The
answer is right in front of you
Gli
anni erano passati molto più velocemente di quanto la memoria di Freddie
potesse ricordare e, alcune volte, si trovava tra sé e sé a rincorrere i
ricordi, prima che potessero sfuggirgli.
Tanto i luoghi quanto le date iniziavano ad assumere contorni sempre meno
netti, ma vi erano altrettante cose indelebili nella sua memoria e una di
queste era, senza alcun dubbio, il suo primo incontro con Stuart.
Così, quando il neo-marito lo aveva portato all’interno di un vecchio e
polveroso capanno, la sua prima reazione era stata: « Dio, sono sempre stato a
conoscenza dei tuoi orribili gusti, ma mai come oggi », seguita da un’occhiata
brusca da parte di Stuart.
Ormai Freddie non doveva calcare più di tanto il tono sardonico, Stuart era
perfettamente in grado di capire la serietà o la frivolezza delle sue
affermazioni – e, in verità, negli ultimi cinquant’anni si era talmente
abituato al suo sarcasmo che non avrebbe più saputo come convivere senza.
« Lascia che ti rinfreschi la memoria, Freddie », disse Stuart, illuminando la
stanza. « Questo è uno dei primi gay bar mai esistito in zona – o al mondo, chi
lo sa –, nascosto nella periferia più sperduta perché… beh, puoi
immaginare il motivo. Se sposti lo sguardo verso destra, puoi ancora vedere un
ventenne che ancheggia ».
Stuart puntò l’indice verso l’angolo di quel che un tempo era stato un grande
salone e Freddie seguì automaticamente la direzione, rivedendo con
l’immaginazione ogni singola parola pronunciata da suo marito.
« Pensavo che non avessi la spina dorsale la prima volta che ti vidi avanzare
verso di me ».
« Io pensavo che non mi avessi visto affatto, eri troppo occupato a palpeggiare
accidentalmente qualsiasi parte del mio corpo ».
Freddie mimò un brivido di freddo, inveendo: « Oh, ti prego, ci sono cose che
nemmeno una stanza dovrebbe sentire ».
Stuart gli lanciò l’ennesima occhiata arguta, poi riprese: « Beh, dato che lo
raderanno al suolo a breve, volevo che lo visitassimo almeno per un’ultima
volta ».
Tra i due Stuart era sempre stato il più sentimentale, era risaputo: qualsiasi
dono gli avesse fatto negli ultimi cinquant’anni era stato meticolosamente
pensato – e talvolta realizzato – a dovere mesi addietro, il tutto per
ricevere un’espressione di sufficienza da parte di Freddie allo svelamento del
regalo stesso. Ma Freddie, mettendo a punto le doti attoriali, aveva imparato
bene a mascherare qualsiasi stato d’animo, in maniera particolare in presenza di
un gruppo affollato, ragion per cui negli anni aveva fatto proprio un certo
contegno, mostrando con sempre meno frequenza i suoi veri sentimenti.
Erano rare le situazioni in cui il sentimentalismo vinceva, ma erano tali poiché
Freddie desiderava che solo Stuart potesse vedere la sua reale natura – così
lasciò che una lacrimuccia gli sfuggisse dalle ciglia, offuscando la sua vista.
Eppure ciò che lo commosse davvero fu il fatto che Stuart non fosse affatto
stupito da quella reazione, poiché lo sapeva – eccome se lo sapeva –, dopo
cinquant’anni di battibecchi quotidiani e frasi altisonanti, il suo vero
io era divenuto piuttosto trasparente.
Stuart poggiò la testa sulla sua spalla, senza dire una parola: nel rigoroso
silenzio di quel vecchio capanno potevano sentire ancora il tintinnio dei
bicchieri, il buon vecchio jazz di un tempo, le stridulanti risate provenire da
ogni parte della sala e le prime parole scambiate di una lunga, fatidica e infinita
lista.
˜
1966,
Londra.
« Oh, mi scusi, colpa mia », si affrettò a fare ammenda una vocina piuttosto
acuta.
« Ma che…? », si interruppe una sagoma imponente, cercando di togliersi di
dosso l’irrimediabile odore che avrebbe assunto ben presto il suo maglione.
Poi, alzando gli occhi, vide una figura piuttosto angelica – nonché piuttosto
nuova, da cliente abituale qual era –, quasi sull’orlo della disperazione.
Così, in un inusuale moto di gentilezza, Freddie gli rivolse il suo sorriso più
sincero: « Questo potrebbe rimediare al danno », ammise, scolando il suo drink
in un sol sorso.
« Veramente era per il mio amico – ».
« Un consiglio… ».
« … Stuart. Stuart Bixby », si affrettò a precisare, chiedendosi solo
qualche attimo dopo per quale motivo avesse rivelato anche il suo cognome.
« Stuart Bixby », ripeté Freddie, aggiustandogli il papillon. « Non nominare
mai il nome di un altro uomo, specialmente se quest’uomo sta cercando di
farti la corte ».
Stuart divenne paonazzo, nessun uomo si era mai approcciato in maniera tanto
sfrontata nei suoi riguardi: boccheggiò per alcuni secondi e suscitò l’ilarità
del suo interlocutore, poi riprese la parola.
« Quale amico, esattamente? ».
Freddie si interruppe istantaneamente, l’audacia di quella risposta lo aveva
stupito come ben poche cose nella vita.
In quel momento non avvertì più né la musica in sottofondo, né l’umidità del
suo maglione, men che meno l’instancabile chiacchiericcio nella sala – beh, non
proprio, non sentì nient’altro ad eccezion fatta dell’unica martellante voce
che, da allora in avanti, avrebbe sempre voluto udire.
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Il mio umile – umilissimo! – tributo a questa serie a dir poco meravigliosa,
conclusasi più di una decina di giorni fa. È il mio modo di dire “addio” (anche
se so già che mi farò rewatch su rewatch) a questa serie, con uno sprazzo di
vita presente e passata di Stuart e Freddie.
Il titolo deriva da una frase di Ash, poco prima che Freddie chiedesse a Stuart
di sposarlo (<3).
Grazie per aver letto!
Kì.