There’s
hope
for everyone
‘cause
every heart’s the same...
-
No bitter end,
Tarja Turunen -
La Esmeralda si
coprì il
viso più che poté, mentre passava accanto
all’ennesima pattuglia di guardie.
Era trascorso un
mese da
quando era fuggita, da quando sua madre l’aveva messa in
salvo a costo della
propria vita.
Sembrava che
tutti i
parigini si fossero dimenticati di quella povera zingarella che altro
no era se
non una vittima innocente, ma che ognuno di loro aveva desiderato
vedere sul
patibolo.
Passando accanto
a donne
e vecchie comari, udiva solo novelli pettegolezzi e accenni impauriti
riguardo
spaventose vicissitudini verificatesi nei pressi di Notre-Dame. Ogni
volta che
la Esmeralda sentiva pronunciare il nome di quel luogo, il suo esile
corpo
veniva attraversato da un brivido di paura, mentre il cuore le si
riempiva al
contempo di infinita tenerezza. Infatti, l’immagine demoniaca
del prete e
quella grottesca eppure così angelica di Quasimodo lottavano
fra loro, si
sovrapponevano fino a svanire l’una nell’altra.
“Oh
Quasimodo, mio caro e unico amico!”
sospirò la zingarella, sollevando
gli occhi languidi e speranzosi verso il campanile di Notre-Dame, “se sono qui oggi, è solo
grazie a te!”.
La fanciulla
affrettò il
passo e s’infilò lestamente nei vicoli di Parigi,
passando di ombra in ombra, e
cercando di non dare nell’occhio.
Dopo tanto
rimuginare, si
era infine decisa a rischiare la propria vita solo per poter rivedere
il
deforme campanaro, l’unico che le avesse davvero dimostrato
affetto. Sentiva,
infatti, il bisogno di parlargli e soprattutto di ringraziarlo per
averla protetta
per tutto quel tempo.
Quasimodo si era
ribellato al malefico prete per lei, per salvarla da quelle orribili
grinfie
che, nel buio di una notte senza Luna, avevano tentato di violarla.
Nonostante
la costernazione che aveva dimostrato poi, non le era parso per nulla
pentito.
Anzi, era certa che se Claude l’avesse vista e importunata
ancora, il campanaro
l’avrebbe difesa e salvata di nuovo.
La Esmeralda
tremò,
nonostante il Sole splendesse nel cielo terso. Il ricordo degli occhi
del prete
non l’avevano mai abbandonata e ogni notte tornavano vivi nei
suoi incubi. La
rincorrevano, la incalzavano, la scrutavano famelici come degli
avvoltoi che
osservano un animale agonizzante. Sua! Il prete voleva che lei fosse
sua! Ma la
fanciulla aveva preferito la morte, piuttosto che appartenere ad un
mostro
simile!
Giunta
finalmente sul
piazzale antistante Notre-Dame, quei pensieri l’abbandonarono
in un istante. Si
guardò smarrita intorno, rannicchiandosi ancora di
più sotto la mantella, quasi
a volerci sparire dentro, mentre il suo sguardo notava chiazze
rossastre
macchiare la strada, là dove la maggior parte del popolo
della Corte dei
Miracoli aveva trovato la morte.
La Esmeralda
mosse un
passo e poi un altro ancora e a piedi nudi camminò fra
detriti, pezzi di legno
e qualche ferraglia arrugginita (forse ciò che restava di
un’armatura?) sparsa
qui e là. Uno stormo di colombe si alzò in volo
poco distante da lei e il
frullo d’ali riempì il silenzio che avvolgeva la
piazza.
La zingarella si
fece
coraggio e, preso un profondo respiro, annullò la distanza
che la separava dal
sagrato della chiesa e si accostò al portone. Ne spinse la
pesante anta, che
cigolò sinistramente, e in un passo fu dentro.
L’immensità
della navata
centrale quasi la schiacciò, con le immense volte a crociera
e le imponenti
colonne che sorreggevano il soffitto. L’aria era quasi fredda
e solo un timido
raggio di Sole tagliava in due le ombre che incombevano in ogni angolo,
donando
alla cattedrale una sembianza quasi spettrale.
Il silenzio era
un rombo
assordante.
Un’ombra
improvvisa si
proiettò fra le colonne, gigantesca e lugubre, facendola
sobbalzare dallo
spavento.
“Il
prete! Oh Dio!”.
La Esmeralda si
attorcigliò il mantello intorno al corpo e corse via,
là dove sapeva avrebbe
trovato una porticina ben nascosta e che nessuno – a parte il
campanaro, unica
vera anima di quel luogo – conosceva. La aprì con
urgenza e vi sgusciò
all’interno, alzando subito gli occhi sulla gradinata a
chiocciola che
conduceva in alto e pareva sparire nell’ombra.
- Quasimodo?
“Che
sciocca!” si disse
subito, battendosi una mano sulla fronte pallida, “è
sordo, non può sentirmi! Se solo avessi
ancora con me il suo fischietto!”.
La zingarella
gettò uno
sguardo tutt’intorno e, raccolto il coraggio a due mani,
prese a salire. Ad
ogni passo, un tragico ricordo le tornava alla mente e le faceva
battere forte
il cuore. Si ritrovò a rabbrividire, senza sapere se a causa
degli spifferi che
le mordevano la pelle o per le mille emozioni che le si agitavano nel
petto.
Le immagini di
quella
tragica notte la fecero piangere, tanto che dovette fermarsi per
asciugarsi gli
occhi e riprendere fiato. Se ripensava all’impegno e alla
furia con cui
Quasimodo l’aveva difesa, non poteva che perdonarlo per aver
ucciso i suoi
compagni della Corte dei Miracoli. In fondo, quel povero diavolo, non
poteva
sapere né capire che Clopin e gli altri erano lì
per liberarla!
All’improvviso,
le
campane iniziarono a suonare.
I loro strepiti
fecero
tremare le scale di legno e le pareti stesse. Le riecheggiarono nelle
orecchie,
la stordirono e l’emozionarono al tempo stesso.
La Esmeralda
sollevò di
nuovo il capo e finalmente seppe dove doveva andare, dove di certo
avrebbe
trovato il suo caro amico.
Salì
i gradini due a due,
con il fiato corto che le raschiava il petto e il sudore che le
imperlava la
fronte. Giunse in cima alla torre ansando e barcollando, restando
immobile ad
ammirare la danza delle campane, che si muovevano
all’unisono, alternandosi nel
ciondolare a destra e a sinistra. Nonostante il frastuono, era uno
spettacolo
di mirabile bellezza.
E, infine, lo
vide.
Quasimodo, deforme e mesto, dirigeva quel concerto con maestria e
dedizione, al
pari del più abile direttore d’orchestra. Si
muoveva con forza, i suoi muscoli
si gonfiavano, il suo corpo si tendeva e assecondava il moto agile e
possente
delle campane, quasi suonasse con loro.
La Esmeralda si
avvicinò
cauta e scoprì il capo, immergendosi in un raggio di Sole
che penetrava delle
ampie finestre. Rimase immobile alle spalle del campanaro, in attesa
che
concludesse il concerto, che potesse finalmente volgersi e vedere che,
sì,
stava bene e che era tornata da lui. Rimase lì, immersa
nella luce, con i
capelli corvini che rilucevano di infiniti riflessi bluastri, con la
pelle
d’ambra che pareva aver riacquistato lo splendore di un tempo.
Pian piano le
campane
tacquero e si arrestarono l’una dopo l’altra,
maestose e venerande, facendo
tremare nell’aria il loro ultimo canto.
E alla fine,
anche
Quasimodo si arrestò e si volse, balzando
all’indietro con il terrore riflesso
nell’unico occhio che aveva.
- Un fantasma! – esclamò – è
forse giunta la mia ora?
La Esmeralda
scosse il
capo e avanzò verso di lui, ricacciando indietro il disgusto
che provava per il
suo aspetto e guardandolo con la stessa dolcezza con cui si guarda il
più dolce
degli amici.
- No, non sono un fantasma né è giunta la tua ora
– scandì lentamente, affinché
lui potesse capirla.
A quel punto,
Quasimodo
cadde sulle ginocchia sbilenche e scoppiò il lacrime. Il suo
volto divenne
paonazzo e le mani corsero a strapparsi i pochi ciuffi di capelli che
aveva sul
capo.
- Tu sei morta! Ti ho vista mentre ti impiccavano! – piangeva
disperato – no,
no! Questa è un’illusione, un sogno...! Il mio
Padrone si sta vendicando per il
suo assassinio!
La zingarella
trasalì e
il suo animo venne pervaso da un fremito di gioia. Il prete era morto?
Non
riusciva a crederci! Il suo incubo era davvero finito? Non aveva
più nulla da
temere?
S’inginocchiò
davanti al
campanaro e gli strinse una mano fra le sue, portandosela sulla guancia
di pesca.
Si guardarono negli occhi e lei gli sorrise ancora una volta.
- Vedi? – gli disse – sono viva quanto te! Quella
che hai visto morire non ero
io, ma la mia mamma appena ritrovata...
- Tua madre?
- Sì. Si è fatta impiccare al posto mio solo per
salvarmi!
- Ma io credevo che...
La Esmeralda
allungò una
mano e gli carezzò la parte di viso che più era
deforme, con delicatezza.
Quasimodo socchiuse l’occhio e si beò di quel
contatto tanto insperato.
- Hai ucciso il prete malvagio per me? – gli chiese infine,
quando la guardò di
nuovo.
- Sì – le rispose – mentre vedeva la
figura bianca morire, lui rideva! Rideva
della tua morte! E allora io l’ho spinto di sotto e
l’ho ucciso!
- Grazie, dolce amico – e lo baciò sulle labbra
dischiuse, timidamente – grazie
di tutto.
Quasimodo mosse
le mani
verso di lei, ma non la sfiorò. Il suo occhio riprese a
piangere.
- Sarò sempre tuo amico – le disse e dalla tasca
delle brache estrasse il
fischietto che le aveva donato un tempo e glielo porse come se fosse un
tesoro
prezioso – portalo con te, così se avrai bisogno
di me potrò udirti. Giuro che
ti difenderò sempre, mia bella fanciulla. Permettimi di
essere il tuo servo!
La
zingarella prese
l’oggetto e se lo strinse al petto, sorridendo.
-
Non un servo – rispose – ma un amico, Quasimodo. Un
caro e amato amico...
Angolino
dell’autrice:
Ciao a tutti!
È la
prima volta che
scrivo in questo fandom e spero che come “esordio”
non lasci troppo a desiderare.
Che dire? Ho
immaginato
un finale alternativo per Notre-Dame de Paris. Un finale in cui
Esmeralda si
salva grazie al sacrificio di sua madre e in cui torna
dall’unica persona che
davvero l’ha amata: Quasimodo.
Non sono
assolutamente
all’altezza di Hugo, ma spero che abbiate apprezzato
ugualmente la mia piccola
e senza pretese one-shot.
Elly