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Autore: Clakli    21/08/2016    2 recensioni
La storia di Iron Man e Captain America, o meglio la storia vera e senza filtri di Tony e Steve. Dal primissimo incontro e i primi litigi, fino al post Civil War.
Dal testo: "Il capitano Steve Rogers era esattamente come Tony l’aveva immaginato. Certo, in realtà aveva già visto alcune sue foto e alcune pellicole che suo padre conservava gelosamente nel suo laboratorio, eppure la vista di quell’uomo immenso, completamente immobile avvolto nel ghiaccio, lo stupì ugualmente. Non poteva avere più di trent’anni, la sua pelle era perfetta e il suo viso sembrava disegnato. Tony si concesse qualche minuto per osservare in religioso silenzio il suo corpo perfetto e muscoloso, le sue mani strette a pugno alla fine di due braccia possenti abbandonate lungo i fianchi e il suo viso, ancora il suo viso, con la mascella dura ma allo stesso tempo delicata, perfetta, e le sue ciglia bionde che coprivano due occhi che, Tony lo sapeva, erano azzurri come il mare d’estate. I suoi capelli corti erano tirati all’indietro, completamente composti, non fosse stato per un ciuffo ribelle che scendeva sull’ampia fronte giovane."
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota dell'autrice: Aaaaaaaah che bello tornare a postare!!! Dite la verità, vi sono mancata? Perchè voi a me tantissimo! Non posso crederci che è quasi finita...Siamo al penultimo capitolo ma qualcosa mi dice che, nonostante ciò, non ho ancora chiuso del tutto con questa storia, quindi chi sa....magari vi farò una sorpresa un po' più in là :D 
Ora non mi resta che lasciarvi alle mie parole e soprattutto ai bellissimi patati che mi (e ci) fanno battere il cuore così forte! Buona domenica a tutti
Claudia
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Capitolo dodici
I'll find you

 

Il corpo inerme di Tony. Il suo viso insanguinato ed i suoi occhi ambrati, impauriti ed imbarazzati, incapaci di incontrare i suoi come avevano fatto tante altre volte.
Era questa l’immagine che compariva davanti agli occhi di Steve ogni volta che provava a riposarsi un po’, o a dormire. Era passato un mese da quel giorno, e le ultime parole di Tony gli rimbombavano nella testa.
< Quello scudo non è tuo,non lo meriti!> gli aveva urlato dietro il miliardario, e a malincuore Steve aveva dovuto dargli ragione, liberandosi così di quello strumento che era diventato parte del suo corpo, viste le numerose volte che lo aveva accompagnato nelle battaglie più difficili ed anche in quelle più facili.
< Capitano? Steve?> qualcuno lo chiamò, e lui riconobbe immediatamente quella voce.
< Avanti> rispose in un sibilo, sicuro che i muri di carton gesso erano talmente sottili che si sarebbe sentito ugualmente.
Wanda entrò nella stanza con il capo chino e gli occhi arrossati,segno che probabilmente anche lei non aveva dormito molto e che aveva passato la nottata a piangere.
< Ti ho portato la colazione> disse la ragazza, poggiando sul piccolo sgabello accanto al divano della stanza un vassoio con un po’ di pane secco e marmellata.
< Grazie> rispose quindi il capitano, alzandosi da terra e cominciando a fare flessioni sul pavimento.
Wanda sospirò ed uscì dalla stanza.
Dopo la battaglia con Tony, avevano catturato Zemo, soprattutto grazie all’aiuto di T’Challa, il quale si era offerto di ospitare il corpo di Bucky, che aveva deciso di farsi congelare nuovamente fino a quando qualcuno non avesse trovato un modo per liberarlo dal suo asservimento mentale all’Hydra, in Wakanda. Steve si era ritrovato così a dover dire addio un’altra volta ad un pezzo molto importante della sua vita: congelare Bucky voleva dire congelare parte del suo cuore,visto che l’altra metà l’aveva ormai lasciata in quel freddo bunker siberiano. Dopo aver pensato alla sicurezza di Bucky, aveva dovuto pensare a quella dei suoi compagni. Aveva liberato Sam, Wanda, Scott e Clint dal carcere di massima sicurezza in cui il governo li aveva rinchiusi, e non aveva avuto molta resistenza, visto che nè Tony né un altro Avengers che aveva firmato gli accordi si era fatto vivo. Aveva così optato per l’Africa,precisamente per una città di nome Owando, nella Repubblica del Congo, per nascondersi insieme ai suoi compagni, per porli a riparo da possibili attacchi da parte del governo o di chiunque altro, visto che adesso erano tutti latitanti. Dopo una settimana erano stati raggiunti da Natasha, la quale era stata costretta a scappare per aver aiutato Bucky e Steve ad allontanarsi dall’aeroporto di Berlino, permettendo quindi loro di partire per la Siberia.  Avevano trovato una baracca discreta nella periferia della città, e lì erano rimasti per tutti quei giorni, senza vivere più di tanto. Il massimo che avevano fatto per non rendersi totalmente inutili era stato liberare la città da pazzi tiranni che avevano monopolizzato l’acqua,non permettendo alla popolazione di usufruirne liberamente. Ma neanche quella piccola grande vittoria aveva rasserenato gli animi degli Avengers in fuga. Ognuno di loro, infatti, era afflitto per motivi diversi: Wanda per aver abbandonato Visione, Scott perché non poteva tornare da sua figlia, e lo stesso Clint, che era stato costretto ad abbandonare la sua famiglia; Sam era in pena perché avrebbe dato la sua testa per sapere come stava Rhodey:si sentiva tremendamente in colpa per essere stato causa della caduta che gli aveva fatto perdere l’uso delle gambe. Steve, d’altro canto, aveva smesso anche di respirare. Il suo unico pensiero era diventato quel maledetto cellulare, il gemello di quello che ormai un mese prima aveva lasciato a Tony. L’aveva messo nell’unica parte della casa in cui aveva capito che prendesse la linea, e aveva occupato quella parte della baracca costantemente, facendola diventare la sua stanza. Viveva accanto a quel telefono e non se ne separava un attimo, talvolta avendo persino l’impressione che squillasse, tanto era l’attesa che una cosa del genere succedesse per davvero. Non si era aspettato subito la chiamata di Tony: lo conosceva troppo bene ed era consapevole della sua testardaggine e del suo forte orgoglio. Ma alla fine della seconda settimana, Steve ci sperò più intensamente, arrivando persino a chiedersi se il pacco con la lettera e il telefono fosse arrivato effettivamente a destinazione. Ed ora era passato esattamente un mese, e non c’era traccia di Tony da nessuna parte in quel luogo sconosciuto che Steve non avrebbe mai chiamato casa. Prima o poi sarebbe tornato in America, lo sapeva bene, ma non era quello il momento. Dovevano prima far acquietare il governo e l’opinione pubblica, dopodiché si sarebbe avviato personalmente, consegnandosi alla giustizia, per chiedere la liberazione dei suoi compagni in cambio della sua cattura. Era un piano a cui stava pensando già da molto tempo, ma ogni giorno sembrava mettere a punto qualcosa di nuovo. Era sicuro che Tony lo avrebbe aiutato, alla fine. Certo,sarebbe stato riluttante, ma poi avrebbe ceduto, capendo che quella era la cosa giusta da fare:addossarsi le colpe di tutto, magari dicendo di aver circuito i suoi amici,obbligandoli a fare qualcosa che neanche volevano. Non lo sapeva ancora, doveva perfezionare il piano, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per liberarli.
Qualcun altro bussò alla porta della stanza, e così Steve si alzò da terra con l’aiuto di un solo braccio. Infilò una maglia a mezze maniche velocemente ed aprì la porta.
< Devo parlarti> disse Natasha,entrando nella sua stanza senza neanche chiedere il permesso.
Steve ormai era abituato ai suoi modi di fare, quindi non ci fece neanche caso. < Cosa è successo?>
Nat sospirò. < Ho trovato Bruce. Non è lontano da qui, quindi ho pensato che, magari, se sapesse che siamo qui potrebbe aiutarci…>
Steve si morse il labbro. < Immagino che sia inutile che ti chieda come hai fatto a trovarlo> disse.
< Lo sai che sono la miglior spia del pianeta dopo Fury, no?> gli rispose quindi lei, alzando un sopracciglio.
< Non è il caso di coinvolgerlo, Nat. Lo sai come è fatto Bruce, ci aiuterebbe senz’altro, e dopo rimarrebbe coinvolto in qualcosa a cui era riuscito a rimanere estraneo fino ad ora. So che ti manca, manca anche a me, ma non è il caso di coinvolgere altre persone in questa follia> disse a malincuore.
< Sapevo che mi avresti dato questa risposta e, stranamente, sono d’accordo con te. Ma avevo bisogno di qualcun altro oltre Clint che me lo dicesse> sospirò la donna. < Ancora niente?> chiese quindi, indicando il cellulare. Natasha era l’unica che sapeva che Steve stava aspettando quella chiamata da Tony.
< No> sbuffò il capitano, finendo col sedersi su una sedia prendendosi la testa tra le mani. < Vorrei chiamarlo io, Nat. Vorrei davvero ma non ne ho il diritto… Non dopo quello che gli ho fatto> mormorò.
E nuovamente l’immagine di Tony, steso a terra con l’armatura rotta, abbandonato alle sue spalle, tornò a tormentarlo. E così tornò indietro con i ricordi ad un mese prima, quando si era reso conto che tra Tony e Bucky aveva scelto quest’ultimo. Aveva acquisito quella consapevolezza solo alla fine della battaglia, quando aveva recuperato il corpo stanco del suo migliore amico per lasciarne uno altrettanto stanco alle sue spalle. Fino a quel momento l’aveva guidato l’istinto, e quindi con quel gesto, Steve mise in dubbio tutto quello che aveva provato per Tony in quegli anni. Era consapevole di non aver fatto una cosa da poco: lo aveva abbandonato lì, in quello squallido bunker siberiano, e aveva deciso di salvare Bucky. Dopo aveva analizzato la sua scelta con cura, era giunto alla conclusione che non aveva preferito un uomo ad un altro: aveva preferito la famiglia all’amore. Perché era questo quello che i due uomini rappresentavano per lui: Bucky era il suo passato, il suo presente, la sua famiglia, colui il quale ci sarebbe stato sempre e che poteva capirlo come nessuno al mondo, un vero fratello. Ma Tony era ciò che Steve avrebbe voluto nel  suo futuro, con quel suo essere arrogante e i suoi modi bruschi ma allo stesso tempo gentili e i suoi occhi ambrati: era l’amore che Steve aveva ritrovato nella sua vita.  Ed era inutile negarlo ancora, soprattutto a sé stesso: amava Tony, ma lo aveva abbandonato. Giustificò la sua scelta dicendosi che non poteva farne una diversa: si sentiva ancora in colpa per il fatto che Bucky fosse precipitato dal treno, ormai quasi ottant’anni prima, e che lui non aveva avuto la forza per salvarlo, sottomettendolo così ad atroci sofferenze da parte dell’Hydra. Non poteva perdere suo fratello un’altra volta: non avrebbe avuto pace. Ma la pace non era arrivata lo stesso, nonostante quella scelta, perché con la voglia di non perdere una cosa ne aveva persa un’altra, importante allo stesso modo.
< Sai, credo che anche lui sia nelle tue stesse condizioni. Certo, ognuno reagisce a modo suo, ma credo che Tony sia molto più sensibile di quanto voglia apparire> disse la donna,sedendosi sul divano accanto a lui.
Steve annuì pensieroso. < Lo so, Nat. Credo di conoscerlo abbastanza bene da sapere che ci sta malissimo. Avevo promesso a Peggy che mi sarei preso cura di lui, che l’avrei protetto… Così invece mi sembra di aver tradito in una sola volta due delle tre persone più importanti della mia vita>
Nat gli appoggiò una mano sulla spalla, e stava per dire qualcosa, quando qualcun altro bussò nuovamente alla porta della piccola stanza.
< Avanti> rispose quindi la donna.
< Nat? Steve è qui?> chiese Sam, senza però aprire la porta.
< Sono qui, Falcon, entra pure> rispose il capitano.
Sam entrò nella stanza e alzò un sopracciglio malizioso rivolto a Steve. < E’ arrivata Sharon>
Il capitano si alzò e Nat fece lo stesso, uscendo quindi dalla stanza prima che Sam aggiungesse altro.
< Va bene, falla entrare> rispose Steve,lisciandosi distrattamente la maglietta.
Sharon entrò nella stanza e gli si buttò letteralmente tra le braccia. < Ti sono mancata?> gli chiese, premendo poi le sue labbra su quelle del capitano. Quest’ultimo sorrise e rispose al bacio, scostandole i capelli biondi dal collo. < Molto> ammise quindi,chiudendo poi la porta alle sue spalle e adagiandola sul letto.
Non si vedevano da una settimana, e Steve non aveva di certo mentito quando aveva ammesso che la ragazza le era mancata. Purtroppo, però, la mancanza di Sharon era dovuta prettamente ad un bisogno fisico, che Steve aveva deciso di concedersi per colmare in qualche modo il vuoto enorme che provava dentro. Trovava pace in quelle ore in cui facevano l’amore, cercando di dimenticarsi tutto il male che aveva fatto all’unica persona che avrebbe davvero voluto stringere tra le braccia in quei momenti. Sapeva che non si stava comportando da vero gentiluomo, ma alla ragazza sembrava andare bene quel tipo di rapporto. Qualche settimana prima,infatti, in un momento di passione, aveva persino urlato il nome di Tony, guardando poi Sharon con aria imbarazzata. Subito la sua mente aveva lavorato frenetica per cercare una scusa plausibile da dare alla donna, la quale però aveva ignorato la cosa,non affrontando l’argomento. Ciò aveva lasciato Steve confuso e basito, ma aveva preferito non approfondire,sapendo di essere dalla parte del torto.
La donna gli accarezzò il busto con la mano e gli tolse la maglia, bramando con ardore il tocco delle labbra calde del capitano. Quest’ultimo le sorrise dall’alto e cominciò a baciarle il collo scoperto, quando ad un certo punto si immobilizzò a mezz’aria, facendo pressione su un braccio.
< Lo senti anche tu?> chiese quindi dopo qualche secondo, con gli occhi sbarrati.
< Si, c’è un telefono che squilla> rispose la donna, guardandolo stranita.
Steve si alzò di scatto e la prese per un braccio. < Perdonami, Sharon, ma devo rispondere. E’ importante. > disse quindi, scortandola fuori la porta senza neanche aspettare che si rivestisse. La donna lo guardò sconvolta, credeva fosse impazzito, ma lui non se ne curò più di tanto. Si chiuse la porta alle spalle e si diresse verso il cellulare, che ormai era almeno al quinto squillo. Con un sospiro premette il pulsante verde e sentì il suo cuore battere impazzito fino alle orecchie.
< Pronto?> disse, senza neanche guardare il display:era inutile, l’unica persona ad avere quel numero era solo lui.
Dall’altra parte ci fu un silenzio tombale, e Steve si rese conto che invece lui era ancora in affanno,probabilmente facendo sospiri più pesanti del normale.
< Pronto?> ripetè quindi, questa volta con più dolcezza e meno impeto. Ma il silenzio dall’altra parte regnava ancora sovrano,nonostante nessuno attaccasse.
Steve sospirò di nuovo. < Tony…> mormorò, e per un attimo gli sembrò di sentire la persona dall’altra parte della cornetta che tratteneva il fiato.
Fece trascorrere qualche altro secondo, poi non ce la fece più. < Tony, mi manchi> ammise quindi,mentre una lacrima calda solcò il suo viso in maniera involontaria e naturale. Passarono un paio di secondi, e Tony attaccò.
Steve cadde a terra e si appoggiò con la schiena al muro, gli occhi rivolti verso il soffitto e le lacrime che sgorgavano imperterrite sul suo viso. Aveva il cellulare ancora stretto tra le mani,e per un attimo lo guardò disgustato, dandosi dello stupido per non averlo chiamato prima lui. Premette quindi nuovamente sul pulsante verde, ma il telefono dall’altra parte risultò irraggiungibile. Si disperò ancora di più e strinse i denti con forza, chiedendosi se Tony avesse bisogno di aiuto, se stesse bene, se aveva chiamato perché era in difficoltà o solo per sentirlo supplicare, per sentirlo ammettere che aveva fatto una stupidaggine a trattarlo così e a mettere i suoi compagni in pericolo in questo modo. Si chiese se Tony sentisse la sua mancanza almeno la metà di quanto lui sentisse la sua.
La risposta,però, non arrivò per almeno una settimana. Dopo l’atto di coraggio da parte di Tony, adesso Steve appena poteva componeva il suo numero,cercando di parlargli per vedere se effettivamente Tony avesse bisogno di aiuto. Ma il cellulare continuava a risultare irraggiungibile, e più passavano i giorni più la disperazione di Steve aumentava. Si era rinchiuso in stanza e non usciva mai, neanche per mangiare. I compagni erano preoccupati, e provavano a costringerlo a nutrirsi, facendogli regolarmente visita con i piccoli e poveri pasti che riuscivano a racimolare, ma Steve rifiutava il cibo imperterrito, consumando giusto il necessario per non morire di fame. Sapeva che il suo corpo superdotato aveva bisogno di energie e di cibo molto più di un normale corpo umano, ma quella sofferenza fisica che avvertiva alla base dello stomaco gli sembrava un buon compromesso per espiare i suoi peccati. Quando sembrava che avesse ormai raggiunto il culmine della disperazione,successe qualcosa che finalmente ruppe la monotonia di quei giorni.
< Steve! Steve, apri! E’ importante!> sentì urlare Natasha dall’altra parte della porta. Aveva il capo chino appoggiato al ginocchio portato al petto, e il pavimento freddo sotto il suo peso sembrava una magra consolazione in quelle calde giornate africane.
< Lasciami in pace, Nat> rispose quindi,senza alzare lo sguardo.
< Apri, Steve. Riguarda Tony> sussurrò allora Natasha.
Steve si alzò di scatto e spalancò la porta, e appostati sull’uscio vi trovò Sam, Clint, Wanda, Scott e…
< Visione!> esclamò il capitano, sorpreso. < Come… Come ci hai trovati?>
L’androide piegò la testa di lato e osservò il capitano. < Ti trovo dimagrito, Capitano. Non stai mangiando?> chiese, e a Steve quel tono preoccupato detto con la voce di Jarvis riportò indietro nel tempo a dei bei momenti trascorsi a Malibù in compagnia di Tony. Quando vide che Steve non rispondeva, Visione proseguì. < In realtà abbiamo sempre saputo dove vi nascondevate. Il signor Stark non ha smesso mai di controllare i vostri movimenti,soprattutto grazie al telefono che tu gli hai fornito, capitano>
Wanda alzò un sopracciglio sorpreso. < Hai dato un cellulare a Stark? Ma se ha sempre saputo dove eravamo perché non è venuto a prenderci per arrestarci?>
< Tony non l’avrebbe mai fatto> rispose allora Natasha,sicura.
< Che cosa è successo, Visione? Tony ha bisogno d’aiuto?> chiese Steve, preoccupato.
Visione sospirò, e sembrò più umano di chiunque altro in quella stanza. < In realtà non c’è stata una richiesta d’aiuto esplicita. Il fatto è che il signor Stark ha abbandonato il complesso una settimana fa, e da allora risulta completamente irraggiungibile. Abbiamo provato a cercarlo dappertutto, ma è diventato praticamente invisibile>
Steve cominciò a camminare avanti e indietro per la baracca, chiedendo ogni tanto a Visione se avessero controllato in questo, o in quel posto.
< Avete contattato Pepper?> chiese poi.
< La signorina Potts non sente il signor Stark da mesi. Non aveva assolutamente idea di dove fosse, ma ha detto che si metterà anche lei alla sua ricerca.> rispose Visione.
< Pensa, Steve… Dove potrebbe essere?> gli chiese allora Sam, poggiandogli una mano sulla spalla.
Il capitano cercò di focalizzare l’attenzione sui posti in cui era stato con Tony e, all’improvviso, ebbe un’illuminazione.
< Visione, come sei venuto qui?> gli chiese.
< Volando, ovviamente> rispose l’androide.
< Molto bene. Puoi portarmi in America con te? >
< Steve, no! E’ troppo pericoloso!> sbottò Wanda
< Stranamente, sono d’accordo con lei> incalzò Clint.
< Non puoi tornare in America, Steve!> provò a farlo ragionare Sam. < Dì a Visione dove pensi che sia, lo troverà lui>
Solo Natasha sembrava essere d’accordo con lui. Infatti, gli si avvicinò e gli chiese solo: < Starai attento?> Sembrava l’unica capace di capirlo. D’altra parte anche lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per rivedere Bruce, anche solo per dieci minuti, e Steve lo sapeva bene.
< Se ho ragione su dove penso che si sia nascosto, è me che vuole, Nat> sussurrò il capitano,rivolgendosi solo a lei.
< Allora dovresti andare> rispose la donna.
E Steve non se lo fece ripetere due volte.
 
*
 
Il sole stava tramontando lentamente,scomparendo con grazia nel mare tranquillo. Un leggero venticello estivo portava una brezza rassicurante e piacevole sul viso di Steve,accompagnando i suoi capelli corti ancora più dietro. Si tolse le scarpe e i calzini e cominciò a camminare sulla sabbia ancora calda,senza fermarsi. Improvvisamente, poi, vide una sagoma in lontananza in riva al mare. Si avvicinò più velocemente, con il cuore che batteva impazzito nel petto, e per poco non ebbe un mancamento quando si rese conto che aveva ragione: era proprio lui.
Tony era seduto sulla battigia e guardava lontano, verso il mare. Una bottiglia di scotch era abbandonata a qualche metro di distanza dal suo braccio, e i suoi capelli erano spettinati e scomposti, accarezzati dal vento estivo. Portava un paio di occhiali da sole e indossava un jeans e una canotta nera, il suo solito vestiario nei momenti di relax. Aveva le gambe al petto e la testa appoggiata sulle braccia conserte e la spiaggia di Malibù, quella bellissima dove avevano trascorso diversi momenti felici insieme, faceva da contorno ad un momento che Steve si augurò fosse perfetto.
Lo raggiunse con calma, e si fermò quindi a qualche metro di distanza da lui, alle sue spalle. Piegò la testa di lato e sorrise,osservando il profilo imbronciato del miliardario.
< Non ti hanno mai detto che dopo una litigata colossale si deve far pace?> chiese quindi, in un mormorio che arrivò alle orecchie del moro accompagnato dal vento.
Tony si girò di scatto e sollevò gli occhiali sopra la testa, e Steve rimase di pietra quando si rese conto che i suoi occhi erano arrossati e stanchi. Era come se Tony avesse appena smesso di piangere. Si alzò in piedi e cominciò a camminare barcollando, ignorando del tutto il capitano, il quale però lo affiancò prontamente.
< Tony…> mormorò, facendo per afferrargli un braccio.
< NON MI TOCCARE!> urlò il miliardario, gli occhi impauriti e lo sguardo perso. < Sei solo un’altra allucinazione, vattene via, lasciami in pace!> sbottò.
Steve allora si rese conto che molto probabilmente, visto anche l’alito pesante che emanava, Tony fosse ubriaco.
< Cristo santo, Tony…> imprecò Steve,afferrandolo per le braccia prima che questo cadesse con la testa nella sabbia, visto che era appena inciampato su un sasso.
Girò il miliardario tra le sue braccia e fece una smorfia quando se lo ritrovò faccia a faccia: Tony aveva gli occhi socchiusi e sembrava essere svenuto.
< Ci mancava solo questo!> sbottò quindi il capitano. Lo prese senza sforzo in braccio e cominciò ad incamminarsi verso la strada che portava alla villa che Tony aveva fatto ricostruire. Non era grande come quella di prima, ma era comunque decisamente imperiosa, per gli standard del capitano. Con una spallata aprì la porta e non si meravigliò che non fosse chiusa a chiave: quel posto era decisamente lontano da tutto e da tutti, e poi nessuno avrebbe osato scassinare una proprietà di Iron Man. La villa, all’interno, era disposta come quella precedente, anche se più piccola, e quindi non fu difficile per Steve trovare la camera di Tony. Lo adagiò lentamente sul letto e gli tolse poi le scarpe. Avrebbe voluto lasciarlo così, ma Steve era troppo preciso per non sistemarlo a dovere. Decise quindi di cambiarlo, ma se ne pentì praticamente subito, visto che le sue mani tremavano ,mentre con imbarazzo sbottonava lentamente i pantaloni del moro. Glieli tolse con un gesto secco della mano, ignorando i mugugni di Tony, e si dedicò più del dovuto ad osservare le gambe incredibilmente muscolose del miliardario. Scrollò la testa e prese dalla sedia accanto al letto quello che sembrava un pantalone pulito, e con fatica glielo infilò. Tony dormiva profondamente, la testa abbandonata sul cuscino e i palmi delle mani rivolti verso l’alto, mentre la bocca era increspata e socchiusa,così come i suoi occhi ambrati. Steve si morse il labbro, indeciso sul da farsi, ma alla fine optò per scendere al piano di sotto per preparare del caffè, sicuro che sarebbe stata la prima cosa che Tony avrebbe cercato una volta sveglio. Si muoveva per la casa come se ci fosse già stato, ed in effetti sembrava proprio così: quella era solo una miniatura della casa perfetta in cui aveva trascorso quella settimana con Tony, ormai qualche anno prima. Una volta fatto il caffè, lo versò in una tazza con il logo delle Stark Industries e lo portò di sopra. Stava per aprire la camera di Tony, quando una luce proveniente da un’altra stanza attirò la sua attenzione. Si avviò quindi verso quella stanza e vi entrò, e rimase di sasso quando vide ciò che conteneva. Decine di schermi trasmettevano le immagini di Wanda,Scott, Sam, Clint e Natasha in Africa, e sembravano proprio essere live. Sul lato destro della stanza, invece, c’era un tavolino sul quale erano appoggiati la sua lettera,molto probabilmente letta e riletta, visto l’inchiostro sbiadito qua e là e la carta stropicciata, ed il medaglione che Steve aveva regalato a Tony il giorno del suo compleanno, con la sua foto e quella di Pepper.Sfiorò con le dita quel pezzo d’antiquariato e un nodo gli strinse lo stomaco al ricordo della lotta che avevano avuto in Siberia,quando quella catenina era volata via dal collo di Tony, e a strappargliela era stato proprio lui:prima gliel’aveva donata e subito dopo gliel’aveva tolta. Allontanò con tristezza lo sguardo da quel tavolino e si girò a sinistra, dove notò che chiuso in una teca di vetro e perfettamente illuminato, c’era il suo scudo. Steve ricordava che era stato graffiato dalle unghie di vibranio di T’Challa,durante la battaglia di Berlino, e infatti i graffi erano l’unica cosa che rovinavano il suo compagno fedele, la creatura di Howard, che per qualche attimo era stato anche sporco del sangue di suo figlio.
< Allora non era un sogno>
La voce di Tony fu come un’ondata di acqua fredda che lo riportò alla realtà.
Steve si girò ed incontrò i suoi occhi ambrati e non seppe come né perché, ma improvvisamente cominciò a piangere. La tazza di caffè che stringeva ancora in mano cadde,facendosi in mille pezzi, e lui si buttò letteralmente addosso a Tony, abbracciandolo come non aveva mai fatto in vita sua. Lo strinse tra le braccia e non si curò del fatto che Tony non stava corrispondendo la sua stretta, le braccia lungo i fianchi, immobile. Aveva desiderato quel momento per un mese – per non dire da una vita-, pensandoci tutti i momenti del giorno e della notte, e adesso poco importava che fosse l’attimo meno adatto:aveva bisogno di sentirlo, di sapere che Tony stesse bene, di entrare in contatto con quella perfetta pelle abbronzata.
< Cosa… cosa… cosa stai facendo?> chiese quindi Tony, immobile, al suo orecchio.
< Mi sei mancato così tanto!> soffiò Steve,senza sciogliere l’abbraccio.
Sentì Tony scrollare la testa e la pressione delle sue mani sul suo corpo:lo stava allontanando.
< Non saresti dovuto venire qui> disse il miliardario, duro, allontanandosi da Steve. Non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi, piuttosto cominciò a scendere le scale della villa per raggiungere il piano terra. Steve lo raggiunse in un attimo e lo prese per un braccio, ma Tony lo allontanò come scottato. < Come osi toccarmi?> ringhiò, questa volta guardandolo veramente negli occhi.
Steve era traumatizzato: non aveva assolutamente idea di come Tony avrebbe reagito alla sua visita, ma di sicuro quella reazione non prometteva nulla di buono.
< Ero preoccupato per te!> sbottò quindi il capitano. < Sei scappato dal complesso, cazzo! Dopo avermi chiamato sei scomparso… Eravamo tutti in pensiero, ed io… Io…>
 
< Non ne avevi il diritto!> abbaiò allora Tony, ad un palmo di distanza dal suo viso. < Non avevi il diritto di venire qui! Sei un coglione! Hai messo tutti in pericolo! E se adesso decidessi di arrestarti? Posso farlo, sai. Adesso sono a capo dello SHIELD!> spiegò,cattivo.
Steve scrollò la testa. < Avresti potuto farlo prima. Sapevi esattamente dov’ero. Tony, ti prego… Parliamone. Ho bisogno di spiegarti…>
< NON NE AVEVI IL DIRITTO!> urlò Tony, disperato, piazzando un pugno preciso sulla mascella del capitano.
Steve arretrò impreparato e sgranò gli occhi, quando vide Tony in posizione d’attacco, pronto a farsi sotto di nuovo. E un altro pugno non tardò ad arrivare,dritto sull’occhio, annebbiandogli per un attimo la vista. Steve rimase impassibile,senza reagire, guardava Tony confuso e disperato. Il miliardario non era un ottimo combattente nella lotta corpo a corpo, e tutto quello che sapeva gliel’aveva insegnato lui:avrebbe potuto metterlo ko in un secondo. Ma Steve rimase immobile sotto quella pioggia di pugni, schiaffi e calci che ben presto causarono la fuoriuscita di sangue dalle sue labbra piene.
< Reagisci, codardo!> sbottò Tony, fermandosi un attimo per riprendere fiato. < Non mi sembra che ti sia fatto scrupoli, il mese scorso, quando mi hai lasciato solo in Siberia con un braccio fratturato e l’osso del piede rotto!>
< Tony, ti prego…> sussurrò allora Steve.
Ma Tony ricominciò a colpirlo forte, mettendoci tutta la forza che aveva in quei pugni, come se non desiderasse altro se non annientarlo. Ma Steve era troppo forte per lui, e le mani di Tony erano già arrossate e sanguinanti per i troppi pugni dati, e così il capitano si rialzò in piedi e gli catturò i polsi,facendolo arretrare per poi sbatterlo contro il muro.
Tony lo guardò confuso ed in affanno, e ancora una volta i loro occhi fecero l’amore, e l’intensità di quella situazione e il calore del suo corpo premuto contro quello di Tony per tenerlo fermo, annebbiò completamente i sensi del capitano, che si sporse verso la bocca di Tony, catturandola poi con irruenza. Le sue labbra toccarono quelle del miliardario, aprendogli con forza la bocca per esplorarla in tutta la sua grandezza,scontrando con foga la sua lingua con quella di Tony, rincorrendola persino. Steve aveva gli occhi chiusi, ma era sicuro che Tony,invece,fosse ancora sconvolto per quella presa di posizione, visto come reagiva al suo bacio. Sembrava indeciso su cosa fare,fino a quando non si acquietò e cominciò a corrispondere,mentre Steve cominciò a liberargli lentamente i polsi,affondando una mano tra i suoi capelli e l’altra a cingergli il fianco, ancora per imprigionarlo contro il muro. Aprì per un attimo un occhio e notò che Tony si era completamente rilassato e così sorrise sulla sua bocca, allontanandosi con riluttanza da quelle labbra morbide, non prima che Tony gli mordesse il labbro inferiore, facendogli uscire un altro po’ di sangue.
Si guardarono negli occhi fronte contro fronte, ancora in affanno, e Steve pensò di morire: non aveva mai dato un bacio del genere e non riusciva a smettere di sorridere, mentre invece Tony sembrava solamente confuso,le braccia ancora abbandonate lungo i fianchi. Il capitano scrollò la testa e si allontanò di poco da Tony,giusto lo spazio necessario per permettergli di staccarsi dal muro in cui era stato letteralmente scaraventato.
Alzò un sopracciglio e si godette lo spettacolo di un uomo confuso ed arrossato, apparentemente senza parole: finalmente aveva trovato un modo per zittire Tony Stark.
Steve sorrise a quel pensiero ed incrociò le braccia al petto.< Bene. Adesso possiamo parlare?>
 
 
 
 
 
 
  
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