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Autore: monalisasmile    20/05/2016    1 recensioni
Seconda parte della trilogia Eär Lindë (Il Canto del Mare).
Continua il viaggio di Jill alla ricerca di risposte, ma mentre la guerra s'avvicina le domande paiono moltiplicarsi. Qualcosa dentro di lei preme con sempre maggior insistenza: forse la chiave del suo passato o, forse, il flagello che porrà fine a ogni cosa. Che legame ha il dono di Dama Galadriel con tutto ciò?
Ma Jill non è l'unica ad essere tormentata dai dubbi: Legolas ha scorto qualcosa di ciò che si nasconde nell'animo della Corsara e teme di perderla. Vorrebbe poterla legare a sè, ma sa che il suo spirito libero non si lascerebbe mai incatenare. Probabilmente nemmeno dai suoi sentimenti.
Mentre le ombre si addensano e gli ostacoli si fanno insormontabili, alcuni dovranno fare delle scelte, altri superare i propri limiti. E qualcuno dovrà fare un doloroso sacrificio.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4

 

Quando Jill rinvenne scoprì di trovarsi stesa su un letto. Per un attimo la sua mente si perse in quella piacevole novità, mentre il suo corpo godeva delle morbide coltri su cui era stata adagiata. Una luce soffusa entrava dalla finestra e la Corsara si concentrò su quel cielo: le nubi si rincorrevano come cavalli selvaggi. Le montagne stendevano le loro lunghe ombre sulla vallata. Doveva essere mattina.
Quel dato la riscosse del tutto e Jill balzò giù dal letto. Indossava un paio di calzoni e una blusa. I suoi indumenti da viaggio erano stati lavati e appesi al sole, ancora un po’ gocciolanti. Le sue armi e la sua sacca erano stati poggiati su una panca ai piedi del letto. Insieme a un abito pulito.
“Da donna…” storse la bocca leggermente seccata.
Lasciò la veste lì dov’era e s’infilò gli stivali, constatando con somma soddisfazione che nessuno s’era accorto della lama ivi nascosta. Impugnò Carcharoth e la sguainò: la lama era stata ripulita e scintillava sanguigna e sinistra sotto i raggi del sole.
Assicurò l’arma alla schiena e si precipitò fuori dalla stanza, eccitata all’idea della sfida che l’attendeva.

La sua irruenza colse di sorpresa una donna che stava attraversando il corridoio, facendola sobbalzare.
Jill si scusò brevemente con un cenno del capo, ma non si fermò. Ispezionò il piano senza successo, trovando solo servitrici: probabilmente quella era l’area riservata alle donne. Sbuffò e s’accinse a scendere le scale, quando passando di fronte a una finestra qualcosa attirò il suo sguardo, distraendola dai suoi propositi.

Vermilinguo si prostrò ai piedi dello stregone, balbettando stridule scuse per il suo fallimento a Edoras. Saruman lo fissava impassibile, rigido come una statua di granito, il volto tumefatto per il colpo infertogli da Gandalf.
“ Il Bianco…”
Lo stregone strinse la presa sul suo bastone, ripensando al titolo che una volta gli spettava e di cui ora si fregiava colui che gli era sempre stato inferiore. Ma fu solo un attimo.
Un ghigno deformò il suo volto: che Ganfalf si gloriasse pure di quel appellativo, finché poteva.
Non prestò quasi attenzione alle parole del suo misero e ormai inutile servitore: Grima era stato fin dall’inizio una pedina sacrificabile. Certo lo stregone aveva sperato di poterne sfruttare la lingua biforcuta e melliflua per impossessarsi facilmente del Regno di Rohan, ma una volta venuto a conoscenza del ritorno di Gandalf aveva previsto che questi si sarebbe recato a Edoras. E che non sarebbe stato solo.
Voltò le spalle al suo viscido tirapiedi per andarsi a sedere sul seggio in fondo alla sala.
Gandalf era sempre stato così prevedibile! Saruman era sicuro che egli avrebbe fatto in modo di ricongiungersi con la sua protetta. E in cuor suo aveva gioito e riso della stoltezza del Istaro quando, incurante di eventuali orecchie indiscrete, le aveva svelato quale fosse la natura del dono di Dama Galadriel.
“ L’Ulumur…”
Assaporò quel pensiero nella sua mente. Lo scrigno di legno incrostato di salsedine aveva destato da subito la sua curiosità, ma mai avrebbe immaginato che potesse contenere un oggetto tanto prezioso e potente. 
Puntò lo sguardo sul Palantir coperto dal drappo nero.
Sauron doveva esserne tenuto all’oscuro. Lo stregone gli avrebbe consegnato Jill come da lui richiesto, ma avrebbe tenuto l’Ulumur per sé.

-          M-mio S-signore… - balbettò Vermilinguo, ancora prostrato a terra.
Gli Uruk-hai avevano fallito nella cattura della fanciulla così come del portatore dell’Anello, tuttavia quello smacco si stava evolvendo in una nuova opportunità nella mente ingegnosa e calcolatrice dell’Istaro. Dopo essersi accorto del potente incantesimo a lui sconosciuto che proteggeva il contenitore ligneo, aveva deciso di aspettare che fosse la stessa Jill a spezzarlo. Era solo questione di tempo: probabilmente la soluzione a quell’enigma si sarebbe rivelata nell’incalzare del bisogno. 
E lui era pronto a creare l’occasione ideale. 

-          Ricordasempre – disse il sovrano tra sé e sé, facendo cadere un candido fiore sul tumulo spoglio – È solito crescere sulla tomba dei miei antenati. Ora ricoprirà il sepolcro di mio figlio. –
Jill chinò il capo, in piedi accanto a Gandalf.

-          Ahimè, questi giorni funesti spettano a me. – riprese il re, la voce rotta dal dolore – I giovani periscono e i vecchi resistono. Io dovrò vivere per vedere gli ultimi giorni della mia casata. –
-          La morte di Theodred – intervenne lo stregone in tono pacato – non è stata opera tua. –
-          Un genitore non dovrebbe seppellire il figlio. –
Con la pena nel cuore la Corsara vide il re di Rohan coprirsi gli occhi con una mano, le spalle scosse dai singhiozzi.
I suoi pensieri volarono a Umbar e alle famiglie che attendevo ansiose il ritorno delle navi al porto. Spesso Jill aveva visto i loro volti illuminarsi di gioia nel vedere i propri cari scendere dal ponte dell’imbarcazione. Altre volte, invece, mogli e bambini avevano pianto sui corpi dei mariti e dei padri defunti, apparentemente inconsolabili.
Allora, guardando il volto di suo padre, si era convinta che se un giorno lei non fosse più tornata lui non avrebbe potuto trovare alcuna consolazione. Le giovani vedove e gli orfani avevano vissuto abbastanza poco da poter guardare avanti e avere una seconda opportunità di costruire la loro felicità, mentre i padri e le madri non potevano che volgersi indietro e piangere per il resto dei loro giorni la gioia di cui avevano goduto ma che non avrebbero più ritrovato.
Suo padre era sempre stato un uomo solitario. Persa la moglie e restio a instaurare rapporti coi concittadini, riversava tutto il suo amore e tutti i suoi sforzi in lei.

-          Tu sei il mio orgoglio più grande e il mio tesoro più prezioso. – le diceva.
E Jill sapeva che era vero. Non l’aveva mai ostacolata nelle sue scelte, eppure la sua decisione di prendere il mare l’aveva profondamente turbato.   
Non l’aveva mai pensata in questi termini, ma d’improvviso si chiese cosa sarebbe accaduto se quella notte i loro ruoli fossero stati invertiti. Immaginò il cuore e lo spirito del fabbro spezzarsi e le sue grandi spalle curvarsi sotto il peso del dolore. Immaginò il suo orgoglioso padre piangere sul corpo privo di vita dell’amata figlia così come il re di Roharn piangeva sul tumulo del figlio.
E per la prima volta fu grata alla Morte di aver preso suo padre anziché lei.
Chiuse gli occhi e lasciò che il cuore trasudasse tutto il dolore e l’amore che i ricordi le suscitavano, mentre le lacrime rigavano le sue guance.
Nella mente prese forma uno struggente canto d’addio che aveva sentito intonare sulla banchina del porto. Non ne ricordava le parole, bensì le era rimasta impressa la melodia dal sapore agrodolce.
Quasi non s’accorse di aver socchiuso la bocca e piegato la lingua a cucchiaio, come usava fare quando fischiettava un motivetto insieme ai marinai. Un suono a mala pena udibile e indistinto uscì dalle sue labbra bagnate dal pianto, mentre il cuore batteva forte nel petto. Molto forte.

Gandalf puntò lo sguardo sulla Corsara.
Il vento s’era improvvisamente alzato, sferzando i capelli rossi della fanciulla che proseguiva nella sua melodia silenziosa a occhi chiusi. Non era il soffio delle montagne, ma l’alito salmastro del mare.  

Le nuvole presero a correre rapidamente e s’addensarono sopra le loro teste. Una pioggia leggera cominciò a scendere sulla vallata.
Il re di Roharn alzò il capo, perplesso, guardando lo stregone in cerca di una spiegazione. Ma questi gli fece cenno di pazientare, indicando la giovane con un cenno del capo.  

Una parte della mente di Jill avvertì il piacere di quella tiepida pioggia, calda come i rovesci nelle terre di Sud ma leggera come una carezza. Le gocce d’acqua tintinnavano dolcemente sulla pietra, scorrendo tra le crepe, gorgogliando e gocciolando fino a terra. Il rombo del tuono in lontananza scandiva il ritmo di quel orchestra naturale come un tamburo, con suoni cupi che echeggiavano tra le pareti delle vicine montagne.
Un’altra parte porse invece l’orecchio al suono del vento: pareva cantare, modulando le note di quel motivo struggente di cui lei stava scandendo silenziosamente le parole. Era un suono potente come il ruggito del mare, eppure carico di tristezza e malinconia.

Gimli s’affrettò a raggiungere una tettoia sotto la quale ripararsi. Fino a un attimo prima splendeva il sole e ora si ritrovava a sguazzare nel fango come un rospo. Il tempo era impazzito!
Il suo sguardo venne attirato da una figura slanciata in piedi sotto la pioggia, gli occhi chiusi e il volto senza età rivolto verso il cielo.
Scosse la testa. Fortuna che c’era ancora un Nano con la testa sulle spalle! 

-          Per tutti gli dei! Gandalf – lo apostrofò Theoden – il cielo sta cantando! –
-          No – sorrise tra sé lo stregone – non è la voce del cielo. 
Il re di Roharn seguì la direzione del suo sguardo fino alla fanciulla. E un brivido di terrore gli percorse la schiena.
Aveva intuito che in quella ragazza dovesse celarsi più di quanto appariva in superficie, così come aveva riconosciuto il valore di Aragorn dal loro primo incontro. Theoden non era un ingenuo: tutti i compagni di Gandalf che ospitava nel suo palazzo erano sicuramente pedine essenziali di quella partita che era solo agli inizi.
Ma mai avrebbe pensato che in quella giovane Corsara dai capelli rossi potesse celarsi un simile potere. Se era in grado di controllare i venti e l’acqua per modulare quel canto, che altro sarebbe stata in grado di fare?
D’un tratto rammentò le storie tramandate dagli uomini di mare e giunte sino alle sue orecchie. Molti erano i racconti sulle terribili sirene, bellissime donne per metà umane e per metà pesci. Esse incantavano i marinai coi loro soavi canti ingannatori, spingendo le imbarcazioni sugli scogli e persuadendo le loro prede a tuffarsi tra i flutti, ghermendole e trascinandole con loro negli abissi. Tanto belle quanto irascibili, si diceva che fossero in grado di generare terrificanti tempeste.
Aveva sempre pensato che fossero tutte fantasticherie, poiché era risaputo che gli uomini di mare fossero particolarmente superstiziosi.
Ma guardando quella fanciulla dai capelli rossi muovere silenziosamente le labbra si chiese fino a che punto potesse fidarsi del giudizio di Gandalf. E di lei.

Legolas lasciò che l’acqua scorresse sul suo volto, scendendo sulle sue guance come le lacrime che non riusciva a versare. Dentro di sé però pianse: di commozione e di angoscia, ammaliato dal suo canto ma conscio che più lei si addentrava in se stessa e più si allontanava da quel mondo. E da lui.

La pioggia era cessata e il vento era calato. Il sole splendeva radioso sulla vallata, facendo risplendere come oro liquido le gocce d’acqua che indugiavano sul tumulo.
Jill aprì gli occhi, osservando colma di sincera meraviglia quello spettacolo sfavillante.
S’avvicinò alla tomba. Non s’inginocchiò né chinò il capo. Portò una mano alla fronte, poi al petto e infine batté il pugno sul cuore.
“ Buon viaggio Theodred, figlio di Theoden. E se dovessi incontrare il mio valoroso padre digli che sarò forte, così da renderlo fiero di me quando ci ricongiungeremo.”
Sorrise.
“ Ma riferiscigli pure che dovrà pazientare, perché la mia battaglia è appena cominciata.”

Il re di Rohan osservò la fanciulla mentre porgeva l’estremo saluto a suo figlio.
Il volto era disteso in un’espressione serena, i capelli bagnati che rifulgevano come rame sotto i raggi dorati del sole. Tutta la sua esile persona pareva imbevuta di nuova forza e determinazione. Per un attimo gli ricordò la sua giovane e fiera nipote Eowyn.
Gli occhi scuri accesi d’ardore guardavano lontano, dimentichi delle persone lì presenti e di quanto aveva appena fatto. La fanciulla si trovava di fronte a lui, eppure gli parve quasi evanescente, come se a legarla a quella terra e impedirle di spiccare il volo vi fosse solo un filo sottile.

Jill voltò le spalle al tumulo.
“ Che ne è stato di Vermilinguo?” si rivolse allo stregone.

-          A Grima Vermilinguo è stata offerta la possibilità di redimersi, servendo fedelmente re Theoden e la sua patria. – disse guardandola dritta negli occhi.
Lei strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.

-          Tuttavia – proseguì il suo maestro – egli ha rifiutato l’offerta ed è tornato a Isengard, sotto l’ombra del suo signore. Il destino di quell’uomo, ormai, è strettamente legato a quello di Saruman. –
Jill chinò il capo, celando lo sguardo. Poi, dopo un rapido cenno di commiato a Theoden e Gandalf, si diresse verso le porte della città.
Il suo spirito era in tumulto, la mente di nuovo concentrata sul suo obiettivo.

Il sovrano la guardò allontanarsi.
-          Gandalf – parlò senza scostare gli occhi da Jill – chi è veramente quella fanciulla? –
-          Difficile dirlo, amico mio. –
La risposta dello stregone suonò decisamente evasiva alle orecchie di Theoden.

Legolas schivò abilmente l’affondo della lama sanguigna, assumendo istintivamente una posizione di difesa. Il terreno del cortile s’era trasformato in un pantano di fango su cui i suoi passi sicuri scivolavano appena.
La Corsara ghignò soddisfatta: non ci sarebbe stato alcun gusto se la vendetta fosse stata troppo semplice.

-          Jill! – la chiamò Gimli da sotto la tettoia di una stalla – Fallo a fette! –
Lei piegò le labbra in un ghigno e annuì, senza distogliere lo sguardo dal suo avversario. Da canto suo,l’Elfo scrutò quegli occhi scuri come la notte, domandandosi cosa fosse balzato nella mente impetuosa della fanciulla.
Aveva previsto che al suo risveglio sarebbe stata intrattabile, dato che non solo le aveva impedito di massacrare Vermilinguo ma l’aveva anche atterrata facendole perdere i sensi. Tuttavia aveva l’impressione di leggere un intento omicida nel suo sguardo.
“Jill…”
Un affondo fulmineo lo costrinse ad arretrare.
“Jill, non è il caso di…”
“Sì, è il caso.”
Un altro attacco schivato, ma non tanto egregiamente. Con la coda dell’occhio notò un piccolo gruppo di soldati prendere posto ai bordi del cortile, probabilmente curiosi.
“Jill, mi rammarico di averti colpit…”
Lei balzò nuovamente in avanti, sorprendentemente veloce, costringendolo ad estrarre il lungo pugnale da caccia, unica arma che aveva tenuto legata alla cinta. Parò il colpo, trovandosi a pochi centimetri da quegli occhi scuri e furiosi.
“L’unica cosa di cui dovresti rammaricarti è di esserti posto tra me e quella lurida serpe.”
Fece leva sul braccio e la spinse via. Ma la Corsara atterrò sicura nel pantano, per nulla scomposta dalla sua reazione.
“Quell’uomo è solo un viscido farabutto, un burattino nelle mani di uno Stregone.” protestò lui veemente “ Non sarebbe stato degno di te sporcarti le mani col suo sangue miserabile!”
Degno di me?” piegò le labbra in una smorfia di insofferenza  “Cosa c’è di tanto spregevole nell’uccidere il proprio seviziatore?”
Il sangue si gelò nelle vene dell’Elfo.

Jill balzò nuovamente in avanti, menando fendenti micidiali. Legolas riusciva a pararli, eppure sembrava intenzionato solo a difendersi dalla furia della Corsara, che non accennava a desistere.
Aragorn si accostò a Gimli, lo sguardo fisso sui due combattenti il cui duello in mezzo al fango aveva attirato l’attenzione di un sempre maggior numero di curiosi.

-          Come mai stanno combattendo? –
-          Non ne ho idea – rispose il Nano eccitato, tirando una boccata dalla sua pipa – Ma questa volta ho la sensazione che Orecchie a Punta l’abbia fatta davvero grossa. E che un attimo fa se ne sia reso conto anche lui. –
Il Ramingo annuì pensieroso, osservando la danza letale che si stava svolgendo: Legolas le stava tenendo testa, eppure i suoi colpi mancavano di efficacia.
Aragorn sorrise rammaricato: non avrebbe mai voluto trovarsi nei suoi panni.

La Corsara comprese che stava duellando con un uomo che non si impegnava al massimo delle sue potenzialità e la sua irritazione crebbe. Spazientita, all’ennesimo affondo parato ma senza risposta, chiuse l’altra mano a pugno e colpì l’Elfo sul volto.
Lui non se l’aspettava e cadde a terra, tra i fischi del pubblico.
“Alzati!” gli intimò con rabbia.
Lui si puntellò sui gomiti e lei lo colpì con un altro pugno, facendolo nuovamente cadere in mezzo al fango.
“Alzati e combatti!”
Lui si sorresse nuovamente su un gomito, la mascella dolorante e la mente confusa che si chiedeva se una donna elfica avesse mai menato le mani a quel modo. Lei gli si gettò addosso, colpendolo ancora con foga.
Lui rimase con la testa nel pantano, lo sguardo fisso sul cielo. Le nubi si erano addensate e s’intravedeva solo qualche fazzoletto ceruleo qua e là.
Lei lo prese per il colletto, le mani sporche del suo sangue.
“Combatti, maledizione!” lo colpì ancora “Almeno questo me lo devi! Vigliacco!”

Qualcosa scattò dentro di lui e il principe di Bosco Atro si liberò della Corsara, che cadde a terra. Ma la sorpresa durò poco e lei fu lesta a scansare l’attacco dell’Elfo, che s’infranse sul terreno in una pioggia di schizzi di fango.
Recuperò la spada e sorrise compiaciuta dello sguardo battagliero del suo avversario.
“Finalmente si ragiona.”
Con la bocca aperta in un muto urlo agguerrito si scagliò nuovamente su di lui e il vero duello ebbe finalmente inizio. Entrambi attaccavano e paravano affondi, roteando su se stessi per sfuggire al raggio d’azione dell’avversario e menando calci tentando di fargli perdere l’equilibrio. Attorno a loro la piccola folla li incitava e acclamava, esaltata dalla lotta.
Con un movimento rotatorio del braccio Legolas disarmò la Corsara, facendo volare la sua spada sul tetto di un granaio, e la colpì al volto con un colpo secco del gomito. Dal naso di Jill schizzarono fiotti di sangue, ma lei non se ne curò; indietreggiò rapidamente, schivò un affondo e poi il successivo, roteò su se stessa e colpì l’Elfo con una gomitata e un pugno nel fianco, lui si piegò dal dolore e lei colse l’occasione per balzare lontano dal suo raggio d’attacco.  Corse verso il granaio e con un paio di agili balzi atterrò sulla sua copertura. Alzò lo sguardo e si trovò di fronte il principe di Bosco Atro.
Lui sollevò il lungo pugnale per colpirla, lei si gettò in avanti per afferrare la sua spada e parare il colpo. Sgusciò via appena in tempo e tentò di colpire l’Elfo sulle gambe. Inutilmente, perché lui balzò leggiadro e sicuro sul colmo del tetto, lontano dalla lama sanguigna.

Balzarono da un colmo a una falda dei tetti sotto lo sguardo ammutolito del pubblico.

-          Sembrano quelle bestie del Haradwaith che saltellano tutto il giorno sugli alberi… - grugnì Gimli, infastidito dallo spostamento continuo del palco su cui si svolgeva lo spettacolo – Come diamine si chiamano… -

-          Scimmie. – sorrise Aragorn.
-          Sì, ecco. Sembrano delle maledettissime scimmie. -

Il principe di Bosco Atro atterrò sulla falda di un tetto, sentendo le travi scricchiolare sotto il suo peso. Guardingo, spostò i piedi lentamente per trovare un appoggio più sicuro. Ma non fece in tempo a muoversi che la Corsara gli fu addosso, falciando l’aria con la sua spada letale e costringendolo a parare il colpo col suo pugnale. La forza dell’impatto e il peso dei due ruppe le travi del tetto ed entrambi precipitarono nel granaio.

Legolas riaprì gli occhi per primo. Si trovava disteso su un cumulo di paglia, avvolto in una nube di polvere e steli. A quattro zampe su di lui, Jill teneva gli occhi serrati per proteggerli dal pulviscolo.
Un raggio di sole forò le nubi e inondò il granaio. La polvere divenne luminosa e i fuscelli fluttuanti dorati. I capelli della Corsara s’accesero come fiamme dalle lingue rosse, bronzee e dorate. I fili di paglia incastrati nei suoi capelli parevano una corona di luce.
Fu solo il barlume di un istante. Poi lei riaprì gli occhi e puntò la lama sanguigna sulla gola candida dell’Elfo.
“Ti arrendi?” gli chiese, sogghignando beffarda.
Lui piegò le sue labbra spaccate in un sorriso.
“Sì.”
Lasciò che il pugnale cadesse a terra e prese il viso di lei tra le mani. La baciò.
Fece scivolare gentilmente i polpastrelli sul suo viso sporco di fango e di sangue, attento a non farle male agli zigomi contusi eppure a memorizzare ogni centimetro del suo volto. Le sue labbra sapevano di sangue, eppure gli parvero dolci e morbide. Le baciò con gentilezza e cautela, il cuore che gli batteva all’impazzata nel petto, raggiante e terrorizzato.

Jill arretrò con pochi secondi di ritardo che parvero minuti.
Le sopracciglia corrugate, lo sguardo stralunato, la bocca contratta in un’espressione incredula. Pigiò la lama sulla gola dell’Elfo, costringendolo a riabbassare il capo. Eppure non era padrona di sé stessa in quel momento.
Il suo petto si alzava e abbassava in maniera evidente, il respiro irregolare, i battiti del cuore assordanti. Il filo della spada si tinse di un rosso più acceso e, con distratta curiosità, Jill osservò un sottile rivolo di sangue scivolare fino all’elsa e lambirle la mano. Si sorprese a pensare a quanto fosse caldo.
Improvvisamente troppo fredda e pesante, la spada le scivolò di mano. Ma non era più importante, non ricordava nemmeno perché l’aveva sguainata. L’unica cosa di cui fosse certa era il colore degli occhi dell’Elfo: azzurro come il cielo luminoso d’estate.
Avvertiva il proprio cuore battere all’impazzata nel petto, quasi dolorosamente. Distrattamente, si chiese come un momento così bello potesse procurarle tanta angoscia.
“Jill… io…”
Il suo pensiero parve scottarla e lei istintivamente si allontanò.

Legolas la vide ritrarsi, il corpo tremante e il viso violentemente arrossito.
Dispiaciuto, intenerito e preoccupato dal suo smarrimento, allungò una mano verso il suo volto, ma lei balzò giù dalla catasta di paglia, recuperò la sua spada e corse fuori dal granaio.
La mano di Legolas restò sospesa in aria ancora per un po’.

Aragorn e Gimli giunsero appena in tempo per scansare una velocissima Corsara. Al Ramingo bastò uno sguardo al suo amico di Bosco Atro per girare sui tacchi e correre all’inseguimento della fanciulla.
Gimli imprecò sonoramente.

-          Per tutti gli Dei! C’è qualcuno qua che non abbia ancora perso la testa?! – tuonò col respiro corto.
Gettò uno sguardo all’Elfo sdraiato nella paglia, le braccia spalancate, lo sguardo perso nel vuoto, le labbra sanguinanti piegate in un sorriso, la linea rossa di un taglio che si intravedeva sul collo.

-          Come non detto… - bofonchiò.
Il Nano scosse la testa. In fondo, in quel momento Orecchie a Punta gli faceva un po’ pena.

 

 

 

Continua…

  
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