Capitolo
1
Candidato n° 37
Mad
PoV by Rob
Ore
10.00, quartier generale della Shin-Ra
Ero
teso, anzi tesissimo perché ero entrato in una delle potenze più grandi del
mondo con documenti falsi.
Madison
Square, era il nome che recitava il tesserino.
Erano gli unici dati
autentici.
Per il resto, peso, altezza, gruppo sanguigno, provenienza erano
tutti fasulli. Insomma, se qualcuno mi avesse misurato o avesse deciso di farmi
un prelievo, sarei stato inchiodato in due secondi netti.
Mi promisi di
affidarmi a qualcun altro se mai fossi uscito vivo da quella missione e avessi
avuto bisogno di documenti fasulli.
Maledii mentalmente quell'omuncolo che mi
aveva assicurato "massima
serietà, io no errore, signore", sospirai e feci scorrere la tessera
magnetica.
Uno, due, tre, quattro, cinque secondi.
Luce verde.
Ero
dentro.
Ore 10.30, quartier
generale della Shin-Ra
La
Shin-Ra era puro lusso.
Provenivo da un piccolo paese di campagna, nel buco
del culo del mondo e ogni volta che mi rendevo conto di potermi specchiare nei
pavimenti della società mi saliva il sangue al cervello.
Non ero un tipo
particolarmente emotivo. Forse, però, un po’ sì.
Insomma, ero uno zoticone
campagnolo di terza categoria che era stato catapultato in un mondo lussuoso e
futuristico che non avevo mai visto prima. Avevo avuto incontri ravvicinati con
mucche incazzate e rastrelli volanti, ma trovarsi davanti un palazzo che aveva
l’aria ancora più incazzata e che, soprattutto, volava era tutta un’altra cosa.
Molto più suggestivo.
Però, pensavo, se ero riuscito ad entrare in SOLDIERs
un valido motivo ci sarebbe pur stato. Mi auguravo che l’ipotesi del mio amico
Kunsel si rivelasse falsa, prima o poi. «È la crisi. Dobbiamo accontentarci di
quel che passa il convento. Ecco perché ti hanno preso. Bel lavoro, Mad» mi
aveva detto.
Ogni tanto, effettivamente, mi chiedevo se davvero avessi amici.
Qualche frase dei miei compagni, mi faceva sorgere qualche dubbio. «Sei il mio
imbecille preferito, Maddy!»
Intrufolarsi alla Shin-Ra con documenti falsi,
un bagaglio culturale piuttosto scarso nonché un’esperienza in combattimento
decisamente limitata rispetto alle statistiche e un aspetto notevolmente
appariscente era in effetti cosa da perfetti imbecilli.
A quanto pareva, lo
ero perché mi ero buttato a capofitto in quell’impresa. Senza nemmeno un
ripensamento.
Smisi di ragionarci su quando il trillo dell’ascensore mi
annunciò che ero arrivato al ventiquattresimo piano. Le porte si aprirono.
La
mia missione, quel giorno, era quella di scoprire il livello delle aspiranti
reclute per poi riferire le informazioni ai miei superiori. Per un qualche
motivo, il lavoro della spia non mi si addiceva, però con la gente ci sapevo
fare. Avrei puntato tutto sulla cordialità e il mio sorriso: essendo già in
SOLDIER le matricole mi avrebbero guardato con un occhio di rispetto e sarebbero
state intimidite dal mio grado. Nonostante avessi queste certezze, ero ancora in
ansia. Avevo un brutto presentimento.
Decisi di assumere un atteggiamento
disinvolto e spigliato, sperando che il sudore sul viso non mi tradisse.
Fortunatamente, indossavo i miei occhiali da sole quindi sarebbe stato difficile
intuire la mia tensione dagli occhi.
«Guarda quel cretino con quegli occhiali
osceni! Li ha comprati perché fanno pandane con i suoi capelli, secondo te?»
sbraitò una recluta decisamente effeminata al compagno a fianco. Se fosse stata
una donna, le avrei dedicato qualche fantasia delle mie, ma siccome non lo era
proseguii senza esitazione.
Comunque, qualcosa mi disse di togliermi gli
occhiali e rischiare. Dopotutto, il rischio era la mia vita.
Chi ero io per
rifiutare una bella scarica di adrenalina in corpo?
Non che rischiassi molto
tra quelle pulci che si definivano aspiranti reclute, ma non si poteva mai dire.
Certe esperienze ti segnano per sempre. Non solo mentalmente. Anche fisicamente.
Modestamente, vantavo certe cicatrici sul torace che avrebbero potuto far
impazzire le ragazze. “Prove di coraggio”, “nervi d’acciaio”, “cuor di leone” le
chiamavano, loro. Essere sfregiato non era per nulla demodé, avevo intuito.
Quindi, finché ero in SOLDIER accettavo ogni genere di missione per farmi
sfregiare e quindi adorare dalle ragazze, nella speranza che qualcuna si
aggiungesse alla lista delle mie ammiratrici. Per ora ne contavo mezza perché
non sapevo se la segretaria all’ingresso fosse uomo, donna o qualcosadisimile.
Già, certe esperienze ti segnano per sempre.
«Che esperienze?» chiese una
voce, da molto vicino.
Kunsel mi guardava fisso, sorseggiando un
caffè.
«Kunsel?! Ma cosa…?»
Lui si passò una mano sulla faccia e mi
guardò. Credo che quella nei suoi occhi fosse pietà, ma mi piace pensare fosse
qualcosa vicino alla comprensione. «Mad, ti prego dimmi che non mi stai per
chiedere se leggo nella mente perché se è così ti risparmio il disturbo: non
leggo nella mente, sei tu che stai pensando ad alta voce.»
Sentì che il
sangue fluiva rapidamente verso il mio cervello, anche se non mi ero
assolutamente specchiato nei pavimenti.
«Dimmi che stai scherzando.»
«Ti
sembra che stia scherzando?»
«No.»
«Ecco, appunto» fece Kunsel, inarcando
le sopracciglia. Prese un altro sorso di caffè e fece un cenno verso una delle
reclute. «Invece quello sì che ti sta prendendo per il culo, amico.»
La
recluta effeminata teneva banco, non c’era ombra di dubbio. Per essere così
piccolo e fragile aveva una gran faccia tosta. Mi auguravo che non superasse il
colloquio.
«Credo che i tuoi occhiali lo schifino. O che lo abbiano
traumatizzato. È da quando sei arrivato che ne parla. Forse è meglio se li
nascondi.»
«Ma perché?»
«Senti, non dirmi che ti devo offendere per farti
capire che i tuoi occhiali sono davvero inopportuni.»
Ci rimasi male. Forse
ero veramente un tipo emotivo.
Mi riscossi. Che stavo facendo? Non potevo
permettermi di farmi mangiare in testa da qualche sciocca matricola, perdipiù
forse gay! Rimasi impettito davanti a tutti, con una mano sul cuore e
un’espressione determinata. Ero un SOLDIER. Credevo di aver impressionato
persino Kunsel; il suo cipiglio non era ben definibile, ma mi sembrava
stupito.
Ricordai le mie cicatrici guadagnate con fatica e sudore. “Prove di
coraggio”, “nervi d’acciaio”, “cuor di leone” le chiamavano, loro. Loro, le
ragazze.
Dovevo darmi da fare se non volevo mantenere sulla lista delle mie
spasimanti il solo appunto “mezza segretaria”! Dovevo scoprire di più sulle
reclute! Dovevo dimostrare di essere un SOLDIER!
SOLDIER Third class Mad
Square on the job!
Quindi, inciampai nel mio stesso piede e
caddi.
Mad
PoV by Rob
Ore
10.50, Quartier generale della Shin-Ra –
Bagni
Nel
mio piccolo sapevo fare un sacco di cose, come mungere le mucche, cantare l’Aida
o aggiustare i grammofoni. Ma quello che mi veniva meglio era approcciarmi con
le persone.
«Eh, cioè, scusa… com’è che ti chiami tu?»
«Evelina
Enix.»
«Cioè, oltre che a sembrare una donna hai anche un nome da
donna?»
«Io sono una
donna.»
«Sì, certo. E io sono superdotato.»
Lui inarcò un sopracciglio. «Grazie per
avermi confermato di doverti evitare. Mi hai tolto il disturbo.»
«Beh, sono
messo bene.»
«Non ci tengo a controllare!»
«Nemmeno io tengo a farmi
esaminare da un uomo.»
«Ma non sono un uomo!»
«No, ma dico… secondo te
riesci a farmi bere questa? Le donne hanno le tette, amico!»
Per qualche motivo che
ancora mi è oscuro, mi trovai spalmato sul pavimento lucido-lucido della Shin-Ra
e sentì il sangue salirmi al cervello.
Mi alzai rapidamente in piedi,
cercando di non abbassare lo sguardo a contemplare quel bellissimo lastricato
splendente. «Certo, per essere così piccolo ne hai di forza…»
«Altrimenti
perché credi che abbia provato ad arruolarmi? Certo, qui in mezzo sembrano tutte
mezze seghe. Sono soltanto bravi a ridere delle mie battute, per il resto non ho
mai visto un branco così numeroso di coglioni!»
Gli puntai un dito contro.
«Questo non fa che confermare la mia teoria: solo un maschio potrebbe essere
così volgare!»
«Mi stai dando della sboccata?!»
«Ehi, ehi… Hakuna
matata!»
«Cosa vai farneticando?!»
«Sei piccolo, bugiardo e pure senza
senso dell’umorismo. Se ti prendono in SOLDIERs ti assicuro che non riusciremo
mai a diventare amici…»
«Ma che cosa me ne frega della tua amicizia? Levati
dalle palle, fammi uscire! Tra poco è il mio turno!»
«Ah, sì? E quanti sono
stati presi finora?»
«Su trentacinque candidati solamente uno. E adesso
lasciami passare.»
«Devo riconoscere che hai spirito d’osservazione: sono
veramente tutti mezze seghe, se davvero è così! Di solito il numero di arruolati
è più alto…»
La voce dell’esaminatore giunse a noi forte e chiara: «Candidato
n° 36!»
La piccola recluta affondò le mani nel mio stomaco, cercando di
scansarmi e facendomi così mancare il respiro: «Scansati, depravato! Sono stanca
di sentire odore di turche! E tra un numero è il mio turno!»
Rimasi al mio
posto. Ero un duro, io. Lo stavo trattenendo in bagno con il solo scopo di
estorcergli informazioni sulle altre reclute. Me ne stavo sulla porta, in
posizione “X” per sbarrargli il passaggio. Per il momento, il piano stava
andando a meraviglia.
«Sono tentato di restarmene qui e non farti
passare!»
«Sono tentata di evirarti! Tanto, da quel che dici ti farei un
favore privandoti della tua vergogna!»
«Sei tu quello che deve vergognarsi,
visto che vai in giro a dire che sei una donna… sei così gay da essere
disperato?»
La sua espressione si fece scura, mi fece quasi paura: «Disperato
sarai tu tra qualche secondo…»
La voce dell’esaminatore si fece sentire
ancora una volta. Però, stavolta gridò: «Candidato n° 37!»
Non so bene quel
che accadde, ma credo che essere investito da un autotreno potesse fare meno
male. Mi ritrovai stirato a terra, per fortuna a pancia in su.
Avevo capito
perfettamente: il brutto presentimento aveva preso forma come fa la propria
peggior paura negli incubi. Mi aveva appena travolto e aveva scoperto che la sua
forma era quello di un soldato piccolo e molto femminile.
La giornata era
iniziata da poche ore e io ero già caduto tre volte. Quante cadute mi mancavano
ancora per avere una commozione cerebrale?