Questo potrebbe essere idealmente l'inizio di tutto, l'inizio del viaggio emotivo/romantico di Taichi e non è un caso se anche stilisticamente è caratterizzato da note di puerilità. Questa è l'idea che ho pensato quando ho scritto questa breve oneshot che - mi auguro - sia di vostro gradimento, anche se è un racconto senza pretese.
Taichi
non aveva mai visto Sora in quanto donna, Sora era sempre e solo
stata Sora per lui e Sora era ovunque fosse lui.
Sora c'era
all'andata e al ritorno da scuola, Sora era nella sua
scuola e – per
qualche anno – era stata anche sua compagna di classe. Era
la complice di scherzi innocenti, la compagna ideale nella squadra di
calcio, la sua partner preferita di giochi ed
era anche un po' quella sorella maggiore che non aveva mai avuto, una
sorta di coscienza che lo rimproverava quando sbagliava; calmava i
suoi entusiasmi quando eccedeva ed era sempre lì, a supportarlo,
anche quando era in errore. Lei
mai abbandonava il suo fianco, perché – per quanto bambini – non
tutte le giornate erano semplici come quando a casa sua mangiavano i
dolci preparati da sua madre e giocavano insieme ad Hikari-chan.
Sora era sempre stata come la sua naturale estensione, una parte
di se che era convinta sarebbe sempre stata al suo fianco.
Arrivò
poi un giorno – poco prima del campo estivo che avrebbe cambiato loro
la vita – in cui Taichi vide Sora con occhi differenti.
Lui
in panchina si stava riposando perché avrebbe fatto ingresso in
campo al 70° minuto, era la strategia che avrebbero adoperato per la
prossima partita, quella era una prova generale contro la squadra
femminile e Taichi non aveva potuto far meno di guardare Sora. Era
come una guerriera in campo di battaglia, i suoi occhi ardevano,
erano fiamme, non importava che i suoi capelli fossero così corti e
disordinati, dalla fronte grondava sudore come un uomo, ma la
passione che Sora mostrava per quel gioco era un aspetto così
affascinante che Taichi non era riuscito a distogliere lo sguardo.
E
poi fu Goal!
La
sua panchina si disperò, urlarono ai giocatori in campo, offesi per
una difesa che non aveva saputo fermare l'attaccante della squadra
avversaria, una femmina! Ma a Taichi non importò, il suo petto fu
invaso da una calda e piacevole sensazione, qualcosa che come una
carezza allo stomaco, qualcosa per cui sorridere, come esattamente
Sora stava sorridendo: era il suo momento, era il suo trionfo, ma non
per questo avrebbe abbassato la concentrazione; dopo un abbraccio
alle compagne di squadra subito le incoraggiò per andare in difesa,
la squadra avversaria non avrebbe rimontato e lei avrebbe combattuto
perché fossero loro a trionfare.
Taichi aveva sorriso, dimentico
del mondo. Fu assorbito da lei e lei soltanto che domava il campo,
che non perdeva la concentrazione, che non voleva primeggiare, ma
essere sicura che tutte giocassero e si divertissero proprio come
lei, perché sì gli occhi e le labbra di Sora erano chiari: era
felice.
E Taichi non poteva che essere anche lui felice,
perché...
...il tempo sembrò sospendersi, ogni suono sembrò
alienato e fu quello che chiamano colpo di fulmine, violento ed
illuminante, quanto doloroso, perché lo colpì dritto in faccia.
No, non metaforicamente: fu una vera e propria pallonata in
faccia.
“Taichi!”
Quella pallonata era arrivata
proprio da Sora, per errore, un fuoricampo potente quanto
imbarazzante che preoccupò a morte la ragazza, credendo d'aver rotto
il naso o qualche dente al suo migliore amico.
“Taichi!
Rispondi, va tutto bene?”
“Io, credo...”
“Izumi-kun, per favore, porta qui la cassetta del pronto
soccorso!”.
La richiesta non si fece attendere, Sora non
aveva neanche finito di formulare la frase che Koushiro Izumi - con
la cassetta del pronto soccorso - era già lì, al fianco di Taichi
con la borsa del ghiaccio. Koushiro poggiò delicatamente la sacca di
ghiaccio nella zona arrossata; a quanto pareva la palla aveva colpito
la fronte, il naso era salvo.
“Ahi!” mugolò Taichi al
contatto gelido, mettendo in imbarazzo il kohai che credette
d'avergli fatto male.
“Perdonami Yagami-senpai! Sarò
più...” la borsa del ghiaccio però premette più forte contro la
fronte, fu Sora a spingerla, presa dalla preoccupazione per l'amico
che gemette ancor più forte.
“Taichi, dobbiamo farla
sgonfiare il prima possibile! Stringi i denti!”.
“Takenouchi-senpai
non credo che tu debba premere così forte” cercò di farla
ragionare il kohai, mentre il resto della squadra maschile rideva
della ragazza.
Era così difficile considerare Sora una ragazza,
il suo aspetto, i suoi capelli sempre corti o coperti da strani
cappelli, lei che urlava contro i maschi e giocava solo con i maschi,
sembrava avere poche amiche, ma era comprensibile: così mascolina,
così violenta, così acida... frammenti di quei discorsi giunsero
alle orecchie di Sora che si limitò a far finta di nulla,
dedicandosi piuttosto a Taichi che in quel momento aveva bisogno del
suo aiuto, ma... a quanto pareva la sua delicatezza pachidermica
stava peggiorando il tutto.
E peggioravano le risate,
accompagnandosi a frasi maligne: “che razza di maschiaccio”,
“dicono che neanche le ragazze vogliono stare in sua compagnia”,
“ci credo che la scansano, è così violenta”, “povero senpai,
dovrebbe starle lontano”, “le kohai la rispettano solo perché
hanno paura del maschiaccio che è”.
Sora stringeva i denti
fingendo di non sentire, ma quelle parole facevano male, tanto,
perché lei...
“Adesso basta!” Taichi scattò in avanti
spaventando Sora, ma non era furioso con lei, aveva alzato la voce
perché...
“Yamachi, Tsuda, Mizuki, Takeshi, Kyoya, invece
di scaldare la panchina come cheerleader, fate venti giri dell'altro
campo urlando: sono uno stupido che disonora il calcio” i
cinque ragazzi richiamati furono increduli, col cuore in gola e se
avessero avuto una coda sarebbe stata tremante tra le loro gambe,
perché il capitano Yagami non si comportava mai così e tutto ciò
sarebbe stato alquanto umiliante.
Non capivano proprio
cos'avevano fatto di male... il loro cuore non era così
appassionatamente votato all'onesta bellezza del gioco di squadra
come lo era Taichi, ma almeno il kohai Izumi lo capì, annotando il
gesto del senpai nella sua virtuale lista di motivi d'ammirazione
verso Taichi-san.
“E chiedetevi il motivo per cui l'avete
disonorato, perché voglio una risposta a fine partita!” urlò più
forte affinché i cinque richiamati ascoltassero mentre si
allontavano come ordinato.
“E riguardo a te Sora...” la voce
si abbassò, di nuovo sentì quel piacevole fuoco spandersi,
invaderlo, e circondarli. Solo lui e solo lei, che lo guardava con
occhi lucidi, il viso teso nella preoccupazione e gli zigomi di un
rosa acceso.
“Mi dispiace” sussurrò lei, ancora,
distogliendo poi lo sguardo e perdendosi il momento in cui anche
Taichi scostò gli occhi da lei, perché imbarazzato per qualcosa di
indefinito e bello e che gli faceva venir voglia di abbracciare
l'amica.
“Se davvero ti dispiace...” esordì lui
raccogliendo la sua determinazione “...allora torna in campo e
vinci. Dedicami... una vittoria” si pentì però nello stesso
momento di aver pronunciato quelle parole.
Anche Sora ne fu
sorpresa, mai le aveva parlato così e si meravigliò ulteriormente
di vederlo con lo sguardo basso quando posò di nuovo gli occhi su di
lui.“...sei sicuro di stare bene?”.
“Io...” incontrò
gli occhi di Sora e fu tragico e bellissimo e... le sorrise.
“...non
sono mai stato meglio in vita mia”.
Sora
non poteva sentire le farfalle in quel momento, non... non era luogo
per far fiorire stupidi pensieri nella testa, per questo si alzò con
fierezza annunciando un'imminente vittoria.
“Siamo determinate
a vincere anche senza il tuo supporto, ma... credo che posso
concederti la dedica della nostra imminente vittoria”.
“Dovrai
affrontare me”.
“Lo so”.
“Allora non andarci
piano, perché neanch'io sarò gentile”.
Bugiardo,
pensò Sora, tu
sarai sempre fin troppo gentile con me, Taichi.
“Ed io sarò spietata con te. Lo... lo sarò sempre!” fece sulla difensiva, prima di correre via.
Sora tornò
in campo e Taichi l'accompagnò con lo sguardo, non facendosi domande
e non sentendo il richiamo del kohai Izumi che lo invitava a metter
sulla fronte la borsa del ghiaccio e che si arrese alla quinta
chiamata.
Taichi non aveva la minima idea di quello che era successo, ma voleva vivere ancora un minuto nell'illusione che
al mondo ci fossero solo Sora e lui.