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Autore: Roscoe24    27/06/2016    2 recensioni
"Castiel divenne il mio migliore amico senza rendersene conto. O forse, anche se capiva l’importanza che iniziava ad avere per me, non me lo confessò mai."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Castiel, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ero una bambina, la prima volta che un angelo fece irruzione nella mia vita. Non sapevo quanto ci fosse di vero nelle storie che mi raccontava mia madre, quelle secondo cui, notte e giorno, c'era un angelo custode che sorvegliava su di me. Pensavo fosse un modo per rassicurarmi, per non farmi mai sentire sola. Ma io ero sola. Ero una bambina sola e solitaria. Non avevo ne fratelli, ne sorelle e i miei genitori avevano sempre qualche impegno che era impossibile rimandare e mi lasciavano con una babysitter, che la maggior parte delle volte, veniva a casa solo per guardare la tivù o stare al telefono con le sue amiche. Non giocava con me, non parlava con me, e io, che mi trovavo a bramare attenzioni da qualcuno che attenzioni non voleva darmi, ero costretta a stare con me stessa, chiusa in un mondo tutto mio. 
Per questo, la prima volta che ho visto un angelo, pensavo fosse frutto della mia mente, che si divertiva a creare amici immaginari  per venire in aiuto ad una bimba che, di amici, non ne aveva. 
"Chi sei?" Gli chiesi la prima volta che comparve nella mia stanza, una notte di gennaio, quando l'inverno era nel pieno della sua forza e diventava buio già alle cinque del pomeriggio. Avevo paura delle giornate invernali, perché il sole andava via presto e con lui, la luce. Non mi piaceva il buio. 
"Sono un angelo." Mi rispose l'uomo che era apparso nella mia stanza e la cui figura veniva proiettata sulla parete dalla luce arancione della mia abatjour a fiori. Riuscivo a vedere la sua ombra, alta e imponente, che, anzi che trasmettermi paura, mi infondeva sicurezza. Non capivo perché non lo temevo – mamma mi aveva insegnato ad avere paura degli sconosciuti – ma c'era qualcosa nei suoi occhi che mi gridava di fidarmi di lui, di lasciare che si avvicinasse a me. Ed è quello che gli lasciai fare. Lo osservai avvicinarsi al mio letto e sedersi ai piedi di esso. Guardai i suoi occhi che cercavano i miei e le sue labbra stendersi in un sorriso non appena la mia iniziale titubanza svanì. 
"Come ti chiami?" Chiesi, curiosa. 
"Castiel." La sua voce suonò calda e profonda, ma per nulla minacciosa.
"Perché sei qui, Castiel?"
"Perché tu hai bisogno di un amico."
"È questo che sei?"
L'angelo annuì e io, con l'innocenza che solo i bambini possono avere, scesi dal letto, sotto lo sguardo attento del mio nuovo amico, e andai a raccogliere da terra il mio servizio da the, quello che usavo per giocare insieme ai miei peluches, e lo portai sul letto, dove porsi una tazza a Castiel, che sembrava ben contento di condividere del buon the immaginario con me.
Dopo quell'episodio, Castiel venne a trovarmi ogni notte e io mi abituai alla sua presenza come ci si può abituare a quella di una mano alla fine del braccio. Per me divenne naturale aspettarlo, così come venne naturale vederlo comparire ogni volta che pensavo il suo nome, anche se non era necessariamente sera. Le sue visite divennero sempre più frequenti, proprio perché, non appena sussurravo il suo nome, lui compariva, vestito con il suo impermeabile beige e un completo elegante. Si toglieva sempre il cappotto non appena faceva apparizione al mio fianco, lo sistemava sulla sedia della mia scrivania e, dopo essersi tolto la giacca, aver allentato la cravatta e aver arrotolato le maniche della camicia fino ai gomiti, giocava con me. Castiel divenne il mio migliore amico senza rendersene conto. O forse, anche se capiva l’importanza che iniziava ad avere per me, non me lo confessò mai.
Con gli anni, le nostre visite cambiarono natura. Se prima veniva per giocare, con il senno di poi veniva per ascoltarmi, per parlare, per aiutarmi a capire il mondo. 
Mi piaceva sentirlo parlare della creazione, di Dio, del Paradiso, dell'universo. La sua visione del Creato era meravigliosa; riusciva a farmi vedere tutto attraverso i suoi occhi e, di conseguenza, riusciva a mostrarmi la bellezza di ciò che Dio si era impegnato a creare. Un mondo intero, pieno di esseri viventi tra loro estremamente diversi, ma necessariamente complementari. Un orologio pieno di ingranaggi che combaciano alla perfezione e fanno si che la macchina si muova senza fatica alcuna.
"Cas," decisi che quel soprannome gli stava bene e sembrava che a lui non desse fastidio che lo chiamassi in quel modo, "perché tra tutte le creature del creato, hai scelto di occuparti di me?" 
Avevo diciassette anni, quando gli feci questa domanda. Ero cresciuta e avevo finalmente trovato il coraggio di porgli il quesito che si era formato nella mia testa da qualche anno. 
Castiel aveva sorriso dolcemente: "Perché tu hai bisogno di me."
"Tanti hanno bisogno di te, e stanno sicuramente peggio di me."
"Tu sei venuta al mondo destinata ad essere sotto la mia ala protettiva. Ogni umano nasce destinato ad un determinato angelo, tu sei la persona destinata a me." 
Gli sorrisi. E, per la prima volta in dodici anni, lo abbracciai. Lo strinsi forte e, qualche istante dopo, sentii il suo tocco delicato sulla schiena. Quel giorno, capii quanto Castiel fosse timido, nonostante la sua natura eterna e, apparentemente, impossibile da scalfire. 
"Cas, c'è un'altra cosa." Cominciai, timida, dopo aver sciolto l'abbraccio. 
"Quello che vuoi." Cas sorrise, e la mia timidezza svanì, esattamente come era svanita la mia titubanza la prima volta che lo vidi. 
"Hai detto che sono sotto la tua ala protettiva, ma non ho mai visto le tue ali. Vorrei... Vorrei vederle." 
Abbassai lo sguardo, insicura di quella richiesta; cominciai a torturarmi una pellicina a lato del pollice, che tentai di strappare con i denti qualche istante dopo. Castiel mi abbassò la mano, con delicatezza, e mi guardò con i suoi profondi occhi blu, il colore del mare che a me piaceva tanto. 
"Non devi agitarti. Te le mostrerò volentieri."
Sorrisi, felice, e rimasi in attesa. Guardai Castiel alzarsi in piedi e chiudere gli occhi. Qualche istante dopo, vidi apparire dalla sua schiena delle grandi ali piumate, che, con mia grande sorpresa, non erano bianche come mi aveva sempre detto mamma, ma erano scure. Le piume delle ali di Castiel erano nere e mano a mano che si scendeva a guardare le punte, diventavano grigie. Erano la cosa più bella che avessi mai visto. Erano qualcosa di estremamente delicato, agli occhi, ma di cui si percepiva la forza. Ricordo che immaginai Castiel nell'atto di volare, sorretto da quelle ali grandi e forti. 
"Sono bellissime." Mi avvicinai con la mano alzata e accarezzai le ali con delicatezza, temendo che, in qualche modo, avrei potuto fare del male a Castiel. 
"Piacciono tanto anche a me." L'angelo le agitò e sentii uno sbuffo delicato d'aria passarmi accanto. 
"Com'è volare?" Gli chiesi, ancora intenta ad accarezzare le ali. 
"Liberatorio."
“A volte vorrei saperlo fare anche io. Andarmene, volare via da qui. Gli unici momenti in cui sto bene in questa casa è quando vieni a trovarmi.” Confessai, abbassando lo sguardo. Temevo che Castiel mi avrebbe rimproverata per un commento simile; lui, che aveva sempre tanto insistito a farmi capire quanto i miei genitori, in realtà, tenessero a me, nonostante non fossero bravi a dimostrarmelo.
Ma non ci fu nessun rimprovero.
Castiel semplicemente mi alzò il viso e disse: “I periodi che ci sembrano più oscuri, sono quelli in cui impariamo a diventare forti. Non abbatterti. Non lasciare che questa tristezza ti avveleni il cuore. Combattila.”
“Per te è facile, tu non sei mai triste.”
Castiel mi sfiorò una guancia con due dita; fu un contatto così delicato che lo percepii appena.
“Per gli angeli le emozioni funzionano in modo diverso. Ciò non vuol dire che io non sia mai triste.”
Alzai un angolo della bocca, un tentativo di sorridergli che non andò a buon fine.
“È tardi,” disse, “dovresti andare a riposare.”

Avevo cinque anni, la prima volta che vidi un angelo.
Avevo diciassette anni, la prima volta che lo stesso angelo, mi mostrò le sue ali.
Avevo ventiquattro anni, la prima volta che vidi un angelo soffrire.

La vita di Castiel era cambiata radicalmente quando cadde dal Paradiso. Mai avevo visto un’espressione così cupa, nel suo volto. Aveva perso la sua famiglia, dopo anni di lotte e guerre da cui era uscito indenne, con mia grande gioia – non avrei sopportato l’idea di perderlo, era troppo importante per me – ed era caduto.
Le sue ali, che una volta gli permettevano di arrivare da me volando, erano ridotte a brandelli.
“Fammele vedere.” Gli chiesi, avvicinandomi a lui. Quella volta, non era volato nella mia stanza, ma aveva bussato alla porta della mia casa, quella in cui vivevo da sola e che avevo comprato con le mie forze. Ricordo come si mostrò orgoglioso di me, la prima volta che gliela mostrai.
“No.” La sua voce ridotta ad un sussurro, nei suoi occhi lessi una tristezza che gli era estranea; lui, che aveva sempre avuto fiducia in qualsiasi cosa e non si era mai lasciato abbattere dalle negatività.
Castiel, quella volta, sembrava deluso, sconfitto, affranto, privato di tutta la speranza che viveva nel suo cuore e che mi aveva trasmesso per tutta la vita.
“Ti prego, Cas..”
L’angelo chiuse gli occhi – e potrei giurare di aver visto una lacrima solitaria percorrere il suo viso – poco prima di mostrarmi la sua ferita di guerra.
Quando le ali si aprirono dalla sua schiena, non erano affatto come l’ultima volta che le avevo viste. Erano malconce, private delle loro piume e, in alcuni punti, spezzate.
Castiel non poteva volare più.
Castiel non si sarebbe più sentito libero, librando nel cielo e raggiungendo qualunque posto gli andasse di raggiungere.
Castiel aveva toccato l’umanità.
Castiel doveva imparare a confrontarsi con l’umanità che iniziava a diventare parte di lui, chiedendogli di mettere da parte la sua natura angelica.
Lo sapevo, anche se non me lo disse ad alta voce. Mi era bastato il suono della sua voce, mi era bastata la lacrima solitaria, colma di tutto il dolore che nella sua intera esistenza Castiel non era ancora riuscito a provare.
Lo abbracciai, stringendolo forte: “Ti aiuterò io.”
L’angelo mi strinse, nascondendo il suo viso tra l’incavo del mio collo e i miei capelli.
Un tempo, era stato l’angelo a cui ero stata assegnata, l’angelo sotto la cui ala avrei trovato protezione. Ma Castiel era molto più di questo. Cas era molto più di un angelo custode, per me.
Castiel era serenità.
Castiel era casa.
Castiel era famiglia; e gioia; e spensieratezza.
Castiel era colui che mi aveva insegnato ad essere coraggiosa e a non temere l’oscurità perché, così come esiste il buio, esiste anche la luce e quindi, i periodi brutti sono destinati a passare, dobbiamo solo crederci abbastanza forti per poterli sconfiggere.
E adesso.. adesso, toccava a me. Adesso, dovevo fargli sentire la mia presenza nel momento del bisogno esattamente come lui mi aveva fatto sentire la sua ogni volta che avevo pronunciato il suo nome e si era presentato al mio fianco.
Lui era il mio angelo, ma io ero la sua umana. E sempre lo sarei stata.
“Non preoccuparti, Castiel. Non sei solo, hai me. Avrai sempre me. E mi prenderò cura di te.”  



 

   
 
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