Film > X-men (film)
Ricorda la storia  |      
Autore: Elphie94    17/06/2016    5 recensioni
[Post Apocalypse] [Spoiler per chi non ha ancora visto il film.]
Per la prima volta, Jean Grey non voleva consolare un altro essere umano, un mutante come lei. Un ragazzo che aveva sofferto. Perché sapeva di tradimento. Non quando non riusciva a consolare… lui.
Jean si morse un labbro per inghiottire le lacrime. Era in tutti i suoi sogni e non l'avrebbe mai saputo. Non l'avrebbe mai saputo.

La giovane Fenice e un amore non ricambiato, custodito solo nei sogni.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Jean Grey/Fenice
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

in dreams he came.

 

Una bolgia di fuoco la conteneva. Lei e il suo potere – un'incontrollabile sfera di energia che le pulsava dentro con la forza di mille soli. Si svegliò di soprassalto, mentre qualcosa la lacerava dall'interno. La notte aveva denti e artigli. Il cuore le palpitò nel petto ansante. Si guardò intorno, per un attimo persa nel buio.
Jean…
Sbatté le palpebre. L'aveva già sentita.
Professore.
La giovane si puntellò sui gomiti e si deterse la fronte imperlata di sudore. Dopo qualche minuto, puntualmente, Charles Xavier bussò alla sua porta. Entrò dall'uscio che Jean lasciava sempre socchiuso per lui, gli occhi azzurri brillanti nel buio.
«Posso?»
Jean si lasciò sfuggire un piccolo sorriso, un lampo di sole sul suo volto grazioso.
«Lo chiedi sempre, come se servisse.»
Lui le si accostò, trascinandosi sulla sedia a rotelle. Jean si chiese se essere costretti su quell'affare fosse simile ad essere intrappolati nella tela di ragno della propria mente. Una sensazione che le era familiare – la sua paura più infida.
«Il solito incubo?» chiese lui in tono gentile. Sapeva di cosa si trattava. Gliene aveva già parlato, in passato. A lui, e a lui soltanto.
Lei annuì, tremante verga a verga. Era lo stesso di sempre: la fine del mondo… per mano sua.
«Jean, è solo la tua paura che ti tradisce.» Lui le prese una mano tra le sue, calde e affusolate e infinitamente accoglienti. Tu non mi ucciderai, disse un riverbero nella sua mente.
Jean Grey scostò lo sguardo per un attimo, troppo vergognosa per sostenere quello del suo mentore. Il dubbio le strinse il cuore come un laccio.
Come puoi esserne sicuro?
Lo guardò, questa volta, lo guardò per davvero. Aveva gli occhi cerchiati da ombre scure, imprendibili, e un volto pallido, quasi trasparente. Così diverso dall'uomo che conosceva un tempo. Senza capelli e senza colore. Il luccichio negli occhi, tuttavia, rimaneva lo stesso.
La guerra con Apocalisse aveva trasformato anche lui – forse più di tutti. Più di Pietro e la sua solitudine, più di Scott e la sua mancanza, più di Erik e il suo dolore.
Per la prima volta si sentì nuda sotto il suo sguardo, malgrado la maglietta che indossava a coprirle le membra rigide, incollata alla pelle. Come aveva detto Mistica – ossia Raven? Siete X–Men, adesso. Siete guerrieri. Nessuno a parte lui sapeva che lei più di ogni altro diventava guerriera di notte, quando di solito i demoni altrui andavano a riposare.
E, più di tutti, la sua angoscia lo attirava. Jean questo lo sapeva: era il fondamento di una conversazione tra telepati. Sapevano cose l'uno dell'altra, sapevano raggiungere pensieri che ad altri erano impercettibili. E i suoi pensieri la spaventavano: perché in ognuno di loro, soprattutto quando calava la notte, dominava la presenza di lui. Involuta, eppure inossidabile.
«Come lo sai?» ripeté ad alta voce. Ho paura.
Charles Xavier le sorrise piano e le pose una mano sul capo. Un gesto paterno che eppure non calmò la tempesta che era in lei.
Non sei mio padre.
Lo so, disse la voce del professore nella sua testa, ma se lo fossi mi daresti maggiormente retta?
«Lo faccio comunque» obiettò lei alla gentile domanda. Lui scosse il capo – sempre così paterno, era quasi irritante, lei voleva che la divorasse con gli occhi, non che la annegasse nel loro blu oltremare – e le sistemò una ciocca di lunghi capelli infuocati dietro un orecchio.
«Dormi, Jean. E fai buoni sogni.»
Un sospiro nel buio.
«Resterai qui con me?»
«Fin quando lo vorrai.»
Lei sorrise debolmente e si rannicchiò su un fianco, rilassandosi al contatto della mano di lui che riscaldava la sua, tra le lenzuola umide di sudore freddo – e sapeva che non avrebbe dovuto sentirsi così bene, così avida di maggiore vicinanza, così pulsante di vita solo e soltanto con lui, ma…
Si addormentò sperando che lui non avesse percepito questi ultimi pensieri, ardenti come fuoco nelle sue vene.  

 

«D'accordo, ragazzi. Consegna del tema su 1984 e la distopia orwelliana mercoledì prossimo. Mi raccomando, voglio la vostra opinione a proposito. È la cosa più importante.»

Il caos che seguiva sempre la fine di una lezione fece sorridere Charles Xavier, e Jean lo osservò seduta al suo posto, intenta a rimettere in ordine le proprie cose nella cartella sbrindellata. Appariva più magro del solito, e quella notte non aveva dormito, era chiaro. Era rimasto a vegliare su di lei e il suo sonno inquieto. Si sentì in colpa per questo.

Jubilee le fece cenno di seguirla, ma Jean scosse il capo. «Aspettami fuori. Solo due minuti» sussurrò all'amica, che annuì, solo leggermente perplessa. Guardò l'aula svuotarsi – e non era la loro aula, non ancora, ma lei ed Erik Lensherr e tutti quanti si stavano impegnando davvero tanto nel ricostruire la scuola e riportarla agli antichi albori. Il professore si passò una mano sulla testa glabra.

«Non stai male così» lo rassicurò Jean, facendosi sentire una volta che erano rimasti soli.

«Non mentire, Jean» rispose lui con un sorriso.

Anche lei sorrise, ma solo per poco.

«Sei stanco.»

«Hai grandi capacità d'osservazione.»

«É colpa mia. Questa notte…» abbassò il tono di voce – se qualcuno li avesse sentiti, avrebbe potuto fraintendere la purezza del loro rapporto, e Jean tremava al pensiero – «… dovresti riposare di più. Non badare a me come fossi una bambina.» Aveva combattuto e vinto in una guerra. No, non era una bambina.

«Non è un disturbo, Jean. Non preoccuparti.»

Jean si strinse la cartella al seno da adolescente. Odiava – e allo stesso tempo amava – quando la guardava così, con tanta gentilezza. La faceva sentire nuda. La faceva sentire la bambinetta coi denti storti che era stata un tempo – quando lui l'aveva portata nella sua scuola, rassicurante come sempre, sette anni prima. Quando le aveva stretto per la prima volta la mano, sussurrandole nella mente, come in un sogno: Non sei sola.

Aveva mantenuto la promessa. Non lo era mai stata in tutti quegli anni, malgrado non fosse mai stata brava a farsi degli amici. Ma ora aveva Kurt, Jubilee, Scott… Scott, che la guardava dietro quegli occhiali impenetrabili, e le sorrideva con un calore sconosciuto.

Ma il suo cuore

«Jean» la voce di Xavier interruppe il flusso dei suoi pensieri. «Cosa c'è che non va?»

«La battaglia con Apocalisse ti ha fatto molto male, vero?»

Di nuovo, si sentiva una bambina. Era piccola, così piccola, lui non avrebbe mai potuto…

«Non devi temere per me, Jean. È solo che a volte sono stanco.»

«Neanche tu sei bravo a mentire.»

Lui sorrise. «Sarà perché siamo telepati entrambi. Tu che dici?»

Jean ricambiò il sorriso con un risolino dolce e basso, da adolescente.

«Già.» Solo leggermente esitante, gli si avvicinò, un passo dopo l'altro. Lui si limitava a guardarla, perplesso. Come se già sapesse cosa volesse fare, e fosse rassegnato alla cosa. Rassegnato a non poterla ricambiare. Jean gli accarezzò il viso con un gesto delicatissimo, e dentro sentiva… come un fuoco. Lava nelle viscere. Elettricità sulla pelle.

«Jean…» Lui le afferrò il polso con l'usuale gentilezza, ma era palese che fosse contrito. La fermò con dolcezza, ma anche decisione.

Jean si sentì avvampare.

«Volevo solo…»

«Lo so.» Il professore le sorrise tristemente e le accarezzò il dorso della mano con un pollice. Sempre in quel modo paterno che la faceva impazzire di rabbia.

«Torna dai tuoi amici, Jean. È lì il tuo posto.» Non con un vecchio relitto come me.

Ma io…

Vai.

La giovane deglutì rumorosamente, le gote ancora arrossate come i suoi capelli. Annuì e arretrò, comprendendo i confini dell'altro. Uscì dall'aula senza guardarsi alle spalle.

 

Eppure avrebbe dovuto capire che tutte le barriere tra loro erano state annientate, demolite, bruciate – come fuoco nelle vene – quando era entrata nella sua mente e aveva rilasciato il suo potere, il suo potenziale di energia (ed era enorme, imponente come la sua voglia d'amore, il suo desiderio, il suo –) dentro di lui. Erano stati l'uno nell'altra nel modo più intimo possibile. Non poteva tornare indietro da una cosa simile.

Per lui era così semplice? Si trattava davvero di una cotta infantile di una ragazzina (trecce rosse e denti storti, lui l'avrebbe sempre vista così) per il suo mentore e amico? Queste domande le volteggiavano nella testa, ronzanti come vespe, e pungevano allo stesso modo.

Strinse gli occhi, diretta all'aula del professor McCoy per raggiungere Jubilee. Lì avrebbe trovato anche Kurt, Ororo – la nuovissima arrivata – e Scott, ancora chiuso nel suo lutto. Avrebbe dovuto aiutarlo, ma non sapeva come. Per la prima volta, Jean Grey non voleva consolare un altro essere umano, un mutante come lei. Un ragazzo che aveva sofferto. Perché sapeva di tradimento. Non quando non riusciva a consolare… lui.
Jean si morse un labbro per inghiottire le lacrime. Era in tutti i suoi sogni e non l'avrebbe mai saputo. Non l'avrebbe mai saputo. 

La mente di lui era un santuario per lei. Eppure, non fu sorpresa di sentirne i palpiti agitati fin dalla sua camera. Aveva abbassato gli scudi, quella notte. Forse voleva farsi sentire.
A piedi nudi, camminò tra i corridoi bui e vuoti dell'accademia, raggiungendo la camera del professore dopo qualche minuto. Lo avvisò prima di entrare.
Professore.
Jean… Non dovresti essere qui. Uno spasmo improvviso che la fece tremare. Quanto soffriva… la sua povera mente, dopo l'attacco di Apocalisse, era in fiamme.
Professore, io posso aiutarti. Lasciami entrare. Non sopporto tutto… tutto questo inferno. Riesco a sentirlo, lo sai. E non posso pensare che tu stia soffrendo in questo modo.
Un ultimo sospiro oltre la porta. Jean vi appoggiò l'orecchio, quasi potesse sentire i palpiti del suo cuore attraverso l'uscio chiuso.
Lo percepì abbassare le difese, e solo allora entrò.
Si guardarono attraverso le tenebre. Gli occhi azzurri di lui erano due fari nella notte, spalancati, spaventati. 

«Va tutto bene» sussurrò Jean con dolcezza – la stessa dolcezza che Xavier usava con lei da quando la conosceva. Si sedette al suo capezzale – anche questo, lui lo faceva sempre quando lei veniva scossa da uno dei suoi incubi – e gli prese la mano.

«Non dovresti essere qui. Io sono l'insegnante, tu l'alunna… Dovrei essere io a…»

«Mi hai già aiutata tante volte. Ora è il mio turno, no?» Jean si aprì in un breve sorriso, bianco come neve.

Lui, la schiena poggiata alla testiera del letto, il respiro ansante nel petto, un dolore fisso alle tempie (lei poteva sentirlo, come se si trattasse del suo stesso essere), scosse il capo.

«Non ti rendi conto di quanto tu mi abbia già aiutato. Con Apocalisse… mi hai salvato la vita. Hai salvato il mondo.» Le strinse la mano. «Sono così orgoglioso di te, Jean.»

Sei meravigliosa.

Un pensiero che lui non avrebbe voluto trapelasse, ma la sua mente – la mente del più potente telepate del mondo – era in pezzi, adesso. Schegge sottili di vetro: di questo erano composte le pareti dell'inferno.

Hai preso pieno possesso dei tuoi poteri. E hai ancora molto da esplorare.

Jean era arrossita, compiaciuta – a dir poco: il cuore le danzava in petto dalla gioia.

Non diventerò mai come te.

Il lampo di un sorriso stanco nell'ombra.

Forse è meglio così, Jean. Sii te stessa. Questo basta e avanza.

D'accordo, ma ora smetti di fare il professore, per una volta, e stenditi. Lascia che ti aiuti.

Lui annuì lentamente e, con stupore di Jean e un respiro smorzato, posò la testa sul cuscino. Jean chiuse gli occhi e si concentrò. Anche lui aveva abbassato gli scudi della propria mente, ma lei sentiva che non ce ne sarebbe stato bisogno comunque. Se avesse voluto, avrebbe avuto la forza di entrarvi, e di erigere scudi più alti delle mura della scuola. E lui lo sapeva.

Si fece largo nella sua mente come spuma di mare sulla riva sabbiosa, chiudendo gli occhi. Lui fece lo stesso. D'un tratto non si trovavano più nella stanza da letto di Xavier, ma nel suo studio, precisamente il suo vecchio studio, com'era prima della distruzione della scuola.

Charles si guardò intorno, ponderando la vista che gli si offriva dinanzi agli occhi. Era in piedi – nella sua mente lo era sempre, non aveva bisogno della sedia a rotelle – e i capelli gli cascavano sulla fronte come nella realtà non sarebbe più stato possibile, non dopo Apocalisse.

Davanti a lui, Jean avanzò. Lo approcciò con un andamento lento, felino, quasi fosse attenta a non spaventare una bestiola spaventata. Ma chi era il cacciatore e chi la preda, in quel gioco di sguardi?

Va tutto bene, notò che il petto di lui era ancora ansante, quasi il respiro gli si fosse costretto in gola. Sei salvo. Siamo tutti salvi. Ora puoi stare tranquillo.

Lo strinse tra le braccia, appoggiando con ardore il capo sulla sua spalla. Lui le sfiorò la chioma in fiamme con le labbra.

Jean…

In questo mondo di luci e ombre, irreale eppure solido come un sogno nel cuore, mai davvero dimenticato, Jean poteva fingere… che ci fosse una via per loro, che il ricordo non sarebbe svanito con il trascorrere del tempo. Dalla mente di nessuno di loro due.

Ora poteva sognare alla luce rivelatrice dei suoi pensieri.

Lei sollevò il viso e poggiò la fronte contro quella di lui. Il suo respiro mischiato al suo… Le sembrava di doversi svellere il cuore dal petto per impedire che le esplodesse dentro. Passò le dita delicate tra i suoi capelli castani.

Non permetterò che ti facciano del male, Jean.

È una promessa che spero di mantenere anch'io, ribatté la giovane.

Aprì gli occhi. Quelli azzurri di lui la scavavano dentro. Lo sapeva, doveva saperlo. Doveva sapere che lei…

Le sue labbra erano così vicine… Pochi centimetri, e…

Charles scosse il capo. No, Jean. No.

Perché?

Perché, mi chiedi? Ci sono molte ragioni per cui questo sarebbe sbagliato. Io sono il tuo insegnante, sono molto più vecchio di te, e tu sei… straordinaria, ma…

Ma lui amava un'altra donna. Sì, aveva notato come guardava Moira MacTaggert. E il passato che condividevano.

Entrambi erano in fiamme, e la tentazione di cedere era così subdola e dolce… Lui le premette un dito sulle labbra.

No.

E questo fu tutto.

Con gli occhi lucidi, lei posò un bacio sulla sua fronte accaldata.

Ti voglio bene, Jean.

Io ti amo.

Questo dovette fargli male, dall'espressione sul suo volto. Ma lei sorrise tra le lacrime.

Va bene. Va bene.

Gli baciò la fronte. Lui la strinse forte a sé, forse pentito di quel rifiuto, ma non si sarebbe rimangiato la parola. Era Charles Xavier, e lei lo amava per questo. Guardare lui era come vedersi allo specchio.

Voglio fuoco e fiamme, pensò. E tu sei ghiaccio, e il fumo è il solo figlio del fuoco e del ghiaccio. La loro storia sarebbe stata solo questo: un canto muto.

Con quel bacio sigillò quella memoria nella sua mente. Quando tornarono alla realtà, lui già dormiva. Il mattino dopo non avrebbe rammentato più nulla di quella notte rubata. Tutto sarebbe tornato alla normalità. Per tutti, tranne che per lei.

Distese le labbra alla vista del suo volto finalmente rilassato, dormiente. Gli accarezzò uno zigomo, poi gli sfiorò le labbra con le proprie e gli augurò dolci sogni.

Sapeva che i suoi sarebbero stati tutt'altro che dolci.

 

Quella notte non riuscì a dormire, scottata dal ricordo della sensazione della sua pelle contro la propria. Fuoco e fiamme, pensò. E lei sarebbe stata la fenice a rinascere dalla proprie ceneri. Le ceneri di un amore di ragazza, che da una parte era una potenza in grado di volare e dall'altra ancora la bimba con l'apparecchio e le trecce rosse, spaventata a morte dai suoi poteri. Ma grazie al professore aveva imparato a controllarli, anche se sapeva cosa lui avrebbe detto: è stato tutto merito tuo, Jean.

(Hai salvato il mondo. Sei meravigliosa.)

Si coprì il viso con le mani, tremando, impedendo alle lacrime di rigarle il viso. Anche se ora aveva degli amici, loro non potevano capire la paura di essere divorati dalla propria mente. La paura di cedere alla follia e al male.

Lui sì. Lui lo aveva sempre capito.

 

L'aula si svuotava lentamente. Gli studenti si gettarono la cartella su una spalla, e anche Jean fece per andarsene. Era trascorsa una settimana da quella notte fatale, ma il professore appariva sempre lo stesso. Aveva funzionato, pensò Jean con un sospiro. Non ricordava la sua dichiarazione, il bacio che si erano scambiati.

«Jean.» Lui la fermò prima che oltrepassasse la soglia. La guardava con un sorriso nostalgico che le mise i brividi.

«Il tuo tema su Orwell è davvero… meraviglioso. Complimenti. Penso sia il migliore di tutti. Hai fatto un ottimo lavoro.»

(Sei meravigliosa.)

«Grazie, professore.» Jean sorrise di ricambio, e sperò che la tristezza non trapelasse dai suoi occhi e nemmeno, se è per questo, dai suoi pensieri. Se lo avesse voluto, Charles avrebbe potuto leggerli in qualsiasi momento, e lei era troppo stanca per erigere degli scudi protettivi.

Tuttavia, Charles si limitò a sorriderle in quel modo caldo, paterno, che lei odiava e al contempo amava tanto. Jean gli rivolse un piccolo cenno di saluto e uscì dall'aula.

Sudore gelido le gocciolava lungo la spina vertebrale.

 

Quella notte non udì la sua voce nei sogni, ma in ognuno di questi la sua presenza diveniva ingombrante, maestosa, e cancellava gli incubi.

Jean… Le sembrò di udirlo chiamare telepaticamente il suo nome, in un soffio di pulviscolo. Si rigirò tra le lenzuola, i piccoli pugni che stringevano il cuscino con forza.

Non avrebbe mai smesso di udirlo dentro di lei. Non avrebbe mai smesso di sognarlo.

 

 

Note dell'autrice: Che dire, questa è la prima volta che scrivo una ff sugli X-Men, che eppure adoro, e di certo non pensavo di incentrarla su Jean e il nostro amato professore. L'ispirazione mi ha colta dopo aver visto al cinema X-Men: Apocalisse e non riuscivo a togliermi questa idea dalla testa. Dovevo scriverlo. E invece di studiare per la maturità, butto giù le mie contorte fantasie mentali. Ma brava.

Visto che sono una novellina in questo sito, ricevere recensioni mi dà maggior fiducia in me stessa, quindi recensite anche se negativamente. Se non vi piace il pairing (ovviamente univoco, perlomeno fin quando Jean non compierà diciott'anni!), non leggete, semplicemente. Capisco che qui la Cherik regna sovrana, ed è ovvio: sono una fangirl anch'io. Ma abbiate pietà.

Alla prossima (magari potrò scrivere una Charles x Erik, chi lo sa :D)!

 

P.S. Il titolo e la strofa iniziale sono presi direttamente dalla canzone Phantom of the Opera dell'omonimo musical, per chi volesse saperlo. 

 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > X-men (film) / Vai alla pagina dell'autore: Elphie94