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Autore: _levioosa    27/08/2016    4 recensioni
Post Apocalypse. [Cherik]
Dopo gli avvenimenti di Apocalisse Erik va a trovare Charles nella sua scuola. Ma al suo arrivo non trova il suo amico, bensì un uomo straziato dal dolore, un uomo che proprio Magneto ha creato.
(Dal testo) Il signore dei metalli si avvicinò al centro della stanza parlando: -Sai, qualche volta anche io riesco a leggere la mente delle persone, soprattutto la tua.-
-Ah si?- rispose il professore con disinteresse.
-Si, per esempio ora, stai pensando a me, come prima che entrassi.-
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Due mesi dopo Il Cairo e Apocalisse
 
Erik Lehnsherr, dopo molte riflessioni, decise di andare a vedere di persona come stesse il suo vecchio e più caro amico, Charles Xavier, conosciuto anche come il Professor  X. Erik immaginava che se gli eventi di Cuba avevano distrutto emotivamente Charles, gli eventi più recenti potevano averlo devastato e voleva assicurarsi che il professore non fosse impazzito dal dolore o qualcosa del genere. Se così fosse stato non l’avrebbe abbandonato a se stesso, non questa volta.
Quando Erik arrivò alla scuola per giovani mutanti fu felice di vedere che era abitata da molti ragazzi che giocavano e si rilassavano nel prato enorme, sembravano felici, tutto andava a meraviglia. Se quando era ragazzo fosse esistito un posto del genere l’avrebbe frequentato senza dubbi, magari non sarebbe diventata quella persona che invece era. Attraversò il giardino e salite le scale entrò nel grande edificio. Pur sapendo dove si trovassero le stanze dell’amico cercò prima qualche vecchio conoscente a cui chiedere in che condizioni fosse Charles. Trovò Hank McCoy, in sembianze umane, e fu felice di vederlo. Il giovane mutante, invece, lo guardò diffidente, ma non disse nulla di sgradevole e si limitò a salutarlo.
-Ciao Erik…-
-Sempre ostinato a non mostrarti per quello che sei davvero, eh?- rispose il signore dei metalli scherzando, l’altro fece per ribatterlo, ma lui cambiò immediatamente discorso: -Charles?-
Hank lo guardò storto ma rispose educatamente: -è  di sopra, nelle sue stanze, non sta tanto bene- fece una pausa, ma riprese immediatamente quando l’altro sgranò gli occhi preoccupato, -Ha solo un pò di febbre, una normalissima influenza, tutto qui.-
Erik si tranquillizzò, sembrava che stesse bene dopotutto, -Posso andare a salutarlo?- chiese.
-Vado ad avvertirlo che sei qui.- rispose Hank.
-Non ce n’è bisogno, gli farò una sorpresa.- disse Magneto salendo i gradini due a due, ben sapendo che il telepate ormai doveva aver percepito la sua presenza, tuttavia non voleva farsi accompagnare da Hank; a tal proposito si fermò a metà della scalinata e si rivolse al dottore: -Come mai non mi hai sbattuto fuori a calci?-
L’altro si voltò: -Vorrei, ma non lo faccio perché nonostante tutto sei suo amico, in ogni caso sono sempre pronto- disse, dileguandosi.
Erik passò davanti alla camera di Charles ma non si fermò, era pieno giorno, quindi sicuramente era nel suo ufficio a leggere un libro, nonostante fosse malato. Entrò nella stanza senza fare il minimo rumore, ma ovviamente il telepate se ne accorse. Charles stava seduto sulla sedia a rotelle a fianco della finestra, il braccio sinistro a penzoloni e quello destro, dal lato della finestra, appoggiato alla sedia, mentre si rigirava una penna tra le dita della mano. Guardava fuori dalla finestra e non si voltò verso Erik quando percepì la sua presenza, ma si limitò soltanto a stringere la mano sinistra in un pugno.
-Cosa vuoi?- chiese il telepate senza voltarsi, con la gola secca, non parlava da quasi un’ora.
-Ciao anche a te Charles- disse l’altro sarcastico.
-Erik-
Il signore dei metalli si avvicinò al centro della stanza parlando: -Sai, qualche volta anche io riesco a leggere la mente delle persone, soprattutto la tua.-
-Ah si?- rispose il professore con disinteresse.
-Si, per esempio ora, stai pensando a me, come prima che entrassi.- rispose azzardoso Erik.
A quel punto Charles si voltò e l’amico non poté fare a meno di trattenere il fiato alla vista di come era conciato il professore: aveva il viso pallido, magro, emaciato, con delle occhiaie leggermente marcate, gli occhi erano arrossati e le iridi, solitamente di un azzurro acceso, ora erano acquose. Erik sperò con tutto se stesso che lo stato emotivo dell’amico non rispecchiasse quello esterno.
-E a cosa sto pensando su di te esattamente?- disse, con un impercettibile tremolio velenoso nella voce.
Magneto abbassò gli occhi, non riuscendo a sostenere il suo sguardo carico di una forte emozione che non riuscì a riconoscere. Odio? Rabbia? Dolore? Tristezza? Non lo sapeva così si limitò a rispondere.
-A quanto sono stato una rovina per te, a quanto mi odi.- disse.
-Io non ti odio. Non ti ho mai odiato.- rispose l’altro con voce ostinata, ma con un’impercettibile nota amichevole.
Erik alzò lo sguardo più fiducioso di se stesso ma si spaventò quando negli occhi del professore balenò un’amara scintilla di dolore, prima che continuasse a parlare, -Piuttosto, ti porto rancore.-
-Mi dispiace Charles, mi dispiace davvero…- disse Erik facendo un passò avanti, ma si arrestò quando negli occhi dell’amico vide rabbia.
-Perché continui a dispiacerti se poi non fai nulla per redimerti?- disse Charles lentamente, con gli occhi umidi, -Anzi, ricadi ancora più in basso, provocando ancora più dolore. Io non ti odio, io ti perdono, l’ho sempre fatto. Ma anche la mia pazienza ha un limite Erik, e arrivato a quel limite non riuscirò a perdonarti neanche volendo.-
-Non voglio arrivare al limite Charles, io ci tengo a te.- disse Erik sincero.
Charles a queste parole voleva rispondere con tutta la rabbia che aveva in corpo, voleva urlargli contro tutto il dolore, ricordargli tutto quello che gli aveva portato via, tutta la pace e la libertà che ora non aveva più per colpa sua. Voleva supplicarlo di lasciarlo in pace, voleva chiedergli perché aveva fatto tutto quello, perché l’aveva fatto soffrire tanto, fisicamente ma non solo, perché aveva fatto tutto questo quando lui gli aveva offerto amicizia, aiuto e amore. Non lo odiava, non voleva dirgli questo, la sua era una supplica e un grande bisogno di sapere. Ma non disse niente di tutto questo, con voce bassa e calma gli ripeté una frase che gli aveva già detto 10 anni prima su un aereo, caricandola di dolore e di antica supplica.
-Tu mi hai abbandonato.-
Erik che lo stava guardando abbassò lo sguardo, con gli occhi umidi, mentre l’altro già piangeva poche ma dolorose lacrime. Il signore dei metalli voleva rispondere come aveva fatto la prima volta che Charles gli disse quelle parole, ma se in quell’occasione non aveva capito la sua sofferenza e lo aveva soltanto attaccato dandogli la colpa, questa volta non si sarebbe comportato così. Lo avrebbe sostenuto.
-Hai ragione e…mi dispiace.- disse ancora con gli occhi bassi.
Charles in tutta risposta sbuffò. Ormai queste parole non avevano il loro vero significato, non dette da Erik, che gliele aveva ripetute tante volte per poi ripetere l’errore e ripetere nuovamente la stessa identica frase, “mi dispiace”.
Ti dispiace di cosa, Erik? Di avermi tolto quello che era mio? Di avermi tolto la libertà di camminare? Di avermi tradito dopo quello che ho fatto per te? Di avermi portato via mia sorella? Di esserti presentato nella mia vita per poi distruggermi? Di avermi consegnato nelle mani di un mostro? Di avermi deluso? Di cosa ti dispiace Erik? DI COSA?    
Questo era quello che pensava, quello che voleva chiedergli, ma non disse niente, rimase zitto, parlando solo con gli occhi pieni di emozioni che non sarebbe riuscito a descrivere a parole. In un attimo a Charles venne voglia solo di piangere, di sfogarsi, quanto lo desiderava, scaricare tutto quel dolore, la rabbia e la frustrazione che da tanto teneva dentro e che si era accumulata con gli anni. Le lacrime minacciarono di distruggere la maschera da uomo forte e arrabbiato che aveva, stava lottando con tutto se stesso per non farle uscire, per non mostrarsi debole e sofferente come in realtà era. Così un po’ per nascondersi e un po’ perché sentiva la gola arida attraversò in silenzio la stanza per raggiungere l’anta dove erano ordinatamente ritirate tante bottiglie.
Erik lo guardò, e dopo un interminabile silenzio chiese quello per qui era venuto: -Come stai Charles?- chiese, come una supplica.
-Ho solo un’influenza.- disse l’altro, versandosi da bere in un bicchiere.
-Non è quello che intendevo.- rispose paziente Erik.
La risposta di Charles arrivò veloce e secca, a chiudere il discorso: -Ma è quello che ti ho risposto.-
Ti prego Charles, parlami, cosa ti tormenta? Lascia che ti aiuti. Permettimi di aiutarti come tu hai fatto con me tanti anni fa. Possiamo affrontare tutto insieme, fidati, per un ultima volta fidati di me.
Erik non disse niente, abbassò gli occhi, non sapeva più cosa fare o cosa dire. Con quella frase secca Charles lo aveva congedato, ma lui non voleva andarsene. Nella stanza regnò il silenzio, Magneto si avvicinò alla finestra e vide tanti giovani della sua razza, mutanti, giocare, e non poté fare a meno di sorridere al pensiero che tutto quello lo aveva fatto Charles Xavier da solo, aveva realizzato il suo sogno e aveva dato una casa a tanti giovani spaventati quanto lo erano loro due nelle rispettive infanzie, aveva dato speranza a quelle giovani anime, le aveva aiutate. Ma in quel momento, per un motivo oscuro a Erik, il famigerato Professor X non voleva farsi aiutare. Perché poi?
Lo fai per orgoglio? Non vuoi mostrarti debole? O forse lo fai a causa mia? Hai paura che ti ferisca ancora? Non potrei mai farlo amico mio. Anche se in passato l’ho fatto non era mia intenzione e mi dispiace, lo so che non vuoi sentirmi dire così, ma è vero.
Erik sapeva che l’amico non gli stava leggendo nella mente, ma in quel momento desiderava ardentemente che lo facesse.
-Fai ancora conferenze in mezzo agli umani sulla possibilità di pace tra noi e loro?- chiese il signore dei metalli, per rompere il ghiaccio.
La risposta del telepate arrivò tardi e molto silenziosa, triste: -No.-
-Come mai?-
Charles non rispose, e dopo poco un dubbio serpeggiò nella testa di Magneto: -Charles, sei mai uscito da questo posto dopo Il Cairo?- chiese preoccupato.
Il professore in tutta riposta ripose la bottiglia che aveva preso in precedenza nell’anta e la chiuse, per poi dirigersi allo scaffale dei libri, evitando accuratamente lo sguardo dell’altro mutante. Erik lo guardò disperato, chiedendosi per quale motivo Charles si stesse chiudendo così tanto in se stesso e tornò a guardare fuori dalla finestra pensieroso.
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dal tonfo di libri che cadevano. Si voltò e vide Charles intento a raccogliere i libri che erano caduti durante il suo tentativo di prenderne uno.
-Dannazione!- disse il professore tra i denti mentre un libro che aveva faticosamente raccolto da terra abbassandosi dalla posizione a cui era costretto gli cadde dalle mani. Erik corse in suo aiuto, raccolse i libri restanti e li porse al proprietario. Quando Charles alzò lo sguardo per prendere i libri che gli venivano offerti Erik si spavento nel constatare che gli occhi dell’amico, se possibile, erano più arrossati di prima, mentre un’ultima lacrima solitaria solcava quelle guance naturalmente rosee ma ora magre, secche e rigate dalle lacrime.
Prima che Erik potesse dire qualcosa Charles cominciò a parlare con rabbia e dolore, mentre gli occhi gli si riempivano ancora di nuove calde lacrime.
-Tu mi hai ferito, abbandonato, ferito nuovamente per poi abbandonarmi una seconda volta, e poi lo hai rifatto, mi hai ferito ancora e mi hai abbandonato- disse, con voce strozzata, -Mi chiedi come sto e se sono uscito di casa dopo…dopo quello che è successo. Si, una volta sola sono uscito, e non ci voglio più tornare in mezzo a quell’inferno di persone- disse tremando, indicando la finestra, -No, non è per quello che pensi tu, non è perché hanno paura di me. Il contrario, mi commiserano, commiserano la mia situazione di giovane uomo costretto alla sedia a rotelle e senza capelli. Mi considerano malato, mi etichettano come un morente. Sono uscito una volta sola, per dare una conferenza, e anche in mezzo a tanti intellettuali sono stato trattato come un malato, un reietto, una persona che sta cercando di fare pazzie nel poco tempo che gli resta da vivere. Non sono stato preso sul serio, mi consideravano uno stupido scherzo. Mi commiserano, capisci? I bambini mi indicano e le madri alla mia vista si allontanano trascinando i figli. Donne e uomini mi si avvicinano porgendomi il sorriso che si fa ad un morente. Sento quello che frulla nella loro testa- disse picchiandosi il dito sulla tempia, -“Povero uomo, che vita triste e solitaria”, “Più giovane di me”, “Come fa una donna ad amare una persona conciata così?”, “Spero di non diventare come lui da grande”- disse, citando frasi che aveva sentito leggendo nella mente di quelli che lo avevano guardato quando era uscito, e mostrando a Erik, nella sua mente, l’immagine di una donna, poi di un anziano signore, seguita da una ragazza e infine un bambino, -Sarebbe mille volte meglio se avessero paura di me per la mia mutazione, piuttosto che questo. Non ho una vita normale, capisci Erik? Non posso avere più una vita normale!- Charles si fermò ansimante, sull’orlo della disperazione, si passò una mano sulla testa ormai calva, mentre con l’altra cercava di regolare il respiro tenendola sul petto.
Erik era mortificato, non pensava che la sua situazione potesse farlo soffrire così, non si era mai soffermato sulle conseguenze che quello che aveva fatto lui potevano aver causato a Charles, e capì anche perché. Semplicemente perché non erano capitate a lui. E inoltre a lui non interessava l’essere umano, per lui c’erano solo esseri umani inferiori e mutanti, a cui non importava cosa pensassero gli altri di se stesso, perché lui era superiore. Ma Charles non era così, lui amava l’umanità, amava stare in mezzo a loro come una persona normale. Inoltre Erik sapeva cosa si provava a essere commiserati a causa di un segno indelebile, istintivamente si portò la mano destra sul braccio sinistro, esattamente deve era incisa permanentemente una serie di numeri. Di colpo si ricordò le facce delle persone che avevano visto anche solo di sfuggita quei numeri, e di come lo avevano guardato, commiserandolo. E non poteva minimamente immaginare come la gente guardava e indicava Charles Xavier, un giovane uomo senza capelli e costretto su una sedia a rotelle, accompagnato da studenti prediletti che tutti magari scambiavano per badanti, e magari le persone o i bambini avrebbero voluto chiedergli che malattia avesse. Senza sapere che ad averlo ridotto così non era stata una malattia, bensì il suo migliore amico, Erik Lehnsherr, Magneto, che senza pudore aveva devastato sia fisicamente che mentalmente quel povero corpo che in realtà tanto amava e che qualche volta aveva agognato e desiderato.
Erik osservo triste il volto dell’amico carico di dolore e di rabbia nei suoi confronti, e tramite quegli occhi che tanto amava percepì una parte di discorso che Charles non aveva pronunciato, ma che era implicita: è tutta colpa tua. Tu mi hai ridotto così. Tu mi hai devastato. Tu mi hai distrutto. Sei stato tu la mia vera Apocalisse.
Erik non trovò nulla da dire, tranne le solite parole: -Mi dispiace Charles.-
Il Professor X esplose, non era arrabbiato, la sua era soltanto una supplica, perché non ce la faceva più, non poteva più sopportare quelle parole.
-No! Basta. Basta! BASTA! Sono stufo dei tuoi “Mi dispiace Charles”! Non ce la faccio più! Mi hai distrutto! Dopo quello che ho fatto per te tu mi hai solo distrutto! Mi hai portato via tutto! Mi hai abbandonato!- disse con tutta l’angoscia, la rabbia e il dolore che teneva dentro da vent’anni ormai.
Eccole, le parole che tanto aveva temuto Erik. Non avrebbe voluto sentirle ma erano vere, e non sapeva che altro fare se non dispiacersi. Erik sospirò, non voleva lasciare l’amico in quelle condizioni, ma la richiesta implicita di andarsene lo spingeva ad uscire da quella porta e dall’edificio. Si incamminò lentamente verso la porta chiusa, sperando che Charles dicesse qualcosa, ma non lo fece, e nemmeno lui. Si limitò a camminare piano, aprire la porta e voltarsi mentre la chiudeva. Tenne la mano ferma sulla maniglia della porta chiusa, esitando, non sapendo bene cosa fare, se fare il testardo e restare oppure se andarsene, lasciando Charles al suo destino, abbandonandolo ancora. Da dentro l’ufficio partì un urlo, poi un forte rumore di libri lanciati contro la porta. Erik, spaventato, mollò la presa dalla maniglia e si allontanò di un passo. Poi sentì uno strano rumore, si avvicinò, appoggiando una mano sulla porta e accostando l’orecchio. Un groppo enorme gli si formò in gola: Charles Xavier, il Professor X, stava piangendo, stava piangendo disperatamente calde lacrime di dolore, rabbia, frustrazione e amore. In quel momento Magneto si rese conto di cosa avrebbe dovuto fare per aiutarlo, e gli parve così ovvio, si diede dello stupido, Charles aveva solo bisogno di conforto, sarebbe dovuto restare nella stanza e abbracciarlo, permettergli di sfogarsi, di urlare, avrebbe dovuto raccogliere le sue lacrime e i suoi pezzi, perché Charles era come un vaso, e lui, Erik, lo aveva distrutto, colpo dopo colpo, crepa dopo crepa lo aveva rotto, e avendo paura non era restato per prendere i pezzi e riattaccarli, per rimetterli insieme, li aveva lasciati li, tra la polvere.
L’ultima cosa che Erik vide fu Charles con la testa tra le mani, l’ultima cosa che udì fu il pianto disperato del suo migliore amico devastato per colpa sua. Una lacrima solitaria attraversò la guancia del signore dei metalli, che lentamente uscì dalla scuola per giovani mutanti di Charles Xavier.
 



ANGOLO AUTRICE: Salve a tutti, FERMI FERMI CON I FORCONI! Allora, prima di dire qualcosa lasciate che mi presenti. Sono nuova tra gli autori di EFP, questa è la prima fanfiction che pubblico (in realtà è anche la prima storia che riesco a finire) e ho un po paura, pura che quello che scrivo risulti superficiale, anche se ci metto tutta me stessa. Parlando di questa fanficiton, se l'ho scritta bene e ho dato la giusta idea probabilmente mi starete odiando per l'infelice finale di questa storia, chiedo perdono, ma io sono fatta così: tutte le storie e fanfiction che mi vengono in mente sono molto angst. In ogni caso ho un idea per un possibile sequel di questa fanficiton, ma deve essere sviluppata bene e ho paura di non riuscirci. Quindi, spero di approfondire questa idea ma non vi prometto niente, anche se...
Detto questo vi invito a lasciare dei commenti e delle critiche se ne avete, spero che la mia fanfiction vi sia piaciuta nonostante il finale e vi ringrazio tanto per essere arrivati fin qui <3
Alla prossima!
  _levioosa
 
   
 
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