If I had a heart
Silevril se ne stava appollaiato
sull’albero maestro come un uccello, con lo sguardo perso lontano nella
corrente dell’Anduin.
Era un
grosso mercantile, molto diverso dalla Stella,
e Laer si ritrovò a pensare che non fosse assolutamente
adatto a quell’elfo dai modi tanto spicci.
Quando si
avvicinò lui la udì e si voltò a guardarla, con un sorriso sincero sul viso
tirato.
Non lo
vedeva dai funerali del Re e non gli parlava da quando lo aveva richiamato
dall’Ombra, lì sulle mura di Minas Tirith, ormai una settimana prima. Sentiva la sua mancanza
come una bruciatura sulla pelle.
< Sei
venuta a salutarmi, piccola Laer? >
Sorrise e
scese agilmente, come un gatto, atterrandole proprio di fronte. Laer alzò la testa per guardarlo, maledicendosi per
l’improvvisa timidezza che l’aveva colta.
< Stai
andando via, quindi? > gli chiese.
<
Domani partirò con questi gentili signori, per nuove fantastiche avventure!
>
Scherzava
e la prendeva in giro, come sempre. Era un qualcosa che la faceva impazzire,
arrabbiare… e che amava profondamente.
<
Pensavo che saresti tornato con tua madre e tuo padre. >
Il suo
viso si indurì.
< No, è
una cosa che non posso fare, > improvvisamente tornò a sorridere, con aria
furba, come un bambino dispettoso < sono grande ormai, no? >
< Galmoth non si è ancora ripreso > disse lei, un po’
indecisa su come affrontare l’argomento per cui l’aveva cercato, < rimarrò
qui con lui e poi Finrod ci scorterà a Dol Amroth. Il Tesoro di Ulmo tornerà al collo del Principe e Galmoth
riavrà il suo titolo di Ammiraglio. >
< Alla
fine Baran aveva ragione > osservò Silevril con amarezza, < abbiamo tutti fatto quello che
voleva lui e ne abbiamo ottenuto ciò che ci aveva promesso. >
< Non
proprio, > lo rimbeccò, < Baran voleva la
distruzione di Gondor e non l’ha ottenuta. >
<
Forse. >
Rimasero
in silenzio qualche istante. Silevril la stava
guardando attentamente, quasi studiandola. Laer non
riusciva ad alzare lo sguardo per guardarlo in faccia, preferendo continuare a
fissare un punto imprecisato del pavimento di pietra della banchina.
Avrebbe
voluto essere più intraprendente, ma quando si trattava di Silevril
tutto il suo carattere sembrava scomparire e lei si sentiva come quando aveva
dieci anni: una bambina.
Ma non
poteva rimanere lì senza far nulla, non quando il rischio di perderlo era così
grande, così reale… Silevril su una nave, chissà dove
nella Terra di Mezzo, senza che lei riuscisse a rintracciarlo… no, era
insopportabile anche solo l’idea.
Inspirò
profondamente e alzò la testa di scatto, pronta a confessare tutto.
Ed
improvvisamente Silevril la baciò.
Si era
chinato su di lei e le aveva afferrato saldamente il viso con la mano, con
l’altra le aveva avvicinato i fianchi ai suoi e la baciava con una forza tale
da sconvolgerla.
Si
aspettava che sapesse di mare, di salsedine e sole, ma la verità è che non
sentiva alcun sapore, nulla se non la morbidezza delle sue labbra e le loro
lingue a contatto. Gli si aggrappò con la disperazione di un naufrago, come se
stesse per affogare. Si alzò in punta di piedi per raggiungerlo un po’di più,
per non perdersi niente di quel bacio che era tutto ciò che aveva desiderato.
E
poi Silevril la sollevò, quasi tirandola di peso su
di sé, con una violenza che avrebbe dovuto sconvolgerla ma che invece acuiva le
sensazioni che stava provando.
Desiderio
e ancora desiderio e tutto ciò che comprendeva iniziava e finiva in Silevril.
Non
riusciva a respirare e la testa iniziò a girarle vorticosamente.
<
Laer… >
Silevril pronunciava il suo nome, con il fiato
corto.
D’un
tratto si bloccò, allontanandosi bruscamente, ansimando.
Aveva
il volto paonazzo, i capelli scarmigliati e appariva ancora più bello del
solito.
La
guardava sconvolto, come se perdere il controllo in quel modo fosse qualcosa
che non aveva mai sperimentato. Laer non stentava a
crederci.
<
Sono innamorata di te, > disse.
Non
c’era un motivo preciso per cui aveva scelto proprio quel momento, ma in
qualche modo le parve appropriato.
Per
un momento l’elfo sembrò andare in pezzi, sciogliendosi come la cera di una
candela. La sua espressione era sofferente, ma gli occhi chiari sembravano
inanimati… il Silevril di sempre, quello che aveva il
controllo, quello che appariva costantemente come una bellissima statua di
marmo.
<
Non avresti mai dovuto dirmi questo, > disse, e la sua voce era rotta e
disperata.
<
Dovevo provarci, > gli rispose, < almeno prima della tua partenza, per
sapere se c’è una possibilità per noi. >
<
Una possibilità? > Era incredulo. < Quale possibilità potrebbe mai
esserci per noi? >
<
Non mi importa che sei immortale. >
<
Credi che sia questo il problema? Oh, dolce, ingenua, Laer!
Sono un essere egoista e preferirei stare con te anche per poco piuttosto che
non averti mai. >
<
Allora che problema c’è? >
Silevril la guardò un secondo e quello
sguardo la fece rabbrividire.
<
Non posso amarti, Laer. >
Le
sembrò che tutto il suo sangue defluisse dal volto, lasciandola svuotata.
<
Ti desidero intensamente… > le si avvicinò per accarezzarle una guancia,
< e tengo a te come credo di non aver mai fatto con nient’altro in tutta la
mia vita. >
<
Ma non sei innamorato di me. >
Mentre
lo diceva le parole le risuonavano alle orecchie come una campana stonata…
c’era qualcosa di terribilmente sbagliato.
<
Io… > esitò, < la verità è che non credo di poterci fare nulla. >
<
Ma sei innamorato di Finrod Felagund.
>
Avrebbe
voluto sbattergli in faccia quelle parole con violenza, ma ne uscì solo un
lamento disperato.
Silevril si ritrasse, come se lo avesse
schiaffeggiato, pallido sotto la pelle scurita dal sole.
<
Quello che c’è tra me e Finrod è… complicato. Non lo
so cosa provo per lui, non posso spiegarlo. > Sospirò pesantemente, < Ma
so cosa provo per te e non posso cambiarlo in quello che tu vorresti. Non posso
amarti come vorresti, Laer, non ne sono capace. >
Il
dolore che provava si trasformò in confusione. Lui dovette leggerglielo in
faccia perché continuò:
<
Sono nato e cresciuto in un amore che tu non riesci nemmeno a immaginare. Ho
visto la sofferenza, ho visto quanto possa essere distruttivo. Non sono in
grado di fare lo stesso, non riuscirei mai a soffrire per amore, non sarei mai
disposto a sacrificare me stesso per te, per quanto in questo momento tu sei
tutto ciò che desidero. >
La
guardava supplicante, voleva che lei capisse, ma la verità è che quello che
diceva non aveva alcun senso.
<
Se credi che l’amore sia sofferenza, Silevril, se
credi che distrugga ogni cosa, allora non hai capito niente. >
Fece
per toccarla, ma lei si allontanò bruscamente e lui rimase con un braccio a mezz’aria,
proteso.
Lo
guardava e quella bellezza che l’aveva attratta le sembrava ora grottesca, su
quel volto che non faceva trapelare alcuna emozione.
<
Com’è possibile che sotto questo aspetto tu non provi niente? >
<
Non credo di essere capace di amare qualcuno, Laer.
>
Credeva
davvero a quanto stava dicendo, era questo che la feriva più di ogni altra
cosa. In lui c’era un’anima vuota e fredda che le metteva i brividi e che non
riusciva a smettere di amare.
Non
gli rispose, non lo salutò, semplicemente gli voltò le spalle, lasciandolo lì
sul molo, con le sue convinzioni e le sue ferite, portandosi dentro i pezzi del
suo cuore infranto.
Guardò
Laer allontanarsi e respinse l’impulso di correrle
dietro. A cosa sarebbe servito? Non poteva darle ciò che lei voleva, non ne
avrebbe ricavato altro che una vita sprecata e un cuore spezzato. No, non
poteva assolutamente permettere a se stesso di fare
questo a Laer, nemmeno se la desiderava in un modo
tanto travolgente. Si era stupito di come il suo corpo aveva reagito alla sua
presenza, di come l’aveva baciata senza nemmeno stare a pensare a cosa stava
facendo. Quel piccolo momento di lucidità necessario
ad allontanarla gli era costato uno sforzo enorme.
Avrebbe
voluto che il mercantile partisse in quel momento, sarebbe stato molto più
semplice resistere alla tentazione di raggiungere Laer
e pregarla di riprenderlo con sé, che ciò che aveva detto non era vero, ma
doveva aspettare la mattina successiva, quando tutto l’equipaggio fosse stato
pronto.
Si
sentivano molte voci, nel piccolo porto fluviale che collegava Minas Tirith al resto della Terra
di Mezzo, ma a lui sembrava di sentire unicamente il martellare del cuore nel
petto, il respiro che gli rimbombava nelle orecchie.
Si
mosse un labbro e, con un gesto di stizza, si ravviò i capelli che gli
ricadevano sugli occhi.
Voleva
trovare Galmoth, salutarlo, prima di partire, ma era
molto probabile che Laer fosse corsa proprio da lui.
A dire la verità, l’ultima volta che lo aveva visto, il giorno prima, aveva
avuto l’impressione che l’uomo si fosse raffreddato nei suoi confronti,
mettendolo profondamente a disagio. Aveva ferito anche Galmoth,
unico amico che avesse mai avuto. Complimenti, Silevril!
<
Non incolpare te stesso dei sentimenti altrui. >
La
voce di sua madre sembrava portata dal vento sul fiume. Aveva tentato in ogni
modo di evitarla, di fingere che lei non fosse lì, che qualsiasi cosa fosse
accaduta tra lui e Aeglos non avesse niente a che
fare con lei, ma non era mai facile impedire ad Alatariel
di fare quello che voleva.
Si
voltò.
Era
sulla banchina, con i suoi vestiti da viaggio sgualciti e i lunghi capelli
corvini legati stretti sulla nuca, l’immagine che nella sua infanzia aveva
significato un misto di delusione e sicurezza. Perché sua madre era andata via
tante volte, ma era sempre ritornata.
<
Naneth. >
<
Mi è sembrato di correrti dietro per tutta la settimana, figlio, alla fine ho
deciso di intrappolarti in un luogo in cui non potevi fuggire. >
Non
riuscì a reprimere un sorriso, a cui lei rispose. La raggiunse e l’abbracciò,
abbandonandosi tra le sue braccia come quando era bambino, lasciando che la
madre gli accarezzasse i capelli, gli sussurrasse all’orecchio che lo amava.
Alla
fine staccarsi da lei fu quasi doloroso.
<
Non posso appoggiarmi a te ogni volta che qualcosa non va come vorrei, >
disse, senza però lasciarle la mano, < quello che ho detto a mio padre era
vero. >
<
Hai riversato su di lui una rabbia e una violenza che non si meritava, > la
voce di sua madre era severa, < lo hai ferito più di quanto immagini. Non lo
sai quanto profondamente ti ami? >
<
Perché devi sempre rigirare le mie parole? > la lasciò, nervoso. < Perché
interpreti il bisogno di indipendenza come un rifiuto? Per voi amore è
possesso, non si riesce a uscire da questo circolo vizioso. >
Silevril sospirò pesantemente.
<
Iluvatar sa quanto vorrei amarvi di meno, ma non mi è
possibile. Finché rimarrò con voi, finché voi continuerete a cercarmi, non sarò
mai libero. Tutto il mio essere anela a questo, non capisci? >
Alatariel lo guardava con occhi leggermente
sbarrati, confusa.
<
Naneth, > addolcì la voce, < è bastato vederti
un minuto perché immagini di noi due e mio padre nella nostra casa sulla
scogliera mi inondassero la mente. L’altro giorno, Aeglos
mi ha appena sfiorato e io volevo tornare con voi. >
<
E sarebbe così terribile? > Alatariel sembrava
così giovane, così indifesa. Sua madre sapeva usare le sue armi in maniera
spietata e perfetta.
<
Sarebbe meraviglioso e sbagliato. Non mi fa bene stare lì, non mi fa bene il
rimanere fuori dal mondo. Quando eri giovane, madre, hai vissuto la tua vita,
hai lottato, sbagliato, sofferto. Non saresti ciò che sei ora se fossi rimasta
in casa, con tuo padre, se Feanor non ti avesse
strappato via a forza da casa tua. >
Lei
strinse le labbra, come se il nome di Feanor la
facesse arrabbiare, ma la sua espressione era impassibile. Eppure Silevril la conosceva, riusciva a scorgere la
consapevolezza in lei, la comprensione che Aeglos non
era riuscito a dargli. Sua madre era d’accordo con lui e lottava contro se stessa per ammetterlo, per superare l’istinto che le
imponeva di tenere suo figlio il più vicino possibile.
<
Per questo hai spezzato il cuore di quella ragazza? >
La
domanda lo scioccò.
<
Non pensavo avessi sentito. >
<
Non ho potuto evitarlo, > disse lei, < quando sono arrivata voi eravate,
beh… > si interruppe un momento, come se l’idea di suo figlio che baciava
un’altra donna non l’avesse mai lontanamente sfiorata. < Ho sentito ciò che
le hai detto, Silevril, > continuò e c’era un tono
duro nella sua voce, < è stato crudele e ingiusto. >
<
Ma vero. >
Fu
come se l’avesse schiaffeggiata. Alatariel vacillò.
<
Credi sul serio di non essere in grado di amare? >
<
L’amore è distruzione, naneth, come puoi chiedermi di
fare questo a Laer? >
<
Se pensi questo, mio amato figlio, allora è meglio che la tua amica doni il suo
cuore a qualcun altro. >
Silevril guardò sua madre, senza riuscire a
credere alle sue orecchie: ad Alatariel, Laer piaceva. Certo,
non lo avrebbe mai ammesso, ma era così e la delusione era dipinta sul suo viso
chiara e lampante.
Non
riusciva a sopportarlo.
<
E naturalmente Finrod è innamorato di te, >
continuò lei, implacabile, < chissà perché… Figlio mio, fin dal momento in
cui sei nato sei stato amato con una tale intensità, e tu rifuggi questo amore
per testardaggine e vendetta contro di me. >
<
Non tutto gira intorno a te, madre. >
<
Oh, ma nel tuo mondo è così, vero? Ogni cosa che ti capita è colpa mia, perché
non ti ho amato abbastanza, perché ti ho abbandonato, perché non ti ho portato
con me. Se avessi avuto un cuore avresti capito che
io e tuo padre ti amiamo più di quanto sia
anche lontanamente descrivibile a parole, che se andavo via era perché ti
amavo… non te lo ha forse spiegato, Aeglos? >
Alatariel aveva le guance rigate di lacrime,
ma era furiosa come mai l’aveva vista prima in vita sua. Gli faceva quasi
paura.
<
Ah, Silevril, porti il nome della più bella gemma su
Arda e sei l’unica cosa che mi ha salvata dalla morte, l’unica cosa che separa
me e Aeglos dalla perdizione e dall’oblio, ma non te
ne rendi conto. Ed io sono stanca di cercare di fartelo capire. >
<
Il tuo non è amore, madre, è costrizione. >
Alatariel si avvicinò a lui e lo baciò su
una guancia, delicatamente.
<
Ognuno ama come può. >
Si
voltò con un ultimo sguardo e si allontanò da lui, verso la strada che
riportava in Città.
Rimase
ad osservarla per un po’, finché non scomparve alla sua vista, lasciandogli
addosso un senso di inquietudine, la sensazione di essersi sempre affannato a
capire qualcosa che era sotto i suoi occhi.
Ma
Alatariel si sbagliava, non aveva mai dubitato del
suo amore, o di quello di suo padre, nemmeno per un istante, semplicemente non
riusciva ad accettarlo, non riusciva a contenerlo, sentendosi legato a loro
come uno schiavo in catene. Questo però lei non poteva capirlo.
Il
cielo era ancora scuro, tranne sul filo dell’orizzonte, dove il sole stava
sorgendo. Aveva passato una notte insonne, tormentato dal ricordo delle labbra
di Laer, dalle parole di suo madre, dall’espressione
ferita di Aeglos. Avrebbe voluto chiudere gli occhi,
sprofondare in un sogno fatto di Mare e Stelle, cullato dalla voce dolce di Uinen come gli era capitato quando aveva il Tesoro di Ulmo al collo.
La
Maia sembrava sempre così benevola con lui, nonostante avesse profanato la sua
Gemma per portare la distruzione sulla città. Si sentiva in colpa, per quello che
era successo, per i morti che aveva provocato, ma soprattutto per la sconcertante
sensazione di aver perso troppe cose in una volta sola.
Aveva
creduto di essere buono, una persona migliore di quanto i suoi genitori fossero
mai stati, ma non era così e questo gli faceva male. Chissà, forse mandare via Laer in quel modo era stata una cosa buona, in fin dei
conti. Meritava di avere accanto qualcuno in grado di amarla veramente, non un
elfo con l’oscurità dentro di sé e il pensiero del Mare come unico scopo.
Guardò
distrattamente gli uomini attorno a lui che si affannavano nello spiegare vele
e sciogliere cime, mentre il capitano urlava ordini con voce potente. Era un
uomo alto e magro, dalla pelle abbronzata e la barba bionda che contrastava con
il capo calvo.
Non
gli aveva quasi rivolto la parola e questo Silevril
lo aveva apprezzato enormemente: nessun contatto, nessun pericolo di rovinare
la vita a qualcun altro.
La
nave si staccò lentamente dalla riva, puntando con la prua verso sud, pronta a
raggiungere il centro dell’Anduin e a sfruttarne la
corrente per arrivare il prima possibile a Umbar.
La
banchina si allontanava e la Città con essa, bianca e imponente sulle pendici
del Mindolluin, una vera meraviglia eretta dalle mani
degli Uomini. Doveva assolutamente tornare a Minas Tirith, prima di attraversare il Mare, e non solo per
poterla visitare. Finrod era lì e in fondo al cuore
desiderava il suo tocco ancora una volta… ma poteva aspettare. La Terra di
Mezzo era grande e meravigliosa, piena di luoghi in cui andare.
Guardò
verso riva un’ultima volta e spalancò gli occhi, sorpreso. Galmoth
se ne stava in piedi dove poco prima era ormeggiato il mercantile e ansimava a
causa della corsa. Il vento gli scompigliava i capelli, facendolo sembrare più
giovane.
Mise
le mani a coppa intorno alla bocca e gridò:
<
Maledetto elfo! Potevi aspettare che almeno ti salutassi! >
Silevril scoppiò a ridere e lo salutò con
la mano.
<
Lo sai che mi piace essere imprevedibile! > gli urlò di rimando e lo vide
scuotere la testa, divertito.
Man
mano che l’Anduin scorreva, Galmoth
diventava sempre più piccolo quasi fino a scomparire del tutto.
Appena
prima che nemmeno i suoi occhi di elfo potessero più scorgerlo, la sua voce gli
arrivò bassa, ma chiara.
<
Ti infilzerò con un pugnale! >
Ah,
ne era assolutamente sicuro, come poteva passarla liscia dopo aver spezzato il
cuore della ragazza che l’uomo amava come una figlia? Ma, stranamente, quelle
parole suonavano come un grazie, anche se non avrebbe saputo dire con esattezza
per cosa.
***
E così siamo arrivati alla fine,
ogni storia è chiusa e naturalmente tutto finisce in modo agrodolce. Silevril rifila un sonoro due di picche alla povera Laer, ma prende un sonoro schiaffone morale dalla cara
mammina, che come ti manda a cagare Alatariel nessuno
mai. Credetemi, far affondare la ship Silevril/Laer è stato doloroso
anche per me *le lanciano pomodori in faccia*
Ma rimanete tutti dove siete,
perché manca ancora l’epilogo, prima di salutare Silevril
e soci, quindi alla prossima e come sempre lunga vita e prosperità.
Thiliol
P.S. il titolo della canzone è un
verso di “If I had a heart” di Fever Ray, canzone
meravigliosa, ascoltatela.