Capitolo
12
Un silenzio mortale vegliava su di
noi
e il buio era padrone della notte. Nei nostri cuori dominava
inconsciamente
quel gelo che per troppo tempo c’eravamo tenuti dentro, che
per troppo tempo
avevamo tentato di soffocare.
La cosa peggiore di tutta questa
situazione era che purtroppo tutti noi sapevamo a cosa quel cuore
ghiacciato era
dovuto, era bastata una sola telefonata a trasformare quel sogno che
stavo
vivendo in un incubo, dal quale -pensai- non ne sarei uscita.
Guardai la sveglia luminosa alla
mia
destra, erano passate le due, a quella scritta i miei occhi
cominciarono a
riempirsi di lacrime, Tom sarebbe arrivato da lì a sei ore.
In condizioni
normali questo sarebbe stato un grande avvenimento, le lacrime
sarebbero dovute
essere di gioia... cominciai a rimpiangere quel dannato giorno, forse
avremmo
dovuto lasciarlo dov’era, forse avremmo dovuto dimenticarlo.
Almeno non avrei
sofferto.
-Sei sveglia?- la voce di Monia
interruppe i miei pensieri.
-Sì...
Vidi un’ombra alzarsi e
venire verso
di me sedendosi sul mio letto, abbracciandomi.
-È tutto finito...?
Quella fu una domanda che mi
lasciò
muta, solo dopo alcuni secondi risposi.
-No
Secco, deciso, confortante. Direi
quasi un No da lode.
Monia mi guardò
intensamente, penso si
stette trattenendo le lacrime, ma probabilmente mi sbagliavo, lei non piange...
Lei
non piange
...
Lei
non piange
...
Lei...lei
sta piangendo, ed ora sto piangendo anch’io.
La mia risposta era errata, di nuovo.
*
* *
Un inconfondibile rumore di un
clacson
risuonò per tutto il quartiere, quel rumore irritante che ti
ricorda la fila
nell’Aurelia, che ti mette fretta, che ti innervosisce. In
quel momento io
sperai con tutta me stessa di poter ricevere quelle sensazioni, ma i
sentimenti
erano ben altri.
Una tristezza angosciosa avvolse
totalmente il mio corpo ed io non potei far niente per impedirlo.
Restai
semplicemente seduta sul mio letto mentre guardavo quello stupendo
sogno
svanire. Quel sogno dai lisci capelli corvini che in
quell’esatto momento si
stava alzando, vestendo, preparando. Osservai attentamente tutti i suoi
movimenti e, nonostante il fatto che la stanza fosse illuminata
esclusivamente
dalla candida luce della luna, riuscii ad intravedere nel suo falso
sorriso un
retrogusto di... non so, tristezza? Forse. Forse anche malinconia
accompagnata
da un altro sentimento che noi tutti chiamiamo con il nome di rabbia.
Non so perché ho detto
proprio rabbia,
lui sembrava tranquillissimo, ma come ho già detto, Non giudicare un libro dalla copertina.
-Ehy- disse avvicinandosi -
Don't you come to greet me? [Non
vieni a salutarmi?].
In quel momento lo odiai. Aveva
ragione, avrei dovuto salutarlo, ma...ma non ce la facevo.
Lo
amo...devo salutarlo
...
Non
posso
...
Al
diavolo tutto, lo faccio!
-Ok...- dissi quasi piangendo.
I miei fortunatamente dormivano ed
io riuscii
ad uscire di casa senza alcuna fatica. Bill corse a tutta
velocità verso il
cancello, verso la macchina, verso Tom. Dietro di lui una guardia del
corpo
sorvegliava la zona e un inconfondibile David Jost guardava arrabbiato
Bill,
arrabbiato ma amorevole, un po’ come un padre.
Un abbraccio sociale avvolse i
quattro
lasciando me e Monia sul gradino davanti al cancello.
Non
devo piangere, io sono forte.
Non
devo piangere, io resisto.
Non
devo...
Basta, scoppiai. Tutta la
frustrazione, la paura e la rabbia accumulate in questi uscirono, tutte
d’un
fiato, tutte ammucchiate. Finalmente ci notarono.
Il moro preoccupato venne verso di
me,
si sedette sul mio stesso gradino, mi sorrise.
-You go...relly?- chiesi già
consapevole della risposta che non
tardò a venire.
-Yes...
Sentendo pronunciare quella parola
me
ne ricordai. Lo tirai fuori dalla tasca dei jeans tutto impacchettato e
infiocchettato, glielo diedi.
-Wow!
Is it for me?- chiese lui.
Certo
aprilo cretino!
-Yes,
unwrap it! [sì, scartalo].
Tolse delicatamente il fiocchetto,
strappò la carta e... e si commosse. Tra le mani aveva un
bellissimo
braccialetto borchiato con una piccola scritta sopra. You
don't forget us, Camilla and Monia. Sì, si era
commosso.
-Thank
you, really!
Sembrò pensare un
attimo poi indicò
una stella nello scuro cielo notturno, la più luminosa.
-Do
you see it? The star?- mi
chiese.
La mia risposta fu determinata da
un
cenno con la testa.
-Ok, that is my star, but...but I
give
it at you [Ok, quella è la mia
stella, ma...ma
io te la regalo].
Inizialmente non capii bene
perché mi
avesse dovuto regalare una stella e soprattutto come facesse ad averne
una,
fortuna che lui se ne accorse.
-...So
when you will be sad you will wach it and you...will think me... [...Così,
quando sarai triste la guarderai e...penserai a me].
In quel momento mi accorsi che non
se
ne stava veramente andando un sogno, una parte di esso sarebbe rimasto
sempre con
me, stella o meno, diventandone parte.
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E così è terminata la nostra storia, manca solo l'epilogo e potrete finire di commentere, ma per adesso...cotinuate!