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Autore: Slytherin_Eve    04/07/2016    3 recensioni
PRE CIVIL WAR
Steve Rogers prende il comando dei nuovi Avengers. L'Hydra si sta ricomponendo sotto la guida di nuovi, misteriosi individui. Rumlow è tornato, e con lui anche James Barnes. Elle Selvig, figlia del famoso astrofisico, si ritrova implicata in una storia più grande di lei quando accetta un lavoro come consulente presso la nuova base Avengers, spinta anche dalla sua amicizia con Natasha Romanoff. Ma non è detto che i guai ti trovino sempre per primi.
"Non tutto andrà come deve andare, ma certe cose seguono esattamente il filo nefasto del destino."
Genere: Azione, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Salve!
*Si abbassa per schivare i vegetali che nell'ultimo mese sono ammuffiti*
La mia vita è ufficialmente diventata un circo e non sono riuscita ad avvicinarmi al computer fino a questo week-end. Se lavoro un altro pò mi ricoverano, se studio un altro pò pure. Portate pazienza, ma la sessione estiva ha colpito ancora.

Oggi è il 4 LUGLIO, in quale altro giorno poteva nascere Steve Rogers? E come festeggiarlo se non pubblicando? :D
Non c'è molto da dire di questo capitolo se non che ho dovuto tagliare in tre parti invece che in due il capitolo MEMORIA perchè era troppo lungo. E poi, volevo dare una gioia a questi poveretti degli Stellecky.

Non dico nulla sul capitolo e ci ritroviamo alla fine :D
P.S.: Capitolo direi giallo/arancione! Non dovrei dirlo, ma speravo di farlo più Rosso ma ciò non è avvenuto perchè sono una maledetta educanda con evidenti problemi di commozione cerebrale.

Ringrazio Giulietta_Beccaccina (una vera colonna portante di Skyfall, se non ci fosse lei arriverebbe un capitolo all'anno, davvero!) e vi consiglio la sua SHAMELESS, Janeisa e correte tutti a leggere PER ASPERA AD ASTRA - soprattutto visto che tra poco esce il nuovo Star Trek! , Yvanna 97 e ovviamente Tenth <3, GiuliaDirectioner1D per l'iniezione di autostima in questo periodo veramente assurdo - grazie grazie e grazie e non vedo l'ora di sapere cosa ne pensi!, e infine Principessadolce98 per avermi dato una svegliata finale ;).

Okay, dopo questo ennesimo sproloquio vi lascio al capitolo, senza ulteriori indugi.


Atto ventritresimo: Memoria

Seconda Parte


"Bring me home in a blinding dream,
Through the secrets that I have seen.
Wash the sorrow from off my skin,
And show me how to be whole again."

LINKIN PARK



Aprile 2016


Odiava tutta quella luce.

Continuavano a puntarle contro fotocamere, microfoni, altri aggeggi elettronici di varia natura. Strizzò appena gli occhi, tenendo stretta la borsetta tra le mani, cercando di mantenere un'espressione rilassata.

Al suo fianco, Natasha sorrideva in modo ammaliante ad un giornalista, ascoltando l'ennesima domanda sul perchè avevano accettato di intervenire quella sera. Le labbra scarlatte non persero nemmeno per un secondo l'espressione, gli occhi scuri che saettavano attraverso la telecamera, sicuri e rassicuranti.

Era talmente bella che anche Elle avrebbe voluto estrarre una macchina fotografica,

Invece, imbarazzata da tutta quell'attenzione indiretta, raddrizzò appena le spalle, voltandosi leggermente verso il cameraman. Qualcuno scattò l'ennesima foto.

"Siamo qui per cercare un dialogo con la commissione delle nazioni unite, delegata all'accordo che presto sottoscriveremo. Siamo nostro malgrado sottoposti all'attenzione politica, nonostante sia nel nostro interesse solo la repressione di eventuali minacce all'intero pianeta."

Si strinse leggermente nelle spalle, le labbra che si inclinavano in un sorriso di circostanza.

"Venire qui, stasera, oltre che un grande onore, è un modo per dimostrare che siamo aperti anche in questa direzione."

Elle si voltò verso Stark, qualche metro dietro di lei, il quale stava sostenendo un discorso pressochè identico, solo ad un'altra emittente. Per un secondo, all'ennesimo flash, capì perché l'uomo portava sempre quegli inappropriati occhiali da sole.

"E lei invece, Elle? Sappiamo che è qui in veste di accompagnatrice, ma non è nuova a situazioni sensibili."

Elle si riscosse appena, cercando di imitare l'amica. Situazioni sensibili. Sorrise. "Si, ho un passato militare." Si fermò, senza sapere cosa aggiungere.

Fece per mordersi il labbro, fermandosi sotto allo sguardo di Natasha. "Elle è un'agente molto capace, e il suo lavoro ha aiutato molte persone. Ha lavorato come psicologa per la squadra Avengers."

"E' così che ha conosciuto Captain America?" Commentò il giornalista, mentre la telecamera tornava su di lei. L'uomo sembrava sperare in una qualche storia più avvincente di un semplice incontro sul luogo di lavoro. La svedese annuì, spostandosi un ciuffo di capelli dietro all'orecchio. "Si, ci siamo conosciuti sul lavoro."

La smorfia dell'uomo la fece quasi scoppiare a ridere, prima che Nat le desse un colpetto con il piede.

"Signorina Selvig, lei è figlia del famoso astrofisico, Erik Selvig?"

Elle annuì ancora, mentre l'uomo incalzava. "Cosa pensa suo padre, un accademico, della sua movimentata carriera? Si definirebbe una mercenaria?"

La donna si irrigidì un attimo, gli occhi fissi in quelli del giornalista. Natasha storse le labbra, gli occhi che saettarono verso l'amica lì accanto.

"Elle ha cercato di essere sempre dove poteva esserci bisogno di lei."
Steve le passo un braccio attorno alla vita, rivolgendo uno sguardo severo all'uomo. "E' la prima cosa che mi ha colpito di lei."

Rimasero un secondo tutti in silenzio, mentre di fronte a loro una folla di fotografi faceva il loro lavoro. Elle distolse lo sguardo, voltando il capo contro l'altro. "Grazie..." Sussurrò appena, mentre lui sorrideva. "Dovere."

"Ora, se ci volete scusare..." I tre fecero un cenno di saluto, alontanandosi verso l'ingresso della sala.

"Non cambiano mai, gli uomini della stampa. Dal '45, sempre le stesse domande." Esclamò Rogers con un sospiro rassegnato.

"Mea Culpa. Dovevo cancellare il profilo di Linkedin." Commentò solo Elle, voltandosi appena verso i due che le stavano ai lati. Natasha si portò una mano alla bocca, nascondendo un sorriso. "Cancellalo domani, prima che mieta altre innocenti vittime." Indicò con un cenno del capo Steve, che stringeva la mano ad un paio di senatori. Elle prese una boccata d'aria, sistemandosi con le mani delle inesistenti pieghe sul vestito scuro. Sarebbe stata una serata eterna.

~

Si scambiarono uno sguardo da un lato all'altro della sala, senza nessuna interruzione nei loro discorsi o nessun cenno particolare. Entrambi si congedarono, con voce pacata ma decisa, dai loro interlocutori e si allontanarono nella stessa direzione, uscendo dalla sala.

"Come sta andando?" Chiese uno, giocando con il papillon che aveva tolto e che teneva in una delle tasche del completo. Stark si tolse gli occhiali da sole, con un gesto meno teatrale del solito. Si grattò appena l'occhio.

"Sono tutti piuttosto arrabbiati, anche se hanno troppa paura per dimostrarlo apertamente."

Steve prese un respiro, sistemandosi il colletto della camicia con un gesto nervoso. "Magari sei stato scortese."

Stark alzò gli occhi al cielo, voltandosi con un'espressione dura verso l'altro. "Rogers, sono io quello che viene invitato alle feste e che deve sempre sorbirsi tutto questo processo alle intenzioni. Non tu, te lo ricordo." Steve si voltò appena, cercando di nascondere il nervosismo.

"Stark, calmati, dico solo che forse non hai la stoffa del politico."

"Ah, davvero?!" L'uomo si voltò, facendo per rimettersi gli occhiali, guardandolo dritto negli occhi per un secondo. "Perchè, tu si, ammasso di muscoli?"

Steve si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo. "No, nemmeno io. Ma sono meno..."

"Meno cosa, Rogers?"

"Meno impulsivo."

"Solo perchè io penso più in fretta di te." Replicò subito Stark. "...Vecchietto."

I due rimasero in silenzio qualche secondo, guardandosi in cagnesco, Steve appoggiato alla parete e Tony accanto a lui, lo sguardo stanco.

Stark distolse lo sguardo per primo, inforcando di nuovo gli occhiali e voltandosi verso l'arco che dava sulla sala. "Elle come se la sta cavando?" Chiese a bassa voce. Steve sorrise appena. "Bene. La metterà sul mio conto, questa serata..."

Stark annuì appena, appoggiandosi alla parete anche lui, le braccia incrociate. "Ti capisco. Forse."

Scose il capo, come a ricordare improvvisamente qualcosa. "In realtà, di solito è Pepper a costringermi ad andare a stringere mani."

Entrambi sorrisero, muovendosi appena dal muro quando una coppia passò loro davanti, guardandoli curiosamente. Steve guardò appena il papillon che teneva in mano. "A questo proposito, volevo chiederti da un po' come sta Pepper."

Stark non si mosse, senza alzare lo sguardo dal pavimento di marmo. Steve rimase un secondo in silenzio.

"...Pensavo che l'avrei vista stasera, così da chiederglielo di persona. E' un pò che non passa dalla base..."

"Mi trovo meglio lì a lavorare..." Commentò piccato Stark, prendendogli il papillon dalla mano con un gesto brusco. "Posso fare tutto il casino che voglio, senza disturbare nessuno." Fece una smorfia con le labbra, abbassando lo sguardo sul piccolo pezzo di tessuto pregiato.

"...Nessuno che non sia stipendiato da me, si intende."

Steve annuì, stirando le labbra in un sorriso stanco. "Effettivamente, passi talmente tante ore nel laboratorio che a volte ci chiediamo se tu non dorma anche, lì dentro."

Stark schioccò le labbra, scuotendo il capo. Fece cenno a Steve di alzare il capo, mentre questi richiudeva l'ultimo bottone della camicia, sul collo, con un gesto talmente rapido da sembrare indispettito.

"Per fortuna ho fatto inamidare le camicie, o a forza di giocarci l'avresti stropicciata tutta." Commentò il miliardario, alzando un sopracciglio. "E questo nonostante tu debba essere abituato alle uniformi."

Steve ridacchiò, mentre si passava il tessuto scuro intorno al colletto della camicia. "E' la compagnia alla quale non sono abituato." Stark si avvicinò appena, iniziando a rifare il fiocco del papillon con gesti secchi. "Hai Elle..." Commentò solo. "E' venuta solo per accompagnare te, ed evitarti la figura del monaco."

Steve fece un respiro esasperato, senza riuscire a non sorridere. "Grazie, Stark. Sei sempre un amico."

Stark si strinse nelle spalle, allontanandosi di un passo, guardandolo. "Adulatore."

Estrasse da una tasca un biglietto, mettendoglielo nel taschino. Poi raddrizzò appena il papillon, guardandolo con un sorriso vagamente inquietante. "Ho quasi ultimato gli appartamenti per tutta la squadra, vicino alla facility. Sono più comodi, spaziosi, e soprattutto più... Intimi."

Steve rimase un attimo a fissarlo,con un sopracciglio alzato. Perplesso. Stark fece un gesto vago con la mano.

"Se tu volessi fare un giro, dopo questa pagliacciata, i tuoi dati biometrici e quelli di Selvig sono già stati inseriti. Ci sono tre piani di stanze da esplorare..." Mulinò appena le sopracciglia. Steve rimase a fissarlo, una scintilla di comprensione negli occhi scuri, indeciso fra lo scoppiare a ridere o il dargli un pugno direttamente sul sorriso strafottente. "Ah."

"Domani partirai, e sia tu che Selvig meritate un po' di... Distrazione." Steve rimase scioccato, mentre l'altro gli dava un colpo sulla spalla, spingendolo verso la sala dalla quale usciva un chiacchericcio concitato.

"Adesso, Capitano, penso sia il caso di rientrare. Non distrarti troppo dall'obbiettivo. Non ancora."

~

Elle si scostò appena dal gruppetto, sorridendo appena allo sguardo disperato di Natasha.

Aveva spento - con un buon aiuto da parte dell'alcool - il suo scanner mentale; gli occhi però funzionavano ancora bene ed erano sgranati dalla sorpresa.

"Scusate, ho visto una persona che devo assolutamente salutare." Esclamò, calcando la voce in modo quasi ridicolo. Le altre signore, tutte sulla cinquantina e fornite di graziosi completi in tinta pastello e collane di perle, ridacchiarono appena, facendole cenni con la mano, per poi richiudersi su Natasha. "Non stia via troppo, Ellen!" Commentò una di queste, con voce dolorosamente acuta. Elle annuì appena, facendo un cenno con la mano e cercando di nascondere contemporaneamente il ghigno divertito che le era spuntato all'ennesima storpiatura del suo nome. "Certo, Mrs. Adams."

Si allontanò, sfiorando appena con le mani le schiene di un paio di persone, cercando di evitare di pestare qualche piede. Distingueva chiaramente quegli occhi in mezzo alla folla, dirigendosi verso il volto che aveva associato solo ad un nome. L'uomo alzò appena una mano davanti alla sua faccia, prima che lei potesse dire qualsivoglia cosa, in un gesto scortese.

"Nalsson, stasera." Commentò solo. Lei sbuffò, lanciandogli uno sguardo esasperato.

Lui ghignò appena, abbassando il braccio.

"E' inutile che mi guardi così, Elle Selvig." La indicò con il mento. "Se non fosse per me, non saresti mai arrivata a stasera. Non così."

"L'ho trovato un gesto vagamente inquietante." Commentò lei, scostandosi i capelli dalla spalla. Si guardò attorno, afferrando due bicchieri dal vassoio di un cameriere. "Togli pure il vagamente. Però, grazie."

Gli passò un calice, cercando di essere cortese. Lui annuì, soddisfatto. "Voleva essere un gesto amichevole." Lei annuì, indicando il vestito. "...Hai molto più buon gusto di me. Stark era disperato."

"Stark è sempre disperato." Commentò una voce più bassa, da dietro. Elle si voltò, sorridendo a Steve. Alzò appena il calice, annuendo. "Anche tu hai un'espressione non propriamente serena, se devo essere sincera."

Steve cercò di non soffermarsi troppo su Nalsson, appoggiando una mano sul braccio della compagna. "Questa festa sembra non finire mai. Se stringo ancora qualche mano, penso che perderò il braccio."

Loki, ovvero Nalsson, ghignò appena. Elle aveva i brividi, a vederli così vicini. Steve si voltò appena verso di lui. "Allora.... Dobbiamo ringraziare lei per il vestito. E' stato un arrivo provvidenziale."

L'altro si strinse nelle spalle, alzando un lato delle labbra. "Dovevo un favore alla signorina, e sono sempre contento quando posso essere d'aiuto."

"Vi conoscete?" Chiese Elle con un sorriso sforzato, il calice appoggiato alla guancia e gli occhi leggermente sgranati.

"Fury ci ha presentati..." Commentò Steve, senza distogliere lo sguardo da quello dell'altro. Il silenzio calò fra i tre.

"Che bello..." Commentò solo Elle, cercando di tamponare la conversazione. Si scosse un attimo, sentendo qualcosa vibrare nella borsa. Alzò appena lo sguardo.

"Scusate, devo assentarmi per qualche minuto." Commentò, guardando entrambi. Steve scosse il capo. "Certo, ti aspettiamo. Nel frattempo..." Si voltò verso Nalsson, tornando alla sua espressione consuetamente cordiale. "...Gradisce qualcosa di più forte da bere, Nalsson?"

Senza dire nulla, l'altro si voltò ad appoggiare il bicchiere vuoto. "Certamente, la seguo."

Elle lanciò un'occhiata a Nalsson, per poi tornare nervosamente alo schermo del cellulare. "Siate civili." Si allontanò in un paio di passi veloci, guadagnando l'uscita.

Steve si voltò verso Nari, aprendo appena le braccia. "Teme che io voglia infilarti nel frigo-bar." Commentò solo. L'altro, a fianco, sogghignò appena.

"Ma, non ce n'è bisogno, giusto?" Commentò Rogers, voltandosi appena nella sua direzione, un sopracciglio alzato in modo da risultare vagamente minaccioso, così come il tono della sua voce. Nalsson ghignò. "Mi ritengo un uomo impegnato, e comunque la signorina Selvig è fuori dal mio interesse sentimentale."

"Bene..." Steve sorrise appena. "Allora andiamo." Gli fece un cenno, mentre avanzavano verso l'affollato bancone dell'open bar.

~

"Jimmy, se non rispondo è perchè-"
"Elle, stai zitta un secondo e ascolta." James rispose con tono secco. Elle rimase in silenzio, ammutolita, appoggiata al corrimano delle scale di marmo chiaro. Annuì, anche sapendo che lui non poteva vederla.

"Tua madre era Annette Selvig? Occhi azzurri, capelli chiarissimi, lavorava in Svezia come genetista negli anni novanta?"

Elle assentì appena, mentre James riprendeva fiato. "Era dell'Hydra?"

"Si." Rispose solo Elle, istintivamente. Come se fosse un fatto ovvio, ed allo stesso tempo qualcosa con la quale il suo subconscio non aveva ancora fatto i conti. Un semplice dato.

Dall'altro capo della trasmissione, arrivò solo un sospiro.
"Allora, io la conoscevo."

La svedese rimase un attimo immobile, una mano appoggiata sul corrimano gelido, guardando le vene blu correre sul suo braccio e mischiarsi con le venature rosate del marmo sotto la sua pelle. Avrebbe voluto sparire contro quella superfice gelida. Invece rimase semplicemente immobile, l'orecchio teso contro il respiro congestionato dell'altro.
"Io mi ricordo di tua madre."

"Ok."

"Elle, penso che tu possa essere in pericolo."

Lei rimase ancora in silenzio.

"Lei lavorava per l'Hydra, e c'è solo un motivo per la quale avrebbe creato te."

La svedese scivolò verso il basso, sedendosi sulla scalinata, stringendosi tra le braccia, il viso quasi inespressivo, la mente che si stava allagando di panico, un dolore gelido e solo uno scoglio di lucidità. Quella pellicola di stabilità che aveva retto alla presenza impalpabile di Rumlow intorno a lei, che aveva subito un danno quasi irreversibile a Denali, ma che ancora la stava mantenendo obiettiva in mezzo a tutto quel caos che la stava inglobando.

"Potresti essere in pericolo. Potresti essere il pericolo." James riattirò la sua attenzione.

Elle annuì appena, come se la situazione non la interessasse, tra sé e sé. "Non posso dire di non averci pensato, negli ultimi mesi."

Sentiva il calore defluire dalla sua pelle, mentre sfregava la mano libera contro il tessuto troppo costoso di quel vestito troppo formale.

"Devi allontanarti da Rogers." Affermò appena l'altro. "E da tutti gli altri."

Anche questo era scontato. Se era veramente un essere creato a tavolino, se davvero era una bomba ad orologeria pronta ad esplodere, allora il minimo che potesse fare era allontanarsi da tutti coloro che avrebbe potuto ferire.

"Avrei voluto qualcosa di diverso."

"Credi che per me non sia lo stesso?" Ribattè schiettamente James.

"Dove posso andare?" Chiese con un filo di voce la svedese.

"Dobbiamo trovarli, prima che loro trovino noi."

Non c'era molto da obiettare a quell'affermazione. Elle scosse il capo, appoggiando la fronte al marmo freddo del corrimano.

"Andarmene non sarà difficile. Domani partiranno tutti. Il difficile sarà trovarli." Commentò solo, guardando la punta delle sue scarpe.

"Il difficile-" Ribattè James "-sarà decidere cosa fare una volta che li avremo trovati. Loro sanno esattamente cosa farne di noi."

Elle sentì chiaramente che l'altro era rabbrividito. Ricordare doveva essere un incubo senza fine. Ma non ricordare la faceva sentire sporca, pericolosa, instabile; anche mentre stava accasciata su una scala di un palazzo sconosciuto, il respiro accellerato come prima di doversi gettare in un baratro.

"Domani, a casa mia, alle nove." Commentò solo. "Posso chiamare qualcuno che ci possa aiutare."

James scoppiò in una risata rassegnata. "Dubito che qualcuno ci possa aiutare."

Elle chiuse la chiamata con un gesto rassegnato, lasciando cadere il telefono sullo scalino, accanto a lei. Prese un respiro profondo, passandosi le dita tra i capelli, gli occhi serrati.

Era stufa di tutto quel rumore, di tutta quella gente. Ma sarebbe partita entro poche ore.

Quindi si alzò, sistemandosi il vestito, e tornando nella sala principale, cercando la persona con la quale avrebbe voluto passare gli ultimi momenti della sua vita.

Ma prima, doveva fare una telefonata.

~

Cominciò a infilare in un borsone ogni cosa che aveva conquistato nelle sue ultime settimane, quelle coscienti, quelle dove era stato finalmente libero.

Aveva senso per lui, ora, impacchettare quei pochi oggetti che possedeva, che aveva ottenuto attraversando gli stadi del dolore, della paura, della colpa, per andare a cercare coloro che lo avevano reso ciò che odiava.

Aveva senso andare incontro, senza guardarsi indietro, a una cricca di assassini, di politicanti e scienziati uniti solo da un'ideale di odio.

Era lo stesso proposito che lo aveva spinto ad arruolarsi, quando ancora era Bucky, il giovanotto di Brooklyn, quello spaccone ed irriverente, allo stesso tempo così igenuo e puro. Puro come il suo Steve, quel ragazzino che ricordava appena, ma al quale ricordo si ancorava nelle notti più buie. I due avevano fatto la stessa scelta, cinquant'anni prima, avevano preso una decisione non per loro stessi, ma per un ideale più alto, la giustizia.

Ma era ancora quella persona? Quel fascio di muscoli e irrequietudine, quel giovanotto sfacciato che non temeva il mondo?

O era il Bucky che si era diretto senza remore a Lagos, in cerca di nulla più che una truculenta e probabilmente suicidiaria vendetta contro coloro che erano solo mercenari, persone che probabilmente avevano convertito volontariamente la loro vita alla violenza, ma in base a chissà quali bisogni. Materiali, come una famiglia. Profondi, come un ideale. Qualcosa alla quale appigliarsi, bisogni che lo avevano accompagnato nei rari periodi di veglia, quando il sonno non era indotto da farmaci e poteva attardarsi a vedere le stelle, e cercare di ricordare se erano le stesse che avrebbe potuto vedere il Bucky di Brooklyn, se c'era ancora un uomo all'interno di quel corpo freddo.

Continuava a rimaneggiare gli oggetti, inserendoli ed estraendoli in un vecchio borsone, sotto lo sguardo attento di Valentina. Soppesando ogni oggetto, considerando quante possibilità future potevano esserci di averne bisogno.

Quaderni, fitti di una calligrafia minuta e precisa e di ritagli di giornale. Una confezione di barbiturici. Un paio di magliette. La felpa azzurra che Elle gli aveva lasciato a Lagos. Piccoli oggetti, piccoli tasselli alla quale dava un enorme significato perchè lo aiutavano a capire chi era, e perchè stava cercando quelle persone.

Non per lui. Non per vendetta, o per chissà che idea malata di contrappasso. Semplicemente, perchè lui aveva visto altri uomini, altre donne, alcuni ancora bambini, sottoposti ad esperimenti e a vite inumane, robotiche. Aveva visto altri ridotti allo stato dalla quale lui cercava con tanta prepotenza di uscire. Ma aveva visto umanità anche nelle persone che aveva sempre considerato i suoi aguzzini.

Aveva fatto un passo indietro, tra le mura di quella piccola, spoglia ma accogliente casa che era stata il suo rifugio e il suo ambiente controllato, prima di poter tornare nel mondo da uomo libero.

Aveva visto i due lati della medaglia, ed aveva capito perchè l'Hydra andava fermata. Perchè quelle persone andavano trovate, e possibilmente debellate. Non per odio, ma per servire e proteggere gli altri, coloro che erano stati o erano ancora vittime incapaci di opporsi a tutta quella violenza.

Voleva fare quello che avrebbe fatto qualsiasi uomo giusto.

Voleva fare quello che avrebbe fatto Steve.


"Potrei esservi utile."

Si riscosse improvvisamente dai suoi pensieri, buttando l'ennesimo cambio di vestiti nella borsa.

"Non sei addestrata, e non posso pensare alla tua sicurezza."

Valentina mise le mani sui fianchi, assumendo una posa irata.

"Non devo per forza venire a pestare i cattivi. Posso seguirvi da lontano. Fare il palo."

L'occhiata incredula uscì a James dal profondo, mentre una parte della sua mente si godeva il piacere della sua stessa reazione spontanea. "Non saresti in grado di notare un caccia da guerra nemmeno se passasse nel vicolo tra la scala anti incendio e la casa di fronte."

I due rimasero un attimo in silenzio, prima di scoppiare a ridere.

"Perchè questo improvviso desiderio di partire?" Chiese lui, ritornando a guardare le sue cose appoggiate sul divano. Val si allontanò, verso la cucina, tenendo le loro tazze vuote fra le mani.

Rimase un secondo immobile, davanti ai mobiletti dal colore improbabile, prima di appoggiarle nel secchiaio con un sospiro. "Non sei l'unico, forse, ad essersi rifugiato qui dentro." Si strinse nelle spalle. "Pensavo che mi sarebbe andata bene questa vita, nonostante il fallimento della mia carriera e il fatto che il mio futuro è fatto di turni alla cassa di un supermercato..."

"E' sempre una vita..." James si passò una mano sul viso, per allontanare i capelli dagli occhi. Erano decisamente troppo lunghi. "...Potrebbero sempre capitarti altre occasioni in futuro."

"L'unica cosa inusuale che mi è capitata negli ultimi due anni sei stato tu." Commentò solo Val, senza voltarsi. "Non avevo più fiducia... Mi ero dimenticata per cosa avevo studiato, e lavorato. Iniziavo a sentirmi senza scopo."

"Sei una persona brillante."

Val alzò appena la testa, guardandosi attorno. "Non qui. Qui sono senza scopo. Senza un futuro, senza progetti." Gli lanciò un'occhiata seria. "Non verrei per te. Sappilo. E tantomento per Selvig."

Si guardò intorno, respirando l'aria tra quelle pareti sottili e dipinte malamente. "Verrei per me, e per me soltanto."

~

Entrò dalle porte a vetri senza nemmeno degnare i clienti di uno sguardo. L'uniforme infagottata sotto al braccio, e i capelli scuri incastrati sotto ad un paio di grossi occhiali da sole.

Dietro di lei, un uomo alto e piuttosto massicco si guardava attorno, ripiegando le maniche della felpa rossa in modo nervoso, la barba leggermente sfatta ed i capelli troppo lunghi tenuti dietro alle orecchie.

La donna si avviò verso le casse centrali, guardando un aria divertita tutte le colleghe che si voltavano a salutarla, per poi scrutare con aria curiosa l'uomo che la seguiva.

Val arrivò al desk, dove un signore piuttosto calvo si voltò a fissarla con aria scontenta, tenendo la cornetta incastrata tra il viso e la spalla. Annuì appena, arricciando le labbra in una smorfia.

"Devi aspettare." Commentò solo al cenno della mora. Val fece un ghigno, afferrando il fagotto della divisa e lasciandoglielo cadere davanti, sopra ad una pila di documenti, che iniziarono a cadere a terra, svolazzando.

"Cosa-"
"Mi licenzio." Disse solo la donna. Girò su sé stessa, afferrando un cappello da baseball da uno stand vicino al muro. Fece un cenno alla gente, mentre il capo la guardava sconvolto, iniziando ad imprecare. "Dovevi dare tre settimane di preavviso!"

Val si voltò appena, mostrandogli il dito medio. Con l'altra mano, calcò il beretto sopra alla testa di James, che la guardava confuso. "Addio!"

Imboccò le porte a vetri senza guardarsi indietro, prendendo un'ampio respiro, come se fosse rimasta in apnea per tanto tempo.

"Scusatela..." Borbottò James, vagando con lo sguardo fra i volti senza parole degli oramai ex colleghi di Val. "...Penso sia agitata e-"

"JAMES!"

~

Passò il pollice sullo scanner biometrico, entrando nella struttura, per la maggior parte ancora una massa di cemento a formare quelle che poi sarebbero state pareti, e stanze, e forse una casa sicura per tutti loro.

Già vedeva Wanda finalmente in una stanza, con tutti gli oggetti che normalmente popolavano gli spazi delle persone della sua età, con fotografie, poster e cuscini colorati.

Poteva immaginare Samuel disteso a guardare la partita in un ampio divano, in quello spazio vuoto che gli stava davanti, mentre l'amico lanciava contro Natasha noccioline che la rossa parava prontamente tra le dita, con uno dei suoi rari sorrisi rilassati.

Voleva vedersi in un posto che Stark avrebbe reso lussuoso per nessuna ragione se non perchè era il suo modo di dimostrare loro che ci teneva. Erano quasi una famiglia, e la convivenza era proseguita piuttosto bene, anche nella fredda base operativa, finchè non si era cominciato a parlare degli accordi.

L'idea degli appartamenti separati era venuta a Stark ed a Rogers, quando Wanda ancora si svegliava urlando il nome di suo fratello nel pieno della notte, ed intorno a lei trovava una anonima stanza di quattro metri per quattro, con mobili spartani e senza nessuna figura rasicurante o che le ricordasse chi era. Steve e Tony capivano bene quella situazione. Entrambi erano avvezzi alle sveglie notturne.

C'erano degli scatoloni, sparsi in giro, e la maggior parte delle stanze era ricoperta di mobilio da motare, ancora imballato. C'erano a malapena dei materassi ancora nella loro plastica contenitiva, e si vedeva nell'ampio spazio comune un abbozzo della cucina.


"Sembra che si debba trasferire Una scatenata Dozzina." Commentò Elle, ridacchiando.

Quando erano scesi dal Taxi, erano sollevati di essersene andati da quella festa fatta solo per mostrarsi umani al resto del mondo. Ma ora, da soli, dopo essersi congedati dalle occhiate maliziose di Natasha e dallo sguardo gongolante di Stark, i due erano liberi di comportarsi come meglio preferivano.

Elle si tolse con una smorfia le scarpe, mentre Steve si guardava ancora intorno meravigliato, accendendo uno ad uno i fari da lavoro rimasti a terra, pronti ad illuminare il cantiere il giorno successivo.

Lui prese un ampio respiro, sentendo odore di nuovo nell'aria. Era frizzante, nonostante il freddo non avesse ancora lasciato del tutto posto alla primavera. Elle si strinse appena nella giacca, guardandolo dolcemente mentre lui studiava ogni particolare di quella che, probabilmente, sarebbe stata la nuova casa del suo compagno. La casa della sua squadra.

Ed, all'occorrenza, avrebbe sempre potuto tornare a Forest Quenns per una notte. Le chiavi gliele aveva lasciate, e con quelle anche un sottointeso invito a far parte della sua vita nella misura che gli sarebbe riuscita più congeniale.

La vita del soldato è dura, e nessuno lo sapeva più di Elle che, da quando aveva memoria, aveva saputo fare quasi solo quello. Non sentiva il peso delle catene invisibili che di solito legano due normali persone che iniziano una relazione. Sentiva, e sapeva che la sensazione era ricambiata, che Casa sarebbe stata solo dove sarebbero potuti stare insieme, per poche ore o per anni.

La distanza, per chi vede il mondo come straordinariamente piccolo, ed il tempo, per chi vede gli anni correre alla velocità della luce, non diventano prioritari.

Steve si voltò, ridandole attenzione dopo il suo momento contemplativo. "Stark si è dato da fare."

Elle annuì, passando una mano sulla parete ancora di crudo cemento. "Tra il quartier generale e questo-" Indicò tutta la stanza con un cenno del mento."-Non capisco come faccia a dormire. E mangiare."

"Stark non segue i ritmi dei comuni esseri umani." Steve estrasse il papillon dalla tasca, dove era finito appena aveva messo piede fuori dall'ambasciata, e lo fissò un attimo, ricordando il loro scambio. "Stark è una cosa a sé stante."


Elle iniziò a vagare, scalza, incurante dei vetri e delle viti ancora a terra. Aveva un aspetto curioso, lo sguardo rassegnato e l'aria imperscrutabile, quasi eterea. Era come se non si stesse più curando di quanto sembrasse evanescente, un'ombra impalpabile che vagava per il cantiere grigio.

"Selvig..." La chiamò appena la vide sparire dietro un angolo, quasi angosciato di non riuscire a trovarla nel buio. L'altra si era mollemente seduta su una poltrona, ancora avvolta nel cellophane, il capo reclinato oltre il bracciolo e le gambe che dondolavano dall'altro lato.

Si avvicinò lentamente, mentre Elle non dava segno di averlo sentito, gli occhi ancora chiusi ed i capelli appoggiati su una spalla per non toccare il pavimento.

Si inginocchiò lentamente davanti alla poltrona, senza avere il coraggio di sfiorarla.

"Tu ti senti umano?" Chiese lentamente lei, senza muovere nulla se non le labbra pallide.

"Respiro." Commentò semplicemente lui. "E penso. E provo sentimenti, e bisogni."

"Come riesci a mettere ciò che è giusto di fronte a tutto questo?" Commentò appena lei, le ciglia ancora abbassate sugli occhi. "Neghi il tuo essere umano."

Lui alzò appena una mano, scostandole i capelli dietro all'orecchio, l'altra mano che le accarezzava un ginocchio. "Non sempre." Disse solo, abbassando lo sguardo dalla figura della donna, le dita che restavano appoggiate sulla sua tempia fredda.

Elle si alzò sul busto, passandogli le braccia attorno al collo, abbracciandolo in modo da tirarsi il suo capo in grembo. "Steven Rogers..." Sussurrò appena, stringendolo delicatamente. "Sei l'essere, umano o non umano, più buono che io abbia mai incontrato."

Lui alzò appena il viso, gli occhi appena socchiusi e la mascella rilassata. Elle si piegò leggermente, appoggiando le sue labbra contro quelle dell'altro, con delicatezza. Improvvisamente, lui la tirò contro di sé, mentre Elle affondava le unghie contro la sua giacca.

La lasciò appena un secondo, aprendo le braccia, mentre lei sfilava velocemente l'indumento, lasciandolo cadere a terra. Poi tornò a stringerla, un braccio che passava sotto alle ginocchia, mentre le dita di lei correvano al colletto della camicia, le labbra che non si staccavano se non per qualche sospiro poco elegante.

Lui passò la mano libera sulla sua schiena, più e più volte, scostandole i capelli dal collo pallido, guardando con sguardo quasi curioso la donna che si irrigidiva, gli occhi ancora chiusi, le dita che giocavano con l'asola del primo bottone, mentre rispondeva il modo quasi distratto al bacio. Si allontanò appena, separando le loro labbra, sentendola respiare contro la sua pelle.

L'indomani sarebbe partito. E non sapeva quando sarebbe tornato. Non sapeva se sarebbe tornato, nel peggiore dei casi.

Elle lo accarezzava sul viso e sul collo, in punta di dita, come se temesse di poterlo ferire con il solo tocco, sentendo i muscoli tendersi sotto al suo tocco. Le sue labbra sfioravano la linea della mascella con lentezza, sentendo il leggero ispido della pelle. Era meraviglioso, ed esasperante.

Affondò il viso contro la clavicola della giovane, che emise un mugugno sorpreso, mentre stringeva qualsiasi cosa riuscisse a raggiungere con le braccia sottili, infilando le dita tra i suoi capelli.

La tirò contro di sé con un gesto quasi rude, stringendola contro il petto. Elle rimase appoggiata alla sua spalla, gli occhi che lo guardavano senza nessuna malizia, semplicemente scrutando quel blu senza fondo. Era completamente soggiogato a quello sguardo, così come lei non riusciva a distogliere il suo.


Elle rimase immobile, completamente abbandonata alla situazione.

Era lei quella con più esperienza. Pensò appena a Carter, o alle donne con le quali Capt era uscito, e si chiese se avevano mai provato quello che stava provando lei in quel momento.

Non sapeva quando, e dove, fermarsi. Voleva avere tutto ciò che poteva avere, e dare tutto ciò che poteva dare. L'altro la stringeva, quasi cullandola, immerso anch'egli nei suoi pensieri, gli occhi che sembravano sondarla fino a poter contare tutti i demoni della sua anima. Si sentiva vuota, senza più nulla da dire che l'altro non potesse già sapere. Era allo stesso tempo estremamente felice ed estremamente insoddisfatta.

L'altro la guardò, persa nei suoi pensieri.

"Insegnami." Esclamò lui, improvvisamente. Elle scosse appena il capo.

"Come?"

"Mostrami come fare..." Sorrise appena, e se non fossero stati in penombra Elle avrebbe potuto giurare di vederlo leggermente più rosso. Ma non distoglieva gli occhi dai suoi.

"Steve, non dobbiamo per forza-"

L'uomo si alzò, tenendola ancora saldamente tra le braccia.

"Fidati." Disse solo lui.

Elle annuì appena, la sua forza di volontà che si infrangeva contro ciò che l'istinto le urlava da mesi. Lentamente, percorsero il breve tratto tra la poltrona e il materasso, ancora avvolto nel cellophane, scendendo lentamente a sdraiarsi sulla superficie fredda. Elle si stringeva ancora alle sue spalle, cercando conferma in quegli occhi così scuri. Lui rimase a fissarla negli occhi, mentre lei sbottonava la camicia candida, passandogli lentamente le mani sul petto. Sfilò lentamente la cintura, lanciandola alla cieca. "Non mi lascerai scivolare lontano da te?" Esclamò appena la svedese, alzando lo sguardo su di lui. L'uomo annuì, mentre toglieva la camicia. Elle si alzò appena sul busto, dandogli le spalle. L'altro si avvicinò, prendendo tra le dita la zip del vestito, scostandole i capelli con la mano. "Il nostro tempo non sta finendo." Proseguì lui, prima di abbassare la cerniera. Ricordò la prima volta che avevano dormito insieme, mentre scostava con entrambe le mani le spalline, facendo scivolare il vestito lungo la sua schiena. Elle si voltò di nuovo, sfilando del tutto l'indumento e facendogli fare la stessa fine della camicia.

Lo strinse contro di sé, mentre lentamente sprofondavano l'una nell'altro, sentendo dentro le ossa la fretta della partenza, la consapevolezza che quella sarebbe potuta essere la prima e l'ultima volta che potevano godersi il privilegio di stringersi l'un l'altra senza dover temere il mondo esterno.

~

"Quindi, è ora."
"Già..."

Elle abbassò appena il capo, stringendosi nell'impermeabile chiaro, lo sguardo basso. Steve rimase immobile davanti a lei, il viso leggermente arrossato, gli occhi che vagavano tra la piccola figura davanti a lui e la casa in legno scuro che stava dietro di lei.

Il sole stava appena sorgendo, illuminando pallidamente la scena. Natasha aveva abbracciato brevemente l'amica, guardandola con aria maliziosa. Elle aveva alzato gli occhi al cielo, ma dietro la schiena di Steve, mentre l'alto caricava il borsone nell'auto, aveva alzato entrambi i pollici, ridendo della risata trattenuta della russa.

"Stai attento." Disse, guardandolo con una mano a parare gli occhi dal sole. Lui annuì.

"Anche tu, non fare troppe cose mortali mentre non sono nei paraggi."

Elle avrebbe voluto scoppiare a ridere, invece rimase quasi impassibile. "Non posso prometterti nulla..."

Lui rise, voltando il capo. Elle cercò di mantenersi impassibile.

Lui non sapeva che pobabilmente era l'ultima volta che si sarebbero visti.

"Ti chiamo appena posso."

Elle si riscosse. "Non metterti nei guai, per chiamarmi."

Immaginò l'uomo in mezzo ad una base nemica, mentre faceva il suo numero parando proiettili con lo scudo. Ebbe un singulto.

"Dobbiamo andare." Lo richiamò Nat. L'uomo fece un passo avanti, lasciandole un bacio sulla fronte. Elle sospirò.


Aveva guardato la macchina dirigersi lungo la strada, rimanendo con le mani sprofondate nelle tasche e lo sguardo vacuo. Poi era andata, mestamente, a preparare il suo bagaglio.

~

Alle nove precise del mattino di quella giornata di fine Aprile, in una via traversa di Forest Queens, dietro uno degli imponenti condomini ad alveare che circondavano le case più vecchie, due donne intente a fare jogging iniziarono a fissarsi preoccupate, indicandosi a vicenda una datata berlina rossa. Dentro stava una ragazza, addormentata con la bocca spalancata e il viso schiacciato contro il finestrino mezzo abbassato.

Un uomo con una felpa leggermente usurata ed un solo guanto stava in piedi, appoggiato al cofano, lo sguardo grigio coperto da un berretto da baseball e l'aria di chi non ha dormito nemmeno un'ora in tutta una vita.

Elle mise il pesante borsone nel baule, svegliando Val di soprassalto. La mora si spostò a fatica nei sedili posteriori, mentre Elle occupava il suo posto in silenzio. James fece lo stesso al posto di guida, guardandola mestamente.

"E' ora."

Elle osservò il cellulare, che teneva in mano, il dito pronto a spegnere l'apparecchio. Avrebbe sovuto lanciare il telefono in qualche fiume, ma aveva ancora qualche miglia prima di potersene disfare. Guardava lo schermo senza apparente emozione. James non disse nulla, immettendosi nella strada.

"Mi dispiace." Esclamò solo, rompendo il silenzio. "Che sia successo a te."

Elle sorrise appena. "Sono quelle le cose che non puoi scegliere, no? I genitori ed i figli."

James non fece in tempo a ribattere che il telefono cominciò a squillare, CASA scritto in maiuscoletto sullo schermo. La svedese rispose subito, sentendo una serie di urla.

"Torniamo indietro!" Urlò, prendendo il volante dalle mani di James. Questi ebbe uno spasmo sorpreso, prima di assecondarla e dirigersi verso casa di Elle a tutta velocità.

"Che succede?" Chiese solo l'uomo. Elle estrasse la pistola dal cruscotto.

"Sono a casa mia." Elle inspirò profondamente, mentre James accellerava.  "Ho riconosciuto la sua voce." 


xXx





Eccoci qui! Allora, questo capitolo non è betato e non è stato riletto poi così bene. A dire il vero, non ne sono particolarmente soddisfatta, e mi riservo la possibilità di modificare qualcosa in futuro. Ma tanto non sono mai convinta su niente quindi non posso nemmeno lamentarmi!
Suggerimenti e consigli sono ben accetti! 

Come sempre vi invito a lasciare anche solo un commento o un saluto o un "Ti prego smetti di scrivere!" in area recensioni. E ringrazio tutte le recensitrici, le ragazze che mi hanno scritto in privato, chi ha messo la storia tra e seguite e le preferite e tutti coloro che mi dedicano un po' del loro tempo leggendo questa storia. Grazie!  

Vorrei potervi dire quando pubblicherò il prossimo capitolo, ma purtroppo non lo so nemmeno io. Quindi, restate sintonizzati. Cercherò di scriverlo qui quanto prima! 

Una stressatissima Slytherin_Eve









































   
 
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