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Autore: Emmastory    15/08/2016    4 recensioni
La sfortuna della giovane Rain continua a perseguitarla. Sono passati due anni, e il regno di Aveiron è ancora in ginocchio, sotto la costante minaccia dei Ladri, persone assetate di ricchezza e potere, che faranno di tutto per ottenere il completo controllo del regno. Alla ricerca di salvezza, Rain è fuggita verso il villaggio di Ascantha alla ricerca dei suoi genitori, e nonostante i contrasti avuti con loro, è ora fiduciosa e pronta. Sa bene di dover agire, e di non essere sola. I nostri protagonisti si trovano quindi catapultati in una nuova e pericolosa avventura, costretti a far del loro meglio per fronteggiare il pericolo. Si assiste quindi alla nascita di amicizie, amori, gioie, dolori e tradimenti, ma soprattutto, e cosa ancor peggiore, oscure minacce provenienti da voci sconosciute. A quanto sembra, il regno nasconde molti segreti, e toccherà alla nostra Rain e al suo amato Stefan risolverli dando fondo ad ogni grammo di forza presente nei loro corpi. Nelle fredde e buie notti, l'amore che li lega è la loro guida, ma nessuno sa cosa potrà accadere. In ogni caso, bentornati nel regno. "Seguito di: "Le cronache di Aveiron: Segreti nel regno)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le-cronache-di-Aveiron-III-mod
 
Capitolo II

Vecchia conoscenza

Ancora notte. Non c'è alcun segno della luce solare, e mentre i grilli friniscono nelle vicine campagne e nei boschi, sono sveglia. Un ennesimo incubo ha turbato il mio sonno, e mentre il tempo scorre, sudo freddo. Da tempo ormai immemore, sempre le stesse orribili immagini. Uomini dal volto coperto. Forti, potenti e minacciosi, capaci di seminare terrore nel mio cuore e nella mia giovane mente. Intanto, il mio respiro si fa affannoso, e ad occhi chiusi, cerco di tornare a dormire. Mi agito nel sonno, e drizzandomi a sedere, ho l'impulso di gridare. Troppo spaventata per farlo, non lo soffoco, e sfogandomi, mi sento venir meno. Sentendomi, Stefan si volta, e guardandomi con occhi sgranati, non riesce a credere a ciò che vede. Il mio corpo è scosso da violenti tremiti, e incredibilmente non riesco a parlare. La paura mi paralizza, e non ho modo di muovermi. Immobile come una statua di pregiato marmo, biascico qualche parola. “Sono qui. Loro sono qui.” Queste le frasi che non faccio che ripetere, e che Stefan ascolta senza fiatare. “Rain, tesoro, sta calma. Qui non c'è nessuno.” Mi dice in un sussurro, lasciando scivolare le sue dita fra i miei capelli, che carezza con il suo solito fare gentile e premuroso. Come c'è d'aspettarsi, il suo tocco ha su di me un effetto calmante, e riuscendo a ricompormi, lo guardo negli occhi, in completo e perfetto silenzio. Sto ancora tremando, e ho bisogno di aiuto. In questo momento, il suo amore sarebbe l'antidoto perfetto contro ogni mio malessere, e intuendolo, Stefan posa delicati baci sulle mie labbra. Pur accettandoli di buon grado, non approfitto di quel momento, ma è questione di attimi, e tutto cambia. Le nostre effusioni si intensificano, e attirandomi a sè con delicatezza, inizia a rendermi sua. Baci e carezze si susseguono con ritmo concitato, e improvvisamente, una sensazione di calore mi attraversa il corpo riportandomi alla realtà. Lasciandomi prendere la mano dalle mie stesse sensazioni, scelgo di bearmi di ognuno di quei momenti, e mentre il buio della notte è nostro compagno, io e Stefan non riusciamo a fermarci. Sappiamo bene quanto il nostro amore valga per entrambi, e per l'ennesima volta, siamo sicuri che nessuno ce lo porterà via. I sentimenti che proviamo non cambieranno mai, e neppure la più furiosa delle tempeste potrà cancellarlo. Le sue attenzioni mi avevano calmata da quell'incubo, e riuscendo finalmente a dormire senza timori di sorta, mi addormentai serenamente. La luminosa mattina arrivò senza farsi attendere, e aprendo gli occhi alle prime luci dell'alba, diedi inizio alla mia giornata, che comprendeva, oltre alla mia solita routine quotidiana, anche le mansioni di madre. Ora come ora, la piccola Terra assorbe la maggior parte del mio tempo, ma evitando di lamentarmi, spendo gran parte delle mie energie nell'intento di renderla felice. Lei non lo sa, ma il suo sorriso mi riempie d'orgoglio, dandomi modo di continuare a vivere e mantenere la positività. Ad ogni modo, ero impegnata a darle da mangiare, e improvvisamente, la pioggia iniziò a scrosciare, cadendo copiosa sul terreno inaridito dal sole. Sorprendentemente, mia figlia appariva incantata da quel fenomeno, e continuando a tenerla in braccio, sorrisi di fronte alla sua curiosità. I minuti passarono, e Stefan mi raggiunse. Spostando il suo sguardo dal mio viso a quello della bambina, si offrì di prenderla in braccio, e lasciandolo fare, l'abbracciai. Passai il resto di quella mattinata ad occuparmi delle faccende domestiche, controllando Stefan e la piccola solo occasionalmente. Giocando con il padre, la bimba non faceva che ridere, a volte così tanto da restare senza fiato. Con l'arrivo del pomeriggio, si scoprì spossata, tanto da addormentarsi sul divano di casa. La sera scese lieta, e mentre la pioggia non accennava a smettere di cadere, abbattendosi sul suolo con velocità inaudita, qualcuno bussa alla nostra porta. Quel suono mi distrasse, e voltandomi, esitai. Alcuni miseri secondi scomparvero dalle nostre vite, e Stefan scelse di aprire la porta. Pioveva ancora, e di fronte a noi c'era una povera ragazza. Bagnata come un povero pulcino, tremava per il freddo, e non riuscendo quasi a parlare, ci guardò con aria sofferente. “Vi prego, aiutatemi.” Soffiò, stringendosi nella leggere giacca che portava sperando di conservare il suo esiguo calore corporeo. Era buio, ma avvicinandomi, riuscii a vedere i suoi occhi. Di un colore che avevo già visto, a metà fra l'azzurro del cielo e il viola dei fiori più aulenti. “Lasciala entrare, credo di conoscerla.” Dissi a Stefan, per poi allontanarmi dalla porta e permettere a quella povera ragazza di entrare in casa. Subito dopo, la invitai ad accomodarsi sul divano, e offrendole una coperta, sperai che riuscisse a scaldarsi. Raggiungendo quindi la cucina, scelsi di prepararle una tisana, mentre Stefan accendeva il caminetto. “Stai bene? Come ti chiami?” Le chiesi, sedendomi al suo fianco e offrendole quella bevanda. “Rachel.” Trovò la forza di rispondere, fra un sorso e l'altro della tisana che le avevo preparato. “Mi chiamo Rain, e mi sembra di averti già vista.” Azzardai poi, presentandomi e ricordando la prima volta in cui era inconsciamente entrata nel mio campo visivo. “Un tempo servivo Lady Fatima, ma mi ha cacciata dal regno.” Disse lei, a occhi bassi in segno di vergogna. “Perchè? Cos’hai fatto?” Indagai, confusa e stranita da quelle parole. Ad essere sincera, la conoscevo bene, e avendo visto il suo comportamento cambiare, e il suo cuore cominciare a battere, dubitavo fortemente che potesse comportarsi in quel modo. “Le ho disobbedito.” Continuò, per poi tacere e scivolare nel più completo silenzio, quasi vergognandosi di quel gesto. In quel momento, Stefan ed io ci guardammo. Proprio come me, lui non riusciva a nascondere la sua preoccupazione, e guardandola, azzardò una proposta di cui non si pentì neanche lontanamente. “Vuoi restare?” Una domanda che raggiunse le sue orecchie in pochi secondi, alla quale lei rispose con un cenno del capo. Alzandomi in piedi, le chiesi di seguirmi, mostrandole quindi la camera degli ospiti. “Non è molto, ma spero sia abbastanza.” Sperando che perdonasse la frugalità dell'arredamento. Sapevo bene che aveva vissuto come serva di Lady Fatima per anni, e supponevo fosse abituata a vivere nel lusso, ma sorridendo, lei non battè ciglio. “Va più che bene.” Disse infatti, sedendosi sul letto e guardandomi mentre mi allontanavo al solo scopo di lasciarla da sola. “Rain?” mi chiamò, poco prima che potessi andarmene. Voltandomi nella sua direzione, la guardai negli occhi, attendendo una risposta. “Grazie.” Soffiò semplicemente, parlando a voce così bassa da rischiare di non essere udita. Richiudendo quella porta, tornai da Stefan, scoprendolo impegnato a cullare Terra. La bimba vagiva, ed era calma, ma per qualche strana ragione, non riusciva a dormire. “Vuoi tenerla?” mi chiese, offrendomi quell'opportunità come ogni altra che si rispetti. Mantenendo il silenzio, mi limitai ad annuire, e prendendo in braccio mia figlia, iniziai a cullarla intonando una semplice nenia cantatami da mia madre durante l'infanzia. Sorprendentemente, la mia idea parve funzionare, e chiudendo gli occhi verdi come gemme, la bimba si addormentò. Continuando a guardarla, osservai il suo respiro e il battito del suo piccolo cuore, entrambi regolari. Aveva soltanto due anni, ed era sana come un pesce, ma nonostante tale consapevolezza, non riuscivo a smettere di preoccuparmi. Camminando lentamente per i corridoi di casa, la portai nella sua culla, per poi deporre un bacio sulla sua fronte e lasciarla dormire. Finalmente, potei andare a letto, e nel momento in cui il mio viso incontrò il morbido cuscino, mi assopii. Dormendo quindi come un angelo, non mi accorsi del passare delle lunghe ore, svegliandomi soltanto la mattina dopo, allarmata ancora una volta dal pianto di mia figlia. Alzandomi dal letto, raggiunsi la sua stanza, scoprendo solo in quel momento, che qualcuno sembrava essersene già accorto. Rachel. Avvicinandomi, mi limitai a guardarla, e raggiungendomi, Stefan scelse di imitarmi. “Scusate, la bambina stava piangendo, e io...” biascicò lei, sentendosi accusata e tentando di giustificarsi. Con un gesto della mano, la fermai. “Hai fatto quel che sentivi.” Risposi, regalandole quindi un sorriso. “Grazie.” Aggiunsi poi, posandole una mano sulla spalla. “Hai per caso fame?” azzardò quindi Stefan, virando la conversazione su tutt'altro argomento. A quella domanda, Rachel non rispose, e guardandolo, non fece che annuire. Chiedendole di seguirmi, la condussi in cucina, e dopo la colazione, la sentii rivolgermi una richiesta alquanto strana. “Posso parlarvi... in privato?” chiese, concentrando improvvisamente il suo sguardo su di me. “Certo, che succede?” risposi, per poi scegliere di porle quella semplice ma al contempo ardua domanda. Raggelando, Rachel non seppe cosa dire, e apparve ai miei occhi così nervosa da non riuscire a parlare. Provando istintivamente pena per lei, la guardai con fare apprensivo, e in quel preciso istante, lei si guardò intorno, quasi a volersi sincerare dell'assenza di intrusi in casa nostra. “Ho paura.” Esordì, sgranando gli occhi come un gattino spaventato. “Di cosa?” azzardò Stefan, sperando di non turbarla ulteriormente. “Come sapete, sono fuggita da Aveiron, ma temo di essere stata seguita.” Confessò, facendosi improvvisamente seria. La sua voce tremava assieme al suo corpo, e continuando a guardarla, pronunciai una singola frase. “Ti aiuteremo noi.” Dissi, guardandola con aria fiduciosa. Alle mie parole, Rachel non rispose, ma sorridendo, si alzò in piedi al solo scopo di abbracciarci entrambi. “Grazie Rain, tu e Stefan non avete idea di quanto questo significhi per me.” Disse poi, con la voce corrotta e spezzata dall’emozione. Mantenendo il silenzio, lasciai che mi stringesse, e non appena il nostro abbraccio si sciolse, le consigliai di tornare a dormire. Quella sorta di confessione doveva averla stressata non poco, ed ero convinta che un buon sonno ristoratore l'avrebbe aiutata a riprendersi. Seguendo il mio consiglio, la povera Rachel tornò a letto, e sedendomi di fianco alla finestra, ammirai il paesaggio. Il sole splendeva, ma aguzzando la vista, notai l'avvicinarsi di alcune grigie e pesanti nuvole. Forse stava per piovere, o forse qualcosa stava per accadere, e abbandonandomi ad un cupo sospiro, sperai per il meglio, concentrandomi sul ritorno nella mia vita di una vecchia conoscenza.
   
 
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