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Autore: bluerose95    20/06/2016    1 recensioni
Anche se non gliel’ho insegnato personalmente, questo l’ha decisamente preso da me¸ pensò Killian, e poté giurare che il suo petto sarebbe scoppiato se quel bambino non avesse smesso di inorgoglirlo. Che scoppiasse pure, anzi, quello era suo figlio, se non doveva scoppiare per lui, per chi altri, allora?
Henry ha sempre vissuto con sua madre a Storybrooke, coccolato e amato da tutti, ma con un vuoto incolmabile nel cuore. Già una volta aveva fatto quella domanda a sua madre, ma quando questa non gli aveva risposto aveva deciso di non chiederglielo più. O almeno così è stato fino a quando non ha trovato una scatola con una foto strappata, un anello, degli spartiti e altre cose che non aveva mai visto in vita sua, sebbene sapesse con certezza a chi appartenessero.
E allora inizia l'Operazione Cigno Bianco, una missione che sconvolgerà nuovamente le vite di Emma e di suo padre, un uomo che non sapeva nemmeno della sua esistenza e aveva creduto che il suo bel cigno fosse volato via nel momento in cui aveva più bisogno di lei.
Perché quando lasciarsi andare è spaventoso, bisogna accettare che l'amore ci guidi verso casa.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5
 
Sentiva ancora le cicatrici di Killian sotto le proprie dita, sembravano averle impresso un marchio indelebile sul palmo della mano. Come aveva fatto a procurarsele? Perché pensava non fosse colpa sua? Che cosa era successo a Liam?
Aveva lasciato che Killian salisse in macchina senza dirgli altro, senza inseguirlo, impotente, sapendo che non avrebbe funzionato, perché lui pensava che lei sapesse. Il problema, però, era che lei non sapeva nulla, e questo lo aveva fatto arrabbiare ancora di più – con lei, con se stesso.
Sentì una mano sulle spalle e trasalì. David non aveva lasciato il suo fianco nemmeno un stante, e lei non poté fare a meno di appoggiarsi a lui come faceva fin da bambina. Le circondò le spalle con il braccio, premendole le labbra sul capo mentre tentava di tenere insieme i frammenti in cui era stato ridotto il suo povero cuore.
«Rientriamo, ti faccio una cioccolata calda,» le mormorò dolcemente mentre la conduceva verso la veranda.
David aveva visto la scena, testimone non solo il dolore di sua figlia, ma anche di quello negli occhi di lui, un dolore che combaciava alla perfezione con quello di Emma e a quello che avrebbe provato lui se sua moglie fosse venuta a mancare.
Aveva sempre saputo che al suo primo amore Emma aveva dato tutto, proprio come sapeva che quell’amore non si era mai spento.
Era forse una maledizione, quella della sua famiglia, perché sembrava che il vero amore li trovasse sempre, o così amava scherzare sua madre quando era ancora in vita, o anche Mary Margaret. Eppure, purtroppo, a Emma non era toccata la stessa sorte, il suo lieto fine era stato distrutto. O almeno così aveva creduto fino a quando Killian Jones non era ricomparso.
David non sapeva che cosa pensare; da una parte avrebbe voluto proteggere la figlia dall’uomo che l’aveva ferita così brutalmente ma che le aveva dato Henry, mentre dall’altra, forse, se anche minima, c’era la possibilità che Emma tornasse la spensierata ragazza che non era più da dieci anni.
Emma andò a sedersi sul divano, lo sguardo perso nel vuoto, nel ricordo del dolore che aveva visto negli occhi di Killian, così profondo e straziante che aveva quasi sopraffatto entrambi. Senza pensarci due volte si allungò verso il tavolo da caffè e prese il laptop che aveva lasciato lì sopra, il suo caso ancora aperto dopo la scomparsa di Henry.
Era brava a trovare le persone, e molto tempo prima aveva trovato anche Killian, sapeva che era ancora a New York nell’appartamento che avevano condiviso, come se non fosse riuscito a lasciarla andare completamente, proprio come lei non era mai riuscita a lasciare andare lui.
Le si strinse il cuore e gli occhi le si riempirono di lacrime mentre digitava con dita tremanti “Liam Jones” nel motore di ricerca. Trovò profili Facebook e Twitter, ma nulla che potesse interessarle, solamente riferimenti comuni perché, al contrario di Killian, Liam era un nome piuttosto comune.
Scorse varie pagine senza leggere davvero le parole fino a quando un link non catturò la sua attenzione. Cliccandoci sopra, venne reindirizzata all’articolo di un di un giornale di New York risalente a sette anni prima.
Iniziò a leggere, lo sguardo incollato allo schermo, talmente concentrata che non sbatteva nemmeno le palpebre mentre le parole incidevano gravi ferite nel suo cuore.
«Emma!»
La voce di David la fece trasalire, quello che aveva appena letto non poteva essere vero. Killian glielo avrebbe detto, Liam era anche suo amico, Liam era… era.
Non riuscì a trattenere le lacrime e si coprì il volto con le mani, provando all’improvviso un dolore atroce, come se le avessero strappato un braccio.
Ma non potevano essersi sbagliati, quella era la nave di Liam, e su quella nave c’era anche Killian, solo un miracolo lo aveva tenuto in vita, o così almeno riportava l’articolo. Le girava la testa e sentì la bile acida sul fondo della gola.
Come aveva potuto essere così stupida? Lui se n’era andato, ma aveva ragione, non era stata una sua scelta starsene lontano da lei, proprio per niente. Si prese la testa fra le mani, infilandosi le dita tra i capelli mentre lacrime le scendevano lungo le guance.
«Questo è suo fratello?» domandò David guardando la foto di Liam sul monitor. Assomigliava molto al fratello, ma era più grande di lui, capelli ricci e un poco più chiari dove Killian li aveva neri come l’inchiostro, appena arricciati sulle punte se non li avesse tagliati spesso.
«Era,» precisò Emma con amarezza, trovando conforto nell’abbraccio di suo padre, proprio come aveva fatto dopo essere tornata a Storybrooke. Né lui né sua madre l’avevano giudicata, Emma aveva preferito tenere per sé tutte le informazioni su Killian, e i suoi genitori avevano amato Henry fin dalla prima ecografia.
«Mi dispiace, tesoro,» mormorò David tra i suoi capelli, stringendo il corpo gracile della figlia scosso dai singhiozzi. Dopo anni aveva scoperto di aver perso un’altra parte della sua vita sebbene un’altra fosse appena tornata.
Doveva essere sempre così, una vita per una vita?
«Avrei dovuto saperlo, sono stata una stupida,» mormorò Emma tirando su col naso, incapace di fermare il mare di lacrime che quel senso di perdita le causava. «Se solo avessi aspettato ancora… Se solo lo avessi cercato, papà.»
«Shh, piccola, non darti colpe che non hai.»
Emma scosse il capo, non riusciva a capacitarsi di essersi lasciata sfuggire tra le dita la propria felicità, la felicità di entrambi. La felicità di suo figlio.
Sarebbe dovuta andare da Killian, chiedere di perdonarla per la sua stupidità, ma non ne aveva la forza, era troppo distrutta dalla notizia della morte di Liam e sopraffatta dalle sensazioni che rivedere Killian le aveva procurato.
Quando le lacrime si fermarono, anche il mondo sembrò arrestarsi attorno a lei, ed espresse l’ardente desiderio di poter tornare indietro di dieci anni.
 
Era quasi sera quando riaprì gli occhi, il sole filtrava dalla finestra colorando il salotto di un rosso cupo venato di viola, come se quella giornata avesse bisogno di una sfumatura ancora più cupa.
Si sentiva sfinita, per nulla riposata, troppi pensieri le vorticavano nella testa a avrebbe voluto semplicemente spegnere il cervello. A dire il vero, avrebbe avuto bisogno di un bagno caldo, ma non poteva ancora permettersi di rilassarsi, prima doveva parlare con Killian, doveva chiedergli quali fossero le sue intenzioni, doveva sapere se voleva restare, se non per lei almeno per Henry.
Lentamente, si mise a sedere, la coperta che suo padre le aveva messo addosso le scivolò in grembo. Con la mano andò automaticamente a coprirsi lo stomaco, domandandosi per l’ennesima volta cosa sarebbe successo se fossero rimasti insieme, se la mano di lui, ogni notte, le avrebbe accarezzato il pancione da quando fosse stato ancora piatto a quando invece fosse diventato fin troppo ingombrante.
Si chiese anche se l’avrebbe disegnata, se di tanto in tanto avrebbe catturato sul foglio la sua figura mentre portava in grembo suo figlio, se l’avrebbe amata più di quanto non avesse mai fatto. Sarebbe stato felice all’epoca? Se non gli avesse permesso di andarsene, avrebbe potuto risparmiare loro dieci anni di dolore? Avrebbe potuto impedire in qualche modo la morte di Liam?
Lacrime corsero silenziose lungo le sue guance mentre si alzava lentamente, salendo quasi barcollante le scale fino alla camera di Henry. Il bambino stava leggendo, steso sul letto, ma sembrava troppo distante con il pensiero per concentrarsi sulla propria copia de Il Signore degli Anelli.
Sentendo una fitta al cuore, Emma si avvicinò lentamente, sedendosi accanto a lui e lasciando che si accoccolasse con la testa contro il suo petto, stringendolo con forza a sé. Gli appoggiò un bacio sulla testa, fra i capelli castano scuro, scompigliati come quelli di suo padre. Dio, Emma ancora ricordava quanto fossero setosi, quanto le piacesse accarezzargli la nuca dove le ciocche nere si arricciavano appena.
«Sei arrabbiata con me, mamma?» domandò Henry reclinando il capo all’indietro per guardarla negli occhi.
Emma inspirò a fondo. «Un po’,» ammise, stringendo Henry a sé con ancora più forza, grata che fosse tra le sue braccia. «Non sono certo contenta che tu sia andato a New York da solo, Henry, avresti potuto perderti, o peggio. Non sai quanto mi hai fatta spaventare.»
«Mi dispiace,» mormorò lui ricambiando l’abbraccio con altrettanta forza, ed Emma sapeva che gli dispiaceva davvero.
«Ti sei mai sentito spaventato?»
Henry scosse appena il capo in cenno di assenso. «Sì, ma non nel senso che intendi tu. Io… avevo paura che lui non mi volesse, che mi mandasse via…»
Emma non poté fare a meno di sorridere. «È sempre stato un uomo fantastico,» mormorò dolcemente. Henry aveva preso molto da lui e di questo ne era estremamente orgogliosa. Amava suo figlio, non solo perché le ricordava Killian o perché era la luce della sua vita, ma perché era la parte migliore di entrambi.
«Non mi impedirai di vederlo, vero?»
Il tono cauto e timoroso di lui le fece salire nuovamente le lacrime agli occhi. «No, piccolo, non dopo tutto ciò che hai fatto per trovarlo. Dopo tutto questo ho capito quanto tu avessi bisogno di sapere fin dall’inizio.»
«Grazie,» le sussurrò muovendosi per allungarsi a darle un bacio sulla guancia prima di circondarle il collo con le braccia, sistemandosi in grembo a lei come faceva quando era piccolo.
Rimasero lì abbracciati per qualche minuto, Henry ascoltava il battito del cuore di sua madre mentre lei si beava di quella stretta, come se invece fosse lei ad aggrapparsi a lui e non viceversa. E in effetti era così, Henry era stata la sua ancora per molto, molto tempo, era stata la ragione per cui non aveva mai mollato nonostante a volte il dolore minacciasse di trascinarla via da lui.
Aveva amato Killian con tutta se stessa, gli aveva donato anima e corpo, gli aveva donato il suo cuore e lui lo aveva custodito a lungo prima di ridurlo in polvere con le sue stesse dita. Dopo quell’esperienza, Emma aveva innalzato delle mura attorno ai frammenti che rimanevano del proprio cuore, impedendo al dolore di entrare e riversando tutto l’amore che ancora poteva dare su Henry, lui era l’unica cosa che contava.
Udì bussare al piano di sotto e subito si irrigidì, stringendo Henry con forza, quasi non volesse lasciarlo andare. Ma glielo aveva promesso, e quindi, facendo leva sull’amore per suo figlio, si alzò, dandogli un ultimo bacio sulla fronte. «Preparati, io vado ad aprire.»
«Mamma?» la chiamò Henry, mettendosi a sedere sul bordo del letto. «Non trattarlo male, ti prego.»
Con un sorriso pacato, Emma si diresse verso il piano di sotto, tentando di prepararsi mentalmente a ciò che sarebbe accaduto una volta che avesse aperto la porta.
Si asciugò i palmi sudati sui jeans e allungò una mano verso la maniglia, il pulsare del proprio cuore le rimbombava nelle orecchie mentre apriva la porta, rivelando l’alta figura di Killian, le mani dietro la schiena e l’espressione cauta. Nel punto in cui suo padre l’aveva colpito aveva iniziato a formarsi un livido ed Emma si sentì quasi male per lui. Quasi.
«Ciao, Swan,» mormorò lui a bassa voce, spostando il peso da un piede all’altro.
Emma rabbrividì, le sembrava di essere tornata indietro di dieci anni, quando lui usava sempre il suo cognome o “tesoro” per riferirsi a lei. Quasi non si accorse che le aveva teso un mazzo di fiori – Cristo, perché proprio i botton d’oro? Sentì come se il tatuaggio che aveva sul polso avesse iniziato a bruciare. Glielo aveva disegnato lui su un tovagliolo durante il loro primo appuntamento e, quando avevano festeggiato i primi sei mesi insieme, lei se lo era fatto tatuare. Per quanto fosse doloroso, non avrebbe mai voluto coprirlo o rimuoverlo, le sarebbe mancato tracciare inconsapevolmente quelle linee nere così familiari.
Provò davvero a non farsi toccare da quel gesto, ci provò davvero, ma quando prese i fiori e le loro dita si sfiorarono, le farfalle si librarono in volo nel suo stomaco e un leggero rossore le si diffuse sulle guance. «Uhm, grazie… non dovevi,» mormorò impacciata, scostandosi per farlo entrare, sapendo perfettamente che era una cattiva, terribile idea.
«Dovevo, Swan, soprattutto per come mi sono comportato prima,» rispose lui entrando in casa, ed Emma non poté fare a meno di pensare a tutte quelle volte che aveva sognato, anche a occhi aperti, di averlo lì con sé, con Henry, come se fossero una vera famiglia.
Potreste ancora esserlo, le ricordò una vocina che scacciò prontamente. Non voleva illudersi, non voleva pensare che Killian potesse ancora amarla, per quanto ne sapeva lei, poteva anche avere una nuova vita a New York.
«Io… uhm, vuoi qualcosa da bere?» chiese dirigendosi verso la cucina dove afferrò un vaso e lo riempì d’acqua. Vi sistemò i fiori, consapevole della presenza di lui dietro di sé, a debita distanza come a volersi impedire di raggiungerla e stringerla fra le braccia prima di baciarla con passione. Sbatté le palpebre un paio di volte, impedendosi di dirigersi con il pensiero. Non poteva, non era giusto.
«No, grazie,» le rispose sottovoce.
Emma si volse a guardarlo, appoggiandosi con i fianchi al marmo del ripiano, perdendosi nel modo in cui con la mano andava a scompigliarsi i capelli o a grattare quel punto dietro l’orecchio che quando invece lei gli baciava gli faceva venire i brividi.
Sentì il proprio stomaco attorcigliarsi, come poteva ricordare così vividamente ogni dettaglio del suo corpo? Come poteva volere il suo corpo sotto di sé con lo stesso fervore dopo tutti quegli anni?
«Mi dispiace,» disse all’improvviso, mordendosi con forza il labbro perché non sapeva esattamente per cosa fosse dispiaciuta. Per Liam? O per avergli tenuto nascosto Henry per dieci anni?
Evidentemente Killian vide il dubbio nei suoi occhi perché non glielo chiese. Dannato libro aperto, sbottò a se stessa, abbassando lo sguardo sul tavolo.
«Dispiace anche a me.»
«Io… non lo sapevo.» Non sapevo di essere incinta quando me ne sono andata. Non sapevo che Liam fosse morto.
«Lo avevo immaginato,» mormorò lui con voce soffice, e a Emma venne quasi voglia di piangere. Ma se c’era qualcosa che aveva imparato nel corso degli anni era mascherare le proprie emozioni, cosa che però le era sempre risultata difficile, se non impossibile, con Killian.
Guardando distrattamente l’orologio appeso alla parete, uno stupido gatto la cui coda faceva da pendolo, Emma fece leva sul proprio coraggio e fece per uscire dalla cucina, passandogli pericolosamente vicino. «Vado a chiamare Henry.» Dopotutto è per lui che sei qui. Non per me. Non più.
Killian l’afferrò per un gomito, i loro corpi cozzarono l’uno contro l’altro, scatenando come delle scintille invisibili che incendiarono il sangue di entrambi.
Gli occhi di lui erano fissi sul suo anulare destro al quale brillava un sottile anello d’oro bianco che Killian riconobbe all’istante. Benché non fosse quello di sua madre, anche quello faceva parte di lui, faceva parte di ciò che era perché era un simbolo della sua terra natia, della sua cultura.
Chiuse gli occhi, tracciando con le dita le mani, la corona e il cuore con la punta rivolta verso il polso. «Le mani sono lì per amicizia, il cuore è lì per amore. Per la fedeltà lungo gli anni, la corona vi è soprapposta,» mormorò a fior di labbra, aprendo gli occhi solamente per incontrare quelli di lei.
Emma sobbalzò appena, sentiva le lacrime bruciare agli angoli degli occhi mentre il suo respiro diventava sempre più veloce e irregolare.
Quando aveva visto l’anello per la prima volta in quella teca stava comprando le prime cose per la nursery, lo stomaco solo leggermente rigonfio, e aveva ignorato con tutta se stessa il desiderio di entrare nella gioielleria e comprarlo. La seconda volta, invece, era stata spinta da un segno del destino, o così lo aveva definito Regina, perché quando la luce lo aveva illuminato – non si era affatto ricordata di come lui le strizzava l’occhio dopo una battutina, nient’affatto – Henry le aveva dato il primo calcio.
Per quel motivo, in quei dieci anni, aveva sempre avuto al dito quell’anello di Claddagh, quello che simboleggiava amicizia, lealtà e amore. Sapeva come indossarlo per indicare che aveva un legame amoroso nonostante il suo cuore fosse spezzato, e tutto questo grazie alle spiegazioni di Killian durante una delle loro maratone di Buffy, quando le aveva spiegato per filo e per segno cosa simboleggiasse quell’anello con quelle stesse parole.
«Killian…»
Quella di Emma una supplica. Di baciarla, di lasciarla andare, nemmeno lei lo sapeva. Stava per chiudere gli occhi e allungarsi verso il suo viso quando sentì Henry scendere le scale di corsa.
Come se fosse stata scottata dal tocco di Killian, Emma sobbalzò e si tirò indietro con forza, finendo quasi contro l’altro stipite, lo sguardo basso per evitare quello di lui che sentiva fisso su di sé.
«Sono pronto,» annunciò Henry con un sorriso a trentadue denti, ed Emma assottigliò le palpebre, chiedendosi come mai avesse scelto quel preciso momento per fare la propria comparsa.
Il volto di Killian si illuminò. «Perfetto.» Lanciò un’ultima occhiata a Emma, del tutto innocente, questa volta. «Vuoi venire con noi?»
No, no. Sarebbe stato troppo, e sarebbe stato estremamente imbarazzante. Killian ed Henry avevano bisogno di legare, lei sarebbe stata solo il terzo incomodo. Quindi forzò un sorriso. «No, credo che Netflix potrà adeguatamente tenermi compagnia. Ma ti voglio a casa per le nove, domani hai scuola,» stabilì con un’occhiata seria a entrambi. Dio, sembrava proprio la scena di una famiglia perfetta in cui padre e figlio andavano a divertirsi. Non che fosse lontana dalla verità, ma non sapeva se fosse una cosa che la facesse gioire o meno.
«Signorsì, sceriffo Swan!» disse Henry abbracciandola e accettando il bacio che gli diede sulla fronte prima di dirigersi verso la porta.
Killian la guardò un’ultima volta, un timido sorriso sulle labbra. «Non preoccuparti, Swan, te lo riporterò sano e salvo a casa.»
Emma deglutì. Casa. Era da molto che non si chiedeva perché ogni volta che pronunciava quella parola sentisse un buco dentro di sé, una parte mancante. Eppure, in quel momento, si domandò perché, nel sentirla pronunciare da Killian, quella voragine sembrava essere scomparsa.
Un naturale sorriso le incurvò le labbra. «Ne sono certa,» mormorò prima che i due uscissero, appoggiata contro lo stipite.
Quelle parole avevano colpito lui tanto quanto lei, perché nonostante avesse tentato di tenerlo in tutti i modi lontano da sé e da Henry, Emma aveva realizzato che si fidava ancora di lui.
Si lasciò scivolare contro il muro fino a che non fu seduta sul pavimento, le ginocchia premute contro il petto, chiedendosi se si fidasse abbastanza di se stessa e della terribile decisione che aveva preso lasciandolo rientrare nella propria vita.

 
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D'accordo, dopo la convention a Versailles che mi ha fatto impazzire di gelosia - e impazzire in generale - per due giorni, ecco qui il quinto capitolo. C'è ancora molto da dire sul passato di Killian e su quello che è effettivamente successo dieci anni prima, e parte verrà ispezionato, spero, nel prossimo capitolo che non ho ancora avuto modo di iniziare - la bellezza di andare all'università e di dover andare avanti con gli esami di continuo.
Come avete visto, Emma inizia a capire di aver sbagliato, se non del tutto, almeno in parte, e David - ah, David! - vede quanto la cosa la faccia soffrire. Introdurrò Mary Margaret più avanti (capitolo setto od otto, dipende), e non so se vi piacerà, a voi la scelta xD
Anyway, non so quando aggiornerò, forse metterò anche storie nuove, forse, no - spero di no, ma di sicuro ne scriverò. A luglio ho lo stage, quindi di scrivere non credo proprio se ne parli, purtroppo, se non proprio trafiletti.
Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto - Colin + Irlanda + Buffy + il mio amore per l'anello di Claddagh sono una combinazione infernale muahahahah - e spero di sentirvi in tanti v.v
Alla prossima e grazie mille di tutto il supporto che mi date,
blue

 
   
 
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