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Autore: Phoenix Mars Lander    09/09/2016    3 recensioni
Quando mi hanno detto che oggi saresti uscito dal carcere non ci potevo credere, non ci volevo credere. E invece ora sei qui, davanti ai miei occhi e non lo sai, non mi vedi, te ne stai seduto sullo sgabello di legno traballante, con un bicchiere in mano e lo sguardo perso nel vuoto.
~ Gallavich, Ian POV.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cinquantasette centilitri di Guinness







Quando mi hanno detto che oggi saresti uscito dal carcere non ci potevo credere, non ci volevo credere. E invece ora sei qui, davanti ai miei occhi e non lo sai, non mi vedi, te ne stai seduto sullo sgabello di legno traballante, con un bicchiere in mano e lo sguardo perso nel vuoto.
Hai la mia malattia addosso, i miei vaffanculo sulle falangi, i miei momenti di euforia sfrenata sulle cosce, i miei pianti silenziosi sotto le palpebre. Mi hai riportato indietro i miei scarti, i miei pezzi marci, li hai fatti uscire dalla cella e te li sei trascinati fin qui. Quasi ti odio, ti detesto, per esserti tenuto le mie impronte digitali senza chiedermi il permesso, per andare in giro con parti di me che non ho mai voluto.
A tre metri e mezzo dalla tua schiena c'è Caleb e non lo sai, non lo vedi, te ne stai seduto sullo sgabello di legno traballante, con un bicchiere in mano e lo sguardo perso nel vuoto.
Fa quasi male fisicamente, il contrasto fra voi due, fra te e Caleb, tu che sei articolazioni nervose e smorfie tremanti e rabbia feroce, lui che è normalità, lui che la mia prima crisi l'ha vista solo ieri sera e mi ha lasciato sotto le coperte, scrollando le spalle, e ha detto andrà tutto bene. Adesso è a tre metri e mezzo dalla tua schiena e non mi ha visto, non ancora, non mi aspetta: Fiona lo ha informato che sarei potuto rimanere a letto per una settimana, due, tre.
E invece sono qui a guardare te.
Non ci crederebbe nessuno, non ci credo nemmeno io, che mi sono tolto di dosso le lenzuola, che mi sono vestito e ho aperto quella cazzo di porta solo per venire in questo locale pieno di persone, di parole inutili, di fegati sudici, pieno di te che hai ancora il mio sangue sui polpastrelli, nelle iridi, fra i denti. E il mio nome sulla pelle, il mio nome sbagliato, distorto, ma indelebile sul tuo sterno.
Kevin mi vede da dietro il bancone, si paralizza sul posto mentre sta spillando una pinta, la Guinness che straborda come me ora, come me che mi sento esplodere dopo mesi di silenzio. Ho continuato a marcire trattenendo il fiato.
Kevin mi guarda e mi fa un cenno con la testa, immaginandosi forse che io stia per raggiungere Caleb, che dica che va tutto bene, che sono intero, che sono uscito da quel fottuto letto perché sono normale di nuovo e mi merito una diamine di festa di bentornato e un brindisi al mio cervello guarito.
Caleb mi nota e tu no, tu te ne stai seduto sullo sgabello di legno traballante, con un bicchiere in mano e lo sguardo perso nel vuoto. Caleb sorride, si aspetta che cammini verso di lui, me lo aspetto anch'io, se lo aspettano tutti.
Eppure io voglio camminare verso di te, voglio baciare te, voglio incontrare te. Voglio rivedere quei pezzi di me che ti ho lasciato sul palato, sotto le unghie, in quei cazzo di occhi azzurri che ti ritrovi. E poi non voglio riprendermeli, perché tu li rendi migliori.
Quando ti chiamo per sceglierti, per arrendermi, per amarti, tu ancora non lo sai, ma ti volti, seduto sullo sgabello di legno traballante, con un Jack Daniel's che sa di succo d'arancia in mano e lo sguardo perso nel mio.





 
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