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Autore: Juliet Leben22    26/06/2016    5 recensioni
Erik deglutì e agì d’istinto. -Non credo che potrei mai intraprendere un simile percorso, professor Xavier.
Il sorriso si spense sul viso di Charles per poi spalancarsi in un’espressione sorpresa.
Rimasero a guardarsi per diverso tempo, quando uno dei suoi studenti pose una domanda all’insegnante.
-La lezione è finita. Segnatevi le domande per domani. Risponderò a tutto ciò che vorrete.
-Ma professore… mancano quaranta minuti!
-Fate come vi ho detto, ragazzi. Quest’uomo è un vecchio… amico. È stato lontano da questo posto per tanto tempo. Forse troppo- si morse il labbro, posando i suoi occhi cielo su di lui.
Iridi azzurre e iridi mare si fusero e Charles, come ipnotizzato, continuò a guardarlo proferendo solo poche parole. -Andiamo nel mio ufficio.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 1° "Missive"
 
Seduto sulla sedia, mentre cercava di tenersi fermo il braccio per iniettarsi il siero che gli avrebbe permesso di tornare a camminare e mettere a tacere le voci nella sua testa. Charles Xavier non avrebbe mai pensato di arrivare a quel punto. Erano passati quasi sei anni e ogni giorno perdeva sempre qualcosa di più. C’erano cose che non riusciva a spiegarsi. Eventi del suo passato che avevano distrutto l’uomo che era e l’uomo che avrebbe voluto essere.
Quell’uomo era decisamente morto. Sepolto dietro una coltre di dolore, disperazione e abbandono.
Dopo che Raven se ne era andata… dopo che Erik che se ne era andato, nulla era più stato lo stesso. Spostò il suo sguardo, mentre immetteva quel liquido giallo nel suo corpo, su alcune foto. Una raffigurava Raven, o Mystica come si faceva chiamare adesso, bionda, bianca e sorridente. Pura, piena di speranza e forte. Pacifica.  Non era più così da quando Erik era entrato nella sua vita.
Già. Proprio la foto successiva lo ritraeva. Capelli corti e morbidi, fisico asciutto e muscoloso. Maturo e bellissimo nei suoi quarant’anni.

 
“La concentrazione si trova a un punto tra la rabbia e la serenità.”
“In te c’è molto più di quanto sai. Non solo rabbia e dolore.”
 
Ricordava le sue lacrime e ricordava il suo dolore, impresso nella mente e nel cuore. Quanta sofferenza aveva patito? L’aveva sentita, radicata profondamente nell’animo.
Dopo che aveva ucciso Schmidt non era più stato lo stesso. Tutto era completamente crollato. Le loro speranze, i loro desideri di un nuovo mondo. Si erano allontanati da quel momento, da quando la pallottola che aveva deviato gli era entrata nella schiena, rendendolo l’invalido che era.
O le gambe o i poteri e lui… aveva scelto i poteri. Quella dose era decisamente sufficiente per farlo dormire… perlomeno.
Qualcosa non era andato come pensava. Quell’affetto, che nonostante tutto provava per Erik, si era trasformato in qualcosa di più profondo e ben di diversa natura. Doveva sfogarsi, per l’ennesima volta, mentre quella stupida lacrima disperata gli scivolava sulla guancia.
Abbassò i suoi occhi sulla sua scrivania e vide la solita carta da lettera con la penna nera affianco. Inspirò profondamente, aspettando che il siero di Hank facesse effetto.  
Attese qualche istante e si sedette diritto, impugnando la penna.
 
“Amico mio.
Ti scrivo l’ennesima lettera che mai ti porgerò, che mai vedrà la luce, che verrà bruciata senza alcuna esitazione.
Chissà se pensi mai al nostro periodo assieme, alla nostra prima missione. Io ricordo tutto molto nitidamente. Ricordo che per salvarmi la vita, mi hai protetto col tuo corpo quando eravamo sull’aereo. Ed era così bello sentire il tuo corpo contro il mio. Era caldo, presente.
Non ho mai avuto questi pensieri su un uomo. Difatti, credevo che avrei passato molto tempo affianco a Moira. Decisamente, mi sbagliavo.
Ci sono tante cose che vorrei avere il coraggio, la forza di dirti, ma sai come sono sempre stato. Riflessivo, cauto, speranzoso.
La nostra amicizia era davvero importante per me. Credo che lo fosse anche per te. Nella tua mente io ero sempre presente, ma non ho mai avuto l’audacia di chiedere perché.
E perdonami, caro amico. Se non sono mai stai davvero tale, ma ci ho messo tutta la buona volontà per reprimere ciò che provavo, ciò che provo. Sono stati giorni, mesi anni e istanti e di puro dolore. Da quel giorno sulla spiaggia, da quella pallottola, ci siamo irrimediabilmente allontanati. Ti ho detto che mi hai portato via tutto. Ed è vero. La mia migliore amica, Raven, con la quale ho passato più di metà della vita che ho vissuto.
I miei progetti, le mie speranze.
Ma soprattutto, Magneto mi ha portato via Erik. Il tuo odio ti ha condotto lontano da tutto quello che stavamo costruendo. Lasciandomi solo col mio dolore. E io so cosa potresti dirmi, sai? Oh, lo so. “Hank era con te”, mi avresti detto.
E avresti avuto ragione. Ma non è come me.
Ricordo bene le ultime parole che mi hai detto.
“io ti voglio al mio fianco”, “Vogliamo la stessa cosa”.
Così diversi, eppure così… uniti.
Mi manchi, purtroppo e io non posso fare altro che odiarmi per questo. Ora devo andare a bruciare queste parole, che scottano più del fuoco che arde nel mio caminetto.
Perdonami, perché io non lo farò mai.”
 

Guardò il cielo e si accorse che l’oscurità era calata ed era ora di dormire. Si ripromise che l’avrebbe bruciata l’indomani e si alzò. Sfilandosi i jeans e la camicia, buttandosi a letto. Buttò giù due pillole per dormire e si infilò sotto le coperte.
Chiuse gli occhi, cercando di non riconoscere la luce della luna che illuminava le fotografie e il suo passato.
 
 
     ****** 
 
 
-Erik- mormorò la donna al suo fianco.
Aveva dei bellissimi capelli castani e due occhi eloquenti. Era una donna intelligente che sapeva più di quel che mostrava. Nuda, tra quelle lenzuola sfatte e impregnate dall’odore del sesso. La chioma lunga le copriva la schiena sinuosa, le sue iridi erano azzurri. Ah no, erano nocciola. Da un po’ di tempo aveva ricominciato a cercare quelle iridi ghiaccio ovunque. Quelle due pietre grezze di cielo che ancora lo tormentavano nei sogni, nelle persone. Non si erano più rivisti da quando avevano risolto la questione con Trask. L’aveva lasciato andare e lui si era rifatto una vita. O così si diceva per convincersi. La donna al suo fianco l’aveva incontrata in un bar durante una partita di biliardo in una delle sere passate a Varsavia.  La neve scivolava sul terreno senza lasciar tregua alla capitale, ma a lui poco importava. Aveva deciso di seguire le idee non violente di Charles e si era creato una vita segreta in Polonia.
Ecco, l’aveva detto, l’aveva pensato.
Quasi gli sembrava di udire la voce nella sua mente… ma sapeva che non era così. Lui gli aveva lasciato una scelta e lui se ne era andato. Senza pagare per errori che lui stesso nemmeno riconosceva, senza nemmeno… averlo salutato. Era volato via come un’aquila, abbandonando tutto ciò per cui aveva combattuto.
Aleksandra * si era addormentata. Lo poteva udire dal respiro sommesso e controllato che emetta e si sfrangeva contro il cuscino. Era decisamente una bella donna ed era completamente innamorata di lui. Si guardò attorno e riconobbe perfettamente la sua casa: pareti in legno, tepore di un camino appena spento e l’alba che nasceva. Scostò le coperte dal corpo e si rivestì lentamente, pronto ad intraprendere una giornata di lavoro all’acciaieria. Cercò di non svegliarla e prese gli scarponi con le mani, indossandoli non appena chiuse la porta alle sue spalle. Sospirò e riprese il cammino verso la zona periferica. Ogni passo era qualcosa di confuso e difficile. Non l’avrebbe ammesso mai davanti ad Aleksandra, ma gli mancava tutto della sua vita da mutante. L’azione, l’adrenalina, gli amici… Charles.
Quel nome era come una condanna, era come un fruscio che non l’avrebbe mai abbandonato e già lo sapeva. Doveva solo accettarlo e mettersi il cuore in pace. Ancora però, non sapeva bene come.
 
  ******
 
Hank si era svegliato presto quella mattina. Il sonno ristoratore lo aveva cullato come un bambino. La prima cosa che aveva fatto dopo essersi vestito, era stato andare a controllare come stesse Charles, se si fosse già svegliato.
Gli bastò un attimo per capire che avesse fatto tardi: la scrivania completamente disordinata, la siringa usata ancora sul tavolo e infine una… lettera.
Cominciò a scorrere le righe con lo sguardo e si bloccò ad alcune frasi.
 
“Perdonami caro amico. Se non sono stato davvero tale”.
“Io ti voglio al mio fianco”.
“Ed era così bello sentire il tuo corpo contro il mio”.
 
C’era qualcosa che gli era sfuggito in quegli sguardi, in quegli anni passati… ad evitare l’argomento x-men, l’argomento Raven… l’argomento Erik.
Era tutto combaciava. Il mutante provò un impeto di rabbia verso quell’uomo che aveva davvero portato via tutto al suo più caro amico… anche se stesso.
Gli aveva portato via anche Raven. Sì, lei aveva scelto lui. Aveva scelto la guerra, la paura, l’oppressione, la violenza.
Sospirò e si mise nella tasca dei jeans blu la lettera. Si guardò attorno, cominciando a sistemare silenziosamente quel disordine. Cominciò dalla siringa usata per l’iniezione. Controllò la dose assunta e sorrise: stava davvero cercando di migliorare, di diminuire la dose. Eppure, sapeva perfettamente che quelle voci nella sua mente non facevano altro che aumentargli il dolore alla colonna vertebrale. Era già difficile per lui contenere il dolore, concentrarsi sulla circoscrizione di esso, figuriamoci concentrarsi anche sul male che gli altri provavano dentro di sé.
Prese i fogli sporchi o stropicciati e li gettò nel camino, ormai spento. Dentro di esso -notò- c’erano diversi pezzettini di carta. Ne afferrò uno, ancora semi integro, vi era scritta solo una frase su di esso “chissà dove sei”.
Lo rilanciò nel mucchio di cenere e istintivamente si portò la mano nella tasca: quella lettera doveva essere solo l’ultima di una lunga serie e pesava come un macigno, forse più di altre.
Non avrebbe mai pensato di dire che… non lo capiva questa volta. Come poteva mancargli una persona che aveva fatto di tutto per distruggere quello per cui aveva lottato, studiato e costruito.
Se Charles era la pace, Erik era la guerra.
Erano due facce di una stessa medaglia che forse… avrebbero davvero potuto cambiare il mondo assieme. Ma Magneto non aveva lasciato spazio ad altro che non fosse se stesso, che non fosse il suo potere, che non fosse la guerra.
Allora non aveva potuto fare nient’altro che andarsene. Già. Charles aveva preso le sue cose ed era tornato sui suoi passi, sui suoi principi, sulle sue convinzioni. Il professore avrebbe continuato a combattere per la pace, per i suoi studenti… futuri studenti. Ma sarebbero arrivati. Perché lui aveva permesso il cambiamento. Perché nonostante tutto, gli umani lo temevano, certo, ma avevano imparato ad apprezzarlo.
Alzò lo sguardo e notò le fotografie ancora sparse sul tavolo con semplici cornici. Afferrò quella di Mystica… di Raven e se la portò vicino al viso per guardarla meglio. Era bella. Era sempre stata bellissima. Si chiese come fosse diventata e cosa fosse diventata.
Posò la cornice delicatamente al suo posto, prendendo una foto di Charles ed Erik. Charles era… felice. Non c’era altra parola per descriverlo.
Avvertì la rabbia montargli nuovamente senza riuscire a controllarla. Appoggiò velocemente la foto e uscì dalla stanza, in attesa di riuscire a controllare la sua trasformazione. Anche se ormai aveva deciso cosa fare. La prima cosa da fare era trovare Raven, che lei volesse tornare oppure no. Charles aveva fatto troppo per loro… ora toccava a loro aiutarlo.
 
 
Trovare Mystica non era stato affatto facile, ma era stato fortunato. Aveva solo dovuto aspettare un po’ di tempo e a settembre erano giunti i primi studenti. Tra loro, qualcuno aveva un potere simile a Xavier ed era riuscito a collocare il luogo in cui si trovava.
In Germania.
Poteva andargli decisamente peggio. Ma non poteva lasciare da solo Charles. Non in quel momento, proprio quando erano arrivati gli studenti.
Non aveva nessuna giustificazione per la sua sparizione. Così decise di fotocopiare la lettera ed inviarla all’indirizzo in cui lo studente aveva trovato la ragazza. Sperò che nessun altro la leggesse e infine scrisse due righe da parte sua. Sperò che Raven non avesse dimenticato tutto quello che lui aveva fatto per lei.
Spedì la lettera e deglutì. Non gli restava che scendere le scale in legno e fare lezione ai suoi studenti.


         ******

 
Le erano tremate le mani quando aveva letto il mittente. Aveva lasciato sepolta la lettera per una settimana e poi, in una notte in tempesta, si era decisa a leggerla.  Aveva aperto la busta e la fotocopia le si era srotolata davanti. Aveva iniziato a scorrere lo sguardo lentamente, soppesando ogni parola e sospirando ad ogni punto.
Stava per chiudere la pagina, quando improvvisamente la frase “Perdonami caro amico. Se non sono stato davvero tale” la bloccarono istantaneamente.
Non avrebbe mai pensato che Charles provasse quei sentimenti nei confronti di Erik. Ma chi era lei per giudicare? Aveva amato entrambi e ora sembrava che quello stesso affetto fosse solo un ricordo lontano, sepolto nel cuore e tatuato nella pelle.
 
“Cara Raven,
Immagino che ti abbiano stupita le parole di questa lettera, almeno la metà di quanto abbiano stupito me. Tu sei sempre stata libera con una mente aperta… perciò saprai meglio di me cosa fare o non fare.
Appena ho letto queste parole, mi sono reso conto di quanto infondo non le apprezzassi. Non rivolte ad un uomo che ha solo cercato la guerra. Ma credo che Charles abbia visto qualcosa di estremamente prezioso nella sua anima. Non so esattamente perché mi stia intromettendo così.
Vorrei che Charles fosse felice. Certo, pensavo e speravo che lo fosse con Moira… ma se loro hanno deciso così… se lui ha deciso così, non posso fare nulla se non accettare e capire. Anche se non so esattamente cosa.
La scuola comunque è iniziata bene. Gli studenti sono molto intelligenti e dotati, ne siamo molto orgogliosi.
Ti lascio alla tua vita e spero che ci rifletterai. Tu sai su cosa. Meglio di me credo.
Ti abbraccio.
Mi manchi,
Hank.”
 
Sospirò e si stese sul divano, ancora incredula che l’avessero trovata e che… quella lettera fosse scritta da Charles.
Mise le pagine ingiallite sul tavolo e si rannicchiò nella coperta, pronta a dormire. Era troppo stanca per prendere decisioni simili a quell’ora del mattino. Perciò, chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla stanchezza e da quelle parole così vivide, sincere e reali.
 
“Io ti voglio al mio fianco”.
 
 
Non sapeva come e perché, ma erano passati due giorni da quando aveva lasciato il tepore della sua dimora e ora si trovava in Polonia. Più precisamente a Varsavia. Certo, non aveva mai perso le sue tracce. E come avrebbe potuto mai farlo?
La temperatura e i paesaggi erano simili a quelli tedeschi, ma ben più rigidi freddi.
Non sapeva esattamente dove cercarlo, ma aveva già un piano. Aveva chiesto qua e là qualche informazione. Prima era passata nei negozi, poi nei bar, infine si era imbattuta proprio in Lei. Oh, non aveva dubbi che fosse lei.
Labbra carnose e occhi grandi nocciola. Capelli lunghi mossi fino alla schiena. Fisico asciutto e slanciato. Non poteva sperare in meglio. Il tedesco lo parlava eccome, perciò non le fu difficile udire che stava comprando una torta alle more per il suo compagno.
Compagno.
Qualcosa dentro di lei si era mosso e non sapeva esattamente perché, ma le si era stretto lo stomaco in una morsa, mentre le parole di quella lettera fotocopiata echeggiavano nella sua mente come un urlo soffocato.
L’aveva seguita per le strade umide e gelide, fino a che non era entrata in un negozio di vestiti. Non aveva tanta scelta, perciò decise di seguirla finché sarebbe stato necessario. Prendere le sembianze di chiunque era davvero comodo in quei casi.
Aveva dovuto aspettare fino a sera perché lei si rimettesse sui suoi passi e tornasse all’auto.
Mystica non aveva perso tempo e aveva preso le sembianze di uno che conosceva, chiedendole così un passaggio per “salutare suo marito e stare un poco in compagnia”. Lei, gentile e disponibile, non si fece alcun problema e insieme percorsero la strada che li separa dalla meta.
Le vie erano parecchio strette, ma la donna sapeva decisamente il fatto suo.
-State bene a casa? – domandò Aleksandra.
-Benissimo. E voi? Ormai da quanto tempo state assieme?
Si grattò la nuca, scostando i capelli da un lato. -Ormai sono quattro anni.
Avrebbe voluto porle mille domande, ma non poteva assolutamente farsi scoprire.
Ancora si domandava per quale motivo fosse lì. Di certo, non avrebbe mai detto il vero contenuto della lettera che portava ancora in tasca a Erik. Oh no, non avrebbe mai tradito Charles fino a quel punto.
Il furgoncino emetteva rumori non troppo piacevoli e rassicuranti, ma l’umana sembrava completamente a suo agio. Il silenzio faceva da padrone, ad eccezione di una sorta di musica di sottofondo emessa dalla radio vecchia della macchina.
“Another Brick in the Wall” cantavano i Pink Floyd, riportando alla mente di Raven momenti che credeva di aver sepolto dentro di lei.
-Il lavoro, tutto bene?
Un’altra domanda a cui non avrebbe mai saputo rispondere. Chi era quell’uomo che stava impersonando? Lavorava? Oppure era disoccupato?
-Bene, dai. Non bisogna lamentarsi.
-Ah, quindi hai trovato lavoro! Mi fa davvero piacere!
-Saltuario, ma almeno porto a casa pochi spiccioli.
Aleksandra gli sorrise e fece una curva pericolosa a destra, addentrandosi nel bosco. Si era decisamente già persa. In un quarto d’ora, giunsero davanti ad una casetta di legno con tanto di piccolo portico e scalini.
-Eccoci arrivati! Tornerà tra poco, puoi aspettarlo in soggiorno. Posso offrirti qualcosa? – domandò, mentre lo faceva entrare e si toglieva giacca e scarpe.
-Caffè.
Increspò le labbra e sparì in cucina.
Raven storse decisamente il naso nel vedere dove Erik si era sistemato. Passeggiò per tutta la casa, non resistendo a vedere anche la loro camera. Era ordinata, ma il letto era ancora sfatto. Due comodini, uno da una parte e uno dall’altra del letto su cui erano appoggiati oggetti completamente diversi.
Per Erik una scatola di preservativi e due cornici, su quello di lei una sveglia e un’agenda.
Due cornici… una che ritraeva Aleksandra e Erik e… una che ritraeva lui e Charles.
La prese tra le mani, mentre tornava del suo aspetto umano.
Non appena udì la voce della donna chiamarla di sotto, appoggiò velocemente il quadretto e riprese l’aspetto utile in quel momento.
Scese lestamente le scale e domandò scusa.
-Stavo cercando il bagno.
-Oh, ma lo sai dov’è! Te lo sei dimenticato?
-A quanto pare sono davvero stanco.
-Erik comunque è arrivato. È in soggiorno.
Il cuore palpitava più che mai e la salivazione era a zero. Non credeva che le provocasse quell’effetto sapere di vederlo. Inoltre, non sapeva ancora cosa dirgli.
Entrò in salotto e la prima cosa che notò furono i suoi pantaloni sporchi del lavoro che gli calzavano bene, dopotutto.
La osservò, come un predatore fa con la sua preda e sollevò il sopracciglio.
Ridacchiò. -Come mi hai trovato, Mystica? O sei Raven? Con chi sto parlando dopo sei anni?
Lei deglutì e riprese il suo aspetto, controllando che la donna fosse distante.
-Entrambe, credo. Sei anni… e una sistemazione vedo.
Sollevò un angolo della bocca. -Così sembrerebbe.
-Bella casa. Ah, bella camera e belle foto direi.
Raven si tolse la giacca e la sistemò sul divano.
-Estenuante come tu non riesca a starmi lontana, Raven. Ma ora ho una nuova vita.
Lei sbuffò. – Direi che sei fuori strada, Erik.
-Fuori strada? Allora spiegami cosa ci fai qui.
-Non farò del male alla tua fidanzata, se è questo che ti stai domandando. Non stiamo più assieme, noi due. Infatti, sono qui semplicemente per… -
Per cosa era lì esattamente?
Si stropicciò gli occhi e non appena udì la voce di Aleksandra cambiò il suo aspetto.
-Volete qualche dolcetto?
-No, grazie. Io vado un secondo in bagno- disse sorridendole.
Aleksandra si avvicinò a Erik e gli posò un bacio dolce sulle labbra.
-Sei contento che Daniel è venuto a trovarti?
La strinse a sé. -Preferivo decisamente passare la serata da solo con te. Ma son contento di averlo visto. Era da tanto che non avevamo occasione di parlare come si deve.
-Allora vi lascio un po’ da soli, mentre vado a farmi la doccia – gli fece l’occhiolino- dopo così staremo solo io e te.
-Ottimo piano, tesoro.
Le lasciò la mano e lei cominciò a percorrere le scale per salire. 

Nda: Ciao a tutti! Sì, ho sperimentato anche qui e spero di non aver fatto danni! Sono piccoli "missing moments", ma ci tenevo a pubblicarli... sono due capitoli. Questo è il primo e il secondo l'ho già scritto. Diciamo che è solamente da ricontrollare. Spero vi piaccia. Fatemi sapere i vostri pareri. A presto!
Juliet

 
   
 
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