Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Nausika    08/09/2016    5 recensioni
Questa Jon/Sansa comincerà da dov'eravamo rimasti. Non sono solita partire a razzo, quindi il loro rapporto crescerà poco alla volta, così da non risultare frettoloso e forzato.
Accennerò anche a cosa stia succedendo negli altri regni, tenendo come base il Nord.
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Strizzò gli occhi, avvicinandosi all’ampio camino guizzante di fiamme vivide, per nulla sorpreso di trovare lei.
«Jon» lo chiamò Sansa, voltandosi a guardarlo.
«Non riesci a dormire?» La voce arrivò alle orecchie della giovane quasi come un sussurro, il tono né alto né basso, modulato nel cuore come se all'improvviso i canali di un ascolto interiore fossero stati sintonizzati sul filo di corde finissime e vibranti.
Lei lo osservò stando in silenzio per alcuni secondi.
«E tu?»
Prese posto su una sedia e increspò appena le labbra in un debole sorriso Jon.
Lei ogni volta girava la frittata con la sua arguzia.
La scoprì a stringere le mani sul mantello che aveva posato sulle spalle.
«Se hai freddo, perché non ti avvicini di più al fuoco?»
«Non è un freddo che si può scaldare con il fuoco quello che sento.»
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Sansa Stark, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Incubi e dubbi


Disteso sull’ampio letto della camera padronale, Jon Snow aprì le palpebre di scatto, mettendosi seduto. Si passò una mano sulla fronte madida di sudore, scostando i capelli neri dagli occhi. I battiti cardiaci accelerati risuonavano nelle sue orecchie con una frenesia pari solo all’ultima rappresaglia che aveva compiuto, quella per riconquistare la sua dimora.
Anche quella notte il suo sonno era stato inquieto.
Si era rigirato più e più volte nel letto e quando finalmente s’era sopito aveva fatto quell’incubo.
Aveva visto i morti oltrepassare i cancelli di Grande Inverno e insinuarsi in ogni anfratto della sua casa, massacrando tutti. I loro occhi impassibili, resi ancor più minacciosi da quel colore irreale e dalle spade al fianco, erano sinonimo di sangue e lacrime.  Aveva combattuto contro di loro con la disperazione di chi preferisce la morte alla resa. Di chi ha ancora qualcosa e qualcuno da proteggere.
Scostò le coperte aggrovigliate attorno alla vita, abbracciando con gli occhi la stanza che lo accoglieva da una settimana. Una camera che mai avrebbe pensato di poter occupare per trovare ristoro. Un luogo che aveva accolto solo i re.

E lui lo era diventato.

Il lupo bianco aveva detto Lord Manderly prima di inchinarsi al suo cospetto, prima di sentire Lord Glover scusarsi per la sua mancanza e vedere tutti i membri delle più grandi casate acclamarlo a gran voce.
Ed era stato tutto merito di quella bambina, di lady Mormont, che nonostante la sua giovinezza aveva affrontato i più grandi Lord del Nord, ammonendoli, per le loro azioni.
Di certo Jon ancora non poteva immaginare che per un bizzarro scherzo del destino, colei che l'aveva sostenuto portasse proprio il nome della sua defunta madre.

Cosa avrebbe pensato suo padre a riguardo di quella proclamazione? 

Per quanto si sforzasse, Jon non poteva immaginare l'approvazione sul volto di Ned Stark. 
Tutta la sua vita aveva sognato di ricevere una sorta di rispetto, ma non d'assumere addirittura quel ruolo. Ogni volta che guardava gli uomini del Nord leggeva nei loro occhi qualcosa di simile al timore. 

Il ricordo della morte di Rickon ancora pendeva su di lui come un lungo sudario scuro, e anche l'essere lì solo con la sua sorellastra, l'unica parente in vita che avesse, lo faceva sentire frustrato, perché non era nemmeno stato in grado di proteggere il suo fratellastro, anzi alla fine s'era ritrovato ad essere salvato dall'aiuto che Sansa a sua insaputa aveva chiesto a Dito Corto.
Rimembrare quell'avvenimento lo urtò ancora una volta.
Dovevano lavorare sulla fiducia reciproca. Forse lei in fondo non aveva preso bene il fatto che fosse lui a regnare...

Era un re, e ancora stentava a realizzarlo davvero, sebbene avesse dato diversi ordini, sebbene tutti si rivolgessero nei suoi confronti con una riverenza pari solo al rispetto che avevano per suo padre. Tutti i signori del Nord che lo festeggiavano erano diventati suoi sudditi, erano divenuti coloro che lo avrebbero protetto fino alla morte.

Si alzò dal letto, ghermendo i suoi abiti. Doveva uscire, aveva bisogno di prendere aria e muoversi.
Nonostante fosse tutto pulito e in ordine, intorno percepiva ancora l’odore del sangue, un odore che pareva chiuderlo in una morsa soffocante, i lineamenti contratti in un’espressione amara.

Quanti altri innocenti sarebbero morti per mano di quegli esseri? Quanti occhi avrebbe visto riflettersi di dolore per poi spegnersi nel nome di un’unica speranza?
Una speranza che portava il suo nome...

Aprì la porta della camera, cominciando ad incedere per i corridoi di Grande Inverno, rivolgendo un cenno col capo alle guardie che sorvegliavano le zone del castello.
Il suo passo era lento, cadenzato.
Aveva mandato due cavalieri alla Cittadella, con l’intenzione di sollecitare Sam ad accelerare i tempi e informarlo sulla sua nuova posizione. Aveva bisogno di avere informazioni sugli Estranei, di sapere cos’altro fosse per loro nocivo, di sapere come mettere al sicuro donne e bambini da quella battaglia.
Per ora l’unica cosa che poteva fare era attendere notizie.
Trasse un lungo respiro durante il percorso, registrando tutti i dettagli del castello che l’aveva visto crescere, cercando di sviare i pensieri altrove.
C’era qualcosa a Grande Inverno che esercitava sempre una strana energia su di lui. Era come fare una capriola all’indietro nel tempo.
Conosceva ogni angolo, ogni camera di quella dimora. Rammentava ogni singolo momento trascorso dentro e fuori dal castello, i suoi giorni bui, ma anche quelli in cui giocava con i suoi fratellastri, o tutte le volte che sin da quando aveva cominciato a parlare aveva subito i toni ostili e gli sguardi accusatori della sposa di suo padre, la sua matrigna, la stessa donna che non l’aveva mai accettato. Lei che con la sua freddezza l’aveva fatto sentire sempre di troppo.
Ed era stato alla soglia della sua adolescenza, che infine ormai esausto aveva deciso di partire e lasciare tutti i suoi parenti per seguire un percorso arduo e complicato, qualcosa che nemmeno immaginava.

Rallentò l’andatura constatando quanto tutti i suoi vissuti fossero divenuti lontani. Da allora erano passati anni spesi in battaglie sanguinarie e scontri.
Era persino morto a Castello Nero, ucciso dai suoi stessi confratelli. Aveva chiuso gli occhi e non aveva visto nulla di quel che pensava la donna rossa. Si era sentito logorato, quando era stato riportato in vita nel toccare i suoi tagli, nel percepire che tutto ciò che ricordava fosse davvero accaduto. 
E dopo aver giustiziato i suoi assassini aveva deciso di mollare tutto, con la convinzione di dover lasciare quel posto, divenendo ramingo di se stesso. Almeno fino a che non aveva rivisto Sansa. Almeno fino a che non s’era reso conto di quanto fosse a pezzi, forse proprio come lo era lui.
Entrambi erano stati traditi dalle persone di cui si fidavano.
Ne avevano passate tante da quando erano andati via dalla loro dimora, cospargendo il loro corpo di cicatrici sia interne che esterne. La guarigione per i soprusi e le ingiustizie che avevano visto andava ben oltre l'uso dei convenzionali cataplasmi che si applicavano sulle ferite.
Lui s’era ritrovato a sollevarla dalla neve, quando gli era andata incontro con occhi supplicanti, godendo di quel calore che in passato mai s’erano scambiati, nutrendosi come un assetato in un deserto dell’acqua sorgiva che improvvisamente aveva trovato.
Si erano stretti in un abbraccio così disperato da stupirsene da soli.
Nei giorni trascorsi tra la Barriera e l’accampamento erano sempre stati l’uno al fianco dell’altra, come se fossero in simbiosi, come se fosse sempre stato così tra loro. Avevano parlato pacatamente a volte, altre a toni alti, quando proprio non riuscivano a capirsi. In un certo senso era come se si stessero conoscendo ora, perché lei - a differenza dei restanti fratellastri - era sempre stata la sola a guardarlo dall'alto in basso, con astio, forse influenzata dalla moglie del padre.

Alzò la mano, vezzeggiando il pelo del mantello che lei gli aveva donato, lo stesso che aveva cucito con le proprie mani.
Forse gli aveva fatto quel dono come ulteriore richiesta di essere perdonata. O per l’appoggio che le stava dando. Forse… Ma si era sentito felice in quel momento, felice di essere diventato importante per lei. In fondo, nel caso di costole rotte o tagli, bastava usare unguenti, ma per le ferite interiori ci voleva altro, ci voleva l’affetto.
Sansa aveva vissuto cose simili a quelle che avevano afflitto lui in quegli anni, forse anche peggiori, soprattutto nel vedere suo padre morire, senza poter muovere un dito. Si era abituata al dolore. E non era più la Sansa di cui si lamentava Arya, quella che pensava solo ai suoi sogni e ai suoi aghi, ma una donna che si costringeva ad essere forte, per andare avanti.
Jon le aveva lasciato campo libero per compiere la sua vendetta su quell’essere deplorevole di Ramsay, che l’aveva schiacciata, atterrita ed umiliata in ogni modo. Aveva fatto in modo che si sfogasse, ma era rimasto sconcertato, quando passando nelle segrete aveva visto i resti dell’ultimo Bolton, ormai ridotto ad un cumulo di ossa e sangue.

E il pensiero di essersi a stento trattenuto alla sua vista, quando stava per ammazzarlo con le proprie mani gli fece increspare le labbra in un sorriso amaro, perché lei gli aveva fatto fare una fine ben peggiore.
N
on le aveva chiesto nulla in proposito, non ce n’era bisogno.
Nessuno può giudicare nessuno, considerò. E questo l’aveva capito, quando aveva fatto impiccare un ragazzino.

Varcando la soglia della sala dei banchetti, osservò il fuoco acceso.
Strizzò gli occhi, avvicinandosi all’ampio camino scintillante di fiamme vivide, per nulla sorpreso di trovare lei, che se ne stava in piedi, accanto al tavolo.
Sansa sembrava pensierosa, come lui. Forse erano altre le sue ponderazioni in quel momento.

«Jon» lo chiamò, voltando appena il capo. La flebile luce delle candele illuminava il suo volto a metà rendendola cupa.
Lui s
eguì con lo sguardo la sua figura, notando la camicia da notte che si intravedeva sotto il mantello di pelliccia che aveva indosso e sospirò. Di certo s'era alzata dal letto da ore. Non era la prima volta che si ritrovavano a quell'ora della notte. Entrambi parevano avere troppe ombre dentro, per sperare di riposare bene.
«Non riesci a dormire?» la sua voce arrivò alle orecchie di Sansa quasi come un sussurro, il tono né alto né basso, modulato nel cuore come se all'improvviso i canali di un ascolto interiore, fossero stati sintonizzati da una regia invisibile, sul filo di corde finissime e vibranti.
«E tu?» replicò asciutta, lanciandogli un'occhiata eloquente.
Jon increspò appena le labbra in un breve sorriso a quelle parole. Lei ogni volta girava la frittata con la sua arguzia.
Quando prese posto su una sedia la scoprì stringere le mani sul mantello che aveva posato sulle spalle.
«Se hai freddo, perché non ti avvicini di più al fuoco?» La vide compiere alcuni passi nella sua direzione, notando la luce soffusa delle fiamme carezzarle i lineamenti fini e delicati del viso, degni della nobildonna che era.
«Non è un freddo che si può scaldare con le fiamme quello che sento» gli rispose, prendendo un profondo respiro e ascoltando Jon fare lo stesso.
L’inverno è arrivato, aveva detto a Jon pochi giorni prima. Ma il gelo che sentiva Sansa forse non se ne sarebbe mai andato come le stagioni. Perché nell’animo aveva un senso di orrore radicato che la tormentava tutte le notti. Le morti susseguite dei suoi parenti, le angherie subite dai Lord - che di nobile non avevano nulla - le avrebbe ricordate sempre.
Era cambiata e nulla poteva farla tornare indietro.
Tempo prima non avrebbe mai pensato di osservare con sguardo impassibile un uomo divorato dai suoi stessi cani, suo marito, il suo incubo.
Le sue labbra si erano increspate in un sorriso raggelante, quando aveva constatato la morte di Ramsay. La dipartita di quell’essere ignobile, che aveva violato e maltrattato il suo corpo e la sua autostima in ogni modo possibile, facendole passare mesi e nottate infernali.

«E’ la proclamazione di Cersei Lannister come regina dei sette regni a preoccuparti?» proruppe Jon diversi minuti dopo, allungando le braccia nella direzione del fuoco così da scaldare le mani. «Se è così, ti posso assicurare che ora abbiamo esseri ben peggiori di lei da temere. Ed inoltre non sei stata tu ad uccidere il suo primogenito. E' stato tutto un equivoco.» Sansa prese posto al suo fianco tornando a guardarlo negli occhi.
«E' vero, ma lei lo crede. Tu non hai visto di cosa sia capace quella donna. I suoi figli sono morti, e lei ha compiuto una strage eliminando tutti i membri dell'Alto Passero e i Tyrell in un colpo solo, gli unici che potevano appoggiarmi.»
«Ma non ha eliminato me. Ricordalo sempre, Sansa. I tuoi nemici sono i miei. E per quanto tu ne dica, io farò sempre ciò che posso per tenerti al sicuro» la fissò con una risolutezza che mai lei gli aveva visto in volto.

Sansa lo osservò di rimando.
Jon che era sempre stato acclamato come il figlio bastardo di suo padre, somigliava a lui molto più del resto dei suoi fratelli e per certi aspetti forse era addirittura più avanti, più misericordioso e meno rigido nelle decisioni.
Sembrava più Stark lui di quanto non lo fosse lei. E forse era per lo stesso motivo che sua madre l'aveva sempre maltrattato, rendendolo indegno anche ai suoi occhi di bambina.

Il suo volto si scurì nel ripercorrere quel periodo, pensando a quanto avesse sofferto.
Gli anni in cui erano stati lontani avevano irrobustito il suo fisico, rendendo i suoi lineamenti più maturi.
Rammentò i momenti in cui l'aveva visto battersi. Sebbene a prima vista sembrasse buono e gentile, Jon era forte, aveva ucciso decine e decine di nemici, combattendo per la loro famiglia. Ma era ingenuo e si fidava troppo.

«Grazie maestà» lo canzonò, notando il giovane incupirsi.
«Ancora non riesco a credere di essere diventato Re. E penso che questo ruolo sarebbe dovuto toccare a te, Sansa. Tu sei la signora di Grande Inverno, la figlia di Eddard e della sua legittima sposa
» mormorò lui, con quella sincerità che sempre la disarmava. 

«Jon, è accaduto ciò che doveva succedere» si voltò a guardarlo seria. «Tu ti sei comportato in modo diverso da come avrebbe fatto nostro padre, da come avrebbe fatto Robb, tu hai perdonato i Lord che non ci hanno aiutati, cosa che loro non avrebbero fatto. Hai acquisito la fiducia dei membri delle casate.»
Lui aveva sviluppato una soglia di tolleranza tale da perdonare anche chi non l’aveva seguito in battaglia, gli stessi lord che ora lo aveva eletto re del Nord, ma non voleva avere segreti con la sua sorellastra.

«Prima della Battaglia mi hai avvertito a riguardo di tuo marito, ed io come uno sciocco non ti ho nemmeno dato retta» la sentì sospirare a quelle parole e guardò le fiamme guizzanti del grande camino. 
Avrebbe tanto voluto dimenticare tutte le cose spiacevoli che scorrevano davanti ai suoi occhi, le immagini, le perdite subite. Anche per un solo minuto.
Come Jon, Sansa soffermò la sua attenzione sul fuoco, meditabonda.
Era stata divisa tra due sentimenti contrastanti, quando l’avevano proclamato re, quali: la gelosia e l'apprensione.
S' era sentita risentita per non essere stata nemmeno presa in considerazione come possibile regnante, nonostante fosse stata lei a decretare quella vittoria schiacciante sui Bolton. E solo quando aveva visto il fratello voltarsi a guardarla s'era ripresa, dedicandogli un sorriso appena accennato. Un sorriso che si era dissolto nell'incrociare lo sguardo duro di Petyr, che era stato l'unico a non acclamare Jon come re. In quell'attimo reduce di tutti gli intrighi visti negli ultimi anni, Sansa aveva avuto paura.
Paura per Jon...

Ignaro delle congetture della sorella, dopo diversi minuti di silenzio, Jon guardò l’ampio banco, notando un bicchiere su di esso. Senza dire una parola lo prese, mandandolo giù tutto il contenuto, credendo che fosse vino, dovendo ricredersi all’istante, quando sentì un sapore amarognolo in bocca, tale da fargli fare una smorfia disgustata.
«Che cos’è questa roba?» la guardò di sbieco.
«Un intruglio che mi sono fatta preparare per prendere sonno. Io ho fatto solo un sorso, non sono riuscita a mandarlo giù tutto» gli rispose con tono leggero.
Lui sollevò le sopracciglia accondiscendente, prima di decidere di tornare nuovamente in camera. Aveva troppi impegni da portare avanti e un fardello che si faceva sentire sempre di più sulle spalle.

«Vieni con me?» le chiese pacato, protendendo il braccio nella sua direzione, così da incentivare quella richiesta. Non era il caso di lasciarla lì da sola e poi dovevano compiere la stessa strada. Dopotutto lei doveva raggiungere la camera accanto alla sua.
Aveva dato quelle disposizioni subito dopo essere stato proclamato re, così da farla sentire ancora più al sicuro nel castello, così da essere sempre al suo fianco anche quando si separavano per andare a dormire.
Sansa abbassò gli occhi sulla sua mano, prendendola e rimettendosi in piedi, lasciando a lui il compito di scortarla fino alla sua stanza.

Avrebbe preferito restare nella sua casa con Jon, piuttosto che sposare nuovamente un altro essere viscido, piuttosto che rischiare ancora una volta di essere ingannata.
Era passata dalla ragazzina superficiale che lo ignorava alla donna che lo osservava con ammirazione.
Era un gioiello raro, Jon, si ritrovò a ponderare. Faceva sempre ciò che riteneva giusto, preoccupandosi prima degli altri che di se stesso. Non come tutti quei nobili spregevoli che aveva conosciuto fino ad allora.
Suo fratello era sincero, leale, profondo, gentile e soprattutto buono.

Velocemente le loro figure si dissolsero sullo sfondo nero delle scale.
In lontananza, mentre percorrevano gli annosi spazi del castello ascoltarono l’ululato di un lupo che probabilmente salutava la luna piena e fulgida che si stagliava nel cielo notturno.
Spettro, pensò Jon. Il suo metalupo bianco.
Era un re anche lui, in fondo.
Strusciò gli occhi nell'ampio corridoio che li avrebbe condotti alle proprie camere, facendo attenzione ad ogni particolare. Sua sorella - a cui aveva lasciato piena libertà di comando sulla servitù - si era premunita di far sparire ogni cosa che ricordasse gli usurpatori che avevano invaso la loro casa, sostituendo i loro suppellettili con altri di proprietà degli Stark, che chissà dov'era andata a recuperare. Era tutto così familiare attorno, che se non ne fosse stato certo, avrebbe pensato che mai nessun altro, all'infuori di loro avesse preso possesso di Grande Inverno.

Quando giunsero davanti alle porte delle loro camere, Sansa gli sorrise debolmente.
«Buonanotte» le disse semplicemente, sentendola ricambiare con cortesia.
E prima di voltarle le spalle, le carezzò uno zigomo, facendo scivolare le dita sui suoi lunghi capelli rossi, per donarle un ulteriore saluto, vedendola poi posare la mano sulla propria e percependo un brivido a quel contatto.

Sansa gli rivolse uno sguardo indecifrabile, cercando di imprimere quell'affetto che solo lui riusciva ancora a darle.
Essere tornata a Grande Inverno era stata una rivincita dopo tutte quelle sofferenze, ma era anche stata una consolazione che non avrebbe visto allo stesso modo se al suo fianco non ci fosse stato Jon.
Suo fratello era tutto quello che le restava, l'unico che le donava calore senza chiedere nulla in cambio.
Lui si che poteva essere il degno protagonista delle storie che tanto le piaceva sentire da piccola, quelle che parlavano di uomini d'onore, di prodi cavalieri pieni di morale. Aveva tutte le caratteristiche dell'uomo con cui avrebbe voluto condividere la sua vita.
E chissà se avrebbe mai trovato qualcun altro con quei pregi? 
Forse Jon era l'unica persona pura che conoscesse.
Ed era il suo fratellastro...

A quei pensieri - avvertendo un groppo alla gola - interruppe il contatto visivo. E pervasa da un'amarezza senza pari, si ritrovò ad aver paura di se stessa e di quel tuffo al cuore che improvvisamente l'aveva assalita.

Jon respirò profondamente e le fece un cenno col capo, voltandole le spalle, quando la vide premere la mano sulla maniglia.
Una volta dentro la sua camera patronale sfilò il suo mantello, scrutando quella pelliccia di lupo, che gli ricordava tanto quella che solitamente indossava suo padre.

Per un attimo, mentre allungava la mano per donare una carezza a Sansa, l'aveva scoperta trattenere il respiro, e dopodiché l’aveva vista sviare lo sguardo altrove, come se si fosse sentita a disagio?
E per quale ragione?
Non era certo la prima volta che le dimostrava il suo affetto con quei piccoli gesti.
Le aveva appena sfiorato una ciocca di capelli in fin dei conti... solo per trasmetterle il suo affetto.
...Rivide nella sua testa l'espressione del suo volto. Lei aveva gli occhi lucidi, velati da scintille, eppure non aveva lasciato che scendesse nemmeno una stilla salata dalle sue palpebre.
Era incredibile quanto potesse essere diventata forte e allo stesso tempo ancora fragile. Era una donna che pareva pervasa dalla sofferenza, tanto da percepirla ogni singola volta che le era accanto.
C’era qualcosa di strano tra lui e Sansa, c'era qualcosa che faceva sembrare il loro rapporto simile a quello che aveva suo padre con la sua matrigna.
Digrignò i denti a quei pensieri torbidi, serrando i pugni.
Come poteva fare quella comparazione? Non aveva alcun senso.
Ciò nonostante, quando aveva sentito lei posare la mano sulla sua, s'era per un momento incantato a guardare i suoi capelli...
I suoi capelli ...rossi.

Portò entrambe le mani sul volto, facendole scivolare sugli zigomi.
Era strano come nella sua vita si susseguissero interazioni con donne con quel colore di capelli.
La prima su cui l'aveva visto era stata Sansa i cui crini aranciati potevano somigliare ad un'alba nel suo massimo splendore, poi era arrivata Ygritte dalle ciocche di una tonalità leggermente diversa, da quelle di sua sorella, poiché parevano accostarsi più ad un tramonto...
...Lei che l'aveva conquistato, con quel suo modo di fare. Ygritte la cui vita era durata come un fuoco di paglia che divampa istantaneamente, per poi morire in uno sbuffo.
Aveva conosciuto Melisandre poco tempo dopo, che pure aveva capelli rossi e scuri. Lei che aveva portato il fiato nei suoi polmoni, ridandogli la vita. E che poi aveva rifiutato...
Il cerchio si era chiuso, quando era tornata Sansa...

Jon aveva detto alla sua sorellastra di restare al suo fianco, perché il padre non l’avrebbe mai perdonato se l’avesse lasciata da sola, ma non l’aveva fatto solo per quella ragione, ora lo capiva, l’aveva fatto perché non pareva più avere uno scopo e lei, quella sorellastra che aveva sempre guardato da lontano, con la sua sola presenza gli aveva dato un motivo in più per continuare a vivere. Gli aveva dato speranza.
Non si meravigliò nel pensare a quanto gli fosse difficile, se non impossibile, immaginare di poter fare più a meno di lei.

E prima di serrare le palpebre, Jon si chiese se lui le fosse davvero di conforto e soprattutto, cosa pensasse lei di quel legame che giorno per giorno stavano costruendo.
 





 

Angolo della scrittrice Nausika

Salve a tutti/e è la prima volta che pubblico una storia su questo fandom. Ho voluto continuare la vicenda, prendendo come protagonisti questi due cugini, che mai avrei pensato di vedere insieme a livello sentimentale, almeno fino a che non ho visionato la sesta stagione.
In pratica sto scrivendo il finale che vorrei leggere io.

Spero che mi facciate sapere la vostra opinione a riguardo, scrivendomi i vostri pareri, così da valutare la soglia di gradimento e sostenermi sia in questo che nei prossimi capitoli a venire. A presto!


 
   
 
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