Impugnò Carcharoth e la
sguainò: la lama era stata ripulita
e scintillava sanguigna e sinistra sotto i raggi del sole.
Assicurò l’arma alla schiena e si
precipitò fuori
dalla stanza, eccitata all’idea della sfida che
l’attendeva.
Jill si scusò brevemente con un cenno del capo,
ma non si fermò. Ispezionò il piano senza
successo, trovando solo servitrici:
probabilmente quella era l’area riservata alle donne.
Sbuffò e s’accinse a
scendere le scale, quando passando di fronte a una finestra qualcosa
attirò il
suo sguardo, distraendola dai suoi propositi.
“ Il Bianco…”
Lo stregone strinse la presa sul suo bastone,
ripensando al titolo che una volta gli spettava e di cui ora si
fregiava colui
che gli era sempre stato inferiore. Ma fu solo un attimo.
Un ghigno deformò il suo volto: che Ganfalf si gloriasse
pure di quel appellativo, finché poteva.
Non prestò quasi attenzione alle parole del suo
misero e ormai inutile servitore: Grima era stato fin
dall’inizio una pedina
sacrificabile. Certo lo stregone aveva sperato di poterne sfruttare la
lingua
biforcuta e melliflua per impossessarsi facilmente del Regno di Rohan,
ma una
volta venuto a conoscenza del ritorno di Gandalf aveva previsto che
questi si
sarebbe recato a Edoras. E che non sarebbe stato solo.
Voltò le spalle al suo viscido tirapiedi per andarsi
a sedere sul seggio in fondo alla sala.
Gandalf era sempre stato così
prevedibile! Saruman era sicuro
che egli avrebbe fatto in modo di ricongiungersi con la sua protetta. E
in cuor
suo aveva gioito e riso della stoltezza del Istaro quando, incurante di
eventuali orecchie indiscrete, le aveva svelato quale fosse la natura
del dono
di Dama Galadriel.
“ L’Ulumur…”
Assaporò quel pensiero nella sua mente. Lo
scrigno di legno incrostato di salsedine aveva destato da subito la sua
curiosità, ma mai avrebbe immaginato che potesse contenere
un oggetto tanto
prezioso e potente.
Puntò lo sguardo sul Palantir coperto dal drappo
nero.
Sauron doveva esserne tenuto all’oscuro. Lo
stregone gli avrebbe consegnato Jill come da lui richiesto, ma avrebbe
tenuto
l’Ulumur per sé.
-
M-mio S-signore… -
balbettò Vermilinguo, ancora prostrato a terra.
Gli Uruk-hai avevano fallito nella cattura della
fanciulla così come del portatore dell’Anello,
tuttavia quello smacco si stava
evolvendo in una nuova opportunità nella mente ingegnosa e
calcolatrice
dell’Istaro. Dopo essersi accorto del potente incantesimo a
lui sconosciuto che
proteggeva il contenitore ligneo, aveva deciso di aspettare che fosse
la stessa
Jill a spezzarlo. Era solo questione di tempo: probabilmente la
soluzione a
quell’enigma si sarebbe rivelata nell’incalzare del
bisogno.
E lui era pronto a creare l’occasione ideale.
-
Ricordasempre – disse il
sovrano tra sé e sé, facendo cadere un
candido fiore sul tumulo spoglio – È solito
crescere sulla tomba dei miei
antenati. Ora ricoprirà il sepolcro di mio figlio.
–
Jill chinò il capo, in piedi accanto a Gandalf.
-
Ahimè, questi giorni
funesti spettano a me. – riprese il re, la voce
rotta dal dolore – I giovani periscono e i vecchi resistono.
Io dovrò vivere
per vedere gli ultimi giorni della mia casata. –
-
La morte di Theodred –
intervenne lo stregone in tono pacato – non è
stata opera tua. –
-
Un genitore non dovrebbe seppellire
il figlio. –
Con la pena nel cuore la Corsara vide il re di
Rohan coprirsi gli occhi con una mano, le spalle scosse dai singhiozzi.
I suoi pensieri volarono a Umbar e alle famiglie
che attendevo ansiose il ritorno delle navi al porto. Spesso Jill aveva
visto i
loro volti illuminarsi di gioia nel vedere i propri cari scendere dal
ponte
dell’imbarcazione. Altre volte, invece, mogli e bambini
avevano pianto sui
corpi dei mariti e dei padri defunti, apparentemente inconsolabili.
Allora, guardando il volto di suo padre, si era
convinta che se un giorno lei non fosse più tornata lui non
avrebbe potuto trovare
alcuna consolazione. Le giovani vedove e gli orfani avevano vissuto
abbastanza
poco da poter guardare avanti e avere una seconda
opportunità di costruire la
loro felicità, mentre i padri e le madri non potevano che
volgersi indietro e
piangere per il resto dei loro giorni la gioia di cui avevano goduto ma
che non
avrebbero più ritrovato.
Suo padre era sempre stato un uomo solitario. Persa
la moglie e restio a instaurare rapporti coi concittadini, riversava
tutto il
suo amore e tutti i suoi sforzi in lei.
-
Tu sei il mio orgoglio
più grande e il mio tesoro più prezioso.
– le
diceva.
E Jill sapeva che era vero. Non l’aveva mai
ostacolata nelle sue scelte, eppure la sua decisione di prendere il
mare
l’aveva profondamente turbato.
Non l’aveva mai pensata in questi termini, ma
d’improvviso si chiese cosa sarebbe accaduto se quella notte
i loro ruoli
fossero stati invertiti. Immaginò il cuore e lo spirito del
fabbro spezzarsi e
le sue grandi spalle curvarsi sotto il peso del dolore.
Immaginò il suo orgoglioso
padre piangere sul corpo privo di vita dell’amata figlia
così come il re di
Roharn piangeva sul tumulo del figlio.
E per la prima volta fu grata alla Morte di aver
preso suo padre anziché lei.
Chiuse gli occhi e lasciò che il cuore trasudasse
tutto il dolore e l’amore che i ricordi le suscitavano,
mentre le lacrime
rigavano le sue guance.
Nella mente prese forma uno struggente canto
d’addio che aveva sentito intonare sulla banchina del porto.
Non ne ricordava
le parole, bensì le era rimasta impressa la melodia dal
sapore agrodolce.
Quasi non s’accorse di aver socchiuso la bocca e
piegato la lingua a cucchiaio, come usava fare quando fischiettava un
motivetto
insieme ai marinai. Un suono a mala pena udibile e indistinto
uscì dalle sue
labbra bagnate dal pianto, mentre il cuore batteva forte nel petto.
Molto
forte.
Gandalf puntò lo sguardo
sulla Corsara.
Il vento s’era improvvisamente alzato, sferzando
i capelli rossi della fanciulla che proseguiva nella sua melodia
silenziosa a
occhi chiusi. Non era il soffio delle montagne, ma l’alito
salmastro del mare.
Le nuvole presero a correre
rapidamente e
s’addensarono sopra le loro teste. Una pioggia leggera
cominciò a scendere
sulla vallata.
Il re di Roharn alzò il capo, perplesso,
guardando lo stregone in cerca di una spiegazione. Ma questi gli fece
cenno di
pazientare, indicando la giovane con un cenno del capo.
Un’altra parte porse invece l’orecchio al suono
del vento: pareva cantare, modulando le note di quel motivo struggente
di cui
lei stava scandendo silenziosamente le parole. Era un suono potente
come il
ruggito del mare, eppure carico di tristezza e malinconia.
Gimli
s’affrettò a raggiungere una tettoia sotto
la quale ripararsi. Fino a un attimo prima splendeva il sole e ora si
ritrovava
a sguazzare nel fango come un rospo. Il tempo era impazzito!
Il suo sguardo venne attirato da una figura
slanciata in piedi sotto la pioggia, gli occhi chiusi e il volto senza
età
rivolto verso il cielo.
Scosse la testa. Fortuna che c’era ancora un Nano
con la testa sulle spalle!
-
Per tutti gli dei! Gandalf
– lo apostrofò Theoden – il cielo sta cantando! –
-
No – sorrise tra
sé lo stregone – non è la voce del
cielo. –
Il re di Roharn seguì la direzione del suo
sguardo fino alla fanciulla. E un brivido di terrore gli percorse la
schiena.
Aveva intuito che in quella ragazza dovesse
celarsi più di quanto appariva in superficie,
così come aveva riconosciuto il
valore di Aragorn dal loro primo incontro. Theoden non era un ingenuo:
tutti i
compagni di Gandalf che ospitava nel suo palazzo erano sicuramente
pedine
essenziali di quella partita che era solo agli inizi.
Ma mai avrebbe pensato che in quella giovane
Corsara dai capelli rossi potesse celarsi un simile potere. Se era in
grado di
controllare i venti e l’acqua per modulare quel canto, che
altro sarebbe stata
in grado di fare?
D’un tratto rammentò le storie tramandate dagli
uomini di mare e giunte sino alle sue orecchie. Molti erano i racconti
sulle
terribili sirene, bellissime donne per metà umane e per
metà pesci. Esse
incantavano i marinai coi loro soavi canti ingannatori, spingendo le
imbarcazioni sugli scogli e persuadendo le loro prede a tuffarsi tra i
flutti,
ghermendole e trascinandole con loro negli abissi. Tanto belle quanto
irascibili, si diceva che fossero in grado di generare terrificanti
tempeste.
Aveva sempre pensato che fossero tutte fantasticherie,
poiché era risaputo che gli uomini di mare fossero
particolarmente
superstiziosi.
Ma guardando quella fanciulla dai capelli rossi
muovere silenziosamente le labbra si chiese fino a che punto potesse
fidarsi
del giudizio di Gandalf. E di lei.
Jill aprì gli occhi, osservando colma di sincera
meraviglia quello spettacolo sfavillante.
S’avvicinò alla tomba. Non
s’inginocchiò né chinò
il capo. Portò una mano alla fronte, poi al petto e infine
batté il pugno sul
cuore.
“ Buon viaggio Theodred, figlio di Theoden. E se
dovessi incontrare il mio valoroso padre digli che sarò
forte, così da renderlo
fiero di me quando ci ricongiungeremo.”
Sorrise.
“ Ma riferiscigli pure che dovrà pazientare,
perché la mia battaglia è appena
cominciata.”
Il volto era disteso in un’espressione serena, i
capelli bagnati che rifulgevano come rame sotto i raggi dorati del
sole. Tutta
la sua esile persona pareva imbevuta di nuova forza e determinazione.
Per un
attimo gli ricordò la sua giovane e fiera nipote Eowyn.
Gli occhi scuri accesi d’ardore guardavano
lontano, dimentichi delle persone lì presenti e di quanto
aveva appena fatto. La
fanciulla si trovava di fronte a lui, eppure gli parve quasi
evanescente, come
se a legarla a quella terra e impedirle di spiccare il volo vi fosse
solo un
filo sottile.
Jill voltò le spalle al
tumulo.
“ Che ne è stato di Vermilinguo?” si
rivolse allo
stregone.
-
A Grima Vermilinguo è
stata offerta la possibilità di redimersi,
servendo fedelmente re Theoden e la sua patria. – disse
guardandola dritta
negli occhi.
Lei strinse i pugni fino a farsi sbiancare le
nocche.
-
Tuttavia –
proseguì il suo maestro – egli ha rifiutato
l’offerta ed è
tornato a Isengard, sotto l’ombra del suo signore. Il destino
di quell’uomo,
ormai, è strettamente legato a quello di Saruman. –
Jill chinò il capo, celando lo sguardo. Poi, dopo
un rapido cenno di commiato a Theoden e Gandalf, si diresse verso le
porte
della città.
Il suo spirito era in tumulto, la mente di nuovo
concentrata sul suo obiettivo.
-
Gandalf –
parlò senza scostare gli occhi da Jill – chi
è veramente
quella fanciulla? –
-
Difficile dirlo, amico mio.
–
La risposta dello stregone suonò decisamente
evasiva alle orecchie di Theoden.
La Corsara ghignò soddisfatta: non ci sarebbe
stato alcun gusto se la vendetta fosse stata troppo semplice.
-
Jill! – la
chiamò Gimli da sotto la tettoia di una stalla –
Fallo a
fette! –
Lei piegò le labbra in un ghigno e annuì, senza
distogliere lo sguardo dal suo avversario. Da canto
suo,l’Elfo scrutò quegli
occhi scuri come la notte, domandandosi cosa fosse balzato nella mente
impetuosa della fanciulla.
Aveva previsto che al suo risveglio sarebbe stata
intrattabile, dato che non solo le aveva impedito di massacrare
Vermilinguo ma
l’aveva anche atterrata facendole perdere i sensi. Tuttavia
aveva l’impressione
di leggere un intento omicida nel suo sguardo.
“Jill…”
Un affondo fulmineo lo costrinse ad arretrare.
“Jill, non è il caso di…”
“Sì, è il caso.”
Un altro attacco schivato, ma non tanto egregiamente.
Con la coda dell’occhio notò un piccolo gruppo di
soldati prendere posto ai
bordi del cortile, probabilmente curiosi.
“Jill, mi rammarico di averti colpit…”
Lei balzò nuovamente in avanti, sorprendentemente
veloce, costringendolo ad estrarre il lungo pugnale da caccia, unica
arma che
aveva tenuto legata alla cinta. Parò il colpo, trovandosi a
pochi centimetri da
quegli occhi scuri e furiosi.
“L’unica cosa di cui dovresti rammaricarti
è di
esserti posto tra me e quella lurida serpe.”
Fece leva sul braccio e la spinse via. Ma la
Corsara atterrò sicura nel pantano, per nulla scomposta
dalla sua reazione.
“Quell’uomo è solo un viscido farabutto,
un
burattino nelle mani di uno Stregone.” protestò
lui veemente “ Non sarebbe
stato degno di te sporcarti le mani col suo sangue
miserabile!”
“Degno di
me?” piegò le labbra in una smorfia di
insofferenza “Cosa
c’è di tanto spregevole nell’uccidere il
proprio seviziatore?”
Il sangue si gelò nelle vene dell’Elfo.
Aragorn si accostò a Gimli, lo sguardo fisso sui
due combattenti il cui duello in mezzo al fango aveva attirato
l’attenzione di
un sempre maggior numero di curiosi.
-
Come mai stanno combattendo?
–
-
Non ne ho idea – rispose
il Nano eccitato, tirando una boccata dalla
sua pipa – Ma questa volta ho la sensazione che Orecchie a
Punta l’abbia fatta
davvero grossa. E che un attimo fa se ne sia reso conto anche lui.
–
Il Ramingo annuì pensieroso, osservando la danza
letale che si stava svolgendo: Legolas le stava tenendo testa, eppure i
suoi
colpi mancavano di efficacia.
Aragorn sorrise rammaricato: non avrebbe mai voluto
trovarsi nei suoi panni.
Lui non se l’aspettava e cadde a terra, tra i
fischi del pubblico.
“Alzati!” gli intimò con rabbia.
Lui si puntellò sui gomiti e lei lo colpì con un
altro pugno, facendolo nuovamente cadere in mezzo al fango.
“Alzati e combatti!”
Lui si sorresse nuovamente su un gomito, la
mascella dolorante e la mente confusa che si chiedeva se una donna
elfica
avesse mai menato le mani a quel modo. Lei gli si gettò
addosso, colpendolo
ancora con foga.
Lui rimase con la testa nel pantano, lo sguardo fisso
sul cielo. Le nubi si erano addensate e s’intravedeva solo
qualche fazzoletto
ceruleo qua e là.
Lei lo prese per il colletto, le mani sporche del
suo sangue.
“Combatti, maledizione!” lo colpì ancora
“Almeno questo me lo
devi! Vigliacco!”
Qualcosa scattò dentro
di lui e il principe di
Bosco Atro si liberò della Corsara, che cadde a terra. Ma la
sorpresa durò poco
e lei fu lesta a scansare l’attacco dell’Elfo, che
s’infranse sul terreno in
una pioggia di schizzi di fango.
Recuperò la spada e sorrise compiaciuta dello
sguardo battagliero del suo avversario.
“Finalmente si ragiona.”
Con la bocca aperta in un muto urlo agguerrito si
scagliò nuovamente su di lui e il vero duello ebbe
finalmente inizio. Entrambi
attaccavano e paravano affondi, roteando su se stessi per sfuggire al
raggio
d’azione dell’avversario e menando calci tentando
di fargli perdere
l’equilibrio. Attorno a loro la piccola folla li incitava e
acclamava, esaltata
dalla lotta.
Con un movimento rotatorio del braccio Legolas
disarmò la Corsara, facendo volare la sua spada sul tetto di
un granaio, e la
colpì al volto con un colpo secco del gomito. Dal naso di
Jill schizzarono
fiotti di sangue, ma lei non se ne curò;
indietreggiò rapidamente, schivò un affondo
e poi il successivo, roteò su se stessa e colpì
l’Elfo con una gomitata e un
pugno nel fianco, lui si piegò dal dolore e lei colse
l’occasione per balzare
lontano dal suo raggio d’attacco.
Corse
verso il granaio e con un paio di agili balzi atterrò sulla
sua copertura. Alzò
lo sguardo e si trovò di fronte il principe di Bosco Atro.
Lui sollevò il lungo pugnale per colpirla, lei si
gettò in avanti per afferrare la sua spada e parare il
colpo. Sgusciò via
appena in tempo e tentò di colpire l’Elfo sulle
gambe. Inutilmente, perché lui
balzò leggiadro e sicuro sul colmo del tetto, lontano dalla
lama sanguigna.
-
Sembrano quelle bestie del
Haradwaith che saltellano tutto il giorno
sugli alberi… - grugnì Gimli, infastidito dallo
spostamento continuo del palco
su cui si svolgeva lo spettacolo – Come diamine si
chiamano… -
-
Scimmie. – sorrise
Aragorn.
-
Sì, ecco. Sembrano delle
maledettissime scimmie. -
Un raggio di sole forò le nubi e inondò il
granaio. La polvere divenne luminosa e i fuscelli fluttuanti dorati. I
capelli
della Corsara s’accesero come fiamme dalle lingue rosse,
bronzee e dorate. I
fili di paglia incastrati nei suoi capelli parevano una corona di luce.
Fu solo il barlume di un istante. Poi lei riaprì
gli occhi e puntò la lama sanguigna sulla gola candida
dell’Elfo.
“Ti arrendi?” gli chiese, sogghignando beffarda.
Lui piegò le sue labbra spaccate in un sorriso.
“Sì.”
Lasciò che il pugnale cadesse a terra e prese il
viso di lei tra le mani. La baciò.
Fece scivolare gentilmente i polpastrelli sul suo
viso sporco di fango e di sangue, attento a non farle male agli zigomi
contusi eppure
a memorizzare ogni centimetro del suo volto. Le sue labbra sapevano di
sangue,
eppure gli parvero dolci e morbide. Le baciò con gentilezza
e cautela, il cuore
che gli batteva all’impazzata nel petto, raggiante e
terrorizzato.
Le sopracciglia corrugate, lo sguardo stralunato,
la bocca contratta in un’espressione incredula.
Pigiò la lama sulla gola
dell’Elfo, costringendolo a riabbassare il capo. Eppure non
era padrona di sé
stessa in quel momento.
Il suo petto si alzava e abbassava in maniera
evidente, il respiro irregolare, i battiti del cuore assordanti. Il
filo della
spada si tinse di un rosso più acceso e, con distratta
curiosità, Jill osservò
un sottile rivolo di sangue scivolare fino all’elsa e
lambirle la mano. Si
sorprese a pensare a quanto fosse caldo.
Improvvisamente troppo fredda e pesante, la spada
le scivolò di mano. Ma non era più importante,
non ricordava nemmeno perché
l’aveva sguainata. L’unica cosa di cui fosse certa
era il colore degli occhi
dell’Elfo: azzurro come il cielo luminoso d’estate.
Avvertiva il proprio cuore battere all’impazzata
nel petto, quasi dolorosamente. Distrattamente, si chiese come un
momento così
bello potesse procurarle tanta angoscia.
“Jill… io…”
Il suo pensiero parve scottarla e lei
istintivamente si allontanò.
Dispiaciuto, intenerito e preoccupato dal suo
smarrimento, allungò una mano verso il suo volto, ma lei
balzò giù dalla
catasta di paglia, recuperò la sua spada e corse fuori dal
granaio.
La mano di Legolas restò sospesa in aria ancora
per un po’.
Gimli imprecò sonoramente.
-
Per tutti gli Dei!
C’è qualcuno qua che non abbia ancora perso la
testa?! – tuonò col respiro corto.
Gettò uno sguardo all’Elfo sdraiato nella paglia,
le braccia spalancate, lo sguardo perso nel vuoto, le labbra
sanguinanti
piegate in un sorriso, la linea rossa di un taglio che si intravedeva
sul
collo.
-
Come non detto… -
bofonchiò.
Il Nano scosse la testa. In fondo, in quel
momento Orecchie a Punta gli faceva un po’ pena.
Continua…