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Autore: johnlock221b    13/09/2016    1 recensioni
Senza rispondere ripresi a baciarlo, grato di tornare a sprofondare nelle viscere di quel ghiacciaio che era l’uomo che amavo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“È una fredda, seppur soleggiata, giornata di metà ottobre. Autunno, la stagione che in assoluto prediligo di più. Tutti questi colori, la brezza e il sole che si rendono sopportabili a vicenda. L’autunno rende bello ogni angolo della Terra. Come ogni mattina degli ultimi sei mesi l’unica cose che riesco a fare è parlare del tempo. Come se la mia vita si fosse inesorabilmente fermata, arrivata ad un punto di non ritorno. In realtà è così, ma è il punto di non ritorno che ha dato una scossa alla mia vita e la fa andare alla grande. Non riesco a scrivere perché le cose sono troppo caotiche e la mia testa non riesce a stare dietro a tutto. Questo blog mi serviva per stare meglio, ma se ora sono completamente guarito, cosa dovrei mai scrivere? Dovrei forse scrivere ogni giorno che va tutto bene? Che il mondo mi sembra un posto nettamente migliore solo perché io sto bene? Dovrei..”

«John..» Chiusi il portatile e mi voltai verso quella voce di cui conoscevo ogni sfumatura.

«Sherlock.» lo guardai con circospezione. Aveva un aspetto stranamente trasandato, eppure ieri sera stava benissimo. Stavamo benissimo.

Mi alzai dalla sedia e mi avvicinai. Sherlock barcollava un po’ e lo afferrai appena prima che stramazzasse a terra. Gli occhi si muovono spasmodici, ed era attraversato da forti convulsioni, il cuore battava all’impazzata sotto le mie mani premute sul suo petto.

«SHERLOCK» ansimai quasi senza fiato. «Sherlock, ascoltami, concentrati sulla mia voce.» mi mancava l’aria, era una manna dal cielo che fossi un medico e un soldato, il mio sangue freddo mi stava aiutando a rimanere lucido quel che bastava per iniziare ad esaminarlo.

Trovai un livido che si sta scurendo sulla piega del gomito, con un piccolo foro appena visibile.

«Sherlock, morfina o cocaina?» gli chiedo, la voce appena velata da incontrollabile rabbia. In quel momento arrabbiarmi e urlargli contro non sarebbe servito a farlo stare meglio.

«C..c..» balbettò Sherlock, le mani strette, per quanto possibile, attorno al mio braccio.

«Cocaina, perfetto.» lo presi in braccio e lo portai velocemente in bagno, la temperatura stava salendo rapidamente. Lo stesi nella vasca, apri l’acqua fredda, e corsi dalla signora Hudson.

«John, mio caro ho sentito un tonfo prima, tu e Sherlock non starete mica facendo… John cosa sta cercando?» mi chiese vedendo che svuotavo a mano a mano tutti gli scaffali dei medicinali.

«Diazepam, Sherlock sta rasentando l’overdose di cocaina» risposi, con la voce più calma di cui fui capace.

«Oh santo cielo.» disse, mettendosi una mano sul cuore.

«Ho bisogno di lei, prenda tutto il ghiaccio che trova, anche quello per le contusione se ne ha, e lo porti nel bagno al piano di sopra, dobbiamo abbassargli la temperatura.» Trovai la scatola di diazepam, e corsi di sopra. Sherlock sembrava un po’ più vigile, chiaro segno che era ancora dentro i limiti. Mi avvicinai prendo una pillola.

«Sherlock, apri la bocca.» dissi, inginocchiandomi vicino alla sua testa.

Sherlock aprì la bocca, facendo uscire la lingua quanto basta perché ci potessi posare la pastiglia. Lo osservai deglutire un po’ a fatica, e sentii arrivare la signora Hudson.
Mi alzai per andarle in contro, quando sentii la mano di Sherlock afferrare la mia.
Mi voltai cercando di nascondere la rabbia che mi ribolliva nelle vene.
Mi guardò con gli occhi appena velati di lacrime. Sherlock che non piangeva mai.

«John io..» incominciò ma liberai la mano dalla sua, e andai in contro alla signora Hudson.
Non avevo nessuna intenzione di dargli la possibilità di scusarsi in quelle condizioni, perché sapeva che l’avrei perdonato.

«Come sta?» chiese la signora Hudson, con il viso un po’ sciupato e pallido per la preoccupazione.

Presi il ghiaccio dalle sue mani senza rispondere e lo buttai nell’acqua. Presi il polso di Sherlock e controllai l’orologio. I battiti stanno diminuendo gradualmente, quindi spostai la mano sulla fronte. Tornai a guardare la signora Hudson.

«La temperatura si aggira sui 38, in qualche ora dovrebbe essere completamente scesa. Le dispiace restare con lui?»

«Perché non resti tu?» chiesero la signora Hudson e Sherlock nel medesimo istante.

Ignorai entrambi, e mi diressi al piano di sotto.
Sul tavolo c’era quella vecchia, orribile tazza da caffè che Sherlock odiava, ma che non buttava via, e istintivamente l’afferrai e la scagliai, con tutta la rabbia che avevo in corpo, contro il muro. Poi fu la volta del vaso, e del piatto con cui la signora Hudson aveva fatto colazione. Dopo cinque minuti ogni cosa a portata di mano era in frantumi sul pavimento. Afferrai la giacca ed escii dal 221b di Baker Street.
Fermai un taxi e salii. «Dove vuole che la porti, signore?»
«Dove vuole, purché sia lontano da qui.» risposi con freddezza.

Il tassista mi fece fare un bellissimo giro di Londra, senza fermasi mai in un posto. Ogni monumento, palazzo o luogo di interesse che avvistavamo o fiancheggiavamo, me lo indicava e mi raccontava qualcosa, sicuramente inventato, di quelle cose che raccontano i tassisti per incuriosire i turisti. Lasciai che la voce melodiosa del tassista cullasse i miei pensieri, che mi riportarono inevitabilmente a quando tutto era cambiato.

Quando Sherlock entrò in casa quel giorno aveva un aspetto strano. Non malato o trasandato, ma felice. Sì, felice, e quindi strano. Sherlock non era mai felice. Eccitato, esagitato, entusiasta, euforico quello sì, e solo se si trattava di un caso. Ma mai felice. La felicità era uno di quei sentimenti che diceva gli annebbiassero la mente e la capacità di essere così, irritantemente intelligente.

Mi salutò con un cenno della mano e si distese sul divano. Afferrò una sigaretta da sotto uno dei cuscini e se l’accesse.

«Sherlock, pensavo ne avessimo parlato.» dissi, senza staccare gli occhi dal giornale.

«Sbagliato, tu e la signora Hudson avete parlato, io ho solo fatto finta di ascoltarvi per compiacervi.» aspirò e buttò fuori il fumo in piccoli cerchi concentrici.

«Giusto, non sia mai che tu ascolti chi ti vuole bene.» risposi sdegnato buttando da parte i giornale. Mi alzai intenzionato a scendere per fare compagnia alla signora Hudson.

«Scusa.» disse Sherlock, quasi un sussurro, ma abbastanza alto affinché potessi udirlo.

«Come?» mi girai verso Sherlock, il quale si era tirato su a sedere.

«Ho detto, scusa.» rispose Sherlock, palesemente irritato all’idea di doverlo dire di nuovo.

«Questa mi è nuova.» risposi sogghignando.

«Cosa vorresti dire?» mi guardava di sottecchi, con la fronte un po’ corrucciata.

«Tu, il grande Sherlock Holmes, non chiedi mai scusa.»

«Beh, questa volta l’ho fatto. Dove sta il problema?»

«Sei strano.»

«Io sono sempre strano per tutti, mio caro Watson, non è una novità.» disse, muovendo la mano come se sottolineare una cosa tanto ovvia fosse un’inutile perdita di tempo.

«Sei strano in modo diverso» risposi, a mo’ di spiegazione.

«Sei felice, hai chiesto scusa. Tu non fai queste cose.»

«Oggi è una bella giornata, i fiori sono sugli alberi, gli uccelli cantano, il sole splende, il vento soffia! Come potrei non essere felice di fronte a tutta questa bellezza?» disse, piroettando per il salotto fino a me.

«Perché tu, Sherlock, sei totalmente indifferente di fronte alla bellezza, ecco perché.»

«Ricordi il mio discorso alle tue nozze, anche se il matrimonio è fallito miseramente?»

«Ricordo ogni parola Sherlock.»

«Per quale motivo dovresti? Il tuo matrimonio non ha funzionato.»

«Perché tu sei ancora il mio testimone. E perché..»

«Perché cosa?» disse, scrutandomi profondamente, aspirando un’altra boccata dalla sigaretta.

Invece di rispondere gli tolsi la sigaretta dalle mani e la spensi nel posacenere.

«Era l’ultima.» disse stizzito. «Ora mi dici perché?»

«Perché è l’unica cosa bella che mi è rimasta del matrimonio oltre a mia figlia.» ammisi quasi a malincuore.

Sherlock si avvicinò di più, fissandomi dritto negli occhi. Dimenticavo sempre quanto trovassi belli gli occhi di Sherlock. Se i miei erano un mare burrascoso, i suoi erano impenetrabile ghiaccio, come era lui. Impenetrabile, persino per me.

«A cosa stai pensando?»

«I tuoi occhi, sono un po’ come te.»

«In che senso?» lo stupore nei suoi occhi era palese.

«Sono.. Beh sono color ghiaccio e ehm.. il.. ehm.. il ghiaccio è..» perché mi guardava in quel modo? I suoi occhi erano fermi immobili sui miei, il respiro era caldo e un po’ agitato.

«Cos’è il ghiaccio, John?» chiese, la mano destra sospesa a pochi centimetri dal mio viso.

«È impenetrabile.»

«Credi che io sia impenetrabile, John?» di nuovo il mio nome, e dei brividi mi stavano scorrendo per tutto il corpo.

«Si, lo sei.» risposi, la voce malferma, e gli occhi incatenati ai suoi.

«Anche per te?»

«Soprattutto per me, Sherlock.» Si avvicinò lentamente e mi ritrovai le sue labbra sulle mie.
Avevano un sapore dolce, leggermente celato dal gusto acre della sigaretta. Rimase immobile, le labbra premute contro le mie e le mani che fremevano. Le mie erano inerti lungo i fianchi, ma avevo un formicolio che mi gridava di accarezzare quei ricci e mettere finalmente a tacere un antico e incontrollabile desiderio. Sentii le sue lunghe dita sfiorare delicatamente il mio collo e la linea della mia mascella, fino al mento e poi di nuovo giù.
Non resistetti più e infilai le dita fra quei ricci scuri e resi quel bacio meno casto. Sherlock emise un piccolo gemito di piacere e affondò le dita fra i miei capelli stringendomi più forte a sé. Sentii la sua lingua sfiorare appena le mie labbra, che si dischiusero come quando il sole colpisce i petali di un fiore. Il bacio si fece intenso e caotico.
Ero pieno del suo odore, e ricoperto dalla sue mani. Mi prese il viso tra le mani, allontanando di poco le mie labbra dalle sue, quel tanto che bastava per sussurrarmi:

«Credi ancora che per te io sia impenetrabile?»

Senza rispondere ripresi a baciarlo, grato di tornare a sprofondare nelle viscere di quel ghiacciaio che era l’uomo che amavo.


«Può riportarmi al 221b di Baker Street?»

«Certamente.»

Dopo un paio d’ore, il taxi si fermò di fronte al 221b, pagai la corsa, ed entrai in casa.

«La prossima volta rompa le sue di cose, signor Watson.» la signora Hudson era impestialita.

«Le lascio qui cento sterline, ricompri tutto, io salgo.»

Sherlock era ancora un po’ pallido, ma almeno ora si reggeva in piedi da solo. Mi sedetti sulla poltrona, senza nemmeno guardarlo.

«John.. non avrei dovuto.» disse Sherlock, la voce rotta.

«No, infatti.» risposi, guardandolo di sfuggita.

Lo vidi sedersi sul divano con la coda dell'occhio.

«John guardami.» mi implorò.

Lo guardai per quale secondo, gli occhi rossi ancora un po’ febbricitanti, e ancora un leggero tremolio alle mani.

«Cosa vuoi?» chiesi con la voce fredda come il ghiaccio.

«I tuoi occhi, sono un po’ come te.»

«In che senso?»

«Sono come un mare burrascoso, e tu sei sempre burrascoso.» i suoi occhi fissi immobili suoi miei.

«Ora lo sono.»

«Sei burrascoso nei miei confronti?» disse alzandosi, e avvicinandosi a me.

«Specialmente con te.» Si inginocchiò tra le mie gambe, i suoi occhi all’altezza dei miei.

«Te la ricordi?» chiese, la mano posata sul mio ginocchio, come se necessitasse di un contatto con me più dell’aria che respirava..

«Che cosa?» chiesi, sorpreso.

«Quella frase.»

«I tuoi occhi, sono un po’ come te.» dissi, guardandolo negli occhi.

«Innamorati.» rispose Sherlock, un piccolo sorriso gli alleggiava sulle labbra.

«Sei innamorato?» chiedi, trattenendo a stento un sorriso.

«Sì, lo sono, John.» rispose, il viso a pochi centimetri dal mio.

«Sei innamorato di me?» chiesi in un sussurro, le mani già fra i suoi ricci.

«Solo di te, John. Solo e da sempre di te.»

Annullai completamente la distanza che separava le nostre labbra e lo baciai, piano, assaporando ogni secondo come se fosse l’ultimo. Rispose al bacio con foga e sentii su di me le sue mani ancora bollenti per la febbre. Lo allontanai delicatamente e lui mugugnò di dissenso

«Credo che dovremmo andare a letto Sherlock.» dissi, alzandomi e mettendomi il suo braccio attorno alle spalle.

Lo portai nella sua, beh ormai nostra, camera da letto e lo aiutai a stendersi, per poi stendermi al suo fianco. Posò la testa sulla mia spalla, e io presi ad accarezzargli i capelli.

«Ti amo, John..» sussurrò, il sonno e la stanchezza che sopraggiungevano.

«Ti amo anche io, Sherlock.» risposi, lasciando un bacio tra i ricci scuri.

Lo guardai dormire per delle ore, poi il sonno raggiunse anche a me, e mi abbandonai al calore del corpo di quell’uomo che era ghiaccio e fuoco al medesimo istante.
   
 
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