Zootopia.
Luogo
dove predatori e prede vivono in perfetta armonia.
O
almeno, così era all'inizio.
Molto,
molto tempo prima. Prima che i predatori venissero umiliati e
degradati.
Nicholas
P. Wilde, Nick per gli amici, quello lo sapeva bene. Lo viveva ogni
giorno sulla propria rossa pelliccia, e se all'inizio era stato
disarmante e strano, e umiliante, col tempo aveva imparato a farselo
scivolare addosso, tanto da non vederlo nemmeno più come una
limitazione.
Anche
se era davvero, davvero fastidioso.
Per
il semplice fatto che, quello sgradevole collare, spuntava fuori
dalla camicia rovinando la sua splendida immagine. Diamine, non
potevano almeno farlo più piccolo e discreto? No! Era un
quadrato di
plasticozza nera attaccato ad una spessa cinghia dello stesso colore,
che ledeva alla sua perfetta figura.
Infilò
un dito nel cinturino nero e lo tirò un poco verso
l'esterno,
lontano dal suo collo, prendendo un respiro più profondo che
poté,
-ma erano anni che non poteva,- poi fece scivolare la scatolina
appena verso la schiena, con uno sbuffo stizzito, guardandosi nello
specchio prima di uscire. La fissa lucina verde era ancora visibile,
ma almeno lui era fortunato: si intonava ai suoi occhi.
Cosa
non doveva fare una volpe per vivere.
Cosa
non doveva fare un predatore, per vivere.
Uscì
di casa con un sospiro, infilandosi in fretta nella calca della
città, con la testa già piena di pensieri.
Come
ogni sera, quasi sul calare del sole, le strade brulicavano di gente
che si affrettava a tornare a casa dopo l'estenuante giornata di
lavoro, chi di fretta, chi con stancante lentezza, chi già
con la
mente sulla cena e chi invece perso in ragionamenti propri.
Lui,
Nick, camminava con aria svagata, andando verso il suo lavoro, invece
di esserne appena uscito. E lo faceva con un gran sorriso soddisfatto
sul muso.
Lo
sguardo cadde su uno degli enormi manifesti che tappezzavano le
strade, con la faccia sorridente del sindaco Bellwether e il suo
slogan preferito, bello grande, proprio sotto:
Zootopia,
dove chiunque può essere ciò che vuole e tutti
sono al sicuro.
Fece
schioccare la lingua contro il palato, rollando gli occhi al cielo,
parte del suo buon umore svanito. Accelerò il passo per
allontanarsi
prima possibile e lasciarselo alle spalle.
Superò
una famiglia di Lemming che camminavano in fila indiana e
svicolò
tra le gambe di una giraffa avvocato in abito elegante e valigetta
scura; rallentò solo dopo qualche metro, lasciando andare un
sospiro
sommesso, continuando a guardarsi attorno.
Riconobbe
alcuni volti nella calca: un leone gli fece un gesto cortese con la
testa, facendo muovere la folta criniera, un paio di tigri gli
sorrisero apertamente e una donnola strinse solo appena gli occhietti
nel riconoscerlo, per non essere vista.
Nick
sollevò l'angolo della bocca con rinnovato entusiasmo e
tirò dritto
con più leggerezza addosso. Era bello essere apprezzati e
sapere di
star facendo qualcosa di buono.
Era
così sereno e rilassato, che quello che successe lo
colpì come una
doccia gelata, riportandolo di colpo sulla terra: dieci metri
più
avanti, una macchina a folle velocità bruciò il
rosso e si schiantò
contro un'altra che, procedendo dall'altro verso, aveva svoltato a
destra. Ci fu il rumore del tentativo di frenata, un gran boato e
decine di urla.
Il
traffico si congelò all'istante, la folla si
fermò all'istante, e
tutti trattennero il fiato per lo spavento, non sapendo cosa fare.
Dalla
prima macchina emerse un'antilope, un po' stordita ma relativamente a
posto, mentre, dopo interminabili minuti, dalla seconda uscì
un lupo
malconcio e palesemente terrorizzato. Sul muso c'era un vistoso
taglio, ma non si poteva vedere se fosse ferito oltremodo.
“Ma
è impazzito? Non ha visto il rosso?”
urlò verso l'antilope,
tenendosi un fianco con la zampa.
Lo
spavento aveva ceduto posto alla rabbia, in un attimo.
E
altrettanto velocemente, la lucina verde del suo collare
verté verso
un rosso lampeggiante, pericolosamente: il povero lupo venne
investito da una scarica elettrica che lo attraversò tutto,
contraendo i suoi arti dal dolore, per qualche secondo. Poi
sparì e
quelli si rilassarono di contro, trascinandolo giù in
ginocchio, ma
ancora cosciente.
Nick
si sentì moralmente vicino a quel tizio senza nemmeno
conoscerlo.
Sapeva il dolore che quell'aggeggio infernale creava, quanto male
riuscisse a fare, e venne colto da pena per lui.
Nella
strada c'era un gran silenzio e tutti gli occhi erano sul lupo. Occhi
pieni di paura e occhi pieni di rimprovero. Ogni preda lo osservava
con biasimo e disprezzo, allontanandosi da lì come se fosse
una
bestia, anche se in realtà era lui la vittima.
La
polizia arrivò in quel momento sul posto e disperse la
folla,
avvicinandosi per gli accertamenti: negli occhi dei poliziotti, un
rinoceronte, una zebra e un ippopotamo, c'era la stessa aria critica
degli altri nel guardare il lupo ferito, rimessosi in piedi a fatica,
che cercava di spiegare cosa fosse successo con la pelliccia tutta
arruffata dalla corrente.
Nick
non rimase a guardare ancora. Andò via, con la coda raso
terra, e il
morale ancora più sotto.
Perché
la realtà era sempre lì, non importava quanto uno
cercasse di non
vederla: le lucine verdi dei collari erano sempre lì, sui
colli di
tutti i predatori, a ricordar loro quello che la società
pensava di
loro. Erano sbagliati, erano pericolosi.
L'avevano
deciso le prede e loro dovevano sottostare. Non potevano nemmeno
arrabbiarsi o alzare la voce, anche se erano nel giusto. Non potevano
agitarsi e provare forti emozioni.
Altrimenti,
la scarica elettrica cadeva su di loro come una punizione divina,
riportandoli immediatamente al loro posto.
Era
come essere costantemente imbrigliati e legati, schiavi nel proprio
stesso corpo.
Nick
aveva quel collare da quando aveva dodici anni, ma non riusciva a
ricordare per niente come fosse non averlo; lo aveva cancellato, il
senso di libertà, e sapeva che non lo avrebbe più
provato davvero.
Con
il cuore gonfio di amarezza, si incamminò sempre
più verso le zone
meno frequentate della città, la periferia industriale con
le
fabbriche ormai chiuse e una gran quiete.
Spuntavano
già le prime stelle, nel cielo quasi nero.
Il
capannone anonimo lo accolse come sempre con quel silenzio disarmante
e totale; la sua figura si stagliava fatiscente e logora a ridosso di
un fiumiciattolo; era un posto insignificante.
Ghignò
leggermente, mentre si avvicinava ad un piccolo gabbiotto degli
attrezzi lì vicino. Entrò a passo spedito e
fischiettando, poi dopo
qualche istante, scomparve.
Un
tripudio di colori e miriadi di lucine esplosero d'improvviso davanti
al suo muso, quando uscì dal tunnel segreto: la scritta
più grande
e luminosa formava la scritta: Wild Times, a
caratteri cubitali.
“Ehi,
ragazzi, è arrivato Nick!” urlò una
voce nel marasma, dando il
via ad una sequela di saluti.
“Ehi,
Nick!”
“Ciao,
Nick! Come va?”
“Vieni
qua, Nick!”
Tutti
lo salutavano euforici, sbracciandosi al suo passaggio, con un gran
sorrisone da parte a parte, mentre lui, anche se lusingato
dall'accoglienza, faceva la gimcana tra le attrazioni per raggiungere
il suo ufficio.
Il
Wild Times era il suo vanto, la sua raison d'etre, il boom della sua
vita. Il suo paradiso.
Era
la più grande attrazione mai inventata prima ed era
totalmente
segreta. Aveva faticato per costruirla, dopo anni di lavoretti non
proprio puliti e umiliazioni, -e c'era anche il merito della mafia se
aveva potuto farlo, ma quella era un'altra storia,- però
alla fine
aveva realizzato un'utopia vivente, un parco di divertimenti
completamente per predatori, in cui potessero essere
“liberi”,
anche se per poco.
Non
liberi al cento per cento, non poteva togliere loro i collari, ma
all'interno di quel vasto capannone, quei diabolici congegni
smettevano di funzionare, pur restando al loro posto: grazie ad un
complicato sistema informatico creato dal suo amico Benjamin,
amplificato da parete a parete, il Wild Times era come una bolla
sicura in cui ogni predatore poteva sentirsi libero di urlare,
arrabbiarsi, sovreccitarsi e divertirsi in totale libertà,
senza il
pericolo di ricevere una scossa o sentirsi giudicato o discriminato.
Le
varie attrazioni costruite da lui, Nick, e dal suo dipendente quasi
socio Finnick, permettevano le più libere espressioni dei
predatori:
come le montagne russe dell'urlo o la prova di forza del morso o la
pista di corsa in loop che correva sopraelevata per tutta la
struttura.
Le
possibilità erano infinite e grazie al passaparola, era
sempre pieno
tutte le sere; e poteva contare sulla segretezza, grazie ad una sorta
di fratellanza tra predatori.
“Ehi,
Finn” salutò entrando nell'ufficio, proprio dietro
l'attrazione
delle montagne russe dell'urlo.
Finnick,
il piccolo Fennec seduto alla scrivania, rispose con un cenno del
capo, continuando a contare i soldi dentro una cassetta di sicurezza.
“Come
va stasera?” gli domandò, attirando infine la sua
attenzione.
“Splendido.
Gli incassi vanno alla grande” ribatté l'amico,
che a dispetto
della piccola statura aveva una voce profonda e rauca. Rimise il
gruzzolo nella piccola cassaforte e la richiuse con premura,
facendola poi sparire nel fondo segreto della scrivania. Infine si
alzò e gli lasciò il posto.
“Bene!
Benissimo!” esultò Nick, strofinando le zampe tra
loro. “Adesso
ti mostro un nuovo progetto a cui sto lavorando!”
Si
sedette nella rattoppata, ma comoda, poltroncina girevole e
aprì un
paio di cassetti, rovistando tra le cartacce; con un gran sorriso
prese una cartellina logora e la sbatté sulla scrivania con
frenesia: la aprì e svelò i fogli all'interno
pieni di disegni e
scritte fitti fitti, dal tratto molto approssimativo.
“Stavo
pensando, mi è venuto in mente l'altra sera nel guardare la
tv, e oh
mio dio l'adorerai, di aggiungere un'attrazione di immersione totale!
No aspetta, fammi finire: un cinema 4D, proiezioni di paesaggi
selvaggi e naturali e rampe per correre oppure avventure mozzafiato
con movimenti in sincrono con le immagini e spruzzi d'acqua o folate
di vento... insomma, un'esperienza totale e completa, che liberi
adrenalina e eccitazione!”
Era
lui quello emozionato, alla sola idea di mettere in pratica quel
progetto. E per fortuna il collare non funzionava in quel momento o
avrebbe preso una scossa elettrica non indifferente.
“Bello,
ma non abbiamo posto anche per questo” fu
la laconica risposta dell'amico, che intanto aveva scalato una pila
di libri lì accanto per poter vedere bene di cosa lui
parlasse.
“Ma
sì! Facciamo slittare di
qualche metro la Cat-apulta e spostiamo la vasca dei gomitoli
dall'altra parte e-”
“E
non ci sarà più spazio
nemmeno per muoversi” lo interruppe Finn, scheggiando il suo
entusiasmo.
“Ma
se noi rimpic-”
“No,
Nick. L'unica soluzione è
togliere qualche attrazione. Ormai ce ne sono talmente tante,
possiamo togliere una delle più vecchie per fare posto a
questa.”
“Togl-
no! Non ci rinuncerò.
Non toglierò le montagne russe dell'urlo o il karaoke
“Howl along”
o altro! Potremmo...” si passò le zampe sul muso,
immerso in
veloci pensieri.
“Potremmo
spostarci in un
nuovo capannone, più grande” esalò alla
fine, compiaciuto della
sua idea.
Finnick
scoppiò a ridergli in
faccia, apparentemente divertito.
“Sì?
Spostiamo un'attività
clandestina, così, con facilità? E
perché non mettiamo anche dei
bei manifesti per farlo sapere a tutti?”
“Potrei
cercare di ottenere i
permessi legali, questa volta. Ormai i soldi per le pratiche li ho e
anche per i brevetti delle attrazioni. Potrei spuntarla questa
volta!”
Finnick
si chiese da dove venissero gli sprazzi di ingenua fiducia che ogni
tanto colpivano Nick, che pure era uno dei più pratici e
cinici
predatori che conoscesse; c'era in lui, forse, ancora quella volpe
con tanti progetti e sogni che voleva solo aiutare i suoi simili a
stare meglio. Quella che esisteva prima di aver sbattuto il muso
centinaia di volte nel tentativo di cercare finanziamenti per mettere
in pratica quei sogni.
“Nick”
iniziò, scuotendo
lentamente la testa, “non c'è legale che ti
sosterebbe, sono tutti
prede, se te lo fossi dimenticato; e penso tu abbia dimenticato anche
la legge a proposito dei collari, perché sapresti che non
c'è
nessuna possibilità. Ci sei già
passato.”
“I
predatori devono portare e
tenere i collari 24 ore su 24, assicurandosi anche della loro piena
funzionalità e avvisare le autorità in caso di
malfunzionamento
dello stesso.
Nessun predatore può togliere
e/o manomettere il proprio collare o il collare di un altro
predatore.
Il predatore sprovvisto del
collare sarà fermato e arrestato e la pena commutata
varierà da un
periodo di reclusione di un anno ad una pena a vita a seconda delle
aggravanti e delle circostanze, nonché un periodo di terapia
riabilitativa contro l'aggressività”
citò a memoria Nick,
comprovandogli la sua piena sanità mentale.
“Quindi dovresti
sapere che non abbiamo toccato i collari in nessuno modo, né
li
togliamo mai.”
Finnick
scese dalla pila di
libri e si incamminò verso la porta, sporgendosi poi sulla
punta
delle zampette per arrivare alla maniglia; aprì e gli fece
cenni di
seguirlo, mentre il silenzio intanto si riempiva di urla e grida
festose dal di fuori e di musichette accattivanti dei giochi.
Camminarono fianco a fianco,
guardandosi attorno. C'erano ovunque facce allegre e divertite,
un'intera famiglia di orsi polari che faceva la fila per le montagne
russe, e poi ancora lupi, tigri, leoni, furetti, pantere, leopardi e
ogni genere di predatore, impegnati a ridere e spassarsela in pace e
armonia, senza mai uno scoppio di rabbia o di violenza in alcuna
forma. Come poteva essere sbagliato, ciò che facevano?
Era così bello vedere il
piccolo led dei collari spento, innocuo, totalmente dimenticato.
“Anche
senza aver manomesso
materialmente i collari, qui dentro cessano di funzionare e non
sarebbe ben visto dalle prede. Tu fai in modo che la loro
aggressività si sfoghi, ma le prede lo vedrebbero come se tu
stessi
solo alimentando i loro istinti animali. Non finirebbe bene,
Nick”
esclamò Finnick, la rauca voce più addolcita.
La volpe sospirò, con una
scrollata di spalle. L'amico aveva ragione e lui lo sapeva bene.
Solo perché quello era il suo
paradiso, non significava che gli altri lo vedessero
come tale.
“Ok,
allora penseremo a come
aggiungere il cinema 4D con cal-”
Le
luci si spensero tutte contemporaneamente e il capannone
piombò
nell'oscurità più nera, le musichette cessarono e
un'innaturale
silenzio li circondò. Sfarfallando debolmente, le lucine dei
collari
si riaccesero una ad una come percorse da una corrente continua,
verdi e fisse, come stelle malate.
Nick,
grazie alla vista
notturna, si accorse delle facce preoccupate dei suoi clienti e del
suo amico, tutti con gli occhi sbarrati nel buio alla ricerca di una
spiegazione.
“Tranquilli,
sarà il
generato-”
“Polizia!
L'edificio è
circondato! Venite fuori con le zampe in alto e disarmati!”
gracchiò potentemente una voce amplificata da un megafono.
Si udirono centinaia di fiati
trattenuti all'unisono, nello stesso secondo. Le espressioni sorprese
si erano trasformate in maschere di orrore e paura, e non c'era
nessuno all'interno della struttura che non si stesse guardando
intorno alla ricerca di una via d'uscita, sussurrando disperatamente
in cerca di idee.
Nick era congelato sul posto.
Non riusciva ancora a crederci.
“Sono
il capitano Bogo,
ripeto: venite fuori con le zampe in alto e niente scherzi. Avete un
minuto, dopodiché irromperemo nel locale!”
“Nick!
Dobbiamo muoverci!”
lo scosse Finnick al sentire il secondo avviso, strattonandolo per la
camicia.
La volpe scrollò la testa,
uscendo dal suo stato di trance.
“Prima
gli altri!”
Con passo svelto e felpato,
corse verso la piscina dei gomitoli e ci si poggiò contro,
cercando
di spingerla con tutte le sue forze. Esalò forte, tendendo i
muscoli
allo spasmo.
“Aiutatemi! Presto!” chiese
senza fiato, continuando a spingere.
I sussurri spaventati si
spensero immediatamente, al sentire la sua disperata richiesta.
Una pantera, un orso e una tigre
si mossero nel buio per raggiungerlo e si misero ai suoi lati,
velocemente: imitarono i suoi gesti e spinsero tutti assieme la
grande struttura che dopo pochi istanti iniziò a slittare,
cigolando
cupamente.
Nick si
staccò e si inchinò
non appena sentì il dislivello sotto le zampe inferiori e
vide
perfettamente la grande maniglia argentata, che nel buio sembrava
solo grigia scura.
Tirò verso l'alto usando tutto
il corpo e il coperchio della botola saltò via come un tappo
di
sughero da una bottiglia di spumante: una gran nuvola di polvere si
sollevò e gli entrò nelle narici, facendolo
tossire.
“Finn!
Scendi per primo e
mostra loro la strada!” ordinò poi, appoggiando il
coperchio a
terra. “Voi altri, seguitelo: è un'uscita sicura,
spunterete molto
lontano da qui. Andate!”
Con
rapidità, seguendo il
Fennec, la folla si mise in fila indiana e sparì nel buco
del
terreno, silenziosamente: perfino i cuccioli erano tesi e muti,
capendo che non era un gioco e che dovevano comportarsi bene. Nick
supervisionava ancora dal capannone e si assicurava che tutti
passassero e che quelli che non vedevano non inciampassero,
distribuendo pacche rassicuranti sulle schiene di quelli nervosi.
“Tempo
scaduto” urlò la
voce amplificata, da fuori. “Facciamo irruzione!”
Il panico serpeggiò nei
predatori rimasti e Nick fece del suo meglio per velocizzare la fuga
e poter fuggire anche lui, senza però che si generasse il
caos.
Ancora un orso. Poi un leone.
Dopo il lupo c'erano ancora quattro predatori, potevano farcela.
D'improvviso,
un gran fragore
scosse il portone del capannone e le vibrazioni si propagarono nello
spazio vuoto, ancora più spaventose.
“Non
fermatevi! Via, via!”
li esortò Nick, al vederli bloccarsi nel panico.
Un secondo boato riecheggiò
subito dopo, potente come il primo. Il cigolio del legno fu
più
forte, quella volta, scricchiolando disperatamente.
Non avrebbe resistito ancora.
La testa del giaguaro sparì nel
buco e non mancava che un furetto.
Nick si sentiva percorso da
un'agitazione crescente e pregò che il collare non gli desse
la
scossa proprio in quel momento o sarebbe stato preso e tutto sarebbe
stato perduto.
Ma non lo sarebbe stato comunque
nel momento in cui la polizia fosse entrata lì?
Si
chinò per prendere il
coperchio della botola e scendere anche lui, richiudendosela dietro
per depistare, quando il portone andò letteralmente in
frantumi,
schegge impazzite che volavano ovunque, mentre urla imperiose e luce
entravano da fuori.
La polizia irruppe a ranghi
serrati, con taser e pistole tranquillanti nelle zampe, e Nick
capì
che non ce l'avrebbe fatta: spinse il coperchio con tutta la
silenziosità possibile e scivolò all'indietro,
assottigliandosi
contro la piscina dei gomitoli, trattenendo il fiato.
I suoi occhi scrutavano nel
miscuglio tra ombre e luce, seguendo con la tachicardia il via vai
frenetico dei poliziotti, che si sparpagliavano nel capannone a
macchia d'olio, cercando tracce. Vedeva i loro musi sorpresi nel
guardare le varie attrazioni, poi il disgusto nel capire cosa
fossero, gli sguardi ancora più incattiviti nel cercare un
colpevole.
D'altronde, tutto il corpo di
polizia era composto da prede.
“Arrendetevi
immediatamente.
Non c'è via di scampo!” gridò il
capitano Bogo, la sua voce molto
meno fastidiosa senza il gracchiare del megafono, ma comunque
allarmante.
Nick li sentì avvicinarsi
sempre più, ticchettii e fruscii, e si chiese se sarebbe mai
riuscito a sgattaiolare fuori e a dileguarsi inosservato.
Si ricordò in tempo della
lucina del collare e la coprì con una zampa, appena prima
che una
antilope passasse di fronte al suo nascondiglio con un taser ben
teso di fronte a sé, scrutando tutto intorno. Nick chiuse
un
secondo le palpebre, nel timore che i suoi occhi potessero
scintillare nell'oscurità.
Si rese conto che erano troppi e
che non avrebbe potuto nascondersi ancora a lungo. E non c'era tempo
per cercare una soluzione che forse nemmeno esisteva.
Prese tutta
la disperazione che
lo animava, e anche un grosso respiro, e non appena altri due
poliziotti lo ebbero oltrepassato, scattò in avanti e si
lanciò in
una folle corsa a testa bassa verso la porta distrutta da cui
entravano fasci di luce, scartando velocemente due o tre figure che
gli sbarravano la strada.
“Sospetto
in fuga! Allerta!”
urlò un ovino, le zampe che sussultavano mentre cercava di
prendere
la mira sulla rapida silhouette che sfrecciava nelle ombre e in mezzo
alle loro gambe.
Tutto intorno, non c'erano che
armi che puntavano contro Nick, che lo avrebbero fulminato o
narcotizzato. Scartò a destra per evitare un ippopotamo.
Deviò a
sinistra per scansare un elefante.
Fu la
grossa stazza del
pachiderma a trarlo in inganno, a non fargli vedere la figura appena
dietro: sbatté contro un corpo solido e massiccio con un
tonfo e
finì a gambe all'aria.
“Non
muoverti! Zampe in alto”
ordinò il grosso bufalo che torreggiava su di lui, tenendo
la
pistola puntata dritta in mezzo alla sua fronte.
“Sono
il capitano Bogo.
Identificati.”
Nick sollevò lentamente gli
arti, senza staccare il contatto visivo con lui. Qualsiasi cenno
poteva essere frainteso dal poliziotto.
“Nicholas
Piberius Wilde”
sussurrò muovendo meno possibile le labbra, le orecchie
basse e
appiattite contro la testa. “Ci deve essere un malinteso, se
mi
fate spiegare, vedrete che è tutto un equiv-”
“Signore!
Abbiamo trovato
qualcosa!” urlò a squarciagola una capra, uscendo
con aria
sconvolta dall'ufficio di Nick. Una giraffa la seguì,
anch'essa
turbata.
C'era un fondo di paura e
terrore, quando guardarono la volpe.
“Tu”
disse Bogo, rivolto ad
una gazzella lì vicino, “tienilo sotto tiro, non
osare farlo
scappare.”
Il grosso bufalo si assicurò
che i suoi uomini lo avessero in custodia prima di rimettere la
pistola nella fondina e incamminarsi verso il fondo del capannone,
dietro la biglietteria delle montagne russe, con un sinistro
ticchettio delle zampe inferiori.
Sparì oltre la porta, e per
interi minuti non si sentì più nulla.
Nick non
sentiva nulla se non il
battito del suo cuore. Erano nel suo santuario, stavano frugando tra
i suoi progetti, tra i suoi ricordi, e non avrebbero capito. Ma
poteva spiegare loro che era sbagliato giudicare senza conoscere, che
in realtà quel posto era un paradiso.
Lo avrebbero capito?
Il capitano riemerse dalla
stanza, una linea tesa sopra gli occhi che esprimeva tutta la sua
preoccupazione e serietà. Solo quando fu di fronte a lui,
Nick si
accorse di alcune gocce di sangue sulle sue dita.
“Nicholas
Wilde, ti dichiaro
in arresto per l'omicidio di un caribù”
esalò mortale Bogo,
afferrando le manette dal suo fianco.
“COSA?”
strillò Nick,
cercando di capire, reagendo inconsciamente all'arresto. Una scossa
dolorosa lo attraversò all'improvviso, vincendo ogni
reticenza.
“Hai
il diritto di rimanere in
silenzio. Tutto quello che dirai potrà essere usato contro
di te in
tribunale.”
Un paio di zampe lo afferrarono
e lo costrinsero a voltarsi, bloccando le sue dietro la schiena.
“No!
Io non- Io sono
innocente” mormorò debolmente la volpe. Gli girava
la testa. Le
manette scattarono intorno ai suoi polsi, gelide e dure.
“Hai
diritto ad un avvocato.
Se non puoi permettertelo, te ne verrà assegnato uno
d'ufficio”
continuò imperterrito il capitano, ignorando ogni sua
protesta.
Lo
trascinarono fuori,
praticamente di peso. Nella notte fresca, ma stranamente soffocante.
Vide le macchine assiepate lì
davanti, le luci dei fari che si mischiavano a quelle ad
intermittenza delle sirene, confondendolo ancora di più.
E tutto intorno c'erano
poliziotti. E tutti erano ovviamente prede.
Si sentiva schiacciato dai loro
sguardi accusatori, arrabbiati e disgustati. E ancora non riusciva a
capire, ad assimilare, ciò che davvero era accaduto.
Una zampa lo spinse nel sedile
di dietro di una macchina, decisa, ma per nulla rabbiosa. La portiera
sbatté secca al suo fianco.
“Dritto
in centrale, Trunkaby”
sentì dire alla voce di Bogo rivolto verso il poliziotto
alla guida,
prima che le sirene esplodessero in un suono lamentoso, riecheggiando
nella notte.
Nick fece
appena in tempo a
voltare il collo e guardare il suo capannone allontanarsi
velocemente, violato e invaso da chi non poteva capire.
Il suo paradiso era perduto per
sempre.
Note:
Salve!
Sono Switch, piacere, questa è
la mia prima storia in questo fandom.
Ho visto
Zootopia e me ne sono
innamorata perciò, dopo averlo visto altre quattro volte, ho
sentito
il bisogno di scrivere una ff che fosse il continuo della storia,
subito dopo che Nick è diventato poliziotto. Ma, facendo
ricerche
per i dettagli, ho scoperto che all'inizio la trama doveva essere
molto diversa, con i collari elettrici per i predatori e una forte
discriminazione verso essi. Era più cupa e più
dark e l'ho adorata.
Mi si è formata in testa come avrebbe potuto essere e non
sono più
riuscita a pensare ad altro.
Ho accantonato per il futuro il
sequel che avevo in mente e, usando alcune idee della bozza iniziale,
ho iniziato a scrivere questa storia: Zoostopia.
Tutto sarà diverso, ma i
personaggi saranno gli stessi. Con i caratteri pensati
originariamente per loro.
Il Wild Times esisteva nello script originale ed era una sorta di parco di divertimenti per predatori, così come l'ho descritto, ma aveva una differenza: Nick toglieva loro i collari quando entravano, permettendogli totale liberta. Nella mia storia, invece, ho deciso che i collari entrano solo in una sorta di stand by, perché volevo che fossero sempre un monito presente e che nessuno avesse più provato un senso di libertà totale da quando furono introdotti. Per sviluppi futuri.
Spero vi piaccia, grazie per
aver letto.
Switch