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Autore: ChiiCat92    07/08/2016    1 recensioni
"Mi sono sempre chiesto perché le prede messe all'angolo non provassero a lottare o scappare fino all'ultimo istante, perché rimanessero semplicemente immobili ad aspettare l'inevitabile.
Io avrei scalciato, morso, urlato, mi sarei divincolato tanto da rendere al predatore la vita difficile.
Ora so perché non lo fanno, perché non succede.
Non c'è niente di più affascinante, niente di più bello, niente di più accattivante di guardare la propria morte negli occhi."
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Saix, Xemnas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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06/07/2016

 

Howlin' to the Moon

 

Rimanere in panne per strada di per sé non è un problema.

Il problema è tutto quello che ne consegue, tutto quello che vi ruota intorno.

C'è differenza tra il rimanere in panne in città – di giorno, dove si può facilmente chiedere aiuto, o dove, una volta chiamato, un carro attrezzi arriva nel giro di un'ora – e rimanere in panne qui.

Nel bel mezzo di un bosco, di notte, su una strada di cui quasi sicuramente Google Maps non conosce l'esistenza, con il cellulare al 5%, proprio quando la nevicata comincia a farsi fitta.

Mi trovo esattamente a metà strada tra il paese e casa mia, il che, tradotto, significa una camminata di una decina di chilometri, sia da una parte che dall'altra.

Non avrei dovuto ascoltare mio padre quando mi ha detto che la casa in montagna era tutta mia, per tutto il tempo che volevo, per farci quello che volevo. Né sarei dovuto venire qui per le mie ferie. Neanche mi piace la montagna. Per non parlare del fatto che non sono equipaggiato per la neve.

Non avrebbe dovuto nevicare! Le previsioni meteo hanno mentito!

Ma immagino sia per questo che si dice che in montagna il tempo è imprevedibile.

Com'era imprevedibile che la macchina mi abbandonasse ed esalasse il suo ultimo respiro proprio adesso.

La temperatura fuori deve essere di almeno -9°, e ora che il motore va raffreddandosi comincio ad avere freddo, il fiato si condensa nell'abitacolo.

Sono nei guai.

Tutto questo perché alla taverna giù in paese si era creato un ambiente così...piacevole che ho tardato a rientrare. La scusa di smaltire l'alcool ingerito prima di mettermi alla guida aveva retto abbastanza, ma essenzialmente il tepore del camino e la compagnia sarebbero stati più che sufficienti per farmi rimanere.

Ne pago le conseguenze, me lo merito. Forse avrei dovuto accertarmi dell'effettiva età di quel ragazzino prima di farmelo piacere tanto. Deve essere il karma, sì. Così imparo a cedere alle avance di un diciassettenne.

Beh, qui c'è da fare una scelta: affrontare il bosco in direzione di casa e pensare domani alla macchina, o affrontare il bosco in direzione del paese e sperare che a quest'ora ci sia ancora qualcuno disposto ad aiutarmi.

Visto che in ogni caso devo affrontare il bosco, che l'ora comincia a farsi tarda e che dubito che troverei anche solo le ombre dei paesani se tornassi indietro, l'unica scelta sensata è quella di andare verso casa.

Senza luci, senza il telefono a fare da torcia, con la luna e le stelle coperte dalle nuvole cariche di neve, il bosco sembra più spaventoso che mai. Non riesco a vedere oltre la prima curva, ma non c'è pericolo che sbagli: sempre dritto, al passaggio a livello a destra, un paio di metri e ci sono.

Basta mantenere la calma, no? Cosa mai potrebbe succedere.

Prendo un profondo respiro cercando di zittire quella vocina dentro di me che continua a darmi dello stupido per non aver messo almeno una torcia in macchina. Come potevo prevederlo! D'altronde, che bisogno ne avrei quando c'è il cellulare. Dannato aggeggio, funzionava alla meraviglia neanche due ore fa. Il freddo deve aver fritto la batteria.

Per evitare che la mia situazioni peggiori ulteriormente – anche se, di nuovo, mi dico che non ci sia modo per le cose di andare peggio – recupero dal cruscotto il giubbotto catarifrangente e lo indosso sulla giacca a vento. Quanto meno se una macchina si trovasse a passare da queste parti mi vedrebbe subito.

Tolta la chiave dal quadro e infilati i guanti mi ritrovo a fissare la portiera. Fa freddo dentro, ma fuori lo farà di più, e qui non posso rimanere.

Un altro respiro, e scendo.

Immediatamente l'aria gelida mi fa frizzare le guance, il poco calore che mi era rimasto in corpo si dissipa in un istante e un brivido mi scuote la schiena.

La neve cade lenta ma abbondante, il tettuccio della mia macchina ne è già coperto. Devo muovermi prima che diventi una vera e propria bufera.

Cerco di mantenermi vicino al guardrail, che è l'unica cosa che riesco a distinguere al buio, e comincio a camminare, stretto nella giacca.

Non ho idea di quanto tempo impiegherò per arrivare, e comincio a pentirmi della mia scelta non appena imbocco la prima curva e perdo di vista la macchina. Da questo momento in poi posso solo andare avanti e affidarmi ai miei sensi.

Devo tenere gli occhi socchiusi perché la neve non mi accechi del tutto, e mi sembra di respirare ghiaccio, cosa che mi fa sentire freddo dall'interno, ma sono allenato, sono un buon camminatore, e sono disperato, per questo continuo ad avanzare.

Quand'ero bambino venire alla casa in montagna era sempre una gran noia, a divertirsi era sempre mio fratello. Lui sì, lui sì che è un grande amante della neve e del freddo. A me ha sempre dato fastidio anche il normale inverno in città, figurarsi quello in montagna.

Fin quando ho dovuto sottostare agli ordini paterni e seguire la famiglia sono stato costretto a venire qui in vacanza, dopo di che, grande abbastanza per starmene a casa da solo, ho preferito lasciare tutto lo spazio a Reno. Non penso che ne abbia sofferto.

La domanda mi sorge spontanea, ora più di prima: perché diamine sono venuto qui?!

Forse non volevo leggere il dispiacere sul volto di mio padre, forse volevo far dispetto a Reno e andarmi a godere le vacanze nella casetta di montagna che tanto gli piaceva. O forse era solo il posto più lontano, più isolato, più fuori mano che potevo trovare, così da poter starmene in pace con me stesso, cosa diventata rara ormai.

Qualunque sia stato il motivo, stupido Axel! Stupido!

Non dovevi venirci in questo buco di culo tra i monti.

Anche se non hai un soldo per permetterti una vacanza vera e devi ripiegare sulla casa di famiglia, caro Axel, sei stupido comunque, pur non essendo colpa tua se ha cominciato a nevicare.

Stupido.

Sotto gli scarponi la neve comincia a scrocchiare e lascio dietro di me una scia di impronte.

In un'altra occasione avrei goduto del profumo del bosco, dello scrosciare di un ruscello in lontananza, dei suoni degli animali tra le fronde. Adesso – qui lo dico e qui lo nego – ne ho paura.

Non riesco a distinguere un albero da un altro, i miei occhi percepiscono solo una massa compatta di nero, odoroso buio, e qualsiasi rumore mi fa scattare sull'attenti e aumentare l'andatura.

Il freddo mi ha reso insensibili le dita dei piedi e delle mani, per non parlare della faccia. Il rombare del sangue nelle orecchie è un rumore di fondo difficile da ignorare.

Mi sembra di camminare da ore. Probabilmente dipende dal fatto che cammino nel buio senza punti di riferimento e che non ho ancora incontrato alcun cartello stradale a parte quello di divieto di superare i 40 km/h in presenza di neve. Se avessi prestato più attenzione fin adesso magari saprei a che punto della strada si trova quel cartello, ma questa è una di quelle cose che si danno per scontate, che si registrano inconsciamente senza averne ricordo alcuno.

Sintesi: non ho idea di dove mi trovo.

Dietro di me c'è solo buio, così come davanti a me.

Appoggio una mano sul guardrail per avere un'idea di dove andare. È quasi confortante, mi fa sentire meno solo in tutta quest'oscurità.

Se il fiato non mi si congelasse ad ogni respiro forse canticchierei o fischierei, tanto per scongiurare ogni possibile aggressione da parte di chiunque ci sia nascosto nei boschi.

Un brivido mi percorre dalla testa ai piedi alla sola idea che possa esserci qualcosa o qualcuno tra gli alberi, poi mi ricordo che con questo freddo non escono neanche i lupi.

Già, i lupi.

Non avevo mai sentito l'ululare di un lupo. Non dal vivo. Non così vicino.

Di tanto in tanto, facendo zapping sui canali educativi quando non c'era altro da vedere in tv, ho intravisto qualche documentario sui lupi. Gli ululati, in quei programmi, erano sempre lontani, effimeri nell'aria, con la classica stereotipata immagine del lupo sulla rupe con la testa gettata all'indietro verso la luna.

Niente di reale e intenso come questo.

Mi fermo in mezzo alla strada, il cuore mi martella nelle tempie, mi sembra di poter avere un infarto da un momento all'altro.

L'ululare proviene da dietro di me, ma anche dopo essermi voltato non vedo nient'altro che non sia un danzare di fiocchi bianchi e buio.

Subito dopo, una seconda voce si alza alla mia destra, e una terza alla mia sinistra.

Il lupo alle mie spalle non è solo, e sono pronto a scommettere un testicolo che ha appena comunicato la mia posizione ai suoi compagni.

Corri!”

E io corro. Nonostante il terreno scivoloso per colpa della neve, corro, corro più che posso, mentre dietro di me sento le fronde scuotersi e gli ululati farsi più frequenti e vicini.

Corro finché non perdo il fiato, ma continuo comunque per pura forza di volontà.

Vedo nella mia mente, come nella scena di un film, i lupi che mi saltano addosso, che cominciano a mordere, strappare, dilaniare. Li vedo mentre mi divorano vivo.

Riesco a sentire il rumore delle loro zampe che mi rincorrono.

Sudore caldo mi ricopre la schiena, mi inzuppa il maglione sotto la giacca a vento.

Non so più dove sto andando, seguo la linea del guardrail con la coda dell'occhio perché sono troppo concentrato a guardarmi alle spalle. Ho il terrore di poter vedere sbucare dal buio il muso di uno di quegli animali.

Finché c'è solo oscurità dietro di me, finché li sento e basta non sembrano in procinto di attaccarmi, il pericolo non sembra reale.

Non li vedo, eppure riesco a sentirli sempre più vicini.

No. Non deve finire così.

Io...volevo solo fare una settimana di vacanza in montagna, non è possibile che stia succedendo tutto questo!

Succedono due cose all'improvviso, ben distinte, che però stranamente vivo come a rallentatore: la prima è sentire un dolore lancinante all'addome, che deriva dal colpo che ho appena dato contro il guardrail, visto che la strada curva verso destra e non me ne sono accorto mentre correvo; la seconda è venire sbalzato in avanti, oltre il guardrail, e finire con la faccia nella neve prima di cominciare a rotolare verso il basso.

Un albero ferma la mia corsa prima che io possa fare qualcosa, persino urlare.

Devo aver picchiato la testa ad un certo punto, perché mi fischiano forte le orecchie, e vedo scintille bianche nel mio campo visivo.

Mi sento mugolare ed è, di nuovo, uno slancio di forza di volontà quello che mi fa rimettere in piedi. Fortuna che c'è il tronco dell'albero a sorreggermi perché le gambe mi tremano.

Per un momento non ho idea di dove mi trovo e come le cose siano precipitate così velocemente, poi sento i lupi scambiarsi ululati non molto lontano da dove mi trovo io.

Qualcosa di caldo mi scorre sul volto, e non mi ci vuole molto per realizzare che deve essere sangue, sangue dal naso. Forse si è rotto nella caduta, forse ho solo preso una brutta botta, il freddo non mi fa sentire dolore. Riesco a respirare abbastanza bene, quindi presumo che non ci sia niente di rotto, ma in ogni caso ci penserò dopo, quando sarò al sicuro a casa.

Perché io ci arriverò a casa.

Non ci penso due volte prima di riprendere a correre, anche se muoversi tra gli alberi è più difficile e la neve comincia a rendere impossibile proseguire.

È difficile dire dove sto andando, e da dove provengono gli ululati che mi inseguono. Posso solo andare avanti, correre, scappare, più veloce che posso.

Deve essere il panico a farmi agire così, perché mi sto allontanando dalla strada – ne sono abbastanza consapevole – e di questo passo perderò ogni punto di riferimento. Ma non riesco a ragionare lucidamente.

Voglio solo mettere più distanza possibile tra me e i lupi.

Stavolta cerco di essere più attento a dove metto i piedi, non voglio cadere, mi rallenterebbe, tanto varrebbe aspettare che mi saltino addosso.

Gli ululati si disperdono, li sento più lontani ad ogni passo che faccio, finché, lentamente, smetto di sentirli del tutto.

Li ho seminati!

Mi arrischio a fermarmi per prendere aria, perché altrimenti non riuscirei ad andare avanti, piegato in due con le mani sulle cosce per cercare di riempirmi i polmoni senza soffocare. L'addome e il petto mi fanno un male cane dove ho colpito in pieno il guardrail, me ne rendo conto solo adesso. Però è andata, ce l'ho fatta.

Mi viene quasi da sorridere. Tutto sommato non è stato così difficile.

Ma è un sorriso che mi muore sulla labbra quando sento un fruscio davanti a me.

Cerco smaniosamente di capire che cosa si nasconda nel buio, e nonostante la scarsa illuminazione riesco a vederlo. Lo vedo fin troppo bene.

Un grosso lupo dagli occhi gialli tanto brillanti da sembrare una fonte di luce, il pelo arruffato, scuro come la notte che lo avvolge. Mi ringhia contro, avvicinandosi.

Ora più che sorridere, mi viene voglia di piangere.

Indietreggio lentamente, le mani avanti, e sento sfuggirmi dalle labbra le parole che meno tra tutte un grosso lupo come quello vorrebbe sentirsi dire:

« Buono cucciolo. »

Spero di non averlo offeso, ma da come ringhia forse era meglio non aprire bocca.

Sobbalzo quando mi ritrovo con la schiena contro un albero. Potrei distogliere lo sguardo per capire dove andare e continuare a indietreggiare, ma ho paura che se smettessi di guardarlo negli occhi mi salterebbe addosso.

Mi è talmente vicino da sentire il suo fiato caldo, e mi turba non poterlo vedere bene, non poter capire quanto sia effettivamente grosso. Con questo buio mi sembra gigantesco.

Contatto visivo o no, sento che si accuccia sulle zampe inferiori, pronto a spiccare un balzo. Non riesco neanche a gridare.

Chiudo solo gli occhi e mi aspetto di sentire dolore, un dolore atroce, mi preparo per questo.

Ma spesso e volentieri non succede mai quello che aspetto che succeda.

Due lupi sbucano dal nulla dietro di me, ringhiando.

I maledetti mi erano stati alle calcagna per tutto il tempo, si erano solo resi silenziosi perché non me ne accorgessi.

Il grosso lupo non puntava ad attaccare me ma si preparava ad attaccare loro.

Non riesco a muovere un solo muscolo mentre li vedo lottare. Il grosso lupo sembra in svantaggio nonostante la sua stazza, e sento il sangue schizzare sulla neve fresca.

Non vedo altro che membra attorcigliate l'una all'altra, e lo schioccare di zanne e ringhi rimbomba tutto intorno.

Dovrei scappare, il buon senso mi dice di scappare, ma non ci riesco, non posso. Rimango immobile come uno stupido a fissare una scena che i miei occhi riescono a cogliere a malapena.

Poi sento un uggiolio, l'uggiolio di un animale ferito. Il grosso lupo ha azzannato al collo e atterrato uno dei suoi rivali.

Il suo lamentarsi diventa sempre più vago, fino a spegnersi.

Mi si stringe lo stomaco: l'ha ucciso.

Il secondo lupo è un po' più intelligente dell'altro, e se la da a gambe non appena il compagno smette di respirare.

Così rimaniamo di nuovo soli, quell'enorme animale ed io.

Lo sento ansimare, stanco e probabilmente ferito. Però mi si avvicina comunque...solo che stavolta non ringhia come la prima volta, e i suoi occhi gialli sono più perplessi che altro.

Per qualche strana ragione penso che non mi abbia neanche visto, che non sapesse che sono stato qui fino ad ora, che fosse talmente tanto concentrato sui due lupi che stavano per saltargli addosso da non aver minimamente percepito la mia presenza.

Ed è assurdo, lo so, è assurdo. Ma non sembra minaccioso.

Decido che la cosa migliore è starsene immobile mentre lui mi si avvicina di più e comincia ad annusarmi tutto, poi emette uno strano ringhietto e mi supera, premurandosi darmi un colpetto con la folta coda.

Di nuovo, non riesco a muovermi. Mi tremano le gambe.

Grazie albero per tenermi in piedi. Vorrei poterti abbracciare, e giuro che lo farei se ne avessi la forza.

Sono quasi certo che tutto sia finito adesso, ma poi il grosso lupo si fa di nuovo avanti e salto da un lato per la paura.

Mi fissa di nuovo con i suoi occhi gialli ed emette ancora quello strano ringhio prima di rimettersi a camminare.

« Amico non so cosa tu voglia da me. »

Sbotto e...e...i lupi possono guardare male qualcuno? Perché lo sguardo che mi sento rivolge è davvero di fuoco.

Ringhia per la terza volta, ma quando riprende a camminare non si volta. Evidentemente era l'ultimo avvertimento.

Mi sembra di essere finito in uno di quei film orribili con protagonisti gli animali che trasmettono solo per riempire il palinsesto durante le vacanze natalizie, qualcosa tipo Balto.

Ma che alternative ho?

Tanto vale seguire il lupo nel bosco.

 

Non so quanto tempo è passato, so solo che, dopo una lunga salita che mi ha fatto perdere uno dei polmoni, mi sono ritrovato sulla strada.

Mi fermo praticamente abbracciando il guardrail, singhiozzando per recuperare aria, e il lupo è ancora lì, a fissarmi nel buio, in attesa.

Aspetta che riprenda fiato prima di rimettersi a camminare.

Se mi ha portato fuori dal bosco, può farmi arrivare a casa, no?

Magari è il mio spirito guida o qualche altra porcata mistica. Di certo non rifiuto l'aiuto, che venga da un animale potenzialmente feroce è solo un dettaglio.

Ha smesso di nevicare per fortuna, visto che affondo fino alla caviglia nella neve fresca. Non è detto che non possa riprendere da un momento all'altro, per questo il mio passo si fa più spedito. Anche perché ho paura, con tutto questo buio, di perdere di vista la mia guida pelosa che cammina quasi al trotto.

Mi ritrovo a corrergli dietro e sono tentato di urlargli di aspettarmi quando intravedo un lampione in lontananza. Il primo lampione, quello che illumina il cartello del passaggio a livello.

Ci siamo quasi!

È sotto la luce di quel lampione che finalmente posso vedere il mio salvatore a quattro zampe.

Definitivamente, è il lupo più grosso che abbia mai visto. Ha zampe massicce, una coda folta, ma a renderlo...affascinante e impossibile da smettere di guardare è il colore del suo pelo. Avrei detto che fosse nero – e d'altronde l'ho visto solo al buio – ma alla luce appare chiaro che è blu, un blu inchiostro denso.

I suoi occhi gialli si fissano nei miei e il mio cuore perde un battito.

È ferito. Nello scontro con gli altri lupi nel bosco ha riportato una brutta ferita a X sul muso, sanguina parecchio. Sul collo e sulle zampe davanti ha segni di morsi, ma nonostante tutto non zoppica, si tiene dritto e fiero, come per orgoglio personale.

Il fremito delle orecchie a triangolo e il vago mugugno che mi rivolge sembra quasi un “cosa guardi?”, ma poi mi ricordo che è solo un animale e che non può aver davvero pensato una cosa del genere.

Deve essere il freddo, lo shock, la stanchezza della camminata. Magari sto impazzendo.

Proseguo oltre il passaggio a livello, sempre preceduto dal lupo.

Le luci delle baite sulla strada mi sono di conforto. Leggo le targhette sui cancelli e quando arrivo a 8 mi fermo. Casa dolce casa.

Per fortuna non ho lasciato le chiavi in macchina, sarebbe stato tutto da ridere.

Apro il cancello e fisso il lupo, seduto comodo come se stesse aspettando una qualche ricompensa per avermi aiutato, come un cane ubbidiente guarda il padrone dopo aver eseguito alla perfezione un ordine.

« Ahm... » comincio, non del tutto sicuro di ciò che si deve dire ad un lupo che ti ha salvato la vita nel bosco invece di divorarti. « Grazie del tuo aiuto, amico. Io sono arrivato a casa...ecco...non so...vuoi qualcosa da mangiare o te ne vai e basta? »

Lui piega di lato la testa, e io mi do dello stupido idiota. Dovrei smetterla di parlargli come se potesse capirmi.

Però non posso lasciarlo così. Tutto sommato è rimasto ferito anche per colpa mia, e poi mi ha riportato sulla strada. E non mi ha mangiato.

Tiro un enorme sospiro.

« So che me ne pentirò ma... »

Apro di più il cancello e gli faccio cenno di entrare.

Il lupo rimane immobile, com'è ovvio.

Mi stringo nelle spalle ed entro. Però il cancello lo lascio aperto comunque.

Mentre percorro il vialetto verso la porta d'ingresso sento alle mie spalle un zampettare sommesso.

Un brivido mi percorre la schiena, mi sta seguendo!

Apro la porta e riesco a non stupirmi quando lui si infila dentro prima ancora che l'abbia fatto io.

Non sapevo che i lupi approfittassero così dell'ospitalità altrui. Tsè, vai a fidarti di certi animali.

Sarà una buona idea avere una bestia selvatica in casa?

Ci penserò domattina, dopo essermi scaldato e aver mangiato qualcosa. Sì.

Mi chiudo la porta alle spalle con un paio di mandate e poi accendo tutte le luci. Ne ho abbastanza di buio, non voglio che ci sia un solo angolo non illuminato in questa casa.

Il mio amico peloso si è accucciato di fronte al camino, come un grosso cane da compagnia, e si lecca le ferite dello scontro.

Anche se è così grosso che solo la sua stazza mette paura, vederlo così mentre lava via il sangue con un uggiolio appena trattenuto mette alquanta...tenerezza. O forse è solo lo shock che parla, e non ho neanche idea di cosa ho appena pensato.

Mi avvicino cautamente e mi inginocchio accanto a lui.

« Fa tanto male? » non mi guarda, né mi risponde – ovviamente –, continua solo a leccarsi la zampa per poi provare a togliere il sangue dal muso. « Aspetta, ti aiuto. »

Mi tolgo la giacca a vento prima di tutto, e poi il maglione che arrotolo in modo da poter asciugare il sangue.

Non appena sono abbastanza vicino da toccarlo lui ringhia, mostrandomi i denti e guardandomi abbastanza male da farmi pensare che voglia divorarmi. Faccio un salto indietro che neanche un atleta olimpico. Solo quando sono abbastanza lontano smette, e torna a tentare di pulirsi da solo, come se niente fosse.

« Suscettibile, eh. » bofonchio, sbuffando dal naso, e cercando di ignorare il fatto che il cuore mi martella in petto per la paura. « Beh, allora fa' da solo. Io me ne vado a letto. Cerca di non lasciarmi troppi peli in giro. »

Dovrebbe essere una specie di frecciatina, ma non so come si rivolga una frecciatina ad un lupo, quindi lascio stare e mi chiudo nella mia stanza da letto. A chiave. Doppia mandata. Se ha intenzione di entrare qui, il caro lupacchiotto dovrà sfondare la porta.

Anche così non mi sento granché sicuro ad addormentarmi, ma c'è qualcosa che non avevo considerato: la stanchezza estenuante che mi piomba addosso nell'esatto momento in cui appoggio la schiena a letto.

Non passano neanche dieci secondi che sono già sprofondato nel sonno più profondo di sempre, dimenticando completamente che nell'altra stanza, di fronte al camino, c'è accucciato un lupo.

 

Mi sveglio di soprassalto da un brutto incubo.

Correvo nel bosco, al buio, sotto una nevicata, e c'erano dei lupi che mi inseguivano. Stavo per rimetterci le penne, avevo freddo, paura, avevo perso il senso dell'orientamento.

Poi degli occhi gialli nell'oscurità mi avevano guidato sulla via sicura fino a casa.

Tutto sommato non era proprio un incubo, è cominciato come incubo, ma è finito con il mio risveglio madido di sudore nel mio letto.

Quante cose assurde può partorire la mente durante il sonno.

Rimango qualche secondo a crogiolarmi nella luce del mattino che arriva dalla finestra. Strano che io non abbia chiuso le imposte, di solito mi piace dormire nella più completa oscurità.

Forse ieri sera, quando sono tornato dalla taverna, ero un po' alticcio e ho dimenticato di farlo.

Perché no, è plausibile.

Tengo gli occhi socchiusi verso la luce, deve aver nevicato tutta la notte perché il riverbero della neve è quasi accecante.

Mi accoccolo di più sotto le coperte, tirandomele fin sul naso. Questo tepore è così bello, così rassicurante.

Quell'idillio dura all'incirca il tempo necessario perché mi accorga che c'è del sangue sul cuscino. Aggrotto le sopracciglia e mi sollevo per vedere meglio. Sì, è proprio sangue. Mi tocco il viso quasi per istinto. Il sangue viene da una ferita sul mio naso.

Perché diamine ho una ferita sul naso?

Un'altra manciata di secondi e...eccola, la realizzazione di ciò che è successo ieri notte. Tutto quello che ho visto nel mio sogno è accaduto davvero.

Lo sguardo saetta verso la porta della mia stanza come se fosse avvolta tra le fiamme e il cuore prende la corsa.

Il lupo. Oltre quella porta.

Ma quanto sono stupido!

Come mi è saltato in mente...

Quasi mi schiaffo una mano in faccia per sottolineare la mia stupidità.

Recupero un fazzoletto dal cassetto del comodino per tamponare il sangue sul naso. Deve essere un taglio o qualcosa del genere, ma ovviamente per accertarmene devo uscire e attraversare il salotto per andare in bagno.

Di nuovo fisso la porta.

Ora che sono più lucidamente consapevole di quello che è successo – e di quello che ho fatto – non sono del tutto sicuro di voler uscire e affrontare la bestia feroce che mi aspetta di là.

Certo, mi ha salvato la vita, ha ucciso uno dei due lupi che mi stavano seguendo, mi ha riportato sulla strada e poi a casa.

Ma dovevo per forza farlo entrare?

Neanche mi sono reso conto di cosa avrebbe significato.

E va bene. Facciamolo. Diamo per scontato che l'amico peloso che mi ha salvato la vita non abbia intenzione di togliermela proprio stamattina quando avrebbe potuto divorarmi comodamente ieri notte nel bosco.

Quindi mi alzo, e mi arrischio ad aprire la porta. Mi affaccio quel tanto che basta per sbirciare nei dintorni. All'apparenza nessun movimento, nessun rumore. Magari sta ancora dormendo.

Sguscio fuori ma lascio la porta aperta in modo da potermici infilare di corsa se dovessi averne bisogno.

Cammino quasi in punta di piedi e giuro, giuro, non ho mai sentito il cuore battermi tanto forte in petto.

Deglutisco a vuoto quando gli occhi mi scivolano sul camino e sul pavimento dove so esserci accucciato il lupo.

Almeno, dove dovrebbe esserci accucciato il lupo.

Perché non c'è più alcun lupo. C'è un ragazzo sdraiato davanti al camino.

Allarme rosso.

Allarme rosso!

C'è un ragazzo sdraiato davanti al camino.

Ed è nudo.

Sento gli occhi sgranarsi, ma invece di allontanarmi il più velocemente possibile e chiamare la polizia perché c'è un maniaco nudo in casa mia, faccio l'esatto opposto e mi avvicino. Mi avvicino come un idiota mentre dentro di me qualcosa continua ad urlarmi di non farlo, che quella è la cosa peggiore da fare.

Addormentato su un fianco, la testa appoggiata su un braccio a fargli da cuscino, il ragazzo ha addosso tutti i segni di una zuffa recente.

Sul collo, sulle braccia, sul petto: unghiate e morsi piuttosto profondi. O la sua ragazza è aggressiva quando fanno sesso, o si è accapigliato con qualche animale.

Ma non sono quelle ferite a sconvolgermi, no.

A lasciarmi a bocca aperta sono i suoi lunghi capelli di un blu denso e scuro, e la ferita a X sul suo viso, ancora fresca di sangue.

Vorrei poter riuscire a ragionare, tirare fuori qualche pensiero sensato, una valida spiegazione, qualcosa, ma lui apre gli occhi. Apre gli occhi e li fissa nei miei. Sono gialli, di un giallo tanto acceso da sembrare una fonte di luce...proprio come quelli del...

Immediatamente scatta in piedi, spingendosi il più lontano possibile da me.

Conosco quell'espressione sul suo volto, devo averla avuta anch'io un paio di volte nel corso della mia vita.

È quella faccia da “che cosa ho fatto ieri sera, dovevo essere ubriaco come una zucchina”. Sì, quella faccia lì, più o meno.

Mi è anche capitato di risvegliarmi nudo in casa altrui senza sapere come diamine ci sono finito, quindi non biasimo il ragazzo perché cerca di coprirsi come può con le mani. Mentre io cerco di non guardarlo. Ehi, le cose belle sono cose belle.

Quando mi ringhia contro realizzo due cose: lo sto fissando più del dovuto, e lui è il lupo che ho fatto entrare in casa ieri notte.

Metto le mani avanti, per mostrare di essere disarmato.

« Calma, non voglio farti niente. »

Anche perché non ti voglio neanche toccare, sottospecie di licantropo ringhiante.

Non posso essere ancora a letto? Non può essere tutto un sogno? Non posso svegliarmi, andare in salotto e trovare il lupo sdraiato davanti al camino?

« Ti prendo qualcosa per coprirti, okay? »

Sennò non ne usciamo più, e vorrei smetterla di guardarti.

Sono parecchio sexy i licantropi.

Dio! Non l'ho pensato davvero.

Indietreggio lentamente, sempre tenendo le mani avanti, i suoi occhi gialli puntati addosso fanno quasi male.

È esattamente come ieri notte nel bosco, quando mi ringhiava contro e cercavo solo di mettere più distanza possibile tra me e lui mantenendo il contatto visivo.

A giudicare dalla sua stazza – è piuttosto grosso – i miei vestiti gli andranno stretti, ma meglio che vederlo con le chiappe al vento.

So che gettati sul divano devono esserci un paio di pantaloni che non ho mai sistemato al loro posto. Li cerco a tentoni, senza scollare gli occhi dai suoi, e quando li trovo glieli lancio.

Lui se li infila il più rapidamente possibile, e non sbagliavo quando pensavo che gli sarebbero stati stretti, e corti anche. Ma quanto meno è vestito, e non sembra più in procinto di staccarmi la testa con un morso.

« Ecco qua, visto? È tutto apposto. »

Mi sembra di parlargli come se avessi davanti un animale e non una persona. Ma, come dire, mi sento alquanto confuso sulla faccenda.

Ieri notte c'era un lupo, oggi un bellissimo ragazzo, ferito allo stesso modo per di più.

Si asciuga distrattamente il sangue che gli cola sulle guance, e sobbalza quando si rende conto di aver toccato la ferita. Deve essere piuttosto dolorosa, sembra piuttosto dolorosa. E non smette di sanguinare.

« Senti...ahm... » provo a muovere un passo verso di lui ma ricevo in cambio un altro ringhio, per questo mi tiro di nuovo indietro. « ...ho una cassetta del pronto soccorso in bagno. » gli indico con una mano la porta del bagno. « Permettimi...di medicarti la ferita. Fai conto che...che lo faccio in cambio di quello che hai fatto tu ieri per me, mh. Non farmi rimanere in debito. »

Riesco chiaramente a vedere come trattiene il fiato per un attimo, cosa che mi accorgo di stare facendo anch'io.

Lui sa che io so. Ma io non so cosa so.

Cosa pensa che io so e cosa so davvero?

Ah, mi scoppia la testa.

In ogni caso lo vedo annuire piano, abbassa la guardia e – quanto meno – la smette di ringhiarmi contro come un animale.

« Bene. » cerco di rivolgermi un sorriso, ma non mi riesce granché bene. « Accomodati dove preferisci, torno subito. »

Cerco di non dargli le spalle mentre imbocco la porta del bagno, ma è difficile, dovrei torcermi la testa a 270°, non sono mica un gufo. Per questo faccio in fretta non appena il ragazzo esce dal mio campo visivo.

Ho quasi paura che possa scomparire se distolgo lo sguardo.

Arraffo tutto quello che potrebbe servirmi e torno indietro.

Lui non c'è.

Per un momento sento il cuore fermarsi.

Forse ho avuto un'allucinazione, forse era tutto dentro la mia testa. Non c'è mai stato nessun lupo e nessun ragazzo.

Poi lo vedo, seduto rigido su una sedia in cucina. Non sembra abituato a tenere quella posizione, e continua a guardare nervosamente il pavimento. In qualche modo mi...fa tenerezza, ma scuoto la testa e lo raggiungo. Non può farmi tenerezza sia come lupo che come uomo.

Solleva lo sguardo ed è chiaro come il sole che sia ancora titubante e restio a fidarsi di me.

Metto sul tavolo tutto il necessario per medicarlo in modo che lo possa vedere, anche se non sembra intenzionato a scollarmi gli occhi di dosso.

« Mi dispiace che ti abbiano ferito. » comincio, mentre inzuppo un batuffolo di ovatta di disinfettante. Spero che non si arrabbi. « E ti ringrazio per avermi salvato. » mi sporgo verso di lui, il cuore mi martella in petto. Gli mostro il batuffolo con un mezzo sorriso. « Questo brucerà un po', ma dopo starai meglio. »

Non fa una smorfia, né muove un muscolo quando comincio a tamponare la ferita, continua a fissarmi, tanto intensamente che sento quello sguardo trapassarmi da parte a parte. È così intenso, magnetico.

Senza rendermene conto mi ritrovo a deglutire, nervoso.

« Mi chiamo Axel. » forse parlo perché non sopporto più che mi fissi in silenzio in quel modo. « Tu ce l'hai un nome? »

Il suo sguardo si indurisce all'improvviso, tanto che lo sento fisicamente addosso.

Rabbrividisco e mi tiro indietro, indeciso se chiedergli scusa o...

« Saïx. » ha una voce profonda, risuona nel petto come un ringhio. « Il mio nome è Saïx. »

Rimango spiazzato per un momento, tanto che le mie mani si bloccano e sento di avere addosso un'espressione stupida.

« Sai...sai parlare? »

A quel punto la faccia di...Saïx, si contrae in una smorfia. Dovrebbe essere una risatina quella che trattiene, ma la ferita a X sul suo viso lo fa irrigidire per il dolore.

« Perché credevi che non sapessi parlare. Dio, gli umani. Siete così stupidi. »

Sbotta, alzando gli occhi gialli al cielo.

C'è qualcosa di profondo in me che è stato appena ferito, e anche in maniera piuttosto grave.

« Ehi! Io non sono stupido! E soprattutto... » poi mi muore la voce in gola. Ha detto “umani”, ha detto “siete”. « ...tu...? »

Si alza all'improvviso, allontanandosi.

« Devo andare. »

« No! Aspetta! »

Gli afferro il polso prima ancora di rendermene conto, ed è fuoco quello che arde nei suoi occhi, tanto da farmi male.

Mormoro un “scusa” e lo lascio andare, ritraendo la mano. Sento addosso il dolore delle scottature.

« Ho già fatto troppo. »

Sussurra, più a se stesso che a me, e mi volta le spalle, quasi correndo verso la porta d'ingresso.

Gli vado dietro come un cagnolino. Non voglio che se ne vada, non voglio vederlo uscire e andarsene.

C'è qualcosa dentro di me che si rifiuta categoricamente di accettarlo.

« Per favore. » non so neanche perché lo sto facendo. Perché mi oppongo. Tanto meglio che se ne vada, così tutta questa storia finisce e posso tornare a fare la solita vita. « Mi...mi devi una spiegazione! »

Un modo come un altro per fermarlo. E funziona, visto che si volta a guardarmi, perplesso.

« Spiegazione? » e solleva un sopracciglio che è blu, come i capelli. « Io non ti devo nessuna spiegazione. »

« Perché mi hai salvato? »

Di nuovo, mi indirizza quel suo sguardo perplesso, lo stesso del lupo di ieri notte. Ovvio, è lui il lupo di ieri notte.

« Non ti ho salvato, mi stavo difendendo. »

« Se ti stavi difendendo perché mi hai riportato sulla strada? »

« Sarei dovuto andare comunque da quella parte. »

« Mi hai accompagnato fino a casa! »

« Ripeto, sarei dovuto andare comunque da quella parte. »

« Non ci hai pensato due volte a dormire davanti al mio camino. »

« Ero ferito, nevicava e mi hai offerto di entrare. »

« Non ti ho offerto di entrare, ti sei infilato. »

« Hai finito? »

Sì. Ho finito. Mi accorgo all'improvviso di come gli ho praticamente urlato addosso, e di come lui, stoico e dall'espressione immutabile, mi abbia smontato parola per parola.

Sbuffo dal naso, indispettito, e mi tiro indietro. Troppo vicino, troppo vicino allo strano ragazzo-lupo che odora di bosco e luna.

« Se non mi avessi salvato la vita non avresti accettato di farti medicare. »

Borbotto, risentito.

Per qualche ragione è il fatto che si rifiuti di accettare di avermi salvato a darmi più fastidio di tutto in quella storia. Non che sia una strana creatura uscita da una favola dei Grimm, non che io l'abbia trovato nudo sul mio pavimento.

Perché non può solo ammetterlo? È una dannata questione di principio.

Visto che non sembra intenzionato a rispondere gli chiedo ancora:

« Perché eri nudo? »

Eccolo che alza di nuovo gli occhi al cielo.

« Mi dispiace di aver urtato la sua sensibilità. Ma hai mai visto un lupo in giacca e cravatta? Bene, perché non fanno abiti su misura per gli animali. »

« Non che cambino forma almeno, non è così? »

Punto sul vivo. Lo vedo come cambia espressione, come le pupille si restringono fino a diventare spilli, come la pelle si accappona leggermente. Il suo corpo parla da solo, dove lui non vuole farlo.

Nessun'altra reazione però, si limita a darmi di nuovo le spalle e andare verso la porta d'ingresso.

Ho finito le scuse, e per quanto vorrei costringerlo a rimanere...non c'è nient'altro che posso fare.

Abbassa la maniglia e spalanca la porta...per poi fare un salto all'indietro prima che la neve accumulatasi durante la notte gli cada addosso.

Mi rendo conto solo adesso di non aver neanche dato un'occhiata fuori dalla finestra, perché altrimenti mi sarei accorto del cielo gonfio di neve, e della bufera che imperversa.

Nevica così forte che a malapena si riesce a vedere il cancello di ingresso al termine del vialetto, e la neve si è già accumulata tanto da arrivare al polpaccio.

« Merda. »

Impreca lui, e sbatte la porta con tanta violenza da farmi sobbalzare.

Però subito dopo sorrido, non so neanche perché.

« Sembra che tu non possa andare da nessuna parte stamattina. »

« Aspetterò che smetta di nevicare. »

Ringhia, e si lascia scivolare a terra con la schiena contro la porta.

« Hai intenzione di rimanere seduto lì per tutto il tempo? Potrebbe nevicare per tutto il giorno. » nessuna risposta, il lupacchiotto è alquanto testardo. Tocca a me alzare gli occhi al cielo stavolta. « Stai pure lì, se preferisci. Io ho bisogno di un caffè e qualcosa da mangiare. Ti porto qualcosa? » silenzio, ancora. È un'orgogliosa testa dura.

E che espressione arcigna che sostiene mentre incrocia le braccia al petto muscoloso. Un brivido mi percorre la schiena ma cerco di ignorarlo, solo perché è un bel ragazzo non devo dimenticare che si tratta di uno strano...licantropo.

Torno in cucina, sul tavolo c'è ancora la cassetta del pronto soccorso. Mentre riordino il tutto cerco di pensare a cosa potrei preparare, a cosa mi è rimasto in casa, e cosa farò nel qual caso dovesse continuare a nevicare tutto il giorno come ho detto poco fa.

Ho legna sufficiente per resistere un po' di giorni se dovesse saltare l'impianto elettrico – certe volte succede quando nevica così tanto – e il cibo in scatola nella dispensa dovrebbe bastare per due settimane...una, se Saïx rimane qui.

Gli occhi mi corrono immediatamente verso l'ingresso. Riesco a vedere solo una parte della sua chioma blu da qui. Sembra davvero intenzionato a rimanere seduto lì finché non potrà andarsene.

Ma prima o poi dovrà sentire il bisogno di mangiare.

Decido che non voglio un lupo affamato nel mio salotto, per questo preparo la colazione per due. Niente di trascendentale, una frittata, qualche pezzo di bacon, ma il profumo si espande presto per tutta casa, e sono convinto che il mio ospite non resisterà a lungo.

Infatti si affaccia alla porta della cucina quando la carne ha quasi finito la cottura. Appoggiato contro lo stipite, le braccia sempre incrociate come a sottolineare un totale, completo, assoluto disinteresse nei miei confronti, mi guarda con un mezza smorfia sul volto.

« È pancetta? »

« Bacon. »

« Bacon? »

Sento nel suo tono una sfumatura, come se volesse aggiungere qualcosa come “davvero?” o roba del genere.

Mi ritrovo solo a stringermi nelle spalle.

« Sono irlandese. »

Suona sia come una giustificazione che come una scusa.

Lui sbuffa e vedo quanto impegno ci mette per sbloccare gli arti e muoverli per andarsi a sedere rigidamente al tavolo.

La considero una vittoria in qualunque caso, quindi mi limito a impiattare le due porzioni e poggiargli il piatto davanti.

Mi siedo di fronte e a lui e passiamo un istante a fissarci.

Non so perché ma ho quasi l'impressione che non si fidi di quello che ha davanti e che voglia vedermi mangiare prima di fare lo stesso. Gli do quello che vuole e metto in bocca un'abbondante pezzo di frittata e un morso di bacon. Così, lui si rilassa e prende a mangiare, molto più compostamente di quanto ci si aspetterebbe da un lupo.

Vedendolo così ho di nuovo l'impressione di aver avuto un'allucinazione ieri notte.

Lo osservo attentamente, sperando che non mi scopri a farlo, ed è per questo che noto la sottile pelle d'oca che gli ricopre le braccia.

« Hai freddo? »

Lo dico prima di pensare che la cosa potrebbe essere compromettente.

« No. »

Sbotta, senza alzare lo sguardo dal piatto. Sì, mangia in maniera composta ma sembra comunque affamato, tanto che ha già spazzolato tutto e si lecca appena le labbra.

« Ne vuoi ancora? È rimasto qualc- »

« No. »

Mi interrompe subito.

“No” deve essere la sua parola preferita.

Senza dire altro, prende piatto e posate, li mette nel lavandino – come fosse consuetudine farlo – e torna a sedersi di fronte alla porta all'ingresso, stessa identica posizione di prima.

Prevedo che sarà una convivenza difficile.

 

Continua a nevicare, e Saïx a mantenere la sua posizione.

Prima che l'antenna parabolica sul tetto si riempisse di neve sono riuscito a sentire le notizie al telegiornale. Sono tutti preoccupati per questa perturbazione, perché a quanto pare ha preso la popolazione impreparata, e quel che è peggio è che sembra destinata a durare.

Dopo di che il segnale si è interrotto ed è più o meno ufficiale che siamo rimasti isolati dal resto del mondo. Persino il segnale del telefono è debole. Ma la rete elettrica ancora regge.

Quando sento starnutire Saïx mi ricordo che quel testone è ancora mezzo nudo, seduto a terra.

Non pensavo che gli uomini-lupo fossero così orgogliosi.

Non aspetto di sentirlo starnutire ancora per portargli un maglione, un paio di calzini e una coperta. Quando glieli porgo lui mi guarda male, ma sono abituato ormai a quello sguardo, per cui non mi faccio intimidire.

« Vestiti e non fare tante storie. »

« Non ne ho bisogno. »

« Dato che non vedo nessuna pelliccia, o ti vesti o ti costringo. »

Non ho neanche finito di pronunciare la parola “costringo” che so di aver...esagerato, perché il ringhio che mi rivolge mi fa ricordare che sotto quelle sembianze umane c'è pur sempre una bestia.

Però sostengo il suo sguardo – nonostante il prudere del panico nascente dentro il mio petto – e poco dopo mi strappa di mano i vestiti e se li infila con rabbia. Il maglione gli va un po' stretto di spalle, ma quanto meno ha smesso di tremare.

Non sembra intenzionato a voler prendere la coperta, ma non voglio forzare la mano, quindi la appoggio a terra accanto a lui...dopo di che mi ci siedo anch'io.

« Come funziona? »

« Cosa. »

Oh, so benissimo che ha capito, fa solo il finto tonto. Quindi farò il finto tonto anch'io.

« Quella cosa del lupo. Come funziona? Ci sei nato? È una malattia? È la tua razza? »

Mi guarda con una smorfia infelice e sì, ricambio con un'espressione che da sola basta a fargli capire che non smetterò di tormentarlo finché non mi avrà risposto.

Quindi sospira, profondamente, e chissà, magari sta resistendo dal farmi a pezzi.

« Non è una malattia, razza di stupido. » ringhia, scontroso, ma sono contento che stia rispondendo. « Si nasce così, come tu sei nato umano. »

« Scusa se ti ho offeso. » grondo sarcasmo. « Ma non avevo mai incontrato nessuno come te. Pensavo che non esistesse nessuno come te. »

« Questo perché gli umani sono ottusi, trasformano in leggenda quello che non conoscono o non possono capire, così si sentono protetti dalla loro stessa ignoranza. »

« Oh wow, calma, non c'è bisogno di dare dell'ignorante alla mia specie. »

« Lo siete. »

« Ti piacerebbe se dicessi che tutta la tua è formata da cani rognosi? »

Non avrei dovuto. A me neanche piace essere un umano. Perché ho parlato.

In un attimo Saïx mi è addosso, una mano corre al mio collo. Mi atterra e mi si mette sopra cavalcioni. Ringhia, i denti scoperti. Non c'è niente di diverso tra lui e il lupo che ha ucciso un suo simile la notte scorsa. È al pari di un qualunque omicidio tra umani, se quegli animali erano come lui.

« Mi dispiace. » rantolo, e cerco di allentare la presa della sua mano intorno alla gola, ma sembra avere muscoli d'acciaio, e sento l'aria cominciare a mancarmi. « Non...non uccidermi...ti prego... »

Scintille bianche mi esplodono davanti agli occhi, sto per perdere i sensi, non riesco neanche ad opporre resistenza, braccia e gambe si fanno molli.

Un istante prima che diventi tutto nero, torno a respirare. Prendo una boccata d'aria così profonda che quasi soffoco e mi ritrovo a tossire come se avessi ingerito litri e litri d'acqua.

Lo sguardo che gli rivolgo è di odio puro e non appena posso mi allontano da lui.

Per la prima volta ho davvero paura. Paura di quello che è e che non capisco, paura di quello che può fare. Paura di lui.

Si sporge verso di me. All'improvviso i suoi occhi sono colmi di...qualcosa, qualcosa che non riesco a capire. Mi ritraggo per non essere toccato.

Devo sembrare uno stupido, perché mi sento davvero uno stupido.

Riesco ad alzarmi, e non gli rivolgo un'occhiata quando me ne vado. Faccio in modo di sbattere la porta della mia stanza una volta entrato, e la chiudo a chiave più di due volte.

Mi tremano le mani, le gambe, la gola mi brucia.

Saïx è pericoloso, è un animale. Ha cercato di uccidermi.

 

Devo fare la pipì. Urgentemente.

Ho valutato la prospettiva di farla fuori dalla finestra, ma il termometro ha toccato i -15°, continua a nevicare violentemente, e non ho voglia di congelarmi l'uccello.

Devo andare, sento di stare per morire.

Sono rimasto chiuso nella mia stanza per ore, senza neanche mettere il naso fuori.

Non ho sentito nessun movimento dall'altra parte, non so cosa Saïx stia facendo, non so neanche se è ancora qui.

Spero che se ne sia andato, con tutte le mie forze, quando faccio scattare la serratura e mi lancio in corsa verso il bagno.

Mi batte tanto forte il cuore che mi sembra voglia sfondare la cassa toracica.

Arrivo in bagno e mi chiudo alle spalle l'ennesima porta.

Ce l'ho fatta. Sono sollevato di poter fare pipì in pace.

Sospiro di piacere, e non solo per essermi svuotato, ma anche perché c'è ancora acqua corrente quando tiro lo sciacquone.

Quasi fischiettando vado ad aprire la porta e allora mi si blocca il fiato in gola.

Saïx, dritto davanti a me, l'espressione truce.

« Lavati le mani. » mi dice, con aria schifata, e il tono del rimprovero. « E vieni a tavola. »

Poi mi volta le spalle e torna da dove è venuto, cioè la cucina.

Solo adesso mi accorgo del profumo di buono che aleggia in tutta casa. Tutto concentrato com'ero a correre al bagno non mi sono reso conto del resto.

Mi lavo di corsa le mani – non ho intenzione di contraddire Saïx – e più per curiosità che altro vado in cucina.

E rimango scioccato.

Non pensavo che dal cibo rimasto in frigo e in dispensa si potessero tirare fuori dei piatti dall'aspetto raffinato come quelli che Saïx ha messo in tavola.

Sta giusto sfornando quello che sembra un tortino di patate quando incrocia il mio sguardo.

« Tu...cucini? »

Per un attimo penso di averlo offeso di nuovo, poi mi rivolge uno sbuffo e si sfila i guanti da forno.

« Sì, perché ti stupisce tanto? » “perché sei un lupo” vorrei dirgli, ma non apro bocca, e lui comunque, dal modo in cui alza gli occhi al cielo, sembra averlo già capito. « C'è qualcos'altro che credi che io non possa fare solo perché sono un lupo? »

« Non sapevo neanche che esisteste, fai un po' tu. »

Sbotto, risentito, incrociando le braccia al petto.

Se quel pasto luculliano è un modo per chiedermi scusa è fuori strada, non perdono un tentato omicidio. E qualcosa mi dice che riesce benissimo a capirlo.

« Mi dispiace. » non mi guarda in faccia dicendolo, ma orgoglioso e testardo com'è è già tanto che l'abbia detto. « È un brutto periodo. »

« Oh certo, ti capisco. » per un attimo alza gli occhi, peccato che io sia di nuovo sarcastico. E io non sono un tipo da sarcasmo. « Anch'io quando sono di malumore aggredisco le persone con l'intento di ucciderle. »

« No, tu non capisci. È davvero un brutto periodo. » quasi ringhia, ma si trattiene, respirando profondamente. « Quando si avvicina la luna piena è...più difficile trattenersi. »

« La luna piena è domani notte. »

Non dice nulla, sposta solo lo sguardo altrove, evitando palesemente il mio.

« Non posso rimanere qui. » continua, sottovoce. Sembra parlare con se stesso. « Posso resistergli, ma non durante le notti di luna piena. È per questo che sono scappato. »

« Scappato...? Scappato da dove...? Da chi? »

« Quando tramonta il sole sarò costretto a cambiare forma. » alza all'improvviso la testa e mi ritrovo a trattenere il fiato. I suoi occhi sono così belli. « Posso affrontare la nevicata da lupo, uscirò dalla tua vita, devi solo far finta che non sia successo niente. »

« Sono stato aggredito dai lupi ieri notte. » mi ritrovo a stringere forte i pugni. « Sei stato tu a salvarmi. Ne hai ucciso uno. Mi hai seguito fino a casa e ora veni a dirmi che “uscirai dalla mia vita”, sei tu che ci sei voluto entrare! » mi fa ancora male la gola per quanto l'ha stretta. Solo vagamente sono consapevole di quanto sono stato vicino a morire. « Dove diavolo avevi il cervello! »

« Cercavano me. » mi interrompe, così bruscamente che è come se mi avesse dato uno schiaffo. « Quei due cercavano me. Erano sulle mie tracce. Sei finito in mezzo a qualcosa che non ti riguardava. » sospira e si passa una mano sul viso, per poi rabbrividire: la cicatrice sul suo volto è ancora fresca. « Non ti sei accorto che dietro di noi, per tutto il tempo, c'era il branco, vero? »

« ...branco? »

Mi vengono i brividi solo a ripetere quella parola.

Lui annuisce, greve, l'espressione di chi si sente amaramente in colpa.

« Hanno continuato a seguirci, fin qui. Se ti avessi lasciato solo ti avrebbero aggredito. Non potevo permetterlo. »

« Allora tutto sommato mi hai davvero salvato la vita. »

No, sul serio, non so da dove mi esca questo tono vittorioso, forse dalla soddisfazione derivata dalla sua ammissione. Questo annulla definitivamente tutto quello che mi ha detto prima, e conferma quello che il suo orgoglio non voleva dire.

Quando lo vedo sospirare per l'ennesima volta e arricciare le labbra in una smorfia so di aver vinto l'ultimo round, per questo mi siedo a tavola e comincio a riempirmi il piatto con quello che ha preparato.

Continuo a non perdonarlo per avermi quasi ucciso, o forse voglio convincermi che sia così.

« E cosa speri di ottenere andandotene al tramonto? »

Non lo guardo, mi concentro solo sul tortino di patate che ha un aspetto delizioso, oltre al fatto che è caldo, rovente, e la sensazione di calore che mi trasmette quando ne metto in bocca un boccone mi fa quasi sospirare di piacere.

« Spero che torneranno a inseguire me, lasciando in pace te. Sei solo uno stupido umano. Ti avrebbero ucciso solo per colpire me, ma se mi vedranno lasciare questa casa probabilmente penseranno che ti ho ucciso io, così ti lasceranno in pace. »

Stavolta è il mio turno di fare una smorfia e non posso fare a meno di alzare gli occhi su di lui.

« Il tuo branco è pieno di gente simpatica. »

« Siamo lupi. »

Con una scrollata di spalle, come a dire che è un modo di ragionare perfettamente normale per quelli come lui.

Già. Ma cos'è lui?

Lo osservo attentamente mentre mangia dal piatto con forchetta e coltello come se fosse la cosa più normale del mondo, come se fosse abituato a farlo da sempre.

È un licantropo come quello dei film? Impazzisce con la luna piena? Non sembra.

È un lupo che di tanto in tanto diventa umano? Dal suo talento culinario e dal modo raffinato di usare le posate, non direi.

È un umano che di tanto in tanto diventa lupo? Sembrava perfettamente a suo agio in quella sua forma bestiale per uno che si ritrova a quattro zampe casualmente.

Quindi, cos'è?

Mi rendo conto di averlo fissato con troppo insistenza quando mi ritrovo a specchiarmi nei suoi occhi giallo ambra. Sono così profondi, mi mozzano il fiato in gola per un attimo.

Se non fosse per il colore così puro e intenso direi che si tratta di occhi umani, ma basta rimanere a guardarli per un istante per accorgersi che sono tutto l'opposto.

« Non farti troppe domande. »

Dice solo, con un mezzo sorriso sulle labbra.

Sa leggere nel pensiero? Perché da come mi guarda sembrerebbe di sì.

Scuote la testa, e quel sorriso si allarga.

« Te lo leggo in faccia, sei un libro aperto. »

« Beh scusami! » sbotto, scostando lo sguardo. Cavolo, davvero l'ha capito solo guardandomi in faccia? Magari è uno dei suoi superpoteri. « Non posso evitare di farmi domande dopo che un lupuomo...un uolupo...un coso come te mi ha preparato da mangiare e sta seduto al tavolo della mia cucina parlando di un branco assassino come se niente fosse! »

Allora mi fissa. Forse non avrei dovuto definirlo “coso”. Era un po' offensivo ora che ci penso. Dovrei stare più attento a quello che gli dico, non è neanche la prima volta che succede. Io mi sarei offeso se qualcuno mi avesse chiamato “coso”. Dovrei chiedere scusa? Lo sguardo giallo ambra che mi rivolge mi consiglia di farlo, ma all'improvviso mi ritrovo la lingua attaccata al palato, e non sono in grado di emettere alcun suono articolato.

Non sono solo i suoi occhi ad essere così sovrannaturali, a guardarlo bene si trovano tanti piccoli indizi che potrebbero mettere in guardia. Ad esempio le orecchie leggermente a punta, le unghie delle mani più lunghe e affilate del normale, i canini superiori che sfiorano il labbro inferiore se schiude appena la bocca, o quel misto di paura e voglia di scappare via che prova una preda di fronte ad un predatore che provoca il solo stare in sua presenza.

In definitiva, se l'avessi incontrato in un qualsiasi altro contesto me ne sarei tenuto alla larga, spinto dal mio istinto di sopravvivenza che ne sa decisamente più di me.

Mentre adesso me ne sto qui, a fissarlo con gli occhi sgranati, mentre lui si passa la lingua sulle labbra come assaporando in anticipo la mia carne.

Mi sono sempre chiesto perché le prede messe all'angolo non provassero a lottare o scappare fino all'ultimo istante, perché rimanessero semplicemente immobili ad aspettare l'inevitabile. Stupidi! Io avrei scalciato, morso, urlato, mi sarei divincolato tanto da rendere al predatore la vita difficile.

Ora so perché non lo fanno, perché non succede.

Non c'è niente di più affascinante, niente di più bello, niente di più accattivante di guardare la propria morte negli occhi.

Poi lui distoglie lo sguardo e l'incantesimo si spezza. Mi sembra di tornare a respirare dopo così tanto tempo che per un attimo non so bene come si fa, i polmoni e il diaframma non collaborano. Sento il corpo coperto di sudore gelido e il battito del cuore è accelerato all'inverosimile.

Calma Axel, calma.

« Sono un uomo. » non mi guarda, ma sento il vibrare del suo sguardo, l'intensità del suo desiderio di alzare gli occhi su di me. E poi aggiunge: « Per il momento. »

Deglutisco a forza senza neanche accorgermene, come se avessi in gola una palla da tennis.

Ci sono così tante implicazioni nascoste in quelle parole che ho paura di chiedere.

 

Il tempo passa molto lentamente quando il cielo è così gonfio di neve e il paesaggio dalla finestra è un turbinio di fiocchi bianchi, abbacinanti. È come guardare all'infinito all'interno di una sfera di vetro – quelle con dentro i monumenti famosi delle città – agitata da mani invisibili. Ed esattamente come in quelle sfere, non sembra esserci niente altro al mondo.

Solo quel turbinio bianco e il piccolo monumento in miniatura, costretto a esistere per sempre nella tormenta di neve.

Senza segnale la radio, il televisore e il telefono sono completamente inutilizzabili. Potrebbe scoppiare una guerra e non ne saprei niente.

Solo il progressivo diminuire della luce del sole – nascosto dietro le nubi– annuncia l'avvicinarsi del tramonto.

Il realizzarlo mi rende abbastanza nervoso da smettere di guardare fuori dalla finestra per localizzare la posizione di Saïx.

Dopo la nostra infruttuosa chiacchierata è piombato su di noi un fastidioso e imbarazzante silenzio, che non ha fatto che aumentare in me la consapevolezza di provenire da due mondi lontani. Non posso toccare il suo mondo tanto quanto lui possa fare con il mio. È come se ci separasse una barriera invisibile, la stessa, più tangibile, presente tra un essere umano e un animale.

Guardare le sue fattezze e pensare a lui come ad un lupo è difficile almeno quanto guardare un lupo e pensarlo umano.

C'è qualcosa di sbagliato e insieme affascinante in lui.

In ogni caso, ha rivendicato la poltrona davanti al fuoco come sua, e da lì non si è ancora mosso, fissando il fuoco come se fosse uno spettacolo di rara bellezza. Ogni tanto ci getta dentro un ciocco per alimentarlo, o scuote le braci per risvegliarle.

Ne è attratto tanto da attrarre anche me.

Forse si accorge che lo sto fissando – non è difficile credere che abbia uno speciale sesto senso – perché alza la testa e incrocia lo sguardo con il mio.

È un'espressione annoiata, in parte scocciata, quella che mi rivolge. Sembra quasi volermi dire di smetterla di guardarlo come se fosse un fenomeno da baraccone. Mia madre me lo diceva sempre “Fissare gli estranei non è educato, Axy! Smettila”, ma proprio non riesco a farne a meno.

Tutto di lui è bello da guardare, è strano da guardare.

Sta per dirmi qualcosa ma sposta velocemente lo sguardo sulla porta di ingresso, all'improvviso teso, scattando in piedi come se fosse appena scoppiata una bomba.

Una reazione esagerata visto che non ce n'è motivo.

Vorrei chiedergli cosa diavolo gli prende me lui mi rivolge un cenno con una mano: sta' zitto.

Non dovrei ubbidirgli, ma il rumore che segue quel gesto mi fa comunque morire la voce in gola.

Adesso lo sento anch'io. È un suono di passi, passi che scrocchiano e affondano nella neve fresca verso la porta d'ingresso.

Ma certo, sarà qualcuno del Soccorso Alpino o cazzate simili venuto per controllare che tutto sia in ordine, magari anche a portare qualche coperta o delle scorte extra di cibo. Non sarebbe una rarità, nei posti di montagna dove le nevicate sorprendono la popolazione è quasi una routine.

Riderei se Saïx non fosse così teso, se non fissasse la porta come se si aspettasse di vederla andare in frantumi, e se non ringhiasse minaccioso. Il ringhio animale che gli risuona nel petto è anche più spaventoso di quello che gli ho sentito emettere da lupo.

I passi si interrompono di colpo e allora non c'è altro che il suono del vento che spinge i fiocchi di neve contro le imposte. Sento il ticchettare dell'orologio in cucina, la caldaia nel ripostiglio che ribolle appena per tenere l'acqua calda, il rombo del mio cuore nelle orecchie.

Poi è secco, improvviso, tanto che sobbalzo.

Toc toc toc.

Tre colpi contro la porta.

È il Soccorso Alpino, continuo a ripetermi, ma non mi consola, né mi fa sentire meglio, né, tanto meno, fa smettere il mio cuore di battere tanto forte.

Se rimango immobile, mi dico, chiunque ci sia dall'altra parte della porta andrà via. Capirà che in casa non c'è nessuno. Ci lascerà in pace.

Toc toc toc.

Stavolta più forte, più deciso. Sembra intenzionato a buttarla giù se non riceverà risposta.

No, non se ne andrà, anche senza risposta entrerà per accertarsi che realmente non ci sia nessuno.

Mi avvicino alla porta un passo alla volta, e quando sono abbastanza vicino è la mano di Saïx sul mio petto che mi ferma. Scuote solo la testa, lo sguardo carico di parole non dette.

Va tutto bene, vorrebbe dire lo sguardo che gli rivolgo in cambio, ma non ne sono del tutto sicuro neanch'io.

Sbircio dall'occhiello e quello che vedo mi provoca un brivido per qualche ragione.

È un uomo, alto, avvolto in un cappotto di pelle nera, le braccia incrociate al petto e l'espressione di chi sta per perdere la pazienza.

Potrebbe non essere così spaventoso se non avesse una benda sull'occhio destro, e una cicatrice orribile sullo zigomo sinistro così profonda che evito anche solo di immaginare chi o cosa possa avergliela causata. I lunghi capelli neri striati di bianco sono legati in una coda.

L'unico occhio buono è giallo, giallo ambra, esattamente come gli occhi di Saïx, e scruta in avanti, dritto verso l'occhiello, come se sapesse che sono lì, subito oltre la soglia.

Di certo non è del Soccorso Alpino.

Lo vedo alzare il pugno e picchiarlo contro la porta con più forza.

Toc toc toc.

Ad ogni colpo sobbalzo.

Vedo Saïx, al margine del mio campo visivo, scuotere vigorosamente la testa.

Non dire nulla, non fare nulla.

« C-chi...chi è? »

Il guercio non è meno stupito di Saïx, e neanche di me, quando la mia voce tremante si alza in risposta al suo bussare.

Vedo lui sorridere, mentre Saïx mi rivolge una smorfia arrabbiata. Potrebbe saltarmi al collo.

« Oh salve, allora c'è qualcuno. » non mi piace il sorriso che mi rivolge, non mi piace come sembri ferino. « Non vorrei disturbare, ma sto cercando qualcuno che si è perso. Posso entrare così ne parliamo meglio? »

Saïx risponde alla domanda scuotendo la testa così forte che i capelli di zaffiro svolazzano ovunque.

« Ahm... » rispondo, anche se mi risulta difficile parlare. « ...potrei sapere chi è che sta cercando? »

« Certo, certo. » annuisce il guercio, come se fosse legittimo e io sia stato un così bravo bambino a domandare prima di aprire la porta ad uno sconosciuto. « Si chiama Saïx. Si è perso nel bosco con la nevicata, ieri notte. Mi chiedevo se per caso non l'avesse visto o incontrato. » si avvicina all'occhiello e io faccio un passo indietro per un attimo, spaventato da non so neanch'io cosa. « La sua famiglia è in pensiero per lui. »

Non posso non lanciare uno sguardo a Saïx, immobile accanto a me, tanto da sembrare una statua. Con gli occhi sgranati ha l'espressione di chi sta per essere tradito e dato in pasto alle bestie feroci.

« Mi dispiace. » dico a voce alta, senza staccare lo sguardo da lui. « Non conosco nessun Saïx, né ho visto nessuno perso nel bosco. »

C'è un breve silenzio prima che il guercio torni a parlare, la sua voce improvvisamente diventata gelida, gelida come quella nevicata.

« Capisco. Allora chiedo scusa per il disturbo. » rabbrividisco senza poter fare nulla. « Dovrò cercarlo altrove, presumo. Arrivederci. »

Torno a guardare nell'occhiello giusto in tempo per vedere l'uomo calarsi il cappuccio del cappotto sul viso e voltarsi di spalle per andarsene. Il crock crock dei suoi stivali sulla neve sparisce lentamente, e le sue impronte si stanno già riempiendo di nuovi fiocchi.

Rilasso le spalle nello stesso momento in cui lo vedo sparire dal campo visivo dell'occhiello e tiro un sospiro di sollievo.

« Dai, non dirmelo. » riesco a rivolgere a Saïx persino un sorriso, tremante ma pur sempre un sorriso. « Era uno dei tuoi? »

Non c'è bisogno che lui mi risponda, basta il modo in cui mi guarda.

« Devo andarmene subito. »

Mormora lui, serio, rigido. E non appena poggia la mano sulla maniglia, del tutto intenzionato a lasciare casa mia – e la mia vita – un ululato si alza in vicinanza. Potrebbe essere nel giardino sul retro per quanto per quanto è nitido e vicino.

Saïx si blocca e giungo ad una conclusione: sono in trappola, lui mi sta trascinando con sé nel suo baratro.

Sto per dire qualcosa come “non azzardarti ad andartene mentre casa mia è circondata da lupi” quando mi zittisce di nuovo con una mano. Sta cominciando a diventare snervante.

Un secondo ululato, più profondo e più inquietante, si aggiunge al primo, tanto forte che quasi vibrano i vetri.

« Dannazione. » sbotta lui con un mezzo ringhio. « L'uomo che ha bussato, era guercio vero? Capelli striati di bianco, cicatrice sul volto? »

Ah certo, adesso che gli conviene devo parlare. Gli lancio un'occhiata risentita e arricciò le labbra in una smorfia prima di annuire.

« Dannazione. » ripete. « Xigbar. Ha già chiamato lui. »

« Lui chi? »

E soprattutto perché pronunciare quel solo pronome è bastato per farmi venire un brivido in tutto il corpo come se sapessi perfettamente di chi sta parlando?

« Il lupo alfa del nostro branco. L'ha avvertito che mi trovo qui. »

« Ma...non può sapere che ti trovi... »

« Avrà sentito il mio odore. Credevo che la nevicata avesse nascosto le mie tracce. Ho sottovalutato il suo olfatto. » in un attimo mi viene vicino, e mi poggia le mani sulle spalle. Non mi ero reso conto di quanto fosse imponente rispetto a me. Non mi ero mai sentito basso prima d'ora. « Ascoltami. » non potrei fare diversamente quando mi guarda con quegli occhi pieni di aspettativa. « Quando sono lupo non sono del tutto cosciente delle mie azioni, e più si avvicina la luna piena meno...lucido riesco a mantenermi, soprattutto in presenza dell'alfa. Ma non ti farò nulla, hai capito? Non tenterò in alcun modo di farti del male. Pensavo sarebbe bastato andarmene al tramonto, ma è chiaro che è impossibile con il branco che pattuglia i dintorni. Di giorno sono più deboli, e così anch'io, e non potranno rimanere al freddo per molto. Per stanotte rimarrò qui, quindi... » la sua presa intorno alle mie spalle si fa più stretta, tanto che mi sfugge un gemito di dolore « ...non devi avere paura. Ti proteggerò, qualsiasi cosa accada. »

« Di cosa dovrei avere paura? »

Glielo dico con un mezzo sorriso sbruffone sulle labbra, ma già quando lui si allontana di un passo, gli occhi socchiusi ma più brillanti che mai, comincio a capire che di qualcosa, anzi no, di qualcuno dovrei avere paura. Di lui.

Lentamente si spoglia, lasciando i vestiti che gli ho dato ordinati sul divano. Vorrei dirgli che se quello è un tentativo di seduzione sbaglia, perché sono già di quel partito.

Risulta chiaro che non stia tentando un abbordaggio pittoresco quando si prende il viso tra le mani, un ringhio che gli esce doloroso dalle labbra.

Il cambiamento del suo corpo è graduale, e per quanto spaventoso non riesco a staccare gli occhi. Prima si inarca in avanti, perdendo la posizione eretta tipica dell'essere umano, poi gli arti si deformano, adattandosi ai suoi nuovi bisogni. Il pelo blu scuro lo ricopre pian piano, diventando una folta pelliccia prima ancora che possa accorgermene. Il viso si allunga, perde i lineamenti, diventa appuntito, il naso si allarga, i denti si affilano e diventano zanne nella sua bocca.

Il ragazzo di qualche istante prima non c'è più, al suo posto un lupo scuote la pelliccia come fosse infastidito da qualcosa e stiracchia gli arti intorpiditi.

È talmente grande che la sua testa mi arriva all'addome, è più di un grosso lupo, salta subito all'occhio la sua natura straordinaria.

Ma gli occhi sono gli stessi, gli occhi non possono mentire, e quando alza il muso per guardarmi ritrovo lo stesso sguardo di Saïx, la stessa muta promessa.

Ti proteggerò, qualsiasi cosa accada.

Un terzo ululato si alza a poca distanza dagli altri due, e Saïx ringhia in quella direzione. Il modo in cui gli si arruffa la coda non presagisce nulla di buono.

Quasi in contemporanea al terzo ululare la corrente salta e l'unica fonte di illuminazione è il camino acceso in cui le fiamme sprizzano vivide.

Ho come l'impressione che sarà una lunga notte.

 

Fa freddo, così freddo che ho paura di chiudere gli occhi e lasciarmi andare al sonno.

La copiosa nevicata si è trasformata in bufera. Il vento fischia contro le finestre, fa scricchiolare l'intera casa. I fiocchi di neve vengono sbattuti con tanta violenza contro le pareti che potrebbero abbatterle.

I lupi non hanno fatto altro che ululare per tutto il tempo. Sono quasi le tre di notte e non hanno ancora smesso.

Ho contato una decina di voci diverse prima di smettere di farlo. Non voglio sapere quanti animali ci sono là fuori, né quanti di loro sono qui per Saïx, e quanti per me.

La scorta di legna mi impedirà di morire di freddo ancora per qualche tempo, ma lasciare la posizione accucciata davanti al camino potrebbe costarmi la vita.

Senza elettricità ogni stanza si è trasformata in una ghiacciaia, le stufe elettriche sono fuori uso, e l'acqua calda conservata nella caldaia è ormai gelida.

Dopo aver indossato una giacca a vento sopra il maglione di lana ed essermi avvolto in una coperta pesante, ho scelto di passare la notte davanti al camino. Il suo calore scoppiettante è di conforto, ma basta a malapena per riscaldare un tondo di pavimento in cui rimanere accucciati. Il respiro si condensa comunque nell'aria.

Mi battono i denti ma avvicinarsi più di così al fuoco significherebbe fare la fine di Pinocchio.

Mentre il mio corpo è scosso da tremiti incontrollabili cerco di mantenere la mente lucida. Non devo dormire, succedono cose orribili alle persone che si addormentano al freddo. Non voglio morire per assideramento nel sonno senza neanche accorgermene.

Sento lo scalpiccio delle zampe di Saïx fare avanti e indietro per tutta la casa. Sono ore che fa la spola, incessantemente. È sempre lo stesso percorso: prima la porta di ingresso, rimane seduto qualche istante a fissarla per poi alzarsi, annusare l'aria fino alla porta a vetri del salotto che da sul giardino e sedersi anche davanti a quella. Quando si ritiene soddisfatto passa alla cucina, che controlla in ogni angolo. Tiene d'occhio ogni possibile ingresso alla casa, senza tralasciare un solo dettaglio. E poi ricomincia.

Ingresso, salotto, cucina.

Osservarlo nella sua ronda mi ha tenuto sveglio fino ad ora, oltre ad avermi dato un senso di sicurezza che non credevo avrei potuto provare.

Sarà la sua stazza, le sue zampe enormi, le zanne che affiorano dalla bocca, la muscolatura guizzante, o la promessa che mi ha fatto.

Dopo l'ennesimo giro mi rivolge un'occhiata, calda, ambrata, intensa, piegando appena di lato la tesa, le orecchie triangolari dritte.

Da un'ultima annusata all'aria prima di venire verso di me. Il mio primo istinto sarebbe quello di ritrarmi, fuggire da quell'animale gigantesco e spaventoso, ma costringo me stesso a rimanere immobile mentre lui mi si acciambella accanto.

Per un attimo immagino di poggiare la testa su quell'addome morbido, e il calore della sua pelliccia è così invitante che devo mordermi le labbra per resistere alla tentazione di affondarci una mano dentro.

È lui che, lentamente, mi poggia la testa in grembo, guardandomi dal basso con occhioni da cucciolo.

« Te ne approfitti, eh. »

Mormoro. Non sto più battendo i denti.

Sì, il suo pelo è morbido e caldo come avevo immaginato. Gli accarezzo la testa piano, analizzando ogni sua reazione. Le zanne che nasconde in bocca sembrano in grado di staccarmi di netto la mano.

Ma sembra gradire le coccole, tanto che ha chiuso gli occhi e il suo respiro si è fatto più lento. Allora provo a toccare anche le orecchie, che hanno giusto un fremito quando le sfioro. Passo sul collo e poi sul dorso. La pelliccia è così...calda, folta, morbida. Non smetterei mai di accarezzarlo.

Realizzo che si tratta di Saïx – lo stesso Saïx che mi ha preparato da mangiare e che ho visto nudo – quando mi accorgo che mi sta fissando con cipiglio interrogativo. Sembra chiedermi “Beh? Che stai facendo?”.

« Scusa. »

Mi affretto a dire e ritraggo le mani, portandole lontano dal suo morbidissimo pelo, purtroppo.

Emette uno sbuffo dal naso che potrebbe benissimo essere tradotto come una risatina umana e si rialza per poi spingermi a terra con una zampa ben piantata sul mio petto. Lì per lì penso che voglia divorarmi, e il panico mi strozza la gola mentre il cuore comincia a battere a mille. Poi, dopo avermi atterrato, si accuccia a terra al mio fianco guardandomi eloquentemente.

Immagino che voglia...

« Lo faccio solo perché fa freddo. »

Mi ritrovo a borbottare. E sì, solo per quello, non perché la sua pelliccia è la cosa più morbida e calda mai toccata.

Tra la coperta, il calore del camino, e il fatto di essere appallottolato accanto ad un enorme montagna di pelo, non ho più freddo, e gli occhi cominciano a chiudersi lentamente.

La bufera infuria ancora, il vento ulula tra gli alberi. Il vento, solo il vento.

 

Non vorrei svegliarmi ma ci sono diversi fastidiosi disturbi a farmi tornare cosciente. Tanto per cominciare la spalla per aver dormito tanto tempo sul pavimento mi lancia fitte di dolore lancinante. Poi il freddo, che è tornato più insopportabile che mai, perché durante il sonno ho scalciato via la coperta. Per finire, la strana pressione che sento contro l'addome.

Riapro gli occhi quel tanto che basta per rendermi conto della situazione, dopo di che caccio un urlo che sfonda i timpani, miei e sicuramente di Saïx.

Stavo dormendo tra le sue braccia, la testa sul suo petto nudo, aggrappato a lui come fosse un amante. Devo essermi stretto alla sua forma di lupo per cercare calore – il che spiegherebbe perché ad un certo punto ho mollato la coperta – ma era alla sua forma umana che ero avvinghiato. Ed era il suo attrezzo umano in pieno alzabandiera quello che mi premeva contro l'addome.

In ogni caso il mio urlo spaccatimpani è servito perché si svegliasse, e saltasse in piedi – e indietro – con tale velocità da apparirmi come una macchia sfocata blu zaffiro.

È di nuovo nudo, lo sto guardando di nuovo nudo, e di nuovo porta le mani tra le gambe per coprirsi – inutilmente – con l'espressione smarrita di un innocente.

« Stupido idiota! »

Ho il tono di una scolaretta isterica. Afferro i vestiti dal divano e glieli lancio praticamente addosso, per poi dargli le spalle in modo che possa rivestirsi.

« Mi dispiace, non volevo. »

Si giustifica dopo un imbarazzante silenzio pieno di fruscii di stoffa e bottoni che scattano.

« Sì, certo. »

Spero di non essere rosso in volto come mi sento. Ora come ora toglierei uno o due strati di vestiti, perché sto andando a fuoco.

Mi rifugio in cucina, ignorando il ghiaccio crepato sulle finestre e il fiato che si condensa ad ogni respiro.

L'acqua nelle tubature non si è ghiacciata – per fortuna – così posso riempire la caffettiera e metterla sul fornello. Spero che un caffè forte possa farmi riprendere dallo shock mattutino.

Saïx si arrischia a farsi vedere solo diversi minuti dopo, e lo apprezzo, perché mi da modo di far sbollire l'imbarazzo. Anche se, quando lo guardo, continuo a vederlo nudo e sull'attenti. Certe cose non si dimenticano facilmente.

Si siede con un sospiro, massaggiandosi le tempie.

« Non esistono vestiti che cambiano forma. »

Si giustifica, senza guardarmi, e io lo capisco, davvero. Deve essere snervante doversi svestire ogni notte per far far spazio alla coda e ritrovarsi nudi e inermi l'indomani mattina.

Però sono così innervosito dal fatto che non ci abbia pensato che non riesco a perdonarlo. Anche se sono consapevole che mi aveva avvertito che da lupo non è molto cosciente di sé.

« Non fa niente, non importa. »

Borbotto quasi quanto la caffettiera.

Di nuovo silenzio. Verso il caffè in due tazze, una quasi gliela lancio addosso. Sbatto la zuccheriera sul tavolo e mi siedo scontento davanti a lui.

Non so neanche da dove venga tutto questo malumore. Forse dipende dal fatto che mi sono fidato tanto da essermi addormentato accoccolato a lui e poi sono stato così meschinamente tradito. Non riesco a giustificare neanche tutto questo imbarazzo, non sarebbe la prima volta che vedo un uomo nudo, e neanche l'ultima.

Gli lancio un'occhiata di sottecchi. Stamattina ha qualcosa di più...animalesco, qualcosa che rende ancora più facile il distinguerlo da un essere umano normale. I suoi occhi brillano di più, le sue unghie sono più affilate, sembra doversi concentrare di più per usare i pollici opponibili e afferrare la tazzina del caffè. Niente in confronto con l'elegante ragazzo ai fornelli di ieri.

« Ti senti bene...? »

« Sì. » risponde subito, senza neanche pensarci. Ingolla in caffè in un sorso solo e sospira. « È la luna. La sento. »

« È giorno... »

Batte la tazzina sul tavolo di colpo e sobbalzo come se avesse sparato un colpo di fucile.

« Non importa. Stanotte sarà piena, il suo influsso mi...ci rende instabili. »

Sento che non sarebbe produttivo continuare a ribattere, perché si vede lontano un miglio quanto è instabile già adesso. Non voglio essere nei suoi paraggi stanotte.

Dopo un profondo respiro sembra essersi calmato e aver recuperato quel minimo di lucidità necessaria per potermi guardare dritto negli occhi senza mangiarmi.

Nonna, che bocca grande hai.

« Dovessero bussare ancora alla tua porta non aprire per nessuna ragione. A meno che tu non sia sicuro di chi c'è dall'altra parte. Ti consiglio di non rimanere qui da solo, vai dai vicini, stai con loro finché non passa la bufera. Prima di stanotte io sarò lontano, e nessuno verrà più a darti fastidio. Hai capito? »

« Sì. » mi ha parlato come se fossi un bambino stupido. Cosa che non sono. « E tu cosa farai? »

Si stringe nelle spalle e scuote la testa.

« Continuerò a scappare e lottare, finché tutto il branco non sarà morto, o finché non sarò morto io. »

« Perché? Perché non puoi solo andartene? »

« È...complicato. » come deve essere complicato per lui spiegarmelo, visto come cerca e annaspa alla ricerca delle giuste parole. Non so se sia colpa della luna piena imminente o cosa. « Bisogna rispettare gli ordini dell'alfa, se si disobbedisce la pena è la morte. Non si stancano mai di inseguire un disertore. Un lupo solo muore, la sua forza è nel branco. »

« E tu...perché hai disubbidito? »

Il suo sguardo mi inchioda, ora più che mai mi sento davanti ad una creatura letale e pericolosa.

« Perché ero stanco di uccidere, stanco di veder scorrere il sangue degli innocenti. Stanco di essere il lupo cattivo, per una volta volevo essere il cacciatore. » poi si alza, con un sospiro. « Grazie per la tua accoglienza, e perdonami per tutto. Non credo ci sia bisogno di dirti di non andare a raccontare a nessuno quello che hai visto. » e certo, chi mi crederebbe. « Vai dai vicini, te ne prego. E vattene al più presto da queste montagne. »

« Oh non preoccuparti di questo. Non appena riavrò la macchina questo posto non vedrà più neanche la mia ombra. »

« Bene. »

Deve essere il suo addio, perché si avvia verso la porta. Non posso fare a meno di seguirlo, in silenzio.

Come ieri notte si spoglia, ma stavolta fa un fagotto con i vestiti, piegandoli insieme in modo che compongano un unico blocco.

« Non ti dispiace se li prendo, vero? Ne avrò ancora bisogno. »

Mostrandomi il fagotto compresso di abiti.

Scuoto la testa.

« No, fai pure. »

« Grazie. »

Capisco quanto deve essere difficile per lui concentrarsi abbastanza da cambiare forma adesso. Lo capisco dalla tensione dei muscoli, dal respiro affannato, da come gli viene la pelle d'oca su tutto il corpo, dal fatto che impiega molto più tempo della prima volta e che sembra sul punto di tornare umano da un momento all'altro. Mi sembra di intravedere il suo corpo nascosto sotto la pelliccia blu scuro.

Il funzionamento della sua natura rimarrà per sempre un mistero per me.

Come ieri sera il grosso lupo scrolla la testa e si stiracchia tutto. Afferra il fagotto di vestiti tra le grandi fauci e mi rivolge un'occhiata eloquente.

Di certo da solo la porta non può aprirla. Mi affretto a farlo per lui, senza stupirmi della neve che rotola dentro non appena l'ho aperta. Mi arriva quasi al ginocchio, di questo passo non potrò più uscire. E sta ancora nevicando. Il sole sembra nascosto perennemente dietro le nubi scure. Ma quanto meno è una nevicata più gestibile.

Un'ultima occhiata e Saïx corre via, più velocemente che può, le zampe che affondano nella neve rigida dopo una notte di gelo e in quella fresca appena depositata.

Sparisce alla mia vista in un attimo, chissà se sparirà così anche dalla mia vita.

Quando il vento si fa troppo freddo per continuare a tenere la porta aperta senza l'adeguato abbigliamento, la chiudo e rabbrividisco.

Andare dai vicini non è un'idea che mi stuzzica particolarmente, ma Saïx ha ragione, non posso rimanere solo. Non so cosa impedirebbe ai lupi di aggredirmi anche in un gruppo di persone, ma immagino che abbia avuto le sue buone ragioni per consigliarmelo, e non ho intenzione di ignorare un buon consiglio, d'altronde un lupo solo muore, la sua forza è il branco.

Preparo tutto il necessario per la trasferta come se fosse una gita, in parte sistemo anche i miei bagagli per andarmene del tutto da questa casa. Infilo i beni di prima necessità in un borsone, e mi carico allo specchio di buone intenzioni e di frasi convincenti.

Non ho un rapporto con la famiglia nella casa accanto da quando avevo quindici anni, e sto per avvicinarmi al doppio, il che non è rassicurante.

Ci siamo visti all'inizio di questa vacanza dell'orrore, abbiamo scambiato qualche parola – e loro mi hanno scambiato per Reno – su quanto il tempo passi veloce e su quanto io sia cresciuto e diventato un bell'uomo. La figlia, in particolar modo, ha espresso interesse con il suo sguardo da adolescente. Povera ingenua che non riconosce i gay.

Spero che non tenterà di saltarmi addosso giustificando le sue azioni con il freddo.

Dopo essermi infilato gli scarponi da neve affronto il tratto di strada che separa casa mia dalla loro.

Il freddo è pungente, e non mi sorprenderei se scoprissi che ci sono -15° nonostante sia giorno. Rabbrividisco stretto nella giacca a vento e mi inerpico su per la collinetta che si è creata di fronte all'ingresso principale.

Tutto è così bianco e abbacinante da fare male agli occhi. Il bosco in lontananza è un blocco unico di tonalità di bianco. Bianco, bianco, bianco. Solo bianco.

Chissà, magari se continuassi a camminare ad un certo punto incontrerei un parete di vetro e scoprirei di essere davvero bloccato in una sfera di neve.

L'idea di poter scambiare qualche parola con un mio simile mi solleva abbastanza da farmi aumentare il passo, e correre quando sono sul vialetto.

« Signori Johnson! » picchio un pugno con una certa insistenza contro la porta, mi sento scoperto in mezzo a tutto questo bianco. Sembra non esserci alcun posto dove nascondersi, e non voglio rimanere fuori più del necessario. « Sono Axel Sinclair, della casa accanto. Ho avuto qualche problema con la corrente elettrica. » cos'altro posso dirgli per convincermi a farmi entrare? Ah sì. « Il mio telefono è fuori uso e ho dovuto abbandonare la macchina sulla strada di casa ieri notte, ho bucato! » ancora niente. Provo di nuovo a bussare ma non ricevo risposta. « Signor Johnson? » perché comincio ad avere un brutto presentimento? È strano, strisciante dentro di me, ha la consistenza di qualcosa di viscido e gelatinoso che si muove ancora vivo sul fondo dello stomaco. « C'è nessuno? Signora Johnson? Kate? C'è qualcuno in casa? »

All'ennesimo colpo che assesto alla porta la sento cedere e faccio un salto indietro. È aperta, e cigola verso l'interno.

Solo adesso mi accorgo delle impronte, numerose, di scarpe che entrano ed escono. Mi sembra di scorgere qualche zampa tra le tante orme. Ma è tutto confuso, e sono fortemente suggestionabile.

« Sto entrando. » esordisco, superando la soglia. « Permessooo...salve, la porta era aperta. Signor Johnson? » mi faccio strada lentamente, sbirciando in ogni angolo, alzando il collo per cercare di vedere oltre il divano, verso la cucina buia. Non sembra esserci nessuno. Magari sono andati via prima della nevicata, per questo non ci sono impronte di pneumatici sul vialetto. « C'è...c'è qualcuno...? »

Comincio a desiderare di voler tornare indietro quando vedo, più chiare, impronte di animali sul pavimento, rosso sangue.

La nausea mi prende alla gola e devo portarmi una mano sulla bocca per non dare di stomaco.

Oltre il divano, sul pavimento davanti al fuoco, in una pozza di sangue: l'intera famiglia Johnson. Madre, padre, e figlia. Orribilmente straziati da unghiate e segni di morsi.

Mi tremano le gambe, la vista mi si annebbia e scappo, scappo via più velocemente che posso.

Peccato che la mia fuga sia interrotta a metà del terzo passo, quando vado a sbattere il muso contro qualcosa che ha la stessa consistenza di un muro di cemento.

Cado all'indietro e mi preparo a picchiare il sedere contro il pavimento, però due braccia forti mi afferrano per le braccia e mi sorreggono nella caduta.

« Attento rosso, rischi di farti male. »

Riconosco quella voce ancora prima di alzare lo sguardo sulla persona che ha impedito che cadessi.

Il cuore quasi si ferma: il guercio, con un sorriso sprezzante e vittorioso.

Riesco ad emettere solo un debole suono di spavento prima di essere colpito, forte, alla nuca. Perdo i sensi ancora prima di rendermene conto, e l'ultima cosa che vedo è il suo unico occhio ambrato che mi fissa.

 

Le voci in sottofondo si mischiano malamente tra loro, dandomi l'impressione che ci sia un unico uomo a parlare, benché io sia abbastanza consapevole di essere circondato da più di una persona.

Torno del tutto cosciente quando un naso umido si appoggia sul mio viso, annusandomi tutto e facendomi rabbrividire.

Quando riapro gli occhi e mi ritrovo davanti un lupo dal manto grigiastro quasi getto un urlo e scatto all'indietro, solo per trovarmi con la schiena premuta contro l'addome di un secondo lupo, un enorme bestione rossiccio.

Sto per urlare di nuovo quando lo schiarirsi di una voce profonda attira la mia attenzione.

Di fronte a me, in piedi nel cerchio formato dai lupi immobili, seduti sull'attenti, si erge in tutta la sua altezza l'uomo più spaventosamente bello che abbia mai visto.

Dalle spalle larghe e muscolose, l'uomo ha la carnagione scura, e capelli argentei lunghi sulla schiena. La linea del viso, dura e scolpita nell'onice, ha il suo fulcro negli occhi dorati dalla dolorosa intensità.

Mi sento trapassare da parte a parte da quello sguardo.

Alla sua sinistra c'è un ragazzino più giovane che per lineamenti e colori di pelle e capelli potrebbe essere il suo fratello minore, a destra il guercio

« Ah, ti sei svegliato! » esordisce il guercio, facendosi un po' avanti rispetto al grosso, inquietante uomo scuro. « Voi umani siete così debolucci...pensavamo fossi morto. Pensa che spreco sarebbe stato. »

Mi viene un brivido mentre tutto intorno i lupi ringhiano e sbuffano come se stessero ridendo.

Ne conto velocemente nove, quattro alla mia destra, quattro alla mia sinistra, e quello enorme rossiccio dietro di me.

Deglutisco a fatica, mi sembra di non riuscire a respirare.

Lentamente riesco a mettere a fuoco il posto dove mi trovo. È una radura nel bosco, grande abbastanza da accogliere i lupi in cerchio.

Ha smesso di nevicare, e il cielo è cristallino, sgombro, come se dopo tanto riversare il suo carico di neve sulla terra si fosse del tutto svuotato.

Le stelle brillano con tutta la loro forza, il sole è tramontato da tempo ormai.

« Cosa volete da me. »

Strano come la mia voce risulti salda quando sto morendo di paura e il cuore mi pulsa così forte in petto da ovattare ogni altro suono.

Sono quasi sicuro che l'uomo possa sentirlo.

Il guercio sorride, ed è un sorriso storto, privo di allegria.

« Sei stato poco corretto a non accogliermi in casa tua quando avresti potuto. Avremmo ripreso Saïx e ti avremmo lasciato in vita. Adesso non è più possibile, mi dispiace. »

Il sangue mi si gela nelle vene e devo essere impallidito perché il guercio sorride di più e si passa la lingua sulle labbra. La vista dei canini appuntiti mi stringe il cuore in una morsa.

« Dov'è lui? »

È la placida, calda domanda dell'uomo. La sua voce è profonda, baritonale, adatta alla sua stazza. Sembra ricamata a dovere sul suo corpo che vibra ad ogni emissione di fiato.

Mi rendo conto di stare tremando quando stringo i pugni per impedirmi di continuare a farlo.

« Non lo so. »

« Sta mentendo. » cinguetta il guercio, avvicinandosi di un passo. Quando alza una mano verso di me, le unghie sono diventate artigli, e sono tutti affilati come coltelli. « Vediamo se lo convinciamo a parlare a modo mio. »

Mi sto già tirando indietro quando l'uomo pronuncia una sola parola.

« Xigbar. » il nome del guercio. Si ferma con una smorfia, ritraendosi. Mi sento quasi in debito nei confronti dell'uomo, persino quando i suoi occhi di fuoco dorato si appoggiano su di me. « Per l'ultima volta, dov'è lui? »

« Lo giuro. » riesco solo a dire, incatenato a quello sguardo. Non posso mentirgli, non voglio. « Non lo so. Ha detto che sarebbe andato il più lontano possibile finché non fosse arrivata la notte. Non so dove sia andato. Vi prego, non so niente. »

Non so bene a chi mi rivolgo, forse a tutto il branco. È così difficile scindere l'uno dall'altro, la loro compattezza mentale e fisica è quasi tangibile, la sento sulla pelle. È come se non potessi parlare con uno di loro senza includere tutti gli altri.

Il ragazzo alla sua sinistra alza gli occhi al cielo.

« Sta sorgendo. »

Mormora, una voce più delicata che è sintomo della sua giovane età.

« Dov'è? »

Incalza l'uomo. Come vorrei potergli dare quello che vuole, come vorrei potergli dire tutto e liberarmi del suo sguardo.

La paura mi inchioda al terreno, non posso fare altro che guardarlo e sottomettermi sapendo di non poter fare altro.

« Non lo so. »

Stavolta è quasi una supplica quella mi esce dalle labbra, insieme con un'ammissione di colpa.

Prima che l'uomo possa fare un cenno al guercio, un ululare potente e arrabbiato si alza dal folto del bosco. Più di un paio d'occhi si volgono in quella direzione, e più di un lupo ringhia, indignato. Ma l'uomo sorride, sorride guardandomi. È il sorriso più spaventoso che abbia mai visto.

« Prendetelo. »

Il guercio e il ragazzo lasciano le loro spoglie umane per trasformarsi in lupi in corsa, il primo dal pelo nero brizzolato, il secondo argento brillante. Dietro di loro si lanciano in corsa altri quattro lupi del branco.

Nella radura rimangono cinque lupi e lui. L'alfa.

È una sensazione precisa quella che provoca il solo osservarlo, la sensazione di potere, di non poter fare altro che rimanere con la testa bassa, di soccombere. Mozza il respiro, la sua presenza è imponente, come se fosse circondato da un'aura invisibile che preme sul mio petto fino a soffocarmi.

Dal bosco giungono i rumori della battaglia per la sopravvivenza. Ringhi, ululati, uggiolii, schiocchi di rami che si spezzano.

Un verso strozzato di sofferenza si alza su tutti, seguito da un ululato generale dei lupi rimasti nella natura.

L'alfa stringe i pugni appena appena, e il movimento è così impercettibile che non sono sicuro che sia successo davvero.

Le urla dei lupi morenti non sono dissimili a quelle degli esseri umani, sono strazianti, cariche di paura, alte verso il cielo, verso qualcuno a cui si rivolgono le ultime preghiere.

Quando cade il silenzio nel bosco solo un suono di passi si staglia nitido. Passi marziali, sicuri.

Mi arrischio a voltarmi nella direzione da cui proviene il suono e quasi mi si riempiono gli occhi di lacrime quando lo vedo.

Saïx, coperto di sangue, suo e di altri, ansimante ma con gli occhi brillanti e un ringhio che gli affiora sulle labbra.

Una morsa di orrore mi prende allo stomaco quando vedo che trascina dietro di sé due corpi, tirandoli per i capelli. Sono il guercio e il ragazzo, morti. Quasi scaraventa quei corpi ai piedi dell'alfa.

Ancora nessun sentimento traspare dal suo volto bellissimo e impassibile, ma la reazione dei lupi rimasti nella radura è tangibile: hanno paura. Si stringono intorno all'alfa come per difenderlo, ma in realtà intendono difendere se stessi.

Nei loro sguardi silenziosi sento la presenza di parole non dette. La tensione mi fa vibrare le ossa, la sento percorrermi la pelle come elettricità statica.

« Saïx. »

Chiama solo l'alfa, e lo vedo rabbrividire per un secondo.

« Lascia fuori l'umano da questa storia. »

Ringhia per tutta risposta lui, muovendo un passo per mettersi davanti a me.

« Fermo. »

E, incredibilmente, Saïx si ferma. Si ferma ubbidendo all'ordine, che è talmente perentorio da far rimanere immobile persino me.

È scrollando con forza la testa che lui continua la sua avanzata e mi si piazza davanti. L'odore del sangue su di lui è così forte da farmi tornare la nausea. Mi gira la testa. Non riesco a capire quanto sia sgorgato dalle sue ferite e quanto da quelle dei lupi che ha ucciso.

« Lascialo fuori. »

Ringhia con più forza, lo vedo tremare per lo sforzo che sta facendo per resistergli. Lo vedo, lo sento.

La bassa risata che nasce nella gola dell'alfa mi fa rabbrividire da capo a piedi, e mi provoca la pelle d'oca su tutto il corpo.

La luna piena, alle sue spalle, si alza lentamente, illuminando a giorno la radura.

La sua risata si fa sempre più cupa, sempre più profonda, sempre più spaventosa man mano che il disco argenteo della luna occupa il cielo.

« Axel. » sento la voce rasposa di Saïx, non mi guarda, ma so già cosa vuole dirmi. « Scappa. »

E allora scappo, o almeno ci provo.

Rialzarmi in piedi è uno sforzo considerevole, così come costringere le gambe a muoversi. Il cervello continua a inviare impulsi e a inondare di adrenalina i muscoli, ma la reazione è pigra e indolente, come se tutto il sistema nervoso fosse collegato ad un altro corpo, non al mio.

Riesco a malapena a mettermi da parte mentre il gigantesco lupo alfa – dal mantello grigio argento – si scaraventa su Saïx.

L'impatto produce lo stesso suono di un martello su un incudine.

Quando apre la bocca rimango inorridito dallo spettacolo di zanne affilate che mostra come trofei. Un solo canino ha lo spessore della lama di un pugnale.

Ma Saïx non è da meno. Sotto la luce della luna piena che adesso si alza luminosa al centro del cielo, la sua stazza sembra raddoppiata, così come la sua furia. I suoi ringhi e il suo ululare sono intensi, feriscono l'udito. Gli altri lupi del branco rimangono ai margini della lotta, non partecipano nemmeno, come fossero terrorizzati dallo spettacolo. Come loro, sento che se dovessero azzardarsi ad avvicinarsi allo scontro verrebbero travolti e uccisi da quelle due bestie gigantesche.

L'alfa azzanna una spalla di Saïx che getta la testa all'indietro per ululare il suo dolore al cielo. Il suo corpo è già cosparso di innumerevoli ferite e il sangue va incrostandosi sul mantello blu scuro.

Indietreggia, zoppicante, di qualche passo, ma quando vede che l'alfa sta guardando me, ha lo sguardo rivolto a me, sembra impazzire.

Il ringhio che gli rivolge mi scuote fin nel profondo, prima di gettarsi contro di lui con l'intento di afferrarlo per il collo.

Ruzzolano insieme e per un attimo sono solo membra e fauci che schioccano, ululati e versi animaleschi, finché l'alfa non assesta un morso potente all'addome di Saïx.

Il suo uggiolio mi fa desiderare di andare a soccorrerlo, ma lo sguardo dorato dell'alfa mi inchioda al mio posto.

Sento ancora nelle orecchie la sua voce.

Axel, scappa.

Scappa.

Scappa.

Axel!

Il grosso lupo avanza verso di me, Saïx è a terra, sanguinante. Non so cosa mi lasci intuire che stia sorridendo, ma riesco a capirlo.

Sento il suo respiro caldo sulla pelle un attimo prima che venga scaraventato di lato da un bolide blu scuro.

Saïx. Si è rialzato.

Per l'ennesima volta mi si pone davanti. Gronda sangue copiosamente e respira veloce, a rantoli. È al limite. Un altro morso potrebbe ucciderlo, si regge a stento sulle zampe, e il sangue gli cola a rivoli dalla bocca semiaperta.

L'alfa è già in piedi. Nonostante il sangue che macchia il suo immacolato mantello argenteo non sembra minimamente turbato dalle ferite.

Non ha bisogno di colmare la distanza più di così, perché i suoi occhi sono tutto quello che c'è da vedere. Il suo sguardo sovrasta, annichilisce. Resi luminosi dalla luce della luna, quegli occhi d'oro vibrano di potere. Lo sento.

Sento la sua furia omicida.

Saïx è scosso da tremiti incontrollabili, mentre gli uggiolii che gli lasciano la gola sono come silenziose suppliche.

Lentamente, senza fretta, si volta verso di me. Giurerei di vedere lacrime ai suoi occhi, ma non sono sicuro che i lupi possano piangere.

Dietro di lui la presenza dell'alfa è soverchiante, mi sento schiacciare.

Saïx muove un passo, poi un altro.

« Saïx... »

Chiamo, sottovoce, perché solo lui possa sentirmi.

Ma non c'è, Saïx non è più lì. I suoi lucidi occhi ambrati sembrano vacui, persi.

È allora che capisco.

Quando sono lupo non sono del tutto cosciente delle mie azioni, e più si avvicina la luna piena meno...lucido riesco a mantenermi, soprattutto in presenza dell'alfa.”

Inutile chiamarlo, inutile cercare di riscuoterlo. È sotto la sua influenza, sua e quella della luna piena. Non avevo mai guardato al cielo pensando di trovare un nemico. La luna era sempre stata un punto di riferimento, un ornamento elegante della notte, un gioiello da ammirare. Non una minaccia.

Tutto ciò che mi ha detto vale meno di niente, non può nulla contro quell'influsso opprimente di cui riesco a sentire gli strascichi persino io.

Un lupo cattivo rimane un lupo cattivo.

La prima zampata mi inchioda a terra sotto il suo peso. Il suo respiro è caldo sul mio volto, ma i suoi occhi gelidi.

Mi sono sempre chiesto perché le prede messe all'angolo non provassero a lottare o scappare fino all'ultimo istante, perché rimanessero semplicemente immobili ad aspettare l'inevitabile.

Io avrei scalciato, morso, urlato, mi sarei divincolato tanto da rendere al predatore la vita difficile.

Ora so perché non lo fanno, perché non succede.

Non c'è niente di più affascinante, niente di più bello, niente di più accattivante di guardare la propria morte negli occhi.

E neanche niente di più spaventoso.

L'ultima cosa che vedo è un lampo dorato, una chioma blu zaffiro, un sorriso a mezze labbra.

Una promessa infranta. 


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The Corner 

In realtà questa storia doveva vedere la luce il mese scorso,
per il 08/07, il "primo" Akusai Day. 
Ma...tra le tante cose ha vinto la pigrizia, così me la sono trascinata per un mese.
Adesso però eccoci qua! 
Questa storia è tanto speciale perché, 
oltre che dedicarla alla mia Fan Numero 1, 
è anche per BloodyRoad, che continua ad asserire di non essere una brava scrittrice,
e in cui sto riscoprendo il piacere di una nuova amicizia.
Non è una sfida, ma un invito, aspetto una storia con dedica in risposta a questa u.u
buon Akusai Day <3 

p.s. lo so che è Agosto, non sono impazzita, ma avevo tanto caldo e sognavo un po' di frescura.
Mi piace la neve (/*3*)/ 
Spero di aver rinfrescato anche voi!

Chii 

   
 
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