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Autore: lacchan96    10/09/2016    4 recensioni
-Si allontanò dal manifesto con un’espressione quasi schifata; la odiava, come molti in quella città, e ancor di più odiava quel suo motto che trasudava ipocrisia “Zootropolis, la città dove ognuno può essere ciò che vuole.“-
Come sarebbe stato il film se gli autori avessero optato per la loro prima idea? Questa storia raccoglie tutte (o quasi) le idee scartate e cerca di dare loro un filo conduttore che vi porterà a conoscere una Zootropolis diversa da quella del grande schermo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando la lunga discesa del timbro fu arrestata dal foglio bianco il rumore che produsse fu secco e perentorio e rimbombò nella testa della volpe seduta davanti alla scrivania. Nick Wilde guardò la scritta rossa che copriva quasi l’intero foglio, ma non disse nulla e non si mosse, rimase immobile e solo dopo qualche secondo finalmente allungò una zampa, prese prima il blocchetto di fogli e poi il plastico e senza una parola si avviò verso la porta.
Percorse la strada dall’ufficio all’ingresso con la testa piena di pensieri confusi e sconnessi, il suono del timbro rimbombava al ritmo dei battiti del suo cuore e quella parola era ripetuta all’infinito come un mantra. Respinto. Era a quota diciannove banche con quella.
Uscì dalle grandi porte in vetro e un leggero vento arruffò il suo pelo, buttò il plico di fogli in un cestino vicino e con il plastico sottobraccio si infilò nella calca di animali.
Passò sotto le lunghe gambe di una giraffa, schivò appena in tempo un ippopotamo con il figlio piccolo e si ritrovò davanti al muso ingigantito del sindaco Bellwether. Si allontanò dal manifesto con un’espressione quasi schifata; la odiava, come molti in quella città, e ancor di più odiava quel suo motto che trasudava ipocrisia “Zootropolis, la città dove ognuno può essere ciò che vuole.“
Infilò un dito tra il collo e la spessa striscia di stoffa nera cercando inutilmente di allargare quel maledetto collare e sentì forte l’oppressione di quella vita a cui era costretto da anni. Strinse i pugni e a testa bassa proseguì per la sua strada; i palazzi diventarono via via più fatiscenti, i negozi iniziarono a mostrare vetrine sempre più tristi e le prede iniziarono a diminuire di numero fino a scomparire lasciando solo i predatori a vagare per le vie di quella periferia.
C’era silenzio.
Un silenzio strano per un luogo così affollato, ma era quella la caratteristica principale di Rundown, un luogo da cui anche il sindaco Bellwether distoglieva lo sguardo. Tutto era grigio, dai palazzi all’acqua che scorreva in piccoli rivoli sulla strada dissestata, fino agli animali il cui manto, un tempo lucente, era sporco e slavato riflettendo la triste realtà a cui si erano arresi; solo le luci verdi dei collari illuminavano ogni predatore e ricordavano a chi li guardava che quella vita era ingiusta con loro.
Nick continuò a camminare fino a raggiungere uno dei tanti palazzi grigi, cercò in tasca il mazzo di chiavi e finalmente alzò lo sguardo che aveva tenuto basso per tutto il tragitto, la solita vecchia porta rossa gli si presentò davanti con a fianco il numero 221 che cercava di brillare lasciando intravedere un giallo sbiadito sotto la patina di sporco. Inserì la chiave nella toppa ed entrò, un forte odore di patate lo accolse e gli fece arricciare il naso, attraversò il salotto pulito e ordinato che mal si addiceva a quella periferia e si fermò sulla soglia della cucina, inspirò profondamente e dopo aver rilasciato l’aria cercò di indossare il sorriso più sincero di cui era capace.
-Ciao Eleanor.- salutò dirigendosi verso il lungo tavolo e sedendosi.
Eleanor era un armadillo con cui l’età non era stata clemente, la vecchiaia le aveva portato via l’ottima vista e aveva ingobbito il suo corpo sotto il peso della corazza  –Nicholas Piberius Wilde, spero che tu sia tornato con delle buone notizie per te e per il mio portafoglio.- non si voltò a guardarlo, troppo impegnata a rigirare il mestolo in una grossa pentola piena di quello che sembrava purè.
Il sorriso di Nick si incrinò, ma non scomparve, si rigirò il plastico tra le mani prima di poggiarlo sul tavolo –Ci sono vicino Eleanor, molto vicino, presto ti ripagherò.
L’armadillo spense il fuoco e si sedette sulla sedia di fronte alla volpe –Nick,- iniziò con voce rassegnata –ormai vivi qui da anni, sei come uno di famiglia per me, lo sai, ma sono mesi che non paghi.- si fermò un attimo e sospirò -Io non voglio buttarti fuori, ma non posso continuare così.- prese le zampe di Nick tra le sue –Mi dispiace, ma se non pagherai entro la fine del mese prossimo dovrò chiederti di andare via.
Nick alzò lo sguardo e fissò il volto triste, ma deciso di Eleanor –Capisco.- fece scivolare via le zampe dalla stretta dell’armadillo e si alzò –Ti ripagherò, te lo prometto.- prese il plastico dal tavolo e uscì dalla cucina.
 
La sua stanza era più simile ad un vecchio sgabuzzino che ad luogo in cui dormire, si trovava alla fine di una breve scalinata in legno, era pieno di cianfrusaglie e l’odore di muffa soppiantava qualsiasi altro odore. Il soffitto era ricoperto di tubi gocciolanti che sfioravano le orecchie di Nick e in terra diversi secchi e ciotole raccoglievano le piccole gocce d’acqua. Gli unici arredi di quella stanza erano una grande scrivania probabilmente appartenuta ad un orso e un comodino posizionato strategicamente lontano dall’acqua per tenere al riparo un vecchio orologio digitale.
Nick poggiò il plastico sotto la scrivania e si buttò sul letto, ovvero l’ultimo cassetto della scrivania aperto e pieno di coperte.
Quel luogo non era esattamente quello che un comune animale avrebbe chiamato “casa”, era lontana dal tipo di comfort che si addice a quel termine, ma era il meglio a cui potesse ambire in quel periodo e per essere un predatore era anche la sua unica possibilità di vita.
Da sotto il cuscino estrasse una vecchia foto piegata in quattro, la aprì con delicatezza lisciandone le pieghe, il sorriso di John lo colpì al cuore come sempre; la foto risaliva a 5 anni prima, quando ancora il collare non era legato al collo del suo fratellino. Scosse la testa cercando di allontanare quei ricordi e strinse la foto al petto  –Ci riuscirò anche per te fratellino.
Osservò il plastico del Wilde Times sotto la scrivania, l’aveva preparato con tanta cura ed energia, sentendo in quel progetto la speranza non solo sua, ma di tutti i predatori di Zootropolis. Il Wilde Times sarebbe diventato il paradiso dei predatori, un luogo in cui ognuno di loro potesse essere se stesso senza paura della luce rossa del collare, dove si poteva ruggire, ridere, entusiasmarsi senza che una scossa smorzasse ogni emozione. Ci sarebbero state alte montagne russe, una piscina piena di palle e gomitoli e il gioco del maciste per sfogare la propria rabbia e ovviamente una stanza per poter urlare fino a perdere la voce e... un “bip” lo riportò alla realtà e una luce gli illuminò la pelliccia.
Sospirò e rimase immobile finché la luce non tornò verde. Erano solo sogni e per quanto dicesse a se stesso che tutto era possibile, una parte di lui aveva già iniziato ad arrendersi.
Chiuse gli occhi e cadde in un sonno pieno di ruggiti e senza collari.
 
Nick si presentò nell’ufficio prestiti della Hippo Loans con un sorriso smagliante, il plastico sotto braccio e tutte le informazioni sul Wilde Times nel solito blocco di fogli.
La direttrice, un grosso ippopotamo vestito di rosa, si sistemò meglio i piccoli occhiali sul naso e guardò con curiosità Nick mentre si sistemava sulla sedia, chiedendosi cosa volesse un predatore da una banca.
–Cosa vorrebbero tutti i predatori?- esordì Nick -Un momento di fuga dalla realtà, un luogo dove l’unica regola è divertirsi e tutto questo lo può offrire il Wilde Times!- poggiò sulla grande scrivania il plastico –Si dice che non si può comprare la felicità, invece eccola qua a soli $19,95 per biglietto! Uno speciale macchinario ideato da uno dei miei tecnici provvederà a rimuovere il collare all’ingresso del parco e, ovviamente, a farlo indossare nuovamente all’uscita. Non sarà nulla di pericoloso, abbiamo le guardie che sorveglieranno ogni attrazione pronte con dei taser per evitare problemi di ogni sorta.- prese per un attimo il respiro -Ho già il luogo dove costruirlo, ho i progetti, ho lo staff, ho un sogno, l’unica cosa che non ho sono i finanziamenti per rendere tutto questo possibile.- tese la mano sorridente –Vuole aiutarmi a rendere tutto questo realtà?
L’ippopotamo guardò la mano tesa, poi Nick e sospirò –Signor Wilde, non è una cattiva idea, ma…- la direttrice si interruppe, forse incapace di trovare una giustificazione che non offendesse Nick e tutti i predatori –Senta, il progetto è pericoloso e non credo che qualcuno accetterà mai di finanziarlo, ma può provare a chiedere un permesso al comune…
Nick sentì ancora una volta le sue speranze crollare, ritirò la mano e guardò il plastico con sconforto mentre smetteva di ascoltare la lunga sfilza di scuse della direttrice –Capisco.- disse quando quella smise di parlare -Grazie di avermi ascoltato.- con la coda dell’occhio vide la luce del collare diventare gialla –Arrivederci.- prese con se tutto ciò che aveva portato e con la schiena curva si diresse verso l’uscita.
La luce del collare rimase gialla per tutto il tempo del tragitto fino alla banca successiva. Sul treno per Tundratown si ritrovò seduto da solo nonostante il vagone fosse pieno; la luce gialla spaventava le prede perchè era il preludio di un’esplosione, che questa fosse di rabbia, di gioia o di  tristezza non importava, era un’emozione troppo forte per un predatore.
Quando le sue zampe si poggiarono sulla neve rabbrividì e si pentì di non aver portato indumenti più pesanti, ma si fece coraggio si incamminò verso la Snow Bank.
Mentre camminava si disse che ancora non tutto era perduto, che c’erano ancora banche a cui poteva chiedere e che prima o poi ci sarebbe riuscito; il suo progetto in fondo non era pericoloso, anzi, avrebbe aiutato i predatori a sentirsi meno stressati e quindi ad arrabbiarsi di meno… Stupidaggini. Nessuna preda avrebbe mai creduto alle sue parole, perché rischiare di mettere in libertà dei predatori? Sarebbe stato stupido da parte loro, no?
Arrivato ad un incrocio Nick alzò la testa per guardare il semaforo e il suo sguardo cadde su una delle più imponenti costruzioni che avesse mai visto: una piramide interamente fatta di ghiaccio svettava sopra tutte le case di Tundratown e sul grande portone d’ingresso luminosa c’era la scritta “Koslov’s Palace”.
Koslov. Nick conosceva quel nome, tutti a Zootropolis lo conoscevano e lo temevano, ma lui aveva perso ogni speranza. Se non fosse riuscito a recuperare i fondi necessari per il suo progetto sarebbe stato buttato fuori casa e costretto a vivere per strada; il suo futuro non era roseo, le speranze erano svanite e la luce del collare era più spesso gialla che verde.
Sospirò e cercò di raddrizzare la schiena per sembrare più sicuro di sé. Andiamo, si disse e attraversò la strada.
 
Sei mesi più tardi vicino a Rundown una clinica medica nascondeva il Wilde Times.



Salve a tutti!
È la prima volta che scrivo sul fandom di Zootropolis, ma non ne potevo più fare a meno, ho amato quel film, e sapere che ci fossero delle idee scartate non ha fatto altro che incrementare le mia cuoriosità e il mio amore per quella pellicola.
Per questa storia seguirò la trama originale e mi permetterò solo alcune differenze (come il fratellino di Nick); ci saranno nuove introduzioni, sia provenienti dalle vecchie bozze che mie, Judy e Nick saranno diversi, come anche gli altri personaggi già visti, ma tranquilli, in fondo saranno sempre loro.
Spero che il primo capitolo vi abbia incuriosito, nonostante fosse solo una presentazioen del nuovo Nick e che vi vada di lasciarmi una recensione per sapere cosa ne pensate. 
A presto, Lacchan
 
   
 
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