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Autore: BebaTaylor    16/08/2016    1 recensioni
2015. Erikson, Presidente degli Stati Uniti d'America, rivela al mondo l'esistenza di alcune persone dotate di poteri particolari: possono creare il fuoco dal nulla, possono trasformarsi in animali, creano elettricità con le mani, hanno premonizioni... Erikson le vuole catturare e rinchiudere perché sono pericolosi. Mostri assassini, li definisce. Soldier, si definiscono loro.
Crystal fugge dopo la morte della nonna, unica parente. Non si fida più di nessuno, nemmeno dei vicini. Marie-Anne scappa, spaventata da quello che è. Benjamin se ne va dopo la misteriosa scomparsa del padre. Kathy e Samuel fuggono dopo la festa per il loro fidanzamento, Erik segue l'istinto e scappa, Kyle e Jenna scappano perché è l'unica cosa da fare. William, Emily e Sarah scappano dopo che gli uomini di Erikson hanno ucciso la madre davanti a loro. Dawn, della sede Newyorchese della Projeus, momentaneamente trasferita in Canada, cerca di salvarli, perché Erikson è venuto in possesso di una lista con i nomi di tutti i Soldier della parte orientale degli USA. C'è una talpa, alla sede. E ce ne è una anche nei fuggitivi diretti in Canada.
E questa è la loro storia.
*eventuali scene splatter|Azione|Introspezione*
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Projeus:
The Big War

1.
Primo Giorno

Venerdì 4 Settembre, dieci e mezzo di sera.

Benjamin sbuffò e girò le chiavi dell'auto, rimanendo qualche secondo a fissare il fumo che usciva dal cofano. Quello non ci voleva, era in un bosco, su una vecchia strada battuta, lontano quasi un'ora dal più vicino centro abitato. E in più era buio pesto. Scese dall'auto, aprì il cofano e agitò la mano per disperdere il fumo: anche se non era un esperto di motori gli bastò un'occhiata per capire che il danno era grave, nulla che potesse riparare da solo. Sbatté il cofano con forza e decise di proseguire a piedi ed eventualmente chiedere un passaggio a qualcuno — certo, prima doveva superare la collina e sperare di beccare qualcuno che non chiamasse gli scagnozzi di Erikson —, afferrò lo zaino, recuperò i documenti dell'auto e iniziò a camminare dopo una breve occhiata all'orologio — erano quasi le dieci e mezzo di sera.

Aveva camminato per pochi minuti, forse quindici, quando sentì lo strillo, poi un ringhio e un altro strillo. Iniziò a correre, riconoscendo un urlo femminile, superò una curva e si bloccò alla vista di quella che sembrava una grossa scimmia che attaccava una ragazza che brandiva un bastone, cercando di allontanare l'animale da sé. La grossa scimmia allungò una zampa e Benjamin aprì la bocca quando vide i lunghi artigli al posto delle dita. Fece scivolare lo zaino dalle spalle e si spogliò velocemente, dicendosi che quella cosa non era reale, che non esistevano scimmie con dei falcetti a posto delle dita.

Crystal muoveva il bastone, sentendo l'impellente bisogno di trasformarsi e fuggire — quattro zampe erano meglio di due gambe.

Non sapeva da dove fosse uscito quello strano animale che aveva davanti — se lo era trovato davanti improvvisamente ed era caduta a terra per lo spavento —, ma sapeva che non era un vero animale e neppure un mutaforma, dato che animali del genere non esistevano. Calò il bastone sulla testa di quella specie di scimmia, il pezzo di legno si spezzò e la ragazza cercò di infilzarla ma la pelliccia dell'essere era troppo dura, con i peli così ispidi da ricordare il legno. Il bastone spezzato a metà le scivolò dalle mani e cadde a terra. Gridò, quando il grosso lupo bianco calò sulla scimmia, facendola rotolare a un paio di metri da lei.

La scimmia e il lupo si rialzarono e il secondo ringhiò contro l'altro, mostrando i denti. Crystal si piegò piano, pronta a prendere il coltello a serramanico da una delle tasche dello zaino quando sentì uno strillo che la immobilizzò. Un altro di quegli esseri era lì.

Stava aprendo la bocca per gridare al lupo — aveva capito che era un mutaforma — di stare attento quando la seconda scimmia apparì fra i cespugli alla sua destra, andando a scontrarsi con il lupo, che non aveva smesso di combattere. Crystal li fissò tutti e tre quasi incantata, mentre l'istinto le diceva di fuggire. Alla fine si spogliò velocemente, quasi strappandosi gli abiti di dosso, spiccò un salto e, quando atterrò, si era trasformata in una lupa dal pelo bianco e grigio. Afferrò fra i denti la gamba di una delle due strane scimmie e la trascinò indietro mentre scuoteva la testa, cercando di tenerla lontano dal lupo bianco. Quella si rivoltò contro di lei strillando e mosse un braccio, Crystal la lasciò andare, scartò di lato ed evitò per un soffio di essere ferita. Ringhiò, senza smettere di fissare l'essere, fissandolo nella semi-oscurità — la sua torcia era caduta per terra e illuminava il terreno — e guardò il pelo ispido e marrone scuro, la ferita che le aveva causato alla zampa posteriore sinistra e si piegò in avanti, pronta per saltare.

Benjamin ringhiò alla scimmia davanti a lui, ripetendosi che non poteva essere vera. Lanciò una brevissima occhiata alla lupa poco distate da lui, vedendo che l'altra scimmia le girava attorno, e temette che l'avrebbe attaccata di nuovo. Spiccò un balzo, centrando in pieno la scimmia davanti a lui, che cadde a terra. Il lupo non gli diede il tempo di rialzarsi e attaccò nuovamente: prima azzannò un braccio, staccando un grosso pezzo di carne che si affrettò a sputare, poi calò il muso sulla gola dell'essere che strillava e gemeva e gli morsicò la gola, sentendo sulla lingua il sapore dolciastro del sangue.

Si voltò fissando la lupa che indietreggiava, così si avvicinò alle spalle della scimmia, la colpì con le zampe anteriori sulla schiena e quella cadde in avanti e lui ne approfittò per azzannarla al collo. Mentre lui scuoteva la testa Crystal tornò umana, stringendo i denti e strizzando gli occhi, si accucciò a terra, accanto alle sue cose e afferrò la giacca, sistemandola contro il suo corpo mentre ansimava rumorosamente.

Anche Benjamin tornò umano. «Stai bene?» le domandò.

Crystal fissò le due scimmie che si stavano tramutando in due ragazzi: uno era basso e tarchiato con i capelli rasati, l'altro era magrissimo, così tanto che avrebbe potuto contargli ogni osso, «Sì.» rispose, «Tu?»

Benjamin annuì, «Sono solo graffi.» sospirò. «Io sono Benjamin.» si presentò avvicinandosi a lei e tendendo una mano.

«Crystal.» rispose lei stringendola, «Puoi girarti, per favore? Così mi rivesto.»

Il ragazzo annuì e si allontanò di un paio di metri per recuperare le sue cose.

«Cos'erano?» domandò Crystal allacciandosi le stringhe delle scarpe, «Non ho mai visto nulla del genere.» sospirò.

Benjamin tornò da lei, lo zaino in spalla e la fissò prendere il suo, «Non è un po' grande?» domandò indicandolo e Crystal scrollò le spalle. «Non so cosa siano.» rispose, «Ma so che non sono dei nostri.» disse, «Magari Erikson avrà convinto uno di noi a subire un esperimento del cazzo che li ha ridotti così.» aggiunse mentre riprendevano a camminare. «Sai da che parte dobbiamo andare, vero?» chiese, «Perché la mia auto ha il motore fuori uso e il navigatore ha la batteria rovinata, non funziona se non è collegato all'accendi sigari.»

Crystal annuì e accese la torcia elettrica — anche se erano lupi e ci vedevano al buio era meglio avere un qualcosa che illuminasse meglio il sentiero — «Sì.» disse, «Dobbiamo camminare per un paio d'ore, al massimo due e mezzo e poi prendere il sentiero di sinistra, proseguire per altre sette ore e supereremo la collina, arrivando al primo centro abitato.» spiegò, anche se “collina” non era il termine corretto: dovevano attraversare gli Appalachi.

Benjamin sbuffò, «Così tanto?» domandò, «E poi?»

«E poi proseguiremo fra boschi e campi, cercando di stare lontani dalle case.» disse Crystal. «Tu dove vai?» domandò fissandolo, giudicò che dovesse avere circa ventisei anni, era un bel ragazzo, con un fisico muscoloso.

«Mio padre mi ha parlato di un centro, il Projeus Institute.» rispose lui, «C'è anche a New York, ma si sono trasferiti in quello del Canada, almeno fino a quando 'sta follia non finirà.»

«È dalle parti di Québec.» annuì lei, «Me ne aveva parlato tanti anni fa mio nonno.» continuò, «Mio aveva detto di quello di New York, ma il Canada è il più vicino.» disse. «Nel senso che è lo stato più vicino che non è con quel cretino stronzo di Erikson.»

Benjamin annuì, «Già.» commentò. Continuarono a camminare, scambiando quattro chiacchiere superficiali: dissero entrambi da dove venivano e Crystal disse di essere arrivata lì a piedi. «Tu sei matta.» commentò lui.

«L'auto possono rintracciarla.» replicò lei, «E comunque l'ho venduta, mi servivano i soldi.»

Benjamin si limitò a scuotere la testa: per lui, farsi tutte quelle miglia a piedi era da folli. «Mezza lupa.» disse.

Crystal si fermò di botto e strinse gli spallacci dello zaino, «Cos'è, sei razzista?» sputò, «Se è così puoi anche andartene.» ringhiò, fissandolo, gli occhi verdi ridotti a due fessure.

«No!» rispose lui, quasi indignato, «La mia è solo una costatazione.» aggiunse, «Se ti ho offesa mi scuso.»

Lei lo guardò, «Okay.» disse, «È che tutta questa storia mi sta esasperando. Prima o poi salterò alla gola della persona sbagliata.»

Benjamin non rispose, dicendosi che aveva ragione: quella storia stava ammattendo tutti quanti. Il vento si alzò e una grossa nube coprì la mezza luna che brillava nel cielo. «Ci fermiamo?» domandò.

Crystal lo fissò poi annuì. «Va bene.» disse, «Dove?» domandò. Benjamin si guardò attorno e indicò una piccola caverna sulla sinistra. «Lì è perfetto.» esclamò.

«Lì?» fece lei, «Ci sarà dentro qualche animale.» replicò.

Benjamin rise, «Basterà un'annusata.»

«Sarà, ma quelle cose non le avevo sentite.» replicò lei e sospirò.

Benjamin tacque per un'istante, «Oh.» fece, «Vado avanti io.» disse e si disse che neppure lui aveva sentito l'odore di quelle due stupide scimmie e non l'aveva sentito nemmeno quando li aveva azzannati — e la cosa era strana, molto strana —, si accucciò davanti all'apertura della grotta, alta circa un'ottantina di centimetri e annusò con gli occhi chiusi. «È tutto a posto.» disse.

Crystal si avvicinò e annusò anche lei, «Hai ragione.» disse e tolse lo zaino, per poi spingerlo dentro la grotta.

«Non ti fidi di me?»

Crystal si voltò e illuminò il volto di Benjamin, gli occhi azzurri di lui talmente chiari da sembrare vetro trasparente. «Meglio controllare in due.» rispose e si voltò di nuovo verso lo zaino, liberando il sacco a pelo fermato da delle cinghie. Lo srotolò, rivelando anche un materassino rosa da yoga, mise quest'ultimo per terra e stese sopra il sacco a pelo con uno sbadiglio.

Anche Benjamin sistemò il suo sacco a pelo e ci si sedette sopra. La grotta era alta abbastanza da permettere loro di stare comodamente seduti, ma era così stretta che i loro sacchi a pelo si sfioravano. Benjamin fissò Crystal prendere un bottiglietta d'acqua e berne qualche sorso. «Mia madre è morta quando ero al liceo.» esclamò appoggiandosi alla parete fredda e umida della grotta, le mani sulle ginocchia piegate.

Crystal smise di bere e lo fissò, la bottiglietta di plastica in una mano, il tappo verde nell'altra. «Mi dispiace.» disse e inspirò, «Mi madre ha preferito seguire il suo uomo e così mi ha lasciato ai nonni.» confessò, «A parte mettermi al mondo è stata l'unica cosa giusta che ha fatto.»

Benjamin la fissò, «Dov'è?» chiese, «E tuo padre?»

Crystal richiuse la bottiglia e la sistemò nello zaino, «Mio padre è uccel di bosco.» rispose fissandosi le scarpe alla tenue luce della torcia, «Mia madre è... è... bho,» scrollò le spalle «da qualche parte con il suo terzo marito.» sospirò e iniziò a slacciarsi le scarpe, sapendo che Benjamin la stava ancora fissando. Si bloccò quando si sentì uno strano verso provenire fuori dalla grotta, ma era solo un gufo che lanciava il suo richiamo. «Non fare quella faccia.» disse alzando il viso e fissando il ragazzo davanti a lei, «Non sono l'unica con la madre che si è sposata così tante volte.»

«Scusa.» disse lui distogliendo lo sguardo e la fissò infilare le scarpe nel sacco a pelo e spingerle sul fondo con i piedi. «Buona notte.» disse.

«Buona notte.» mormorò lei e spense la torcia ma non smise di stringerla, come se volesse usarla come arma.

Benjamin sospirò, levò le scarpe e le infilò anche lui nel sacco a pelo, perché qualcosa gli diceva che Crystal era abituata a dormire nei boschi. "Forse ha fatto campeggio." fu il suo pensiero, "Magari con suo nonno." si disse. Si sdraiò anche lui, fissò il soffitto della grotta, annusò l'aria e tese l'orecchio: a parte il gufo, il bosco era silenzioso. Forse anche troppo

❖.❖.❖

Sabato 5 Settembre.

Lo svegliò l'odore del caffè. Benjamin aprì gli occhi e fissò Crystal, seduta a gambe incrociate davanti a un fornelletto da campeggio. «Caffè?» sbadigliò mettendosi seduto e per un attimo non ricordò quello che era successo qualche ore prima.

«Sì.» rispose lei, «Ne vuoi?» domandò, «Ho un tubetto di latte condensato.» aggiunse mostrandogli un tubetto bianco e blu, «Non è come un cappuccino vero, ma è accettabile.»

Benjamin la fissò sorpreso e annuì, recuperò le scarpe e le indossò, per poi scivolare accanto a lei. «Anche il fornelletto?» chiese, «Andavi in campeggio?» domandò.

Lei annuì, «Con mio nonno.» rispose, «Il caffè è solubile.» disse fissando Benjamin.

Lui scosse la testa, «Va bene lo stesso.» rispose e afferrò uno dei bicchierini di plastica, attese che Crystal lo riempisse di caffè — lo avrebbe fatto anche lui, ma lei lo aveva preceduto — e lo zuccherò: Crystal aveva un contenitore verde contenente una ventina di bustine di zucchero. Afferrò dal suo zaino una barretta energetica e vide che anche Crystal le aveva e ne aveva già mangiata una. Fecero colazione in silenzio, fino a quando non decisero di ripartire; mentre Crystal sistemava le sue cose, lui ne approfittò per appartarsi dietro un albero.

Camminarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri: Crystal si chiedeva se sarebbe mai arrivata in Canada, Benjamin si domandava se avrebbe rivisto suo padre. Ed era stupito dal fatto che Crystal fosse così giovane ma ben organizzata — e determinata.

«Tutto bene?» domandò lui ad un certo punto, ricordando una cosa che aveva notato la sera prima e che aveva dimenticato, troppo preso dalla stanchezza. «Ieri sera tremavi dopo che sei tornata umana.»

Crystal emise un lungo sospiro, «Sì.» ammise, «Capita.» aggiunse

«Non dovrebbe capitare.» replicò Benjamin, «Sei andata da un medico?» domandò, «Un medico per persone come noi.» specificò.

Crystal sospirò, «No.» rispose, «È una lunga storia.» disse e Benjamin capì che non voleva parlarne, così rimase in silenzio, chiedendosi cosa le fosse successo. Era sicuro che ci fosse sotto qualcosa.

«Tuo padre?»

Benjamin si fermò di botto, «Cosa?» domandò.

Crystal scrollò le spalle, «Bhe, mi hai detto di tua madre, ma tuo padre?» domandò fissandolo.

Lui inspirò a fondo, «Dieci giorni fa è uscito di casa e non è più rientrato.» rispose e fissò Crystal, ferma a un paio di metri da lui, che lo fissava, le mani che stringevano gli spallacci dello zaino. «È sparito nel nulla.» sospirò distogliendo lo sguardo, puntandolo sugli alberi che li circondavano. «Credo che l'abbiano preso.» ammise in un sussurro.

«Mi dispiace.» esclamò Crystal, «Proseguiamo?» chiese, «Fra mezzo miglio circa c'è una piccola radura, così ci fermiamo per pranzare.» sorrise, «Qui siamo in salita e sarebbe un po' complicato.»

Benjamin annuì, «Okay.» rispose e riprese a camminare, raggiungendo Crystal. «I tuoi nonni?» chiese quando si fermarono, dopo una ventina di minuti.

Crystal aprì lo zaino, prendendo una barretta energetica e una confezione di frutta disidratata, «Sono morti.» rispose, «Nonno due anni fa, nonna sei mesi fa.» mormorò, gli occhi bassi, domandandosi se quel dolore, quel pezzo di cuore che le mancava, sarebbe passato.

Benjamin allungò una mano e strinse quella di Crystal, che alzò il viso e lo fissò, sorpresa. «Mi dispiace.» disse lui. «Non deve essere facile.» aggiunse e ritrasse la mano, dicendosi che forse non era il caso, visto che si conoscevano da circa dodici ore. «Scusa.» soffiò, prendendo la bottiglia d'acqua e bevendo un paio di lunghe sorsate.

«Secondo te finirà, prima o poi?»

Benjamin fissò Crystal, non capendo se si riferisse al dolore per aver perso una persona cara oppure a tutta quell'assurda situazione. «Non lo so.» rispose scartando una delle sue barrette. «Non lo so.» ripeté, «Lo spero.»

Crystal infilò fra le labbra un pezzo di mela secca e annuì piano.


«Che strada facciamo?» domandò Benjamin quando ripresero a camminare.

«Se passiamo sull'altro versante siamo in West Virginia.» spiegò Crystal indicando la montagna alla loro sinistra, «Poi da lì proseguiamo verso l'Ohio, attraversiamo il lago e siamo in Canada.» disse, «Poi pensavo di affittare un auto.» scrollò le spalle.

Benjamin annuì, «Okay.» disse, «Sarà una lunga camminata.» sospirò.

«Circa trecentotrentatré miglia.» confermò lei.

«Dovremo trovare un mezzo di trasporto.» mormorò Benjamin, «Non arriveremo mai, altrimenti.» disse, «Camminando potremmo fare un miglio in un quarto d'ora, quindi quattro miglia all'ora.» calcolò, «Sarebbero ottantaquattro ore.» continuò, «Arrotondiamo ad novanta... anche camminando dodici ore al giorno impiegheremo...»

«Una settimana.» sospirò Crystal. «Lo so.» disse. «Anche attraversando la Pennsylvania impiegheremo troppo.» disse.

Benjamin si fermò e le prese il polso sinistro, «Dobbiamo trovare un'auto.» disse, «Anche a costo di rubarla.» mormorò, «Rischiamo che ci prendano, altrimenti.»

Crystal si limitò ad annuire, d'accordo con lui.

❖.❖.❖

Marie-Anne fissò l'auto, cercando di capire cosa non andasse. Fissò il cruscotto e gemette quando si accorse che la spia dell'olio era accesa e si domandò il perché, visto che lo aveva fatto controllare un paio di settimane prima. Tirò la leva per l'apertura del cofano e scese, alzò il cofano e, con lo straccio che teneva sempre in auto, svitò il tappo, per poi fissare l'asticella. Era praticamente pulita, escludendo quei due centimetri scarsi sul fondo.

«È rotta.» bisbigliò, sentendo che sarebbe scoppiata a piangere. E adesso? Era in mezzo al nulla, a qualche miglio dal confine con la West Virginia — la sera prima aveva guidato un paio d'ore, per poi fermarsi nel primo motel e dormire tutta la notte— e non sapeva cosa fare. Si raggomitolò per terra, piangendo e tenendo la testa fra le mani. Dopo qualche minuto si riscosse, dicendosi che era adulta e che non doveva piangere.

Non ci riuscì e abbassò il cofano, risalì in auto e strinse forte il volate, prima di urlare perché qualcuno aveva bussato al finestrino del passeggero.

«Cosa vuoi?» strillò fissando la ragazza con la pelle diafana, i capelli rossi e grandi occhi azzurri che la guardava.

«Hai bisogno di aiuto?» chiese l'altra, «Problemi con la macchina?» domandò, «È una di noi!» esclamò girando il viso e Marie-Anne si accorse di una macchina ferma a pochi metri di distanza.

«Si è rotta la coppa dell'olio.» pigolò asciugandosi gli occhi. «Non so cosa fare.» ammise.

«Dove stai andando?»

Marie-Anne girò il capo e fissò un ragazzo con i capelli neri, gli occhi azzurri e un sorriso da canaglia sul volto. «In Canada.» ammise, incantata dai suoi occhi così luminosi. «Io sono... io sono...»

«Uno di quei...» la ragazza alzò gli occhi al cielo, «Mostri,» esclamò tracciando delle virgolette con le dita «come ama dire quello stronzo?» domandò.

Marie-Anne annuì. «Sì.» confermò.

«Vieni con noi.» esclamò il ragazzo, «Io sono Erik.» si presentò e aprì la portiera.

Marie-Anne annuì, afferrò la borsa e scese, presentandosi a sua volta. La ragazza dai capelli rossi disse di chiamarsi Kathy e le presentò l'altro ragazzo, che fino a quel momento era rimasto appoggiato alla Lexus verde petrolio: «Si chiama Samuel, è il mio fidanzato.»

Il ragazzo alzò una mano e l'agitò in segno di saluto, prima di tornare a ricontrollare la cartina che aveva in mano.

Erik prese lo zaino di Marie-Anne e lo infilò nel bagagliaio, per poi salire al posto di guida, accanto a lui si sistemò Samuel, mentre lei e Kathy si sedettero sul sedile posteriore.

«Quanti anni hai?» le domandò la ragazza.

«Venticinque.» rispose Marie-Anne. «Voi?»

«Ventidue.» rispose Kathy, «Sam ventitré e Erik ventiquattro.» continuò, sorridendo dolcemente all'altra, mentre con una mano arrotolava una ciocca di capelli all'indice sinistro con fare distratto.

«Cosa siete?» mormorò Marie-Anne dopo qualche attimo di silenzio, fissando il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino.

«Un Cercatore.» esclamò Erik, sollevando il viso e fissando la nuova arrivata dallo specchietto retrovisore. Quattro giorni prima era partito da Daytona Beach e due giorni prima aveva incontrato Kathy e Samuel.

«Un Cercatore?» domandò Marie-Anne, «Cosa sarebbe?»

Erik sorrise, «Trovo cose e persone.» rispose, «Cercavo uno di noi, uno dei Soldier e ho trovato loro due.» spiegò, «Adesso ho trovato te.»

«Noi siamo mutaforma.» esclamò Samuel, rimasto in silenzio fino a quel momento, «Pantere.» specificò.

Marie-Anne annuì, piano, e si tormentò le mani, sentendo l'angoscia opprimerle il petto. Tutta quella situazione era assurda e folle. Non era possibile, non poteva essere reale.

«Che tipo di mutaforma sei?»

Marie-Anne sospirò, «Io sono... io sono...» pigolò, accartocciandosi contro la portiera, «Un uccello.» soffiò, fissando il poggiatesta davanti a lei — era seduta dietro Erik — «Uno spatola rosa.»

Kathy spalancò gli occhi, «Uno spatola rosa?» domandò, «Sono rarissimi.» disse portandosi una mano sulle labbra, «Sei una specie rara.» sorrise.

Marie-Anne la fissò per un momento poi distolse lo sguardo e iniziò a mangiarsi le unghie.

«Sei sola?»

La mutaforma sobbalzò. «Cosa?»

Erik sorrise, «Ti ho chiesto se sei sola.» ripeté, «Ha lasciato qualcuno? I tuoi genitori, fratelli, sorelle, un fidanzato?»

Marie-Anne rimase in silenzio, non accorgendosi dell'occhiataccia che Samuel rivolgeva al ragazzo alla guida — non gli era sfuggito il tono da presa in giro, sopratutto sull'ultima parola.

«Nessuno.» rispose Marie-Anne, «Niente fidanzato e sono figlia unica.» mormorò, «I miei genitori sono morti.»

«Oh, povera piccola.» mormorò Kathy e l'abbracciò, cogliendola all'improvviso. Marie-Anne rimase rigida fra le sue braccia.

“Non sono piccola.” pensò, “Sono la più grande!”

«Kathy, evita di stritolarla.» borbottò Samuel togliendosi gli occhiali dalla spessa montatura nera, sospirò e si massaggiò la radice del naso prima di rimettersi gli occhiali.

«Oops.» Kathy si staccò dall'altra, «Scusa.» disse, «Ogni tanto mi lascio perdere dall'emotività.» sorrise ancora prima di allungare una mano e sfiorare i capelli del fidanzato.

Marie-Anne strinse le labbra, «Non importa.» disse scuotendo la testa, «E voi? Le vostre famiglie?»

«Mia madre è al sicuro, a Londra.» rispose Erik, «È la da mia zia, sua sorella.»

«Ah.» commentò Marie-Anne, «E voi?» guardò Kathy, che fissava il passaggio che scorreva fuori dal finestrino.

«Noi eravamo alla festa per il nostro fidanzamento.» rispose Kathy girando il viso verso l'altra, gli occhi tristi, «Degli uomini di quello stronzo hanno fatto irruzione perché qualcuno ancora più stronzo ha fatto la spia.» sputò.

«Siete scappati?» domandò Marie-Anne.

«Già.» rispose Samuel, «Sono stati i nostri genitori a dirci di scappare.»

«Siete scappati e li avete lasciati lì?» gridò Marie-Anne, «Io non l'avrei mai fatto!» esclamò, «È una cosa orribile.» piagnucolò.

«Marie,» sospirò Kathy, «Sono stati i nostri genitori a dirci di scappare. Non aveva senso rimanere lì, tutti quanti, a farsi uccidere o deportare chissà dove.»

Marie-Anne la fissò, sconvolta e si rannicchiò contro la portiera, domandandosi con chi fosse finita. “Degli stronzi egoisti.” pensò ed ebbe voglia di scappare. Però aveva bisogno di un passaggio. Ed era la più grande, fra di loro. Era la più vecchia e saggia. Avrebbe deciso lei cosa fare e dove andare. Inspirò a fondo, mentre si diceva che era la cosa giusta: non poteva lasciare le cose in mano a dei ragazzini che se ne erano andati lasciando la propria famiglia in mano a quelli.

Erik svoltò a sinistra, lasciando la route ottantuno alle loro spalle, «Ci fermiamo qui?» domandò imboccando il parcheggio di un dinner.

«Non dovremmo andare avanti?» chiese Marie-Anne.

«Abbiamo fame.» rispose Samuel fissandola, gli occhi castani farsi sempre più grandi. «Oh, scusa.» rise, «È la pantera che parla.»

«Tu hai sempre fame.» borbottò Kathy spalancando la portiera. Anche i due ragazzi uscirono e lo fece anche Marie-Anne, anche se avrebbe voluto proseguire. Però aveva fame anche lei, si rese conto mentre fissava la piccola insegna con scritto il menu del giorno.

Kathy osservò la nuova arrivata mentre avanzava verso la porta d'ingresso. Era più bassa di lei di almeno una decina di centimetri — e questo voleva dire che arrivava al metro e cinquantacinque — e se ne andava in giro con le spalle curve, sembrando ancora più bassa. Pensò che avrebbe dovuto assolutamente parlarle, perché se avesse continuato ad essere così spaventata sarebbe stata un bersaglio facile. Per tutti, non solo per gli uomini di Erikson: anche un semplice borseggiatore avrebbe potuto approfittare di lei.

Non dovevano sembrare quattro ragazzi in fuga, ma quattro ragazzi in gita di piacere. Mentre Erik apriva la porta d'ingresso e faceva passare le due, Kathy prese sottobraccio Marie-Anne, «Sorridi, tesoro.» le disse. «Non ti è morto il gatto.»

L'altra la fissò e la detestò. «Come fai a parlare così?» sibilò, «Noi siamo... noi... voi...»

Kathy rise, anche se avrebbe voluto piangere,, non sapere come stavano i suoi genitori, le sue sorelle e la nonna la uccideva ogni secondo che passava, «Marie, stai calma.» sospirò e la fece sedere, per poi scivolare accanto a lei sulla panca imbottita, «Non dobbiamo sembrare dei poveracci che scappano.» mormorò al suo orecchio, «Altrimenti è la fine.» disse, «Siamo semplicemente...» sorrise e scrollò le spalle, «In gita, ecco.»

Marie-Anne inspirò e fissò Erik, seduto davanti a lei, «Okay.» mugugnò. «E non chiamarmi Marie, per favore.» disse e afferrò il menu.

«Come vuoi.» sorrise Kathy e Marie-Anne si domandò se non fosse pazza: sembrava passare dall'allegria alla tristezza in un attimo.

Ordinarono da mangiare, «Che strada volete fare?» domandò, «Perché io avrei proseguito sull'ottantuno, poi per la settanta, andare a Pittsburg e da lì andare fino a...» si fermò, cercando di ricordare il nome della città, «Erie e da lì prendere un traghetto.»

«Non mi pare una buona idea.» esclamò Erik, «Sulle interstatali c'è un'alta probabilità di trovare posti di blocco.» mormorò e la fissò, facendola arrossire. «Strade secondarie, meglio se poco battute.»

Marie-Anne scosse la testa, «Ma così ci impiegheremo un'eternità.» protestò, «Facciamo come dico io.» esclamò. “Sono la più grande, so cosa fare.” pensò. Improvvisamente si sentì responsabile per quei ragazzi, anche se sembravano conoscere quel mondo meglio di lei.

«Macchina mia, regole mie.» sospirò Erik, sorrise alla cameriera che aveva portato le bibite e quella arrossì di botto, «Fine della questione.»


«Ritorniamo sull'ottantuno.» esclamò Marie-Anne una volta in macchina, dopo aver mangiato hamburger e hot-dog tutto sommato accettabili, «Io so cosa fare.»

«Tesoro,» sospirò Kathy prendendole la mano, «Fidati di noi.» disse guardandola, l'iride azzurra che sembrava voler inghiottire la pupilla, «Sappiamo cosa fare.» esclamò.

Marie-Anne scosse la testa e l'appoggiò al finestrino.

«Quanto ne sai dei Soldier?»

La domanda di Erik fece distogliere l'attenzione di Marie-Anne dal paesaggio, «Cosa sono?» domandò.

Erik rise, «Siamo noi, dolcezza.» rispose. «Chiunque dotato di un potere è un Soldier.» spiegò, «Non te l'hanno spiegato?» chiese.

Marie-Anne scosse la testa, «No.» rispose, «Ma questo che c'entra?» domandò.

«Non te l'hanno spiegato?» gracchiò Samuel girando il viso verso di lei, «E perché?» chiese, «È una cosa che ci spiegano subito.»

Marie-Anne alzò il viso. «Sono stata adottata.» confessò, «Quando avevo tre anni.»

«Oh, cucciola.» sussurrò Kathy e l'abbracciò, «Non sai nulla, allora?»

Marie-Anne scosse la testa, «Io... no.» rispose, «Mia madre e mio padre non sapevano... niente.» disse alzando la testa, anche se il ricordo dei suoi genitori le creava un groppo in gola ogni volta che ci pensavano.

«Marie-Anne.»

Lei si girò, trovando il viso di Kathy così vicino al suo che poteva sentire il rumore del suo respiro. Fissò i grandi occhi, la pelle che sembrava di porcellana, le lentiggini su guance e naso e pensò che fosse molto bella.

«Fidati di noi.» sorrise Kathy, «Sappiamo cosa fare.» ripeté.

Marie-Anne scosse la testa, incrociò le braccia al petto e fissò fuori dal finestrino. «Piove.» mormorò, fissando le gocce d'acqua che s'infrangevano sul vetro.

❖.❖.❖

«Merda.» squittì Crystal e passò una mano sul viso, asciugando la goccia d'acqua che l'aveva bagnata.

«Piove.» disse Benjamin.

«Ma dai?» sbuffò lei, «E sta peggiorando.» disse. «Dobbiamo trovare un riparo.» esclamò alzando il cappuccio della felpa, già zuppo d'acqua.

«Lo so.» disse Benjamin, guardandosi attorno, alla ricerca di una grotta o qualcosa di simile, «Non hai un ombrello, un impermeabile, qualcosa del genere nel tuo zaino da Mary Poppins?»

«No.» rispose Crystal, «Non ci ho pensato.» scrollò le spalle, «E poi non davano pioggia.»

«Lì.» esclamò Benjamin, le prese la mano destra e le indicò una casupola di lamiera a una ventina di metri da loro, sulla sinistra, nascosta dalla fitta vegetazione. In pochi secondi arrivarono davanti alla casupola e Benjamin imprecò quando vide il lucchetto. «Niente che possa tranciarlo?» sospirò.

«No.» rispose Crystal, spingendosi contro la parete di lamiera. «Sembra mezzo arrugginito.» notò, «Basterà strapazzarlo un po'.»

Benjamin raccolse un sasso da terra e la usò per colpire il lucchetto, che cedette dopo pochi colpi. La porta si aprì con un cigolio e Crystal si precipitò all'interno, lasciando le impronte dei suoi piedi sul pavimento di cemento. Il ragazzo la seguì, chiedendosi la porta alle spalle e notò che c'era un chiavistello, così lo usò per bloccare la porta.

Crystal accese la torcia, sistemandola in modo che illuminasse l'intero ambiente — non che ci volesse molto, era circa due metri per due — e fissò l'armadio a due ante, un piccolo sgabello molto basso e i ganci appesi alle pareti. Guardò Benjamin togliersi lo zaino, la giacca e la felpa, rimanendo con la maglia a maniche corte.

«Togliti quei vestiti.» disse lui appendendo i suoi ai ganci, dopo aver constatato che l'armadio non aveva grucce, «Altrimenti ti ammali.»

«Girati.» ribatté lei, recuperò una felpa asciutta e dei pantaloni dallo zaino e si tolse i vestiti bagnati, indossò quelli asciutti e si alzò in piedi per riporre quelli bagnati accanto a quelli di Benjamin. «Non ci voleva.» sbuffò sedendosi sul suo sacco a pelo. «Scombina i piani.»

Benjamin rimase in silenzio mentre recuperava una bottiglia d'acqua e si sedeva a sua volta, proprio davanti a Crystal C'era qualcosa in lei che gli sfuggiva, che non riusciva ad afferrare, ma che voleva scoprire a tutti i costi. La fissò togliere l'elastico che le chiudeva i capelli in una coda.

Crystal passò le mani fra i capelli, desiderando poter farsi una doccia. Sospirò e alzò il viso, fissando il vetro della finestrella, completamente ricoperto dalle gocce di pioggia. «Che ore sono?» domandò.

«Le quattro.» sospirò Benjamin. «Dovremo camminare con il buio.» mormorò.

«Non penso sia sicuro.» disse Crystal, allungò le gambe sul sacco a pelo e inspirò a fondo, sentendo la puzza di umidità entrarle violentemente nel naso. «Quelle cose...»

«Già.» sospirò Benjamin. «Allora rimaniamo qui fino all'alba.» disse, «A meno che non smetta prima.» fissò anche lui la finestrella, per poi tornare a guardare Crystal, che lo fissava, pensierosa. «Tutto bene?»

Crystal lo fissò e sospirò rumorosamente, «Secondo te?» domandò fissandosi i piedi nudi, «Non vedo l'ora di arrivare in Canada.» soffiò.

Benjamin si morse le labbra, «Anche io.» disse, «Per questo dobbiamo trovare un auto.» esclamò sporgendosi verso la ragazza.

«Lo so.» disse lei, «Ma rubarla non mi pare il caso, visto che denuncerebbero il furto e potremmo venire arrestati prima di raggiungere il confine dello stato.» notò.

«L'affittiamo.» Benjamin scrollò le spalle, sentendo tutta la stanchezza delle ultime ore scendere su di lui. «O compriamo un mezzo catorcio da qualcuno che vuole solo soldi.»

«E i documenti?» chiese Crystal, prendendo uno delle barrette, la scartò lentamente, «Io qualche soldo per pagare la mia metà d'auto ce l'ho.» disse staccando un pezzo della barretta cereali e cioccolato, «Ma se Erikson dovesse avere una lista con i nostri nomi... siamo fottuti.» concluse infilandosi in bocca il cibo.

«Pensi che abbia i nostri nomi?» domandò Benjamin.

Crystal alzò le spalle, «Forse.» rispose, «Probabile.» disse, «Se li catturano, se ci catturano così facilmente... non è di sicuro per colpa di quelli che fanno la spia.» piegò la testa di lato, osservando e chiedendosi come potesse esserne così sicura. Poi si ricordò che sua nonna aveva il dono della preveggenza.

«Se è così... siamo nella merda.» sospirò Benjamin passandosi una mano sul viso.

«Credi che una persona possa avere due poteri?»

Benjamin fissò Crystal, «In che senso?» domandò.

Lei sospirò. «Nonno era un lupo.» raccontò, «Nonna una veggente.» disse, «Mia madre una lupa...» continuò e si fermò per bere, «Posso avere due poteri?» chiese.

Benjamin la fissò, non sapendo cosa rispondere. «Non lo so, Crystal.» ammise. «Tuo padre era uno di noi?» chiese.

«No, lui era...» scrollò le spalle, «Normale.» disse, «Mio nonno era un lupo purosangue.» raccontò, «Mentre i genitori di mia nonna erano lei lupa e lui veggente.» disse e finì di mangiare la barretta, «Dio, non sono mai stata brava in biologia.» squittì, frustata. Inspirò a fondo, imponendosi di calmarsi, anche se non era facile ma, in una situazione come quella, calma e sangue freddo erano l'ideale. Benjamin rise e Crystal lo guardò, offesa. «Non ridere.» disse.

«Scusa.» disse lui, «È solo che... ti preoccupi della biologia, sul serio?» chiese sorridendo, «Hai finito il liceo, giusto?»

«Ovviamente.» rispose lei. «Volevo un anno sabbatico prima dell'università, poi nonna si è ammalata e quindi...» scrollò le spalle, «E quindi niente college.»

Benjamin smise di sorridere, «Scusa.» sospirò.

«Non preoccuparti.» mormorò lei, «Siamo stanchi.» disse.

«Perché ti interessa?» domandò lui osservandola, fissando gli occhi verdi di lei e i lunghi capelli biondi che le cadevano sulle spalle, le punte che cominciavano ad arricciarsi.

Crystal sospirò, «Così.» disse, «È solo una curiosità.» sospirò e scacciò quei pensieri che avevano iniziato ad affollarsi nella sua mente. «Niente di che.» disse e in quel momento la pioggia iniziò a battere violentemente contro il tetto e le pareti della casupola. «Cosa facciamo?» chiese.

Benjamin si sdraiò sul sacco a pelo e portò le mani alla testa, intrecciando le dita dietro di essa. «Aspettiamo.»

❖.❖.❖

Dawn trattenne l'impulso di urlare e di scaraventare per terra tutto quello che c'era sulla scrivania.

«Signorina Green?»

«Che c'è?» abbaiò lei verso il ragazzo magrissimo e con gli occhiali spessi.

«Sono... sono arrivati i documenti che ha chiesto.» balbettò lui, che si chiamava Thomas ed era il segretario di Dawn da un anno e aveva capito quasi subito che quando lei era arrabbiata — e in quel momento era davvero arrabbiata — bisognava solo dirle o darle quello che aveva chiesto senza ribattere.

Dawn fece un respiro profondo e si avvicinò a lui, gli strappò la cartelletta dalla mani e gli sbatté la porta in faccia.

Gettò il fascicolo sulla scrivania e sbuffò. Nulla stava andando bene. Anzi, stava andando decisamente di merda. Qualcuno aveva trafugato la lista di tutti i Soldier, lista che comprendeva dati personali, indirizzi, abitudini... e l'aveva data a quello stupido di Erikson, che la stava usando per i suoi scopi: catturare tutti quelli che avevano un potere, per ucciderli o farci chissà cosa.

«Idiota.» sibilò sedendosi, infilò la cuffia con l'auricolare e il microfono e compose un numero.

«Brennan.»

«George... dimmi che hai trovato Benjamin Carter.» esclamò Dawn.

«No.» rispose l'uomo dall'altra parte. «Un vicino ha detto che è partito l'altra sera, verso la West Virginia.» disse.

«Merda.» sbottò Dawn. «Non l'hanno preso loro, vero?» domandò.

«No.» sospirò George, «Non ci sono segni di lotta.» assicurò, «Aspetta, Philip ha trovato qualcosa.»

«Okay.» mormorò lei, fissò la tazza di caffè, aprì il secondo cassetto della scrivania, afferrò la bottiglietta di rum e ne versò metà nel caffè, guardò la tazza e versò il verso del liquore, per poi lanciare la bottiglia nel secchio dell'immondizia.

«Okay, Dawn... hanno trovato l'auto di Carter a quattro ore da qui, sugli Appalachi.» disse George, «Il motore è andato.»

«Okay.» ripeté Dawn e bevve un lungo sorso di caffè corretto, «Ci sono tracce? TI prego, dimmi che ci sono le sue impronte!»

George sospirò, «Dawn, qui viene giù a secchiate, anche se ci fossero delle tracce dubito che le troveremo quando smetterà di piovere.»

Dawn sospirò e trangugiò un paio di sorsi del caffè corretto, «Dio, quanto vorrei che avessimo un Cercatore.» sospirò.

«Anche io.» disse George, «Ma lo sai che sono rarissimi.» ansimò, «Il temporale.» gemette. «Dawn, noi rimaniamo qui per vedere se troviamo altro.»

«Va bene.» sospirò Dawn, «Chiamami quando ci sono novità, e state attenti.» disse, «Se ci sono problemi, tu e Philip tornate subito qui. Immediatamente.» aggiunse — riferendosi al potere di Philip: aveva il dono del teletrasporto — e riattaccò. Bevve un altro sorso e compose un altro numero.

«Nick Bennet.»

«Hai trovato Crystal?» chiese Dawn.

«No.»

«Maledizione!» strillò Dawn e inspirò a fondo. «Idee su dove sia?»

«Mancano i suoi effetti personali, la cassaforte è vuota, così come il frigo.» disse Nick, «Sulla porta c'è un biglietto per il lattaio, con scritto che starà via per qualche settimana, insieme ai soldi della settimana.»

«Quindi è andata via volontariamente.» borbottò Dawn.

«A quanto pare sì.» esclamò Nick.

«Speriamo che si ricordi della sede canadese...» sospirò Dawn.

«Già.» disse Nick, «Ti aggiorno più tardi.»

Dawn sospirò e mandò giù un altro sorso di caffè, poi compose un altro numero.

«Kat Brennan.»

«Marie-Anne?» domandò Dawn.

«Andata.» rispose la ragazza, la sorella minore di George. «La sua auto non c'è.» disse.

«Anche lei?» sbuffò Dawn e si passò una mano fra i capelli biondi e mossi. «Sicuri che se ne sia andata di sua volontà?»

«Certo.» rispose Kat, «Una vicina mi ha detto che andava verso nord.» disse, «È partita venerdì sera, al tramonto.» aggiunse, «La vecchia pensava che fossi una di Erikson e mi ha chiesto le duemila cocuzze.»

«E tu che le hai detto?» chiese Dawn.

«Che sono delle tasse e che ero qui per un controllo...» ridacchiò Kat, «Non ho mai visto una con il deambulatore correre più veloce di lei!»

Nonostante la stanchezza, la rabbia, le mille responsabilità, Dawn sorrise. «Okay,» esclamò «Aggiornami.» disse e chiuse la comunicazione. Sospirò e chiuse gli occhi, si toccò l'anello all'anulare sinistro e si domandò dove si fosse cacciato Steven, il suo fidanzato. Con un gemito si sfiorò la fronte, scostando i capelli biondi dal viso. Era una settimana che non dormiva decentemente, troppo presa da quell'assurda situazione. Sapeva di trattare male chiunque, sopratutto Thomas; si disse che avrebbe dovuto dargli un generoso bonus, una volta trovata la talpa.

Bevve ancora e si leccò le labbra, fissando le pareti del suo ufficio, ricoperti da attestati e premi. Era una delle Soldier migliori, un livello Cinque-B e ci era arrivata dopo aver combattuto e rischiato la vita diverse volte. Con un gemito si alzò, portò le mani ai reni ed espirò, gli occhi all'orologio. Erano quasi le sei del pomeriggio e doveva ancora fare un sacco di telefonate. Ma prima, prima doveva trovare Steven.

Arrivò all'ufficio dell'uomo, poco lontano dal suo e lo trovò lì. Era seduto sulla comodo e costosa poltrona della scrivania, parlottava al telefono con qualcuno. «Sto facendo il possibile...» mormorò Steven.

«Steve.» mormorò lei. In un altro momento avrebbe aspettato che Steven concludesse la telefonate ma in quel momento desiderava solo essere stretta fra le sue braccia. «Steve.» ripeté.

Lui si girò e la fissò, «Lo farò.» disse al telefono, «Ci sentiamo.» aggiunse e posò la cornetta sul corpo centrale del telefono. «Washington.» sorrise, «Tutto bene?»

Lei sospirò e si avvicinò a lui. «Non chiamarmi così.» squittì.

«E tu dimmi che cos'hai.» replicò lui e l'attrasse a sé, facendola sedere sulle sue gambe.

«Sono preoccupata.» ammise lei, «Stanca.» continuò, «Distrutta.» mormorò appoggiando la testa alla spalla di lui e inspirando il profumo del suo fidanzato. «Ho voglia di spaccare il culo a Erikson.»

Steven le sfiorò i capelli, «Andrà tutto bene, vedrai.» soffiò.

Dawn chiuse gli occhi mentre lui le massaggiava la schiena. «Lo spero.» disse, «Con chi parlavi?» domandò sfiorandogli le labbra con l'indice e il medio della mano sinistra.

«Con Carlson.» rispose lui, riferendosi a uno dei loro capi.

Dawn annuì, «Okay.» disse.

«Hai mangiato, Washington?» chiese Steven, facendo sbuffare Dawn. «Devi mangiare.» disse, «Dai,» le baciò la fronte «andiamo.»

Dawn sospirò, sapendo che Steven aveva ragione. Erano giorni che non faceva un pasto decente. «Andiamo.» disse e si alzò in piedi.

❖.❖.❖

Erano ormai due ore che viaggiavano sotto quella pioggia scrosciante, con Erik che non superava le venti miglia orarie e tutto perché aveva deciso di percorre una strada praticamente dissestata, dove l'asfalto aveva ceduto in più punti, creando buche più o meno profonde. Marie-Anne sbuffò, posando il capo sul poggia testa della Lexus IS EX30. Pensò che Erik fosse ricco, perché quell'auto aveva gli interni in acero e i sedili in pelle. Un auto molto costosa, differente dalla sua Volvo di quindici anni.

«Dove siamo?» domandò.

«Montery.» rispose Samuel levandosi gli occhiali per pulirli, piantando i suoi occhi castani in quelli di Marie-Anne, dello stesso colore. Solo che quelli del giovane sembravano schiarirsi e scurirsi senza una logica.

«E poi dove andiamo?» chiese, ripetendosi che lasciare la route ottantuno era stata una pessima idea.

«Siamo un una ventina di miglia dalla West Virginia.» rispose Erik, lo sguardo fisso sulla strada. «Poi andiamo verso Franklin.»

«Io penso che dovremo prendere un'interstatale.» borbottò Marie-Anne.

«E io penso che sono un Cercatore, una specie di navigatore umano, che trova quello che vuole. E la strada da fare è questa.» replicò Erik. «Scusa, è che questa situazione mi esaspera.» sospirò e tornò a concentrarsi alla guida. Non lo avrebbe mai detto — non ancora, almeno — ma una volta in West Virginia sarebbe andato verso sud, verso Lewisburg, dove era sicuro di trovare una persona — o erano due? — come lui, dei Soldier. Ma la cosa più importante era che lui, quella persona, la conosceva.

L'auto si fermò dolcemente e Kathy si riscosse dal suo torpore con uno sbadiglio. «Dove siamo?» chiese.

«In mezzo al nulla.» ringhiò Marie-Anne.

«Dieci miglia a ovest di Montery.» rispose Erik fissando il motel davanti a loro. Aveva l'aspetto squallido, uno di quei motel usati in particolare dalle prostitute e i loro clienti ma era pur sempre un riparo. «Scendiamo.» disse.

Marie-Anne sospirò, irritata. Non voleva fermarsi in quel posto, ma era stanca di stare seduta e doveva andare in bagno. Erik spostò l'auto, parcheggiandola sotto una tettoia. Scesero e presero le loro cose.

«Due camere.» esclamò Erik, recuperando una sigaretta dallo zaino, «Meglio se vicini e comunicanti.» disse e aspirò la prima boccata.

«Due camere?» squittì Marie-Anne, «Ma...»

«Di solito hanno due letti gemelli.» Erik scrollò le spalle, «Non attenterò alle tue virtù, tranquilla.» disse dopo essersi voltato, sorrise, con quel sorriso un po' sghembo che Marie-Anne aveva visto parecchie volte in quella manciata di ore.

«Va bene.» sospirò la mutaforma, osservando Samuel abbracciare Kathy e sussurrarle che sarebbe andato tutto bene.

«Stiamo ritornando a casa da una gitarella al fiume, ma piove troppo forte per proseguire.» disse Erik guardandoli tutti quanti. Sapeva di essere carismatico — oltre che affascinate — e sapeva che lo avrebbero ascoltato. «Diremo questo.» aspirò un'altra boccata. «Senza obbiettare.» fissò Marie-Anne e le sorrise, facendola arrossire. Pensò che fosse adorabile, anche se leggermente petulante.

C'era solo una stanza libera, con tre letti. Marie-Anne sbuffò, infastidita dall'idea di condividere il letto e il bagno con altre tre persone, però seguì gli altri tre. La stanza era grande, i tre letti gemelli erano addossati alla parete alla sinistra della porta, intervallati dai comodini, di fronte a loro, contro la parete opposta, c'era un lungo mobile con sopra la tv, un asciugacapelli e una macchina per il caffè americano, con accanto tre bicchieri, tre tazze in ceramica bianca con il logo del motel e una ciotolina con caffè, alcuni tipi di tè e bustine di zucchero.

La porta che conduceva al bagno era proprio di fronte a quella d'ingresso.

«Io e Kathy dividiamo un letto.» esclamò Samuel e scelse quello più lontano dalla porta.

Marie-Anne abbassò le spalle e posò il suo zaino sul letto centrale, mentre Erik si lasciava cadere sull'ultimo. Visto che nessun altro andò in bagno lo fece lei.

Quando tornò nella stanza, vide che Erik non c'era.

«È andato a prendere qualcosa da mangiare.» le rispose Samuel quando chiese dove fosse, «C'è un cinese qua davanti.»

Marie-Anne annuì e si lasciò cadere sul letto, fissando Samuel che sbirciava fuori dalla finestra. «Cosa fai?» gli domandò.

«Copro le spalle a Erik.» rispose Samuel senza voltarsi, scostando appena le tendine giallo chiaro. Marie-Anne non replicò e si voltò, decisa a parlare con Kathy ma la vide entrare in bagno, così si passò le mani fra i capelli, sentendosi improvvisamente stanca. Si stropicciò gli occhi e fissò Samuel, ancora davanti alla finestra. Pensò che fosse un ragazzino e neppure troppo carino con quegli enormi occhiali dalla grossa montatura e i capelli neri spettinati. Si domandò come facesse a piacere a Kathy. In quel momento, come se fosse stata richiamata, Kathy uscì dal bagno. «Tesoro, sostituiscimi.» esclamò Samuel voltandosi. «Devo cagare.» disse.

Marie-Anne arricciò il naso e pensò che avrebbe potuto fare a meno di rendere tutti partecipi di quello che doveva fare.

«C'è il deodorante.» esclamò Kathy, «Usalo!» strillò mentre Samuel chiudeva la porta alle sue spalle.

Kathy andò alla finestra e guardò fuori. «Erik è alla casse, sta pagando.» disse.

Marie-Anne si alzò in piedi e la raggiunse, guardò anche lei ma non vide nulla, a parte il ristorante illuminato, le auto nel parcheggio e quelle che sfrecciavano sulle strade. «Non vedo niente.» disse, «Come fai a dirlo?»

Kathy la osservò e sorrise, «Sono una pantera.» disse, «Lo vedo benissimo.» sorrise ancora mentre le sue pupille diventavano come quelle del felino e le iridi si facevano più chiare.

Marie-Anne annuì spaventata e tornò a sedersi.

«Sei a digiuno, eh?» domandò Kathy fissandola. Capiva che, per via del fatto che fosse stata adottata, sapesse così poco del “loro” mondo, ma non riusciva a comprende come mai non avesse approfondito la questione.

«Abbastanza.» ammise Marie-Anne.

«Direi molto.» Kathy distolse lo sguardo e lo puntò fuori dalla finestra. «Erik sta uscendo.» disse. «Quante volte ti sei trasformata?» domandò.

Marie-Anne si strinse nelle spalle, detestando quelle domande, quelle chiacchiere... voleva solo andare sotto le coperte e piangere fino ad addormentarsi. «Un paio.» sospirò.

Kathy spalancò gli occhi, «Un paio?» chiese e sospirò, «Hai bisogno di un corso accelerato.» constatò e, un attimo dopo, Erik aprì la porta, stringendo due sacchetti di carta fra le mani.

«Sam?» chiese il Cercatore.

«Al cesso.» rispose Kathy.

Erik scrollò le spalle e iniziò a dividere il cibo: risotto alla cantonese, involtini primavera e pollo alle mandorle. A Marie-Anne non piaceva molto ma accettò la sua porzione senza dire nulla, aveva fame.

❖.❖.❖

Benjamin fissò Crystal frugare nello zaino, prendere il fornelletto da campeggio, il pentolino e una busta. «Cos'è?» domandò.

«Zuppa.» rispose lei versando l'acqua nel pentolino per poi metterlo sul fornelletto acceso.

«Zuppa?»

Crystal alzò le spalle, «Bhe, mica possiamo andare avanti a barrette.» osservò. «Dovremmo trovare dell'acqua.» constatò fissando la bottiglia vuota.

«Basterà un fiume.» disse Benjamin sistemandosi meglio sul sacco a pelo, «Se ci sono pesci è potabile.» aggiunse. Ormai erano le sette di sera e continuava a piovere — meno di prima, però — «Che gusto è?» indicò la busta che Crystal stava aprendo.

«Asparagi.»

Lui fece una smorfia. «Non mi piace.»

«Ci sono le barrette.» Crystal versò il contenuto della busta nel pentolino e usò un cucchiaio di plastica dura per mescolare.

«No, la mangio, eh.» replicò Benjamin. «È che preferirei una bella lepre arrosto...»

Crystal lo guardò, «Bhe, se la catturi e accendi un falò io la scuoio.»

Benjamin si fermò dal bere l'acqua, «Sai scuoiare una lepre?» starnazzò.

Crystal alzò le spalle, «Sì.» disse, «Me lo ha insegnato mio nonno.» aggiunse girando la zuppa.

Benjamin la fissò, piegando la testa di lato e fissandola alla luce delle due torce — entrambe a dinamo — «Sai scuoiare solo lepri?» chiese, «Spiumi anche polli, galline» continuò «fagiani?» chiese, gli occhi di un azzurro chiarissimo, la pupilla diventata più grande.

Crystal alzò ancora le spalle. «Sì.» rispose, «Non è difficile, eh.» esclamò, «Faccio più fatica a sfilettare una trota.»

Benjamin rise, «Okay.» disse e incrociò le gambe, «Se catturo una lepre la scuoi.» esclamò, «Per il fuoco... hai l'accendino?» chiese.

Crystal annuì, «Ovviamente.» rispose e assaggiò la zuppa di asparagi — anche se era meglio definirla crema — «È pronta.» disse, due bicchieri di plastica, ne prese uno e lo avvolse in un tovagliolo di carta, lo riempì e lo passò a Benjamin, «Scotta.» lo avvertì, poi riempì un bicchiere per sé.

❖.❖.❖

«Sicuro di conoscerla?» bisbigliò Samuel fissando Erik. Erano ancora al motel, chini sull'unico tavolo e fissavano la cartina dello stato.

«Sì.» rispose Erik. «Non so chi sia, però la conosco.» disse, «Fidati.»

Samuel annuì. Conosceva Erik da pochi giorni ma si fidava completamente di lui. E in più era un Cercatore, e quelli erano più rari di una vergine in un bordello. Aveva aiutato lui e Kathy a scappare da quello che sembrava una grossa lince mutante. Non aveva mai visto una lince in North Carolina e, soprattutto, non aveva mai visto una lince come quella: denti che gli ricordavano sciabole affilate e artigli lunghi e spessi. «Okay.» espirò piano. «Basta che poi ce ne andiamo.»

Erik annuì, «Ovviamente.» disse. Sospirò e si stropicciò gli occhi, esausto. «Che te ne sembra?» domandò.

Samuel ci mise un secondo a capire a cosa — chi — si riferisse il suo nuovo amico. Lanciò una breve occhiata a Marie-Anne, che se ne stava sul suo letto, le ginocchia strette al petto e lo sguardo perso nel vuoto. «Petulante.» soffiò guardando Erik, «A tratti infantile.» continuò a bassa voce, «Isterica.» aggiunse, «Verginella casa e chiesa.»

Erik ghignò, «Tu dici?»

Samuel sorrise, «Ogni volta che la guardi diventa rossa come un pomodoro.» mormorò.

Erik alzò le spalle, «È il mio fascino, mio caro Sam.»

Samuel scosse la testa e fissò Kathy che cercava di parlare con Marie-Anne. «A digiuno di tutto.» continuò puntando i suoi occhi scuri in quelli chiari di Erik.

«Potrebbe essere un problema.» sospirò Erik. «Se diventa troppo isterica di' a Kathy di darle una sberla.» mormorò e Samuel annuì. «Esco a fumare.» disse ad alta voce prendendo il pacchetto di sigarette e l'accendino.

«Vengo anche io.» esclamò Samuel.

«Vuoi ricominciare?» sbottò Kathy.

Samuel rise, «Mi pare l'occasione adatta.» disse e seguì Samuel all'esterno della stanza.

Kathy scosse la testa, «Marie-Anne...» sospirò guardando la ragazza rannicchiato sul letto centrale. «Devi smetterla.» sospirò di nuovo.

«Ma perché non mi ascoltate?» pigolò l'altra. «Sono più grande, so cosa faccio.» disse alzando lo sguardo, gli occhi lucidi. Aveva un disperato bisogno di piangere.

«Erik è un Cercatore.» sbuffò Kathy, «Lui trova chiunque e qualsiasi cosa voglia o che abbia perso.» spiegò, «Se lo vuole, può sapere se e dove ci sono posti di blocco che controllano ogni auto.» continuò e si sedette sul letto dell'amica. «In giro si dice che ci sia una lista di tutti i Soldier.» sbottò. «Se ci fermano siamo nella merda.» ringhiò, «Capisci ora perché dobbiamo evitare le interstatali come la peste?»

Marie-Anne annuì, «Ma così arriveremo prima...» tentò.

«E ci ammazzeranno prima.» sospirò Kathy, tolse un elastico nero che aveva al polso e legò i capelli. Inspirò a fondo e guardò Marie-Anne, «Non sai proprio nulla, eh.» sorrise. «Non hai mai incontrato nessuno come noi?»

L'altra scosse la testa, «No.» soffiò. «Non l'ho mai detto a nessuno, neanche a mamma e papà.» confessò. «Credevo di essere un mostro.» pigolò.

Kathy le sorride dolcemente e l'abbracciò, «Andrà tutto bene.» le soffiò.

In quel momento gli altri due rientrarono nella stanza. «Andiamo a dormire.» esclamò Erik gettando sigarette e accendino sul tavolo, «Domani partiamo all'alba.»

❖.❖.❖

Crystal sbadigliò e aprì il sacco a pelo mentre un brivido le attraversava la schiena, si sistemò meglio la felpa, tirandola fino a coprire il sedere. Sentiva lo sguardo di Benjamin su di sé e si chiese quand'era successo che avessero deciso di proseguire quel viaggio insieme. Scivolò nel sacco a pelo e chiuse la cerniera, sospirò e guardò il soffitto.

«Freddo?» domandò Benjamin.

Crystal sospirò e annuì, «Un po'.» ammise, «Ci sono gli spifferi.» disse. «Buona notte.» sbadigliò.

Benjamin la fissò girarsi e dargli le spalle, puntò gli occhi al soffitto e rimase fermo, ad ascoltare la pioggia e gli animali del bosco. Non seppe quanto tempo passò ma a un certo a punto si mise seduto, si tolse la felpa e la stese sopra Crystal, tornò a sdraiarsi e si coprì con il sacco a pelo e si avvicinò ancora di più a lei.

❖.❖.❖

Erikson sorseggiò un bicchiere di vino Beringer Private Reserve Cabernet Sauvignon — il suo preferito, veniva direttamente dalla California — e guardò gli schermi davanti a sé. Nelle gabbie c'erano tutti i Soldier che aveva catturato negli ultimi cinque anni. All'inizio le cose erano andate lentamente, ne prendeva uno ogni tre o quattro mesi ma poi... poi aveva avuto la lista e tutto era andato sempre meglio. Ne aveva trovati a centinaia negli ultimi quattro mesi.

Alcuni li lasciava in vita per qualche settimana e poi li uccideva con un semplicissimo colpo calibro 9. in mezzo agli occhi, altri... altri li trasformava. Li metteva in mano ai suoi scienziati che lavoravano su di lui in tutti i modi possibili, rendendoli quasi invincibili — tranne per loro, potevano ammazzarli quando volevano perché sapevano come fare — per poi mandarli in mezzo alla gente, per convincerli che i Soldier — i mostri, come amava chiamarli — fossero pericolosi.

Il telefono squillò e lui alzò la cornetta. «Sì?»

«La talpa è in viaggio.» disse la voce dall'altra parte.

Erikson sorrise, «Bene.» commentò. «Sei sicuro che lo farà?» domandò. Se la talpa non avesse fatto quello che aveva in mente sarebbe stato inutile.

«Sì.» rispose l'altro, «Sono sicuro. Ne ha bisogno...» sogghignò, «Ha un bisogno disperato di essere qualcuno.»

«Perfetto.» sorrise Erikson e sorseggiò ancora il vino, «Quando lo farà? Quando la talpa lo farà?» chiese. Non avrebbe mai pronunciato il nome della talpa, non si fidava. Anche se aveva un disturbatore di frequenze, quelli dell'FBI, CIA e, sopratutto, quelli del Projeus Institute, potevano intrufolarsi nella sua dimora — anche se era sorvegliata e praticamente inespugnabile — ed era sempre meglio essere previdenti.

«Quando sarà necessario.» rispose l'altro, «Comunque prima del confine con il Canada.» disse.

«Bene.» esclamò Erikson. «Chiamami se ci sono novità.» disse e riattaccò per poi fissare il vecchio telefono — uno di quelli con la ruota per comporre il numero — e sospirò, soddisfatto. Alzò gli occhi mentre prendeva in mano il calice di cristallo e fissò la grossa pendola di legno. Mancavano sei minuti a mezzanotte.

Tutto stava andando secondo i piani.


Okay, ecco qui il primo capitolo, un po' lunghetto - sono più o meno 9k parole, secondo Open Office. Hanno fatto il loro ingresso altri personaggi, compreso il cattivone. Nel prossimo arrivaranno anche gli altri.
Specifico una cosuccia: le info sulle distanze le ho prese basandomi sulle cartine presenti su Wikipedia nelle pagine dei vari stati, usando anche un sito dove basta inserire il nome della città di partenza e quello in arrivo. Poi ho convertito tutto in miglia. Se sbaglio qualcosa non è colpa mia, ecco.
Scusate il ritardo ma mi sono dimenticata di postare. Il prossimo capitolo arrivarà settimana prossima o anche un po' prima, dipende se mi ricordo di postare ahahahah. Non fa ridere, lo so xD il terzo è a buon punto.
E niente, grazie a chi legge, a chi commenta, chi mette la storia in una delle liste.

   
 
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