Come and take a walk on the wild side
Let me kiss you hard in the pouring rain
You like your girls insane
Choose your last words
This is the last time
Cause you and I, we were born to die
“Born to
Die” - Lana Del Rey
Capitolo 1 – Un nuovo inizio
Era
una piovosa mattinata di inizio autunno a Forks,
quando aprii gli occhi.
Infastidita,
li richiusi; non era una novità che in questa cittadina dimenticata da Dio
piovesse: era così per circa il novanta percento del tempo. Durante l’altro
dieci percento, invece, un timido sole si affacciava tra le nubi comunque
onnipresenti.
Certo,
come mi ricordava quotidianamente mio fratello Charlie, era il posto perfetto
per due vampiri in fuga come, del resto, eravamo noi. Sebbene io e lui
appartenessimo ad un clan che non aveva le stesse caratteristiche fisiche di
tutti gli altri vampiri dispersi nel mondo, anche la nostra pelle scintillava
come se fosse stata ricoperta di diamanti, se illuminata dalla luce del sole.
Io
e Charlie appartenevamo ad una “famiglia” di vampiri russi e, fino a una
settimana prima, eravamo nascosti in una cittadina sulle coste della
California, dove ci confondevamo facilmente coi turisti. Eravamo rimasti lì per
un bel po’ di anni perché ci eravamo accorti che, stranamente, nessuno faceva
assolutamente caso alla nostra pelle scintillante.
Il
clan era composto da cinque membri, quattro femmine e un maschio: mia sorella Juno, la capostipite (che era l’unica di noi ad essere
realmente di origine russa ed era colei che ci aveva trasformate tutte per
salvarci la vita; parlo al femminile perché fui io a trasformare Charlie, il
nostro fratello più giovane) era bellissima, silenziosa, saggia e pacata, ed
era nata intorno al 1500. Cosi tanto tempo fa che nemmeno lei ricordava l’anno
esatto. Violet, nata alla fine del 1700 era la
“secondogenita” in ordine di trasformazione, ed era un’artista; Lina, nata nel
1752 era, invece, la terza in ordine di trasformazione, ed era la più socievole
e mondana di tutte (l’unica che si sentisse ancora piena di vita e vicina agli
esseri umani). Charlie, invece, era l’ultimo.
Come
si può facilmente intuire, non eravamo realmente fratelli, piuttosto un gruppo
di sbandati che la vita aveva messo insieme per sostenerci a vicenda, ma
eravamo talmente legati gli uni agli altri che ci comportavamo come una vera
famiglia.
In
California, purtroppo, io e Charlie scoprimmo di essere in pericolo per motivi
che vi dirò più avanti, quindi fummo costretti a scappare dall’altra parte del
continente. Scegliemmo Forks perché sapevamo che vi
era nascosta un’altra famiglia di vampiri, i Cullen,
che erano perfettamente integrati nella società. Vista la situazione, ci sembrò
appropriato concederci l’opportunità di chiedere il loro aiuto.
Io
e Charlie avevamo preso in affitto una casetta bi piano: le nostre tre sorelle
erano ancora in California a chiudere tutti i nostri affari e a far perdere le
nostre tracce, ma ci avrebbero presto raggiunto.
Io
e Charlie dovevamo tenere il profilo più basso possibile e cercare di entrare
in contatto coi Cullen, di cui sapevamo soltanto
l’esistenza.
Io
e mio fratello eravamo speciali, non eravamo come gli altri vampiri. Avevamo
dei poteri sovrannaturali.
Charlie
era una specie di divinatore: poteva vedere, se si concentrava, quello che le
persone stavano facendo e il luogo esatto in cui erano. Io invece ero in grado,
il più delle volte, di penetrare nella testa delle persone e convincerle fare
quello che volevo io. Era un potere che, però, mi aveva sempre spaventato,
tanto che lo usavo solo in casi di emergenza, come quello che si presentò il
secondo giorno che eravamo a Forks.
Fu
l’unico episodio spiacevole dei primi tempi e fu la visita della polizia a casa
nostra: un certo ispettore Swan non capiva come una
sedicenne e un diciassettenne potessero vivere da soli senza un lavoro.
Fui
costretta ad usare le mie abilità, per convincerlo che non c’era niente di
strano in tutto ciò, ma lo convinsi ad aiutarmi a cercare un lavoro per me e
mio fratello: la gente parlava e sarebbe diventato un po’ impegnativo utilizzare
i miei poteri su tutti e tremila gli abitanti di Forks.
Io
trovai lavoro come commessa in un piccolo supermercato in centro, mentre
Charlie trovò lavoro come aiutante in un negozio di articoli sportivi piuttosto
famoso, dove fece amicizia con Mike, il figlio dei proprietari.
Ricordo
ancora come i genitori di Mike praticamente ci adottarono, quando scoprirono
che al momento abitavamo soli (non vedevo l’ora che arrivassero le mie sorelle,
che sembravano tutte più grandi di me e Charlie, per cominciare a dare meno
nell’occhio): però erano persone talmente piacevoli che, spesso, nel dopo cena,
stavamo da loro.
Mike
si affezionò subito a me e a Charlie, anche se dopo qualche giorno mi accorsi
che mi guardava con aria da pesce lesso. Mi sforzai di tenere un po’ le
distanze.
Mentre
continuavo a ripensare all’ultima settimana, mi alzai dal letto: noi vampiri
non avevamo bisogno di dormire, ma fingere di farlo era una delle poche cose
che mi aiutassero a preservare una certa integrità mentale. Avevo bisogno di
sentirmi ancora umana, per certi versi.
“Ray!”
Urlò una voce maschile dal piano di sotto. Un secondo dopo sentii bussare. “Sei
pronta? Tra un quarto d’ora si parte.”
Mio
fratello era stranamente eccitato al pensiero che oggi fosse il nostro primo
giorno di scuola, fatto che a me lasciava totalmente indifferente.
“Scendo
tra dieci minuti.” Risposi alla porta. Non lo sentii scendere, ma sapevo che se
ne era andato: per quanta confidenza avessimo, Charlie era molto rispettoso nei
confronti miei e dei dei miei spazi.
Sospirai
e aprii la mia nuova cabina armadio bianca: adoravo i vestiti e le scarpe e ne
avevo tantissimi, però ero anche molto ordinata.
Visto
che fuori era freddo, scelsi un maglioncino grigio perla da abbinare ad una
gonna di jeans nera, con collant, stivali e cintura coordinati. Presi il mio
vecchio giubbotto di pelle (l’avevo comprato negli anni ’70, quando avevano
cominciato ad andare di moda) e mi avvicinai alla specchiera.
Mentre
mi truccavo, notai che ancora faticavo a osservarmi a lungo: per quanto fosse
bellissimo, odiavo il mio aspetto da vampira. Odiavo essere una vampira, punto.
Spazzolai
i miei lunghi capelli castano caramello e aggiustai la frangia; sotto le
sopracciglia sottili brillavano due grandi occhi color azzurro acceso, un
colore intenso e impossibile da trovare in natura. Misi un lucidalabbra rosa e
sospirai.
Raggiunsi
Charlie al piano di sotto. Lui capì il mio stato d’animo e mi abbracciò: era
meraviglioso avere a fianco qualcuno come lui.
Salimmo
sulla mia macchina, una Citroen C1 rossa sfavillante.
La
strada sembrava un fiume, ma la mia macchinina procedeva sicura. I
tergicristalli erano in azione, e il loro movimento ritmico sembrava aver
catturato Charlie, che guardava avanti con occhi vuoti.
“Che
hai?” Gli chiesi, affettuosa.
“Nonostante
tutti questi anni, ancora non so bene come comportarmi con le ragazze che ci
provano con me. Lo so che è un pensiero stupido…
forse non sono fatto per essere un vampiro.”
“Chi
di noi lo è?” Mormorai, cupa.
Era
impossibile non restare fulminati dal bellissimo aspetto di mio fratello: era
un ragazzo molto alto e forte, con un fisico asciutto da nuotatore, spalle
larghe e vita stretta, gambe muscolose. I capelli erano bruni e un po’ lunghi,
ma ben tenuti e sempre perfettamente puliti. Gli occhi erano azzurro acquamarina
come i miei: erano il segno distintivo dei vampiri russi. Diventavano rossi
soltanto quando eravamo in preda a forti emozioni, come la rabbia. In confronto
io, che ero bassina e sottile, sembravo minuscola.
Nel
frattempo eravamo arrivati a scuola. Aveva smesso di piovere e l’umidità stava
cominciando a salire.
Mi
infilai nel parcheggio della scuola e mi guardai intorno in cerca di un
posteggio. Charlie mi indicò un buco libero in mezzo a due macchine grigie e
vecchiotte. In quel posto tutti quanti avevano macchine vecchie e anonime,
quindi la mia C1 rossa fece girare parecchie teste.
“Ehi, ma quello è l’unico parcheggio!”
Esclamai. “E quel tipo sta per fregarcelo!”
Mi
riferivo al guidatore di una splendida Volvo nera (una macchina talmente bella
da sembrare inverosimile), che aveva già iniziato la manovra.
Charlie
considerò :“Qualcosa mi dice che dovremo parcheggiarci fuori di qui…”
“Qualcosa
mi dice che sarà lui a parcheggiarsi fuori dalle scatole.” Ribattei, agguerrita.
Mi
avvicinai e mi affiancai a lui. Non appena lo vidi rimasi senza fiato: era un
vampiro come noi, ed era bellissimo. C’era una ragazza con i capelli neri
seduta sul sedile del passeggero, e mi guardava perplessa. Non riuscii a capire
se era umana o meno.
Battei
le lunghe ciglia scure e gli dissi con voce vellutata :“Scusami, ma credo che
tu abbia forato. Hai una gomma un po’ a terra.”
Il
ragazzo mi guardò con aria interrogativa e si sporse per guardare, giusto per
farmi contenta.
Approfittando
della sua distrazione mi infilai velocissima nell’unico parcheggio vuoto in
tutta la piazzetta.
Scoppiai
a ridere, mentre Charlie e l’altro vampiro mi guardavano allibiti.
“Che
sciocco, c’è cascato.” Commentai uscendo dalla macchina.
Mio
fratello mi guardò e si passò la mano sugli occhi, prendendo il suo zaino nero
e infilandoselo in spalla. Il vampiro in questione era già sparito e la cosa un
po’ mi sollevava: spesso, purtroppo, ero un po’ dispettosa e avventata.
“Non
ti dico cos’ha detto, quando gli hai soffiato il parcheggio sotto il naso.”
Sospirò. “Delle cose volgarissime.”
“E’
solo uno stupido parcheggio, perché farla tanto lunga?” Dissi, camminando verso
l’edificio scolastico.
Charlie
mi affiancò subito con la sua mole imponente e mi disse, sarcastico :“L’hai
soltanto fatto fesso davanti a tutti, chi se la prenderebbe mai per una cosa
del genere?”
Prima
del suono della campanella ci dirigemmo verso la segreteria, ed io sperai
segretamente di non rivedere presto il
vampiro sconosciuto.
Charlie
ed io entrammo in segreteria, una grossa stanza rettangolare più lunga che
larga con delle grosse finestre chiuse da tapparelle grigie. La luce giallastra
che dominava l’ambiente donava riflessi sgradevoli, quasi malaticci sulla pelle
delle persone. Nonostante fuori ci fossero circa sei gradi, un grosso
ventilatore biancastro era acceso sul bancone e girava con un ritmo ipnotico,
diffondendo aria.
Non
appena una segretaria passò davanti al getto, il suo delizioso profumo stuzzicò
le nostre narici. Smisi all’istante di respirare, ma Charlie non mi imitò. Vidi
i suoi occhi tingersi di cremisi, mentre arricciava le labbra scoprendo i
denti.
Cominciai
a sudare freddo, così gli sibilai senza quasi muovere le labbra :“Cazzo
Charlie, no!”
Gli
stritolai un braccio e lui, con un gemito, riacquistò il controllo. Con un
sospiro, gli occhi riassunsero il loro naturale colore azzurrino.
Mi
avvicinai alla segretaria che, intenta com’era a riordinare dei fogli, non si
era accorta di nulla ed esibii un sorriso dolcissimo e innocente.
La
donna pienotta di colore, all’incirca sulla cinquantina, mi sorrise a sua volta
e mi chiese :“Di cos’hai bisogno, cara?”
“Per
me e mio fratello questo è il primo anno in questa scuola. Ci hanno detto che
avremmo avuto bisogno di moduli da far firmare ai professori.”
“Certo,
certo.” Rispose la donna, e frugò tra i fogli che stava riordinando al momento
del nostro ingresso. Ne estrasse due e li posò sul ripiano di legno consunto
del bancone.
Feci
cenno a Charlie di avvicinarsi e insieme ascoltammo quello che avremmo dovuto
fare.
Con
una penna, la segretaria ci mostrò quello che dovevamo compilare e gli spazi
destinati alle firme dei professori.
Una
volta fuori dalla segreteria decisi di non fare scenate a Charlie: la sua
espressione rammaricata era più che sufficiente a farmi capire che stava già
pensando da se a darsi dello stupido per l’episodio di poco prima.
“Ci
vediamo a pranzo.” Gli dissi e, dopo averlo salutato con un bacino sulla
guancia, mi diressi in classe.
*
* *
La
prima lezione della giornata era matematica. Mi lasciai sfuggire un gemito:
nonostante studiassi quella materia da secoli, continuavo a odiarla.
Borbottai
qualcosa di incomprensibile e corsi per non arrivare in ritardo. Ovviamente
cercai di… limitare la mia velocità. Guai se gli
umani avessero sospettato dell’esistenza di noi vampiri: i Volturi, i
leggendari vampiri italiani, ci avrebbero rintracciati e uccisi. Non potevamo
scappare.
I
miei pensieri furono interrotti dal suono della seconda campana, il cui suono
mi fece quasi saltare dallo spavento. Scossi la testa. Perché preoccuparsi tanto, Ray? È solo uno dei tantissimi primi giorni
di scuola. La solita, secolare seccatura. Mi dissi.
Nella
mia testa, maledissi Juno e Violet,
che avevano l’aspetto di universitarie. Solo Lina e Charlie, oltre a me,
sembravano dei ragazzi.
Non
appena feci il mio ingresso nell’aula, notai che i miei compagni di classe
erano ancora in piedi e ridevano come pazzi, lanciandosi battute idiote. Il mio
aspetto etereo e magnifico da top model fece
ammutolire la maggior parte dei miei compagni, i maschi dall’ammirazione, le
femmine da quella che sembrava semplicemente invidia.
Se
avessi avuto ancora il sangue a scorrermi nelle vene, sarei arrossita, ma visto
che non era così, camminai a testa alta fino al secondo banco vicino alla
finestra. Ignorai totalmente il mio compagno, non lo guardai nemmeno in faccia.
Il
mormorio che regnava nell’aula fu bruscamente interrotto dall’entrata del
professore, quindi tutti si diressero ubbidientemente al loro posto.
A
quel punto mi alzai e consegnai il modulo al mio professore, un uomo dall’aria
stramba ma simpatica, che firmò e mi presentò ufficialmente ai miei nuovi
compagni.
Mentre
tornavo a sedermi, vidi il ragazzo seduto al mio fianco e ci volle tutto il mio
autocontrollo da vampira per rimanere impassibile: era il giovane a cui avevo
fregato il parcheggio, il vampiro!
Era
lì, seduto, anzi stravaccato sulla sedia e mi fissava con due immensi occhi
dorati. Stava studiando la mia reazione. Sapeva che l’avevo smascherato,
proprio come lui aveva smascherato me. Mi sedetti in silenzio, cauta.
La
lezione iniziò, ma il vampiro al mio fianco continuava a fissarmi. Feci un
respiro profondo, e il delizioso aroma umano mi solleticò le narici.
“Ti
ci abituerai.” Considerò lui. Aveva una voce adorabile, amichevole.
Lo
guardai e mi sorrise, rivelando i lucidi canini appuntiti. “Mi chiamo Alessio Cullen, ma chiamami Alex.” Fece.
“Ah,
sei un Cullen.” Osservai affascinata e sollevata al
tempo stesso. Bella famiglia, i Cullen. Erano tra i
pochi vampiri esistenti – oltre a me, Charlie e le nostre tre sorelle in
California - ad aver adottato una dieta “vegetariana”, rinunciando al sangue
umano per quello animale. Però, non ricordavo membri di nome Alex… Forse era un neonato. Eppure non sembrava giovane e
incontrollabile, e nei suoi occhi non c’era traccia di rosso…
Ero
sollevata per il semplice fatto che trovare i Cullen
era stato più facile del previsto: in un certo senso loro avevano trovato noi.
“Tu
invece sei…?” Mi chiese Alex. Solo in quel momento mi
accorsi che lo stavo ignorando da un po’, immersa com’ero nei miei pensieri.
“Ops, scusa. Mi chiamo Ray Burns.”
“Ray?”
Chiese lui, scettico. “E’ il tuo vero nome?”
“Ovviamente
no.” Sospirai io. “Il mio vero nome è Ember Rose, ma
è stato molto tempo fa. Secoli fa.
Ormai sono Ray e basta.”
Alex
aprì bocca, probabilmente per proseguire il dialogo, ma lo incenerii con gli
occhi lampeggianti di rosso. Ci mancò poco che mi mettessi a ringhiare.
“Una
Burns…” Rifletté allora, cambiando prudentemente
discorso. “Uno dei clan del nord.”
“Clan.”
Ridacchiai, mentre la tensione dentro di me si allentava. “Siamo solo in
cinque. Io e mio fratello Charlie siamo qui. Le altre sono rimaste in
California.”
“E’
pur sempre un clan.” Sorrise gentilmente lui.
Stava
per dirmi dell’altro quando il professore gli intimò di stare zitto e di
seguire la lezione.
“Come
mai non prendete appunti? La matematica non ha più misteri per voi giovani
geni?” Sbottò il professore, lanciandoci un’occhiata obliqua.
In effetti no,
pensai, ma mi scusai e presi il mio quaderno rosso dalla borsa: non valeva la
pena di farsi inquadrare male dai professori fin dal primo giorno.
“Parliamo
dopo.” Fece Alex in un soffio, tanto che lo sentii appena. Annuii e mi limitai
a seguire la lezione.
Al
suono della campanella tutti schizzammo in piedi quasi contemporaneamente: ci
aspettava letteratura inglese.
Io
presi la mia borsa e feci per avviarmi verso l’uscita, quando Alex, un ragazzo
e una ragazza mi affiancarono.
Sospettosa,
li osservai. Erano vampiri, proprio come me e Alex: sentivo il loro profumo
inebriante e familiare. Le loro intenzioni sembravano benevole. Il ragazzo
posizionato alla mia destra era alto, biondo e bellissimo, con grandi occhi
d’ambra. Sotto la maglietta grigio antracite guizzavano dei pettorali talmente
scolpiti e perfetti da fare invidia a Charlie. Lo splendido volto era contratto
in una smorfia, come se fosse in agonia: evidentemente si tratteneva a stento
da non attaccare i giovani umani che lo circondavano. La femmina invece era
alta quanto me e molto magra. La prima parola che mi venne in mente per
descriverla fu: folletto. Aveva la pelle delicata e le iridi d’oro che
sfavillavano allegramente, mentre i corti capelli corvini erano pettinati alla
bell’e meglio. Niente a che vedere con la mia chioma sempre perfettamente
liscia. La riconobbi all’istante: era lei la vampira seduta nella macchina di
Alex, stamattina.
“Ciao!”
Esclamò questa. “Io mi chiamo Alice, e lui è Jasper – indicò il biondo, che mi
salutò con un cenno della mano-. Immagino che tu abbia già conosciuto nostro
fratello Alex.”
Questi devono essere gli
altri Cullen, mi dissi. “Io mi chiamo
Ray.”
“Sei
una Burns?” Chiese Jasper, sorpreso.
“Sì,
perché?”
Fece
spallucce. “Non sei un po’ lontana da casa?”
“In
effetti, sì.” Risposi, sulla difensiva. “Io e mio fratello siamo qui, ma non
per nostra scelta.”
“Capisco.”
Fece Jasper. “Scusa se mi sono intromesso.”
“Non
preoccuparti.”
Alex
mi si parò davanti e mi chiese, scrutandomi con i grandi occhi aurei :“Pranzi
con noi dopo?”
“Non
lo so…” Risposi, cauta. “Non sono da sola, devo
chiedere prima a mio fratello. Ma non preoccuparti, sono sicura che sarà
d’accordo!”
“Assolutamente
no!”
“Andiamo,
Charlie! Sono come noi!”
“Non
mi importa, Ray. Potrebbero tradirci!”
“Sei
sempre il solito paranoico!”
“E
tu ti fidi troppo!”
Eravamo
all’entrata della mensa. Charlie aveva reagito malissimo all’invito dei Cullen e non voleva che ci unissimo a loro. Ormai, per vari
motivi, temeva ogni vampiro estraneo alla nostra famiglia.
“Se
continui così, non ti farai mai degli amici!” Sbottai, poi abbassai la voce in
un sussurro. “La gente qui potrebbe insospettirsi se ce ne stiamo sempre per i
fatti nostri.”
Silenzio.
“Tu
vai pure dai Cullen, Ray. Io ci penserò. Magari
domani.” Borbottò infine Charlie, e si diresse verso un tavolo vuoto con aria
impettita.
Alla
fine mi sedetti accanto a Alice e una certa Rosalie. Ebbi modo di conoscere,
così, tutti i ragazzi Cullen, oltre ad Alice, Jasper
e Alex.
Rosalie
era una fanciulla più simile a una statua che a un essere umano. Una statua
greca, bellissima e perfetta. Il viso marmoreo era incorniciato da morbidi
capelli color grano che le scendevano sulle spalle e sulla schiena, risaltando
il fisico asciutto. Mi ricordava tantissimo la mia Juno…
Emmett, il ragazzo di
Rosalie, era un ragazzone alto e robusto, con i capelli scuri e ricci e l’aria
simpatica.
Infine
Edward, il minore dei Cullen, era un ragazzo bello da
star male – come i fratelli, del resto – con il viso bianco e fine incorniciato
da una zazzera di capelli color del bronzo, che facevano pendant con gli occhi
dorati comuni alla loro specie di vampiri.
I
Cullen sembravano lieti di aver conosciuto un’altra
vampira, così conversammo piacevolmente per tutto il “pranzo” (sia io sia loro
non avevamo preso niente da mangiare dal bancone).
Mi
girai verso Charlie per vedere cosa stesse combinando e lo vidi camminare verso
la porta della mensa, dove Mike lo stava invitando a unirsi a lui per un caffè.
In
quel momento entrò un gruppo di ragazze del terzo anno con il pranzo tra le
mani; ridevano e scherzavano come matte, dando l’aria di divertirsi un mondo.
Charlie
tentò di oltrepassarle per uscire, ma una delle ragazze, una dai vaporosi ricci
biondi, si voltò improvvisamente per parlare con l’amica dai lunghi capelli
scuri. Risultato, Charlie, per recuperare l’equilibrio, tirò una gomitata a
quest’ultima.
Le
lasagne al sugo di carne che la ragazza reggeva in mano le si rovesciarono
addosso, rovinando la maglietta bianca dall’aria costosa, mentre Charlie
osservava la scena, terrorizzato.
Aggrottai
le sopracciglia: se solo avesse voluto, mio fratello avrebbe potuto afferrare
il piatto di lasagne per evitare l’accaduto, ma sembrava rimasto in qualche modo… stregato.
La
ragazza puntò lo sguardo accusatore contro mio fratello. “Tu!” Gli urlò,
puntandogli il dito contro. “Hai idea di quanto costasse questa maglietta?!
Dio, ma perché la gente non sta mai attenta?!” Detto questo si voltò e se ne
andò, furiosa.
Charlie
rimase fermo come un baccalà: per tutto il monologo non aveva fatto altro che
fissare la ragazza con sguardo da ebete.
Dopo
aver salutato Mike, mio fratello parve dimenticarsi della sua ingiustificata
avversione per i Cullen e si sedette con noi. “Non
era bellissima?” Chiese, serio ma sognante.
Alzai
un sopracciglio. Sì, era una ragazza carina, ma nemmeno troppo. Sentii una
spontanea avversità verso quella ragazza. Non perché mi avesse fatto qualcosa,
ma perché Charlie era palesemente attratto da lei.
Poteva
essere un problema. Mi scusai con gli altri ragazzi, afferrai il mio cellulare
bianco e uscii velocemente dalla mensa. Mentre camminavo verso la porta, un
gruppo di ragazzi si aprì al mio passaggio; ricevetti un bel po’ di fischi e
complimenti, ma li ignorai.
Una
volta fuori, mi sedetti sul bordo della finestra più vicina per stare un po’ in
pace e composi il numero di Juno. Lei era l’unica che
poteva capire la situazione.
Come
sempre, rispose immediatamente :“Pronto?”
“Ciao,
Juno. Sono Ray.”
“Ray!
Dimmi, tesoro, che succede?” Questa era una cosa che adoravo in Juno: seppure apparisse fredda come una statua di ghiaccio,
dedicava sempre qualche parola gentile a noi fratelli.
Sospirai
e mi guardai intorno, circospetta :“Ho paura che Charlie si sia appena preso
una cotta.”
Juno rimase in silenzio
per qualche secondo, poi chiese :“Altri vampiri? Avete incontrato i Cullen?”
“Si,
li abbiamo incontrati, ma non è questo il punto: Charlie si è mezzo invaghito
di un’umana.”
Immaginai
Juno che trasaliva, perché il suo tono si fece
tagliente :“Come? Di già? Accidenti… Come è
successo?”
Le
raccontai brevemente la scenetta e Juno sospirò
:“Ray, capisci cosa devi fare, vero? Siete già abbastanza nei guai coi Volturi.
Non dovete dare nell’occhio.”
Lo
sapevo: non potevamo permetterci di farci notare, men
che meno di implicare la vita di una mortale nella nostra fuga. Se l’avessero
scoperto, avrebbero usato la ragazza per far costituire mio fratello e questo
non poteva, non doveva accadere.
Se
conoscevo bene Charlie, sapevo che prima o poi si sarebbe avvicinato di nuovo
alla ragazza e che, novantanove su cento, si sarebbero innamorati. Dovevo
impedirlo.
“Non
preoccuparti, Juno…” Dissi. “Non si frequenteranno,
te lo prometto.”
“Brava,
Ray. I Volturi sono dei gran bastardi.” Convenne mia sorella, seppur a
malincuore. Nemmeno io ero contenta di fare la guastafeste, ma la felicità e la
sicurezza della mia famiglia stavano prima di tutto; non volevo che Charlie si
rovinasse la vita per una ragazza mortale.
Juno mi comprendeva
perché, da quanto avevo inteso negli ultimi decenni, anche lei in Russia aveva
passato molti guai per un amore proibito. Non volevo che mio fratello soffrisse
come Juno…