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Autore: Enedhil    25/08/2016    0 recensioni
"Ci sono storie che vengono narrate di Era in Era.
Storie che parlano di coraggio e fratellanza.
Storie che parlano di amicizia.
Storie che parlano d'amore.
E ci sono storie che raccontano di qualcosa troppo intenso e travolgente per essere espresso a parole.
Ricorda questa storia... perché tu ne sei parte."
Ogni anno, Re Elessar narra la propria storia al figlio Eldarion, la notte precedente il suo compleanno. Racconta dei viaggi che ha intrapreso, della speranza e dell'amore incondizionato di due creature immortali che lo hanno aiutato ad affrontare il Destino che gli apparteneva. Ma dopo vent'anni, il giovane principe di Gondor decide che è arrivato anche per lui il momento di seguire i passi del padre e visitare la Terra di Mezzo, andando contro i suoi ordini e cominciando proprio dal regno in cui è convinto di poter trovare quel coraggioso principe delle Verdi Foreste che, fin da fanciullo, ha ammirato attraverso le parole di quella magica storia.
[Seconda storia della serie "Dall'Oscurità Alla Luce"]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aragorn, Eldarion, Legolas, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dall'Oscurità Alla Luce'
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~ 10 ~

“Com'è possibile che impieghi il doppio del tempo a percorrere lo stesso tragitto che solo la scorsa notte hai effettuato in meno di un'ora?” esclamò il Guardiano del Bosco fermandosi ancora una volta ad aspettare il giovane che lo stava seguendo. Si voltò nella sua direzione e mise le mani sui fianchi con un sospiro rassegnato e lo sguardo fisso tra gli alberi dove, ancora, il principe di Gondor stava indugiando. “Devo forse tornare dietro di te e spingerti col mio pugnale ad aumentare il passo?”

“Ci metterei di meno se non dovessi sprecare le forze per rispondere ogni venti passi alla stessa domanda!” ribatté Eldarion alzando la voce con un tono esasperato prima di barcollare nuovamente e cercare un appoggio contro uno degli alti tronchi.
Era ubriaco. Non perdutamente ma quel tanto che bastava per rendere il suo cammino incerto e i suoi movimenti rallentati. Se ne era reso conto una volta sceso a terra, dopo aver percorso senza indugio gli scalini di legno, quasi abilmente rispetto alla sera precedente.
Appoggiati però i piedi sul terreno, aveva iniziato a perdere stabilità e la sua vista gli aveva tirato più di un inganno mentre si addentrava lungo il sentiero di ritorno.
Un cespuglio l'aveva fatto inciampare, un ramo gli aveva improvvisamente interrotto il cammino finendogli in pieno volto, e dei sassi l'avevano fatto quasi cadere rovinosamente nella polvere.
Sì, era ubriaco. Ma non era solo la birra la reale causa del suo stato.
Era ebbro di emozioni intense e violente.. di sensazioni contrastanti e indimenticabili.. di un qualcosa impetuoso e bruciante che gli si era risvegliato nel profondo e, per quanto tentasse con tutte le proprie forze, non riusciva a farlo riassopire.
Così aveva cominciato a costringere la propria mente a pensare ad altro, ad ogni cosa, fuorché quella creatura immortale che lo precedeva di una distanza sempre superiore.. e per un po' ci riusciva.
Pensava a casa propria, a quello che avrebbe dovuto fare quando, prima o poi, sarebbe stato costretto a tornarci. Agli amici che aveva lasciato, forse troppo bruscamente e scortesemente, senza una parola.. ad un'amica, soprattutto, che sicuramente l'avrebbe distrutto a parole, se non anche con le azioni per quel gesto sconsiderato che aveva fatto senza nemmeno avvisarla.
Funzionava, si concentrava su altro e andava avanti, anche se quello sforzo maggiore implicava una minore accortezza nell'equilibrio e la conseguente assenza di movimenti coordinati.
Ma andava bene.. almeno fino a quando quella lontananza necessaria al suo cuore per tenere dei battiti regolari, non veniva nuovamente annullata dall'elfo che, con espressioni sempre più spazientite, si fermava in attesa di essere raggiunto.
Ed allora quei battiti tornavano a farsi rapidi e irregolari, lo stomaco gli si contorceva e il corpo ricominciava ad essere pervaso da una fiamma avvolgente che gli irrigidiva ogni muscolo.
Un solo sguardo di quegli occhi limpidi e profondi, e si sentiva di nuovo preda di un'indefinita sensazione di piacevole e, al tempo stesso, insostenibile calore.
Poi tutto si placava, quando la fonte della sua irrequietezza riprendeva il cammino e lui, volutamente, restava indietro.. ed ogni volta che accadeva, si ripeteva che sarebbe passato, che era solo una reazione causata da ciò che era avvenuto tra gli alti rami di quell'albero, che presto non si sarebbe più sentito in quel modo in sua presenza, che doveva solo darsi il tempo necessario per assimilare i fatti e tornare alla realtà che ora conosceva.
L'unico problema che si stava ponendo, era la durata di questo tempo necessario.

“Non ti porrei la stessa domanda, se ogni venti passi percorressi la distanza concretamente raggiungibile,” gli mormorò Lanthir quando se lo vide passare davanti senza nemmeno un cenno. “I tuoi venti passi sono dieci sul luogo e dieci a incespicare tra le radici!” lo sentì sbuffare con noncuranza e alzò un sopracciglio. “E ringraziami di averti guidato. Se avessi seguito te saremmo ancora nel cuore del Bosco.”

“Grazie!” replicò allora Eldarion alzando le braccia al cielo ma senza accennare a voltarsi. “Grazie di avermi condotto incolume a palazzo, oh acuta e scaltra creatura della Foresta!” proseguì con un tono volutamente ironico. “Grazie per avermi impedito di vagare solo e sperduto tra questi immensi e.. chiaramente pericolosi alberi! Grazie per avermi sostenuto quando...” alzò la voce gesticolando, consapevole che l'elfo, seppur di qualche passo dietro di lui, lo potesse scorgere “...quelle aggressive e... insidiose pietre hanno attentato alla mia regale vita! Grazie per aver arrestato l'irrefrenabile corsa di quel ramo che stava per deturpare il mio volto! Gondor te ne sarà per sempre riconoscente!” si fermò con un lamento, barcollando sui propri piedi quando si accorse di aver raggiunto ormai la montagna. “Ed ora, di grazia... possiamo entrare e mettere fine a questo tormento?” inclinò indietro la testa e guardò le stelle sopra di sé sospirando “Sono stanco e ho fame. Nel mio stomaco non ho altro che una borraccia di birra... per pietà!” e in quel momento si rese conto che il Guardiano del Bosco aveva annullato la distanza e si era messo dietro di lui.. quando sentì la sua voce bisbigliargli all'orecchio con quel tono provocatorio a cui, oramai, doveva abituarsi.

“Mi ringrazi per gesti che non ho compiuto e non per quelli dei quali ti ho reso partecipe,” gli disse Lanthir con un sorrisino divertito per quell'atteggiamento insolito al quale il giovane s'era lasciato andare. “Ad ogni modo, se questa tua accondiscendenza viene dalla birra, stai certo che me ne procurerò dell'altra solo per vedere quale altro tipo di ringraziamento sei capace di offrirmi.” Si lasciò sfuggire una risata e attese di incrociare i suoi occhi, prima di terminare in un sussurro che lasciò le sue labbra lascivamente: “Tu non avrai mai la mia pietà.”

Eldarion rimase immobile a quelle parole, nuovamente ed irrimediabilmente perso in quello sguardo che non era riuscito ad evitare.
Solo quando l'elfo proseguì verso l'entrata, richiuse le palpebre e lasciò entrare l'aria nei polmoni, ripetendosi ancora che doveva solo darsi tempo per abituarsi all'idea. Quelle battute, quelle provocazioni, sarebbero continuate e si sarebbero ripetute ad ogni loro incontro.. doveva solo ignorarle o controbatterle, o almeno tentare di farlo.. perché i brividi lungo la schiena che quelle semplici frasi gli avevano, ancora una volta, causato, lo avvertivano che non sarebbe stato così semplice come credeva.

Superarono il portone e proseguirono lungo i cortili interni, ma fin da subito sul bel viso della creatura eterna, si formò un'espressione vigile e incerta, come se qualcosa, dell'atmosfera attorno a loro, gli provocasse inquietudine.
Rallentò il passo, scrutando con lo sguardo in lontananza, tra i portici di roccia e più in alto, verso i vari livelli di quella fortezza incavata nella montagna come difesa e protezione, ma non disse una parola fino a quando, saliti gli scalini, raggiunsero a loro volta uno dei porticati che dava su un lungo corridoio all'aperto.
“C'è troppo silenzio,” mormorò, avvicinando istintivamente la mano destra ad uno dei lunghi pugnali che, prima di ridiscendere dalla costruzione, si era legato in vita. Cercò di prestare massima attenzione e alle sue orecchie giunsero dei suoni: il passo incerto del principe di Gondor che, fino a quel momento, l'aveva seguito senza ribattere niente, lo scrosciare delle fontane dei giardini, e infine delle voci, concitate ma decise. Ordini da eseguire, compiti da portare a termine, un nemico da scovare, ed allora rilassò di nuovo i muscoli, aggrottando però le sopracciglia incuriosito “È accaduto qualcosa... andiamo!” aumentò di nuovo il passo per dirigersi all'arco che portava all'ala in cui stavano le stanze riservate al giovane. “Credo abbiano scoperto la collocazione delle ombre nella Foresta... devo unirmi a loro!” arrivato però in quel punto, percepì di esserci giunto da solo, così si voltò di scatto, sbottando esasperato: “Eldarion! Adesso!”

Ma il giovane però non aveva badato alle sue parole, perché, da quando avevano risalito i gradini di pietra, il suo sguardo era stato attirato da un angolo lontano, sul lato opposto a quello dove si trovavano. Lungo uno dei corridoi superiori, all'estrema destra dove nemmeno l'attenzione del Guardiano del Bosco era giunta, aveva intravvisto un bagliore, proveniente dalle aperture sulla parete di pietra.. qualcosa che ora gli sembrava simile a un fuoco, rosso e ardente ma al tempo stesso incredibilmente luminoso.. e i suoi occhi azzurri si spalancarono in preda al terrore.
“Un incendio...” lo mormorò incerto al principio, ma poi le sue gambe si mossero quasi con volontà propria e lo fecero indietreggiare fino a tornare alla scalinata. “Un incendio!” lo gridò questa volta e, pur con passo malfermo, ridiscese il più rapidamente possibile i gradini. “Ci sono le stanze di mio padre lassù!”

A quelle parole inizialmente incomprensibili, Lanthir guardò nella direzione indicatagli e presto, troppo presto, nella sua mente si formò l'esatta idea di cosa in realtà stesse accadendo..
“Non è un incendio,” lo bisbigliò tra sé, avanzando lentamente con gli occhi fissi in quel punto lontano come se, nonostante tutto, ancora non si rendesse completamente conto della situazione. Una luce simile ad un astro incandescente, talmente accecante da riuscire a illuminare a giorno l'oscurità della notte più cupa, in grado di innalzarsi verso il cielo come brucianti lingue di fuoco argentato. “Non è...” scosse la testa e respirò profondamente l'aria che pareva essersi fatta più densa “...non è possibile,” terminò in un soffio, restando per un momento in contemplazione di ciò che i suoi occhi eterni potevano scorgere più distintamente rispetto a quelli del compagno.
Quell'unione pericolosa, potente e terribilmente appassionata in grado di mutare lo spazio e il tempo; quell'unione che aveva visto nascere, una notte ormai lontana, celata dalla magia dell'antica Foresta, quell'unione a cui nessuno avrebbe dovuto assistere.
“Eldarion!” gridò il suo nome, cercando di richiamarlo nell'istante stesso in cui si scosse da quei pensieri.

Il principe di Gondor però era ormai sceso nei giardini e stava correndo verso l'altra scalinata che l'avrebbe condotto in quell'ala del palazzo.

Così, dopo aver sospirato, lo rincorse a sua volta e riuscì a raggiungerlo poco prima che si incamminasse lungo i gradini.
Gli afferrò un braccio e lo trascinò quasi violentemente all'indietro, ricevendo in risposta un'occhiata palesemente perplessa e adirata.

“Che stai facendo?” gemette Eldarion, barcollando per qualche momento a causa di quel gesto inaspettato. “Non lo vedi? É scoppiato un incendio! Mio padre può essere nelle sue stanze! Può essere in pericolo!”

“Non è... quello che credi!” ribatté l'elfo trattenendolo facilmente, nonostante il giovane si dibattesse per liberarsi dalla stretta. “Non è un incendio, credimi! Tuo padre sta...” alzò per un breve attimo gli occhi per controllare le proprie parole “...bene. Sta bene, non devi temere per lui!”

“Ma sta succedendo qualcosa lassù! Se lui è là dentro... dobbiamo andare a controllare! Lasciami andare! Devo andare da lui!”

“Non è il caso! Non è in pericolo!”

“Sì invece! Se non è un incendio... cos'è allora?”

Silenzio. Lanthir strinse le labbra, cercando di rimanere impassibile per non tradire nessuna delle emozioni che, inevitabilmente, lo avevano turbato nel vedere e riconoscere quella luce.
Ma l'assenza di una risposta immediata non fece altro che causare un'ansia e una paura maggiore nel principe di Gondor, che riprese a lottare con entrambe le mani per liberarsi.

“Lasciami! Voglio andare da mio padre! Lasciami!”

“Eldarion... ti ho detto che non...”

Le parole del Guardiano vennero però bruscamente interrotte da un violento colpo al viso che lo fece traballare all'indietro di un passo e, per la sorpresa, gli fece allentare la presa sul braccio del giovane, il quale, dopo qualche breve momento di incredulità per aver agito in quel modo avventato, riprese a correre, salendo lungo la scalinata.

Passò il tempo di qualche rapido respiro, e la creatura immortale si voltò su se stessa con gli occhi stretti e la bocca incurvata in un apparente sorrisino irritato. Raggiunse fin troppo rapidamente il suo assalitore lungo i gradini e gli afferrò una caviglia, bloccando all'improvviso la sua corsa.
Quando Eldarion ricadde inevitabilmente in avanti sulla scalinata con un lamento, l'elfo lo trascinò verso di sé per le gambe, costringendolo a voltarsi con la schiena contro la pietra spigolosa.. e questa volta non gli diede nemmeno il tempo di pronunciare una parola.
Si chinò sopra di lui, inginocchiandosi tra le sue gambe divaricate, e gli mise le mani sulle guance per obbligarlo in quella posizione.. e lo guardò.
Fissò gli occhi limpidi, nei quali il tempo proseguiva il suo incedere imperituro, in quelli spalancati e intimoriti del principe di Gondor, e fece quello in cui, la sera precedente, era riuscito senza nemmeno averne l'intenzione.
Lo portò via da quella realtà e lo sospinse in un luogo dove quella tormentata lotta non esisteva.. un luogo sicuro e protetto dove non stava accadendo niente di insolito e dove i pensieri e gli intenti si perdevano, dietro alla maestosità e la forza di un'incessante ed incontaminata natura selvaggia.

Restarono immersi l'uno negli occhi dell'altro per un momento interminabile, durante il quale gli unici lievi movimenti furono quelli delle mani del giovane che, lentamente, si rialzarono a loro volta sul volto del compagno, come se temesse di essere privato troppo presto di quelle sensazioni nelle quali era stato nuovamente catapultato a sua insaputa.

Infine dalle labbra socchiuse dell'elfo uscì un intenso sospiro e le sue palpebre si riabbassarono, quasi stremate da quel gesto che si era sentito spinto a compiere ma che non aveva, in alcun modo, previsto.
E poi la voce debole e insicura di Eldarion, un tono completamente diverso da quello astioso usato solo pochi momenti prima..
“Cosa mi hai fatto? Ero... ancora sotto quella immensa cascata tra gli alberi. Ero...” si interruppe per dare spazio a dei rapidi respiri, e si accorse, spostando leggermente la mano dalla sua guancia, del segno rosso sulla pelle candida che la luce delle fiaccole accese non nascondeva. “Ti ho colpito,” lo sussurrò quasi incredulo e gli sfiorò quel punto con le dita. “Ti ho colpito davvero... non l'ho solo immaginato.”

“É una delle poche cose che non è rimasta solo nella tua mente,” rispose allora Lanthir appoggiando i palmi sullo scalino ai lati della testa del giovane. “E te la farò pagare per questo.” Accennò un sorriso. “Oh, e quanto te la farò pagare!” ma pronunciò quelle parole con un tono meno minaccioso di quanto in realtà volesse fare, come se, ancora una volta, la vista di quel ragazzino insolente e impulsivo sotto di sé, l'avesse disorientato.
Restò immobile, anche se il suo intento era quello di rialzarsi.
E restò immobile anche quando sentì quella debole carezza tremante sulla guancia arrivargli alle labbra e percorrerne il profilo.
Cercò di restare immobile anche quando quelle dita risalirono nuovamente e si spinsero oltre lo zigomo, incerte ma curiose, e tentarono timidamente di sfiorargli l'orecchio. A quel punto serrò le palpebre e, chinando di lato la testa per allontanarsi, afferrò al tempo stesso quella mano e lo tirò, con un movimento fluido, in piedi, davanti a sé.
“Devi tornare nelle tue stanze!”

Solo allora Eldarion si riprese da quello stato di semi incoscienza in cui era caduto e si rese conto di ciò che stava facendo pochi istanti prima.
Sentiva ancora quei morbidi flutti lambirlo ed il rumore incessante, violento e affascinante dell'alta cascata.. e non si era trattenuto dal percorrere quel viso perfetto davanti a sé, quasi fosse una reazione del tutto normale a ciò che aveva appena vissuto.
E aveva percepito la pelle vellutata e calda sotto le dita, come i raggi di quel sole che gli aveva scaldato il corpo mentre era immerso in nell'acqua.
Un calore protettivo e rassicurante, così diverso dalle fiamme che gli avevano percorso la schiena qualche ora prima, quando si trovava sempre sotto a quella creatura avvenente.

Delle fiamme...

All'improvviso spalancò gli occhi e guardò sopra di sé, come se solo in quel preciso istante si fosse ricordato di ciò che stava avvenendo prima che quelle inebrianti sensazioni lo avvolgessero completamente.
Ma nessuna luce ardente rischiarava più quel punto lontano.
Non si diede una spiegazione a riguardo.. non la stava più cercando.. quello che ora bramava conoscere, era quello che aveva nuovamente ed intensamente vissuto.

“Devi parlarmene!” esordì a voce alta, in richiamo all'elfo che già si era voltato con l'intenzione di dirigersi verso la loro meta iniziale. “Te ne prego, non puoi di nuovo fingere che non sia accaduto!”

“Dovrei parlarti di qualcosa che io stesso ancora non mi spiego!”

Udì quella parvenza di risposta, ma quando si rese conto che non avrebbe accennato a rallentare i propri passi, lo rincorse, mettendosi al suo fianco.
“Ti ho parlato del mio dono senza riserve, ora tocca a te! Un segreto per un segreto!”

“È ben lontano dall'essere un segreto,” mormorò a quel punto Lanthir, consapevole di non potersi più tirare indietro. “Per il mio popolo è una capacità che tutti possiedono. Un dono che i Potenti ci hanno riservato per permettere ai nostri spiriti di trovare il riposo e la tranquillità, lontano dalle interferenze del mondo esterno. Tu dormi chiudendo gli occhi?”

“Ah... sì,” ribatté il giovane guardandolo allibito per quella domanda che gli sembrava ovvia.

“Per noi non è così. Non troviamo riposo nel silenzio e nel buio, ma portando il nostro spirito dove può ritrovare la forza che gli appartiene e di conseguenza anche i muscoli e il fisico recuperano il vigore per affrontare le giornate.”

“Non chiudete mai gli occhi? Vi ho visto chiuderli.”

“Sì che li chiudiamo, sciocco Mortale,” sussurrò l'elfo sorridendo però divertito. “Li chiudiamo per un'infinità di ovvie ragioni ma per dormire, solo in rari casi. Solo quando il nostro spirito è talmente stremato e prosciugato da una situazione avvenuta da non potersi rinnovare perdendosi in se stesso, se non con l'assoluta assenza di sensazioni.” Gli lanciò un'occhiata e vide il suo sguardo che vagava tentando di comprendere. “Non pretendere di capire in pochi istanti ciò che ancora, per noi, dopo infinite Ere, non è del tutto esplicabile.” Restò per qualche momento in silenzio, mentre raggiungevano il corridoio che li avrebbe portati alle stanze del giovane, come se cercasse il modo più semplice per continuare. “Ciò che hai vissuto, ciò che io ti ho portato a vivere, è un dono che solo gli Elfi sono in grado di scambiarsi. La condivisione dello spirito con la conseguente possibilità di trovarsi in luoghi che vanno oltre la realtà materiale che si sta vivendo. Ieri notte, inconsapevolmente, lo devo ammettere, il mio spirito ha trovato il tuo in un modo che ancora non so spiegarmi, e l'ha condotto lontano dal dolore fisico che il tuo corpo stava provando per permetterti di sopportarlo senza che venissi annientato.” Scorse poco distante la porta che avrebbero dovuto raggiungere e rallentò il passo per poter terminare. “Questi luoghi sono diversi, da persona a persona. La cascata di cui tu hai parlato, è la rappresentazione in cui il mio spirito ha deciso di mostrarsi e le sensazioni che hai provato, sono quelle che lui stesso era intenzionato a trasmetterti.”

“Quindi... quello che ho visto nei tuoi occhi...” iniziò Eldarion senza però guardarlo, come se temesse di perdersi nuovamente e di riprovare quella piacevole e incantevole sensazione “...sei tu. Quella cascata impetuosa e selvaggia che diventa un tiepido e placido specchio d'acqua, circondata da una foresta verde e lussureggiante... è ciò che in realtà sei... il tuo spirito.”

“Se per te è più facile comprendere in questo modo... sì.”

“E... anche tu hai visto il mio?”

“No, ti ho solo condotto lontano, e per la verità non credo che tu abbia la capacità di fare lo stesso con uno di noi. Il sangue Mezzelfo che scorre nelle tue vene non è sufficientemente potente. Non lo è per un appartenente di quel popolo e non può esserlo per un Mortale che ne possiede solo una parte dentro di sé,” replicò il Guardiano del Bosco, fermandosi davanti alla stanza. “L'unica spiegazione plausibile penso possa essere l'unione di quel sangue con quello antico della stirpe di tuo padre. Insieme ti hanno permesso di possedere questi immensi doni che altrimenti ad un Uomo sarebbero negati per ovvie ragioni.” Si voltò verso di lui in tempo per scorgere un sorrisino compiaciuto sulle sue labbra. “Ma quanto ti ho detto deve bastarti, ragazzino! Non credere che abbia dimenticato il gesto sconsiderato che hai fatto verso di me solo perché ti ho concesso una conoscenza che fino ad ora ti avevo nascosto!” e subito incrociò i suoi occhi preoccupati. “Implorerai pietà quando deciderò di darti la punizione che meriti ed io non te la concederò,” fece un passo verso di lui sussurrando: “Questa volta, dovrai sopportare ogni singola e dolorosa lingua di fuoco che attraverserà il tuo corpo. Griderai, piangerai... e sarà per mano mia. E ricorderai quella sofferenza quando anche solo il minimo pensiero di colpirmi attraverserà di nuovo la tua mente.”

Il principe di Gondor indietreggiò istintivamente fino alla porta e con la mano, alla cieca, la aprì come se cercasse l'unica via di fuga possibile. Ma si fermò all'ingresso quasi non volesse realmente allontanarsi da quella minaccia pronunciata in un modo tale da farla sembrare una promessa di piacevoli e desiderabili momenti.
“Io...” deglutì, e tentò di mostrare quella sicurezza che di certo non aveva “...quando deciderai di punirmi, sai dove trovarmi ma... ora immagino che tu abbia da fare.”

“Se invece non avessi impegni, mi inviteresti ad entrare?”

“Fammi riflettere... dopo quello che mi hai promesso? No!”

Lanthir si lasciò sfuggire una debole risata e percorse quei passi che lo dividevano da lui, fino a mettersi difronte al giovane che lo fissava ancora intimorito. Inclinò la testa, prestando attenzione a non toccare il suo corpo col proprio, e gli mormorò all'orecchio sensualmente:
“Potrei passare la notte con te... e medicarti di nuovo quel braccio.”

“Il mio braccio sta bene,” ribatté Eldarion, chiudendo però gli occhi e stringendo i pugni lungo i fianchi per controllare il cuore che, ancora una volta, aveva ripreso a battergli violentemente nel petto. “È strano che tu non te ne sia ancora accorto.”

“Ed è per questo dunque che non ho altro da fare qui,” gli bisbigliò l'elfo, respirando intensamente quasi volesse ricordare quel profumo fino al momento in cui avrebbe potuto sentirlo di nuovo. “Buonanotte,” e con quella parola, pronunciata debolmente con le labbra premute tra i riccioli scuri, girò su se stesso e si allontanò rapidamente lungo il corridoio, sotto lo sguardo perplesso del giovane, rimasto col respiro rapido e il corpo pervaso da continui fremiti roventi.

 
~ * ~

“Dillo di nuovo,” mormorò debolmente Aragorn, quasi incredulo, sfiorando con la punta delle dita il viso dell'amico sotto di sé.
Si era ritrovato sopra al suo corpo quando quell'esplosione di bruciante luce li aveva totalmente avvolti ma l'intento di allontanarsene, ora che quell'unione si era consumata, nemmeno sfiorava i suoi pensieri.

“Ventidue lunghi anni,” ripeté il principe del Reame Boscoso mentre passava lentamente i palmi lungo la schiena del compagno, fino a raggiungere la curva dei glutei e lì fermarsi, come un confine da non superare. “Ventidue anni sono trascorsi da quando è accaduto ed ora ogni singolo anno sembra essere svanito dietro l'immensità della passione che avvolge la mia anima.” Risalì nuovamente sino alla nuca e gli scostò le ciocche scure che in parte gli celavano il volto. “Sembra non essere passato nemmeno un giorno.”

L'uomo gli sorrise, respirando profondamente per calmare quel cuore che ancora galoppava freneticamente nel suo petto e non poté fare a meno di continuare ad accarezzargli le guance e la fronte, quasi volesse asciugarle dal sudore che ancora le velava.
E rammentò di aver compiuto quel gesto anche poco prima, quando gli occhi blu che lo stavano fissando, ora languidi e calmi, avevano assunto una lucentezza simile ad una fiamma argentata.. in quel momento aveva visto scivolare quelle che gli erano parse delle lacrime solitarie dagli angoli di quegli occhi spalancati. Poi tutto si era fatto indistinto e inconsistente ed aveva perso ogni capacità di razionalizzare gli avvenimenti.
Ora che erano tornati ad essere loro stessi però, non poteva fare a meno di pensare a quanto violentemente intense erano quelle sensazioni e a quanto l'elfo avesse ragione nel sostenere che era un legame estremamente pericoloso.. ma non gli importava.
L'unica cosa che aveva un senso in quel momento, era quella creatura che, a sua volta, lo stava fissando in silenzio.
“Cosa sono i giorni in confronto a questo?” ribatté allora, percorrendogli ancora una volta gli zigomi col dorso delle dita, “Ore che si susseguono una dietro all'altra, ombre che lasciano il posto alle luci... che la sabbia del Tempo freni il suo imperituro scorrere o meno, io resterò qui in questo momento per sempre.” Vide le sue labbra socchiudersi per replicare ma non glielo permise. “La tua pelle è ancora bollente... e il suo candido chiarore è tinto di un evidente rosso scarlatto,” gli sorrise dolcemente. “Come se dei rubini avessero perso il loro prezioso colore sulle tue guance... nemmeno dopo un'intera giornata di corsa ho visto il tuo viso in questo seducente modo.”

“Non di meno lo è il tuo,” sussurrò Legolas rispondendo al sorriso con uno altrettanto tenero. “Il tuo corpo è accalorato come sotto il sole di un torrido pomeriggio in piena estate ed il sudore della passione che ha sconvolto i nostri sensi sta ancora bagnando la tua pelle, unendosi al mio come se fossimo cosparsi di un'introvabile unguento.” Notò l'espressione lievemente imbarazzata del compagno a quelle affermazioni e non poté fare a meno di ridere debolmente prima di continuare. “Oh e quanto preziose e rare in egual misura sono le essenze che hanno inondato i nostri corpi quando il piacere della carne ha preso possesso della ragione?” Sospirò cercando con lo sguardo di placare l'agitazione che aveva visto nascere negli occhi azzurri che ancora lo osservavano stupiti. “Sei ovunque sopra e dentro di me... ed io sono ovunque, sotto e dentro di te.”

Il re di Gondor restò per qualche attimo sbalordito, senza riuscire ad impedire ad un vago senso di inadeguatezza di pervaderlo, ma nonostante ciò, quelle parole gli riaccesero un incontrollabile calore lungo il ventre che gli provocò una nuova ondata di imbarazzo, unita alla consapevolezza di essere ancora completamente adagiato sopra all'amico e che, quella posizione, non avrebbe celato di certo nessuna di quelle evidenti sensazioni. Così tento di uscire da quella situazione accennando un sorriso divertito..
“Sbaglio o... hai detto di nuovo che ho un aspetto orribile... usando però il tuo modo accondiscendente?” sentì l'immediata risata dell'elfo a quelle parole ed allora si fece forza nelle braccia per rialzarsi da lui e stendersi di pancia sul materasso al suo fianco.

“Se avessi voluto dirlo, l'avrei detto!” replicò il principe del Reame Boscoso, tornando però subito serio quando sentì quello spostamento. “No, Estel... resta!” glielo mormorò con un tono quasi sconfortato e istantaneamente gli passò un braccio dietro alle spalle per costringerlo a rimettersi addosso a lui col capo posato sul suo petto. “Ora che i nostri spiriti sono appagati e non bramano all'istante una nuova unione, non privarmi dell'affetto che possiamo scambiarci!”

L'uomo si strinse allora al compagno, cullato dal battito ancora lievemente accelerato del suo cuore ed iniziò a sentire le sue dita tra i capelli, debolmente e distrattamente, come da tempo ormai non accadeva.
“Perdonami... ho solo creduto che... le nostre condizioni...” sospirò “...la mia condizione, ti potesse infastidire. Non sono un elfo che dopo una battaglia con decine di nemici e una... notte di sfrenata passione, è ancora fresco e profumato come una limpida mattina di primavera!” udì la risata calda riecheggiare attraverso il suo petto e sorrise a sua volta. “E non posso nemmeno fingere di non provare una certa vergogna nel restarti vicino con nient'altro che la mia nuda pelle.”

“Quanto pudore inutile, Estel,” gli bisbigliò Legolas scuotendo la testa comunque divertito. “Non ti imbarazza mostrarti ad un semplice amante per una notte ma continui a temere qualcuno che decine di volte ha già osservato senza malizia i doni che i Potenti ti hanno concesso?”

“I... doni?” ripeté titubante e incuriosito l'uomo, provocando una nuova risata nell'amico.

“Il tuo corpo è un dono. La forza nei tuoi muscoli, il vigore nelle tue mani ed il sangue che scorre impetuosamente nelle tue vene.”

“Non hai mai osservato il mio... sangue!”

L'elfo alzò lo sguardo al soffitto e lo strinse a sé teneramente, per poi chinarsi e posargli un dolce bacio sulla fronte.
“Devo continuare?” lo sentì scuotere la testa ed allora aggiunse: “E per quanto riguarda la tua condizione... ti ho toccato quando eri ricoperto di polvere, fango e sangue del nemico più di una volta, credi che un po' di sudore possa intimorirmi?” non attese però una risposta. “Anche se...” avvicinò il viso ai suoi capelli e inspirò profondamente fingendo una lamento disgustato “...odori ancora di sangue di orco!”

A quell'affermazione Aragorn non trattenne a sua volta una risata liberatoria e con le dita iniziò a sfiorargli dolcemente il fianco.
“Ora dovrai sopportarlo perché non ho intenzione di spostarmi da questo punto fino a quando l'alba non mi costringerà a rimettermi in piedi!” sentì quel petto sul quale era coricato alzarsi e abbassarsi lentamente, così proseguì, per allontanare quei pensieri dalla mente di entrambi. “Sai, è... buffo. Quando ci siamo fermati alla costruzione sull'albero, hai detto che non ti sembrava opportuno rischiare di essere attaccati proprio mentre ci soffermavamo ad esprimere l'affetto che ci lega.”

“Sì, lo rammento.”

“Ed è accaduto proprio così! Un attimo prima mi stavi baciando e l'attimo dopo, mi hai salvato la vita.”

“A quanto sembra... questo è il mio Destino.”

“Baciarmi?”

Una debole risata di entrambi.

“Salvarti la vita... sciocco Uomo che non si concede mai la pazienza di farmi terminare una frase!”

“La mia vita è tua,” gli sussurrò il re di Gondor dolcemente. “Dopo tutto questo tempo, non mi appartiene più... è nelle tue mani e non mi importa cosa hai intenzione di farne perché, qualsiasi cosa sia, io la accetterei.”

“Prima mi consegni quella di tuo figlio...” iniziò a quel punto l'elfo, facendo passare la punta delle dita lungo il lato del suo viso che riusciva a raggiungere “...ed ora la tua.” Finse di sospirare. “Ah, cosa devo fare con tutti questi Uomini?”

“Consegna mio figlio ai tuoi istruttori, ai maestri e ai Guardiani, loro lo guideranno... e occupati di me!”

“Sono più di novant'anni che mi occupo di te... e sei ancora qui a lamentarti!” sorrise e spostò lo sguardo verso la fontana d'acqua che aveva ripreso il suo corso naturale dopo quell'evento imprevisto che ne aveva mutato la consistenza. “Cosa devo fare con la mia, invece? Quando il suo scorrere imperituro diviene lento e incostante, ogni volta che viene privata della tua vicinanza.” Strinse le labbra per qualche istante. “Le ore non trascorrono, i giorni non si susseguono, e i mesi diventano ostacoli insormontabili. Invece quando ti ritrovo, quel tempo scorre via tra le mie dita come sabbia troppo fine e inconsistente da trattenere.” Respirò profondamente e terminò in un sussurro rivolto quasi più a se stesso che all'amico: “Cosa devo fare?”

“Non voglio andare.,” mugugnò Aragorn nascondendo per un istante il volto contro l'addome del compagno. “Non voglio ripartire.”

“E costringeresti di nuovo mio padre ad ospitare non solo l'erede al trono degli Uomini, ma anche l'effettivo sovrano di quel regno?”

“Non pensavo di averlo costretto,” replicò allora, consapevole che quella domanda era stata posta solo per riportare il discorso su un argomento diverso, ma non si trattenne dall'esporre comunque quelle sensazioni che lo divoravano. “Tu non ne hai idea... mi metterei a gridare come un fanciullo capriccioso fino a legarmi ad un albero se servisse. Questi pochi giorni sono stati un sogno ad occhi aperti come non ne facevo da tempo.. e il solo pensiero di dovermi svegliare e tornare alla realtà mi fa impazzire!”

“Shh...” tentò di tranquillizzarlo Legolas, stringendolo con forza a sé. “Se servisse, non esiterei ad incatenarti al mio letto, ed io con te ma... sai bene che stiamo parlando di niente. Non proseguiamo oltre con parole che altro non fanno se non rendere l'inevitabile più amaro da sopportare.”

“Dimmi solo che tornerai nell'Ithilien appena ti sarà possibile!” riprese il re di Gondor, rialzandosi leggermente fino a sfiorare con la fronte il suo collo. “Dimmi che sarà la prossima settimana, o il prossimo mese... o quello dopo ancora, ma non che dovrò attenderne altri sei, od un intero anno, perché se così fosse... agli inizi dell'Inverno, quando ritornerò nelle tue Terre per riprendere mio figlio, ti trascinerò via con me!” alzò gli occhi per scorgere il suo viso e vide che stava sorridendo. “E che mi accusino di rapimento, di tradimento, non mi importa... ma tu verrai con me!”

“Mio padre...” cercò di ribattere il principe del Reame Boscoso trattenendo però a stento una risata “...non muoverebbe guerra a Gondor nemmeno se portassi realmente a termine queste tue intenzioni! Salirebbe piuttosto sul suo destriero e verrebbe di persona a Minas Tirith a cercarmi e non si farebbe scrupoli nel mettere in pratica la punizione che può volte era intenzionato ad infliggerti, colpendo più volte quel tuo... aspetta...” si fermò un istante per riflettere “...diceva... quel tuo volto ossuto fino a far svanire la tua espressione impertinente e zittire quella bocca impudente!”

Aragorn si rialzò questa volta, sul gomito e lo guardò sbigottito prima di esclamare
“Tuo padre voleva schiaffeggiarmi e non me l'hai mai detto?”

“Non l'ha mai fatto.”

“No... ma non è questo il punto!”

Legolas si limitò a sorridergli con una finta espressione innocente sul viso, ma all'improvviso lo spinse sul lato e si mise a cavalcioni sopra di lui, premendogli i palmi sul petto.
“Il punto è... che ogni singola volta che giungevi nel mio regno.. ogni singola volta che ancora ci vieni, sei in grado di farmi completamente perdere la ragione, il contegno e tutto ciò che un principe dovrebbe tenere quando cammina per le proprie Terre!” vide il suo sguardo perplesso per quella reazione e continuò: “Non biasimare mio padre per un comportamento che avrebbe invece dovuto tenere con me. Ma come ben sai, darebbe la sua vita piuttosto che alzare una sola mano sul proprio figlio.” Sentì il corpo dell'amico tremare sotto di sé e gli sorrise dolcemente. “Ero io quello che diventava sfrontato, irriverente e sconsiderato quando ti stavo accanto, perché mi sentivo... mi sento libero, mi sento me stesso... e lui ne è consapevole, ma preferisce continuare ad incolpare te per la mia... perdita della ragione e tutto il resto!” gli accarezzò per qualche attimo i pettorali con la punta delle dita ma poi si allungò all'indietro per arrivare alle coperte lasciate ripiegate ai piedi del letto. “Ed ora copriti. L'aria della notte non è calda come fino ad ora ti è sembrata.”

L'uomo restò immobile sotto di lui senza poter fare altro che guardarlo e ascoltarlo mentre dei piacevoli brividi lo attraversavano per quelle deboli carezze. E si rese conto che, in parte, non gli importava quale fosse il suo discorso, gli bastava quella voce e quegli occhi su di sé, quasi non gli servisse altro per andare avanti.
Ma quando l'elfo si piegò all'indietro, non riuscì a controllare il proprio sguardo che, irrimediabilmente scese su quel corpo completamente nudo, seduto come se niente fosse, sulle sue cosce e si lasciò sfuggire un gemito, prima di voltare di scatto la testa e passarsi una mano sulla fronte.
“Non è il...” deglutì e accennò un sorriso nervoso senza controllare i propri pensieri che tornarono prepotentemente alla sera prima, quando un'altra creatura eterna si era concessa a lui in quella posizione. “Non ho.., non sento freddo,” riuscì a terminare quella frase quando ormai era troppo tardi, perché Legolas aveva già rialzato le coperte sopra di loro e si era chinato su di lui, posando gli avambracci ai lati della sua testa. E a quel punto, incrociando i suoi occhi blu che gli parvero ancora bagnati da quella sfumatura argentea, comprese che non aveva compiuto quel gesto per provocazione, ma nella semplice ricerca di quel contatto fisico che era sempre esistito tra loro ma che, da troppo, non si erano potuti concedere.

“Stavi tremando.”

“Non per il freddo. Era per... te,” vide ancora una vaga incertezza nella sua espressione e sorrise sorpreso. “Avanti, non puoi essere davvero così ingenuo da non rendertene conto! La scorsa notte non lo sembravi! La scorsa notte...” lo ripeté, lasciando quella frase in sospeso, sperando che a quel punto l'amico capisse, e dopo un momento infatti vide le labbra dell'elfo socchiudersi in un sospiro stupito.

“Oh...”

“Non dire solo... oh!”

“Cosa dovrei dire? Non posso impedire alla tua mente di pensare a lui quando stai con me.”

“Io non penso a lui.”

“Ed io non sono lui!” replicò l'elfo alzando la voce senza accorgersene, ma subito tentò di nascondere quell'attimo di gelosia che l'aveva colpito con un sorriso. “Per quanto tempo rivedrai la tua notte con Lanthir, dietro ai miei gesti d'affetto?” percepì che stava per rispondere e subito gli mise due dita sulle labbra per impedirglielo. “Io non voglio il tuo corpo, Estel. Se agisco in questo modo con te, se ti resto così tanto vicino da sentire il calore del tuo corpo anche quando è pervaso dal desiderio, non è per semplice lussuria.” Per un attimo ripensò però a come aveva agito nei suoi confronti quando aveva perso il controllo, a come lo aveva aggredito con quel bacio, spinto dalla stessa gelosia che proprio ora aveva riprovato, e a come l'uomo si fosse sottomesso al suo gesto senza respingerlo. Ma allontanò subito quei pensieri, ritenendo quell'accadimento una conseguenza della prolungata distanza che avevano dovuto mantenere i loro spiriti. “Io non agisco così con te per ottenere il tuo corpo. Vorrei che lo comprendessi...” attese in silenzio qualche istante e allontanò la mano dalla sua bocca, aggiungendo però debolmente “...ma tu desideri il mio?”

“No...”

Un bisbiglio appena accennato ed Aragorn rialzò le palpebre che, per un ragione che non riusciva a darsi, aveva istintivamente abbassato nell'udire quella domanda.
“No,” lo ripeté nuovamente con più convinzione, questa volta guardando negli occhi l'amico. “Io non desidero il tuo corpo come desidero il suo, ne sono certo ma...” deglutì e alzò una mano per spostargli dietro l'orecchio una ciocca di capelli che era scivolata sul suo viso “...questa cosa... quello che accade tra di noi in questi momenti, mi confonde... e non posso farci niente perché sono...” sorrise nervosamente “...sono sempre un Uomo, Legolas. Ho degli istinti che non sempre riesco a reprimere. A volte questo corpo reagisce impulsivamente e mi ritrovo a fare pensieri che mai avrebbero attraversato la mia mente in circostanze normali.” Fece scivolare le dita lentamente lungo il suo collo fino a percorrere le curve dei pettorali e poi più in basso, fino all'addome, ed allora vide le labbra del compagno socchiudersi in un sospiro, senza però alterare la posizione che stava continuando a tenere. “Anche adesso, le mie sono solo carezze, e non voglio farti altro che quelle ma...” respirò intensamente “...il corpo su cui sei seduto, sta già andando fuoco! E non so se sia giusto o meno. A volte mi chiedo cosa sto facendo. Se con Lanthir ho un rapporto carnale... e con la mia sposa, con Arwen, con lei ci amiamo, sia fisicamente che mentalmente...” lo guardò intensamente come se cercasse in quello sguardo la risposta “...cos'è quello che faccio con te?”

E Legolas chinò la testa in avanti, allontanando gli occhi da lui e puntandoli in un punto distante come se lui stesso cercasse una spiegazione, un modo razionale per rispondere ad un quesito che più volte si era posto, ma al quale aveva sempre evitato di dare peso. Aveva amici, aveva amanti, ed alcune volte le due cose erano coincise, ma fino a che punto si era spinto con Aragorn? Con quel rapporto talmente travolgente ed intenso che non poteva essere descritto a parole, con quel legame che andava oltre ogni altro vincolo terreno, con quei sentimenti che crescevano a dismisura e sembravano non rallentare mai la loro corsa. Dove era arrivato con lui?

“Non importa.”

Quelle parole lo distrassero all'improvviso dai suoi pensieri, e riportò l'attenzione su di lui, giusto in tempo per vederlo sorridere dolcemente.

“Non ha importanza, Legolas. Non devi rispondermi! Forse è solo un'altra di quelle cose che non può essere descritta con le parole dell'Uomo. Una cosa che va solo guardata, sentita, assaporata e... va vissuta senza farsi domande!”

“Stai iniziando a parlare come un Elfo?”

“La saggezza del tuo popolo è ancora ben lontana da me,” mormorò il re di Gondor, ricominciando a sfiorargli il viso teneramente per dimenticare le altre sensazioni meno innocenti che lo avevano pervaso. “Ma ora che mi ci fai pensare, durante la battaglia, mi è parso di provare una di quelle percezioni che eri solito descrivermi quando mi allenavo con te. Quell'abilità tipica della tua razza di avvertire i movimenti del nemico anche quando è fuori dal tuo campo visivo. Non so se sia stato quello o... solo istinto ma, mentre lottavo, ho visto con i sensi una scia luminosa ripercorrere i contorni delle figure attorno a me, quando non ero nella condizione di vederle... e non mi era mai successo!”

“Oh...”

“Oh... cosa? Dici troppi oh questa notte! Oh, è una cosa buona oppure... oh, non va bene?”

L'elfo aggrottò le sopracciglia, come pensieroso, per un lungo momento, con gli occhi puntati sul viso del compagno ma la mente che vagava di nuovo alla ricerca di spiegazioni che non sapeva come ottenere. Quando però sentì l'uomo picchiettargli con l'indice la fronte come per risvegliarlo da quello stato di apparente torpore in cui era caduto, accennò un sorriso incerto..
“Oh... come: oh, non ho idea di come risponderti!” esclamò. “Non ho mai sentito di Uomini con queste percezioni che sono esclusivamente del mio popolo, ma so bene che mai prima d'ora le avevi avute durante un combattimento e quindi...” respirò intensamente “...posso solo supporre che sia una conseguenza di quello che ci siamo scambiati. La mia luce insieme al potere del tuo sangue, deve aver amplificato i tuoi sensi fino a donarti queste percezioni... ma se sia veramente un dono per un Mortale, o piuttosto un elemento di confusione e distrazione per la tua mente, questo non posso saperlo.”

“Beh, io invece so di certo che mi ha aiutato là fuori! Probabilmente sarei stato colpito se non avessi previsto le azioni di quegli orchi! Devo ammettere che non ne avevo la consapevolezza e quindi non ho potuto sfruttarlo a mio vantaggio ma... forse devo solo imparare a comprenderlo. Devi insegnarmi!”

“Devo... cosa?”

“Devi insegnarmi come utilizzare questa capacità, come fai tu.”

Il principe del Reame Boscoso sorrise divertito e, lentamente, si lasciò scivolare oltre il corpo del compagno, per distendersi sul fianco accanto a lui, continuando però a tenere un braccio sopra al suo petto e il volto adagiato vicino al suo.
“Non è come farti mettere le mani nella giusta posizione su di un arco, Estel,” gli mormorò all'orecchio. “E per la verità, sono oltre mille anni che non mi occupo di questi compiti coi giovani appartenenti al mio popolo, posso non esserne più in grado.”

“Quando sono giunto qui, anche tu partecipavi al mio addestramento... e non sono passati mille anni da allora!”

“Ma, se non ricordo male...” ribatté subito, posando la mano sopra al suo cuore “...non hai mai avuto uno spirito immortale da ascoltare per riuscire ad entrarci in contatto e sviluppare i tuoi sensi. Non ti ho mai addestrato in questo! E ciò che ti sta accadendo ora è insolito. Dovrei parlarne con qualcuno che ha più esperienza di me a riguardo.”

“Parlane con chi più ti aggrada, ma fallo perché vorrei davvero imparare! E quando tornerai nell'Ithilien, mi insegnerai.”

“Non vorrai che vada ora?”

“No!” esclamò all'istante l'uomo con una lieve risata. “Assolutamente no! Hai già preso impegni fino al sorgere del sole!” Fece scivolare il braccio sotto di lui e lo strinse a sé senza incontrare nessuna resistenza da parte sua. “Tu resterai tra le mie braccia e non avrai possibilità di fuga!”

“Non voglio fuggire,” gli sussurrò l'elfo, osservando quel viso vicinissimo al suo. “Non più.”

Aragorn alzò l'altra mano e iniziò ad accarezzargli la guancia teneramente con lo sguardo fisso al soffitto sopra di sé, ma dopo un lungo momento di silenzio, chiuse gli occhi con un profondo respiro, e in quel preciso istante udì di nuovo la voce dell'amico.

“Il mio impegno è restare a guardarti mentre dormi?”

Sorrise e rialzò subito le palpebre prima di ribattere.
“Non dormirò... non mi sento stanco. Ho dentro di me così tanta forza da non chiudere occhio per giorni! Ma anche se fossi stremato, preferirei addormentarmi mentre sono a cavallo piuttosto che perdere anche uno solo di questi attimi.” Sentì la debole risata in risposta e poi di nuovo silenzio.
Un silenzio fatto dai loro respiri lenti e regolari, dai battiti dei loro cuori che continuavano, nonostante tutto, ad essere ancora lievemente accelerati.
E da quegli impercettibili sfioramenti sulla pelle. Dita che si muovevano dolcemente, a volte piano ed altre con più convinzione, alcune con l'intenzione di accarezzare, ed altre ancora, invece, con quella di provocare un piacevole fastidio.
Mentre lo stringeva a sé, senza il bisogno di dire qualcosa, pensò di nuovo a quanto Legolas sembrasse fragile e indifeso in quel momento.. una foglia che poteva essere allontanata dal ramo e sospinta da un luogo all'altro senza che questa abbia le forze per impedirlo.
Invece più sentiva il suo calore contro di sé, più si rendeva conto che quella foglia non era l'elfo, ma lui. Era lui quello a perdere qualsiasi tipo di forza quando veniva obbligatoriamente separato da quel ramo. Era lui che si sentiva fragile e indifeso e che ogni singola volta, si aggrappava disperatamente a quello stesso ramo per non esserne privato.
Poteva fingere con tutti di essere davvero il grande re degli Uomini che era diventato.
Poteva fingere di possedere la determinazione, il coraggio e quella sicurezza che sempre più spesso ostentava a palazzo.
Poteva fingere con Eldarion ed essere il padre deciso ed autoritario che si aspettava.. o con Arwen, ed essere lo sposo amorevole e il sovrano perfetto che aveva sempre visto in lui quando lo guardava negli occhi.
Ma sapeva fin troppo bene che, in realtà, era sempre stato Legolas il suo punto fermo, la sua forza, il suo coraggio, la sua sicurezza.
A volte ancora si stupiva di come poteva essere diventato così dipendente da un'altra persona.
Lui che, per anni, non aveva fatto altro che viaggiare in lungo e in largo per la Terra di Mezzo in solitudine, ma in fin dei conti, non gli importava, perché oramai era certo che, nonostante la lontananza ed il tempo, il suo amico, compagno... o in qualsiasi altro modo avrebbe voluto chiamarlo, ci sarebbe sempre stato.

Legolas, ci sarebbe sempre stato.

Perché forse non serviva un appellativo o una definizione.
Il suo nome.. non serviva altro.
In quel solo nome era racchiusa ogni singola impetuosa ed intensa emozione ed ogni violenta e travolgente sensazione che provava restandogli accanto.
Per quel nome aveva sempre sorriso, aveva pianto, aveva riso, aveva perso il controllo e la ragione.. si era sentito distrutto e perso.. aveva ritrovato la speranza e la passione.. aveva vissuto.
Per quel nome avrebbe dato la vita, se fosse stato necessario.
Per quel solo nome... non per un amico, non per un compagno, non per un amante.
Per Legolas.

 
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