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Autore: La Tigre Blanche    19/09/2016    1 recensioni
"Pioveva.
Nuvole nere come la notte velavano il cielo notturno, celando il firmamento e nascondendo la luna dietro alle loro volute scure. Un tuono sferzò l’aria in lontananza e il lampo che ne conseguì illuminò il velo di nubi, tracciando un elegante ricamo di luce che si diramava fin quasi a sfiorare il terreno. Tutt’attorno, le stille d’acqua si infrangevano sul terreno umido dei giardini e sull’asfalto delle strade e la melodia che eseguivano era ipnotica e rilassante.
[...]
Pioveva.
Ma l’acqua con scorreva più su di lui, non gli impregnava più gli abiti. Si umettò le labbra screpolate, sospirando quando si accorse di stare sotto a un grande ombrello rosso. Rosso come il sole al tramonto, si ritrovò a pensare scioccamente. Volse gli occhi verdissimi accanto a lui e fu sorpreso di trovarne degli altri altrettanto verdi – smeraldi che parevano rilucere di luce propria, quasi un raggio di sole fosse rimasto intrappolato in loro – persi nel vuoto davanti a sé, incantati nell’osservare la pioggia danzare col vento."
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Human!AU | SpUK mooolto stupida scritta mentre qui cadeva giù l'ira di dio. Enjoy!
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Pluviophilia

 

Pioveva.

Nuvole nere come la notte velavano il cielo notturno, celando il firmamento e nascondendo la luna dietro alle loro volute scure. Un tuono sferzò l’aria in lontananza e il lampo che ne conseguì illuminò il velo  di nubi, tracciando un elegante ricamo di luce che si diramava fin quasi a sfiorare il terreno. Tutt’attorno, le stille d’acqua si infrangevano sul terreno umido dei giardini e sull’asfalto delle strade e la melodia che eseguivano era ipnotica e rilassante.

Pioveva.

L’odore della pioggia inondava le narici di Arthur, quasi inebriandolo. Le gocce  si perdevano sul legno della panchina dove era seduto, scorrevano lungo le striature lignee, rotolavano sul marciapiede e, infine, scivolavano in piccoli rivoli nelle scanalature delle mattonelle grigie. Alcune perle d’acqua, più curiose, preferivano posarsi sul suo capo e destreggiarsi in acrobazie lungo i capelli dorati dell’inglese, per poi lambirgli il collo e tuffarsi oltre il colletto della felpa, lungo la spina dorsale; altre invece seguivano un percorso diverso e preferivano correre lungo le guance e il naso arrossato, per poi cadergli sul ventre e sprofondare nella stoffa già fradicia. Lì, su quella panchina, aveva perso la cognizione del tempo: la cortina di acqua che danzava dinanzi ai suoi occhi lo aveva ormai ammaliato e, nonostante sentisse la fronte scottare, non avrebbe lasciato il suo posto in prima fila per nulla al mondo.

Pioveva.

Ma l’acqua con scorreva più su di lui, non gli impregnava più gli abiti. Si umettò le labbra screpolate, sospirando quando si accorse di stare sotto a un grande ombrello rosso. Rosso come il sole al tramonto, si ritrovò a pensare scioccamente. Volse gli occhi verdissimi accanto a lui e fu sorpreso di trovarne degli altri altrettanto verdi – smeraldi che parevano rilucere di luce propria, quasi un raggio di sole fosse rimasto intrappolato in loro – persi nel vuoto davanti a sé, incantati nell’osservare la pioggia danzare col vento. Aveva un profilo regolare e i tratti del viso dolci e una pelle color caffellatte che, ne era certo, doveva essere morbida e vellutata al tatto. Indossava un impermeabile di un giallo accecante, lungo e ingombrante, e Arthur si stupì di come non si fosse neanche accorto del suo arrivo.

Lo sconosciuto, poi, non lo aveva riparato casualmente. Teneva l’ombrello sporto dalla parte di Arthur e una manica del suo impermeabile, rimasta scoperta, si era subito imperlata d’acqua per metà.

Continuò ad osservare quel buffo individuo ancora per un po’, sospettoso della sua presenza: a quell’ora, con quella pioggia, nessun pazzo si sarebbe avventurato per strada. In quanto ad Arthur, lui aveva semplicemente perso l’ultima corriera che lo avrebbe riportato al college. Perché allora non andarsi a trovare un riparo? Semplice: non lo voleva. Osservare la pioggia in silenzio per lui era una cosa meravigliosa e, sinceramente, sarebbe stato capace di passare tutta la notte seduto su quella panchina, col rischio di andare in ipotermia sempre più vicino. Ma ora c’era quel giovane accanto a lui con quell’improponibile impermeabile che attirava la sua attenzione. Restò così, a fissare quel volto rilassato, con gli occhi persi nel vuoto, e lo trovò – nella sua strana immobilità – di una bellezza disarmante.

Aggrottò poi la fronte, un po’ piccato: da quando si era seduto accanto a lui non aveva detto una parola, non aveva dato alcuna sua spiegazione di quel gesto gentile. Si ostinò a fissarlo, cercando inutilmente di attirare la sua attenzione in un modo sì infantile. Passarono interminabili minuti così, con Arthur a studiare ogni minimo particolare del suo viso e lo sconosciuto a ignorarlo con caparbietà, quasi non esistesse. Alla fine, rassegnato ma non meno irritato, ritornò a guardare i disegni della pioggia. Fu allora che, nel silenzio ovattato che si era creato tra loro, il giovane parlò:

« Hai perso la corriera, non è vero? » Mormorò piano, forse per paura di interrompere il suono monotono della pioggia. Arthur fu colto in fallo da quella domanda: si voltò di scatto verso il giovane e gli mancò il respiro dinanzi a quegli occhi così espressivi e a quel sorriso giocoso che – diamine – nonostante avesse dello strafottente non poteva non essere considerato ammaliante. Deglutì a vuoto, socchiudendo gli occhi e aggrottando le folte sopracciglia in una sottospecie di sguardo torvo. Il picchiettare della pioggia sulla stoffa tesa dell’ombrello accompagnava il silenzio che si era creato istantaneamente. Lo sconosciuto allargò di più il proprio sorriso caldo e rassicurante:

« Senti, casa mia è qua accanto… » Cominciò a parlare con una voce tentatrice, con un lieve accento ispanico che fece rabbrividire Arthur « …So che non ti fidi di me, ma, insomma! » e qui si grattò la nuca in un modo schifosamente adorabile; Arthur era rapito dai suoi movimenti, così incredibilmente sensuali nella loro innocenza – No, cosa vai a pensare! È il sonno che ti trae in inganno! È uno sconosciuto! – e non riusciva a schiodare i suoi penetranti occhi verdi da quelli altrettanto lucenti del mediterraneo. « È che stai tremando dal freddo, e… e che ti converrebbe almeno asciugarti! » Concluse quel discorso in modo impacciato, arrossendo appena e spalancando i grandi occhi da cerbiatto – aveva delle ciglia folte e scure che ornavano deliziosamente quelle due gemme. Arthur inarcò un sopracciglio:

« Ce l’hai il tea? » Grugnì, sospettoso. L’altro sorrise di rimando, annuendo con vigore. A quel gesto, l’inglese si alzò dalla panchina, guardò in alto, lasciandosi bagnare il viso dalle ultime gocce di pioggia – fresche e splendide – per poi ritornare a guardare lo straniero: « Allora vengo » Sancì, e quel tono burbero scaturì l’ilarità dell’altro che, ridacchiando, si alzò a sua volta dalla panchina:

« A proposito, io sono Antonio! » esclamò gioviale, affiancandolo. Arthur se lo squadrò dall’alto in basso, sbuffando per nascondere un sorriso divertito. Era proprio strano.

« Kirkland, Arthur Kirkland »

La pioggia cessò di cadere.

 

 

 

 

Note yay: stupida cosa scritta solo per soddisfare i miei appetiti da fangirl(?). Ho solo ripescato i prompt della SpUk week ed è uscito sto sgorbio <3 se dovete incolpare qualcuno, incolpate il temporale che non mi ha fatto dormire due notti fa! Ci si sente in giro, che ho storie da recensire e su cui fangirlare uvu

Bye,

 

La Tigre Blanche  

   
 
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