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Autore: DeniseCecilia    01/10/2016    7 recensioni
Sapiens e Superior, umani "comuni" e mutanti, non sono che l'ennesima contrapposizione tra fratelli di una stessa specie, tra esseri viventi cui la Storia fa da scenario e testimone.
E la contrapposizione non cesserà finché non sarà avvenuto il peggio: ciò che ho voluto rappresentare qui.
Erik è nuovamente lontano, e Charles cade nelle mani di chi spezzerà il suo sogno; senza tuttavia riuscire a corrompere il suo spirito.
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"Croce senza amore" è il titolo di un romanzo di Heinrich Böll, che parla di due fratelli dalle opposte ideologie che si scontrano nella Germania nazista.
E una croce priva di amore è quella impugnata dal reverendo William Stryker in quel capolavoro che è "Dio ama, l'uomo uccide", graphic novel sugli X-Men di Claremont/Anderson. Una croce vuota, senza un corpo nudo sopra, che oblitera il sacrificio di Cristo non è che un bastone qualunque.
Su queste ispirazioni e su quella datami da Giovanni Melodia con i primi capitoli di "Al di là di quel cancello", memoria della sua Dachau, oltre che sulla mia storia personale, ho basato la shot.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X
Note: Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Vorrei dedicare queste parole a L., la mia Erik.
E' con noi due nel cuore che le ho dissepolte.
E per una volta, anche se feriscono, sono perfette.



Quel lucido metallo nero era piacevole da osservare. Nel grigiore diffuso del mattino; le baracche velate dalla nebbia, le camicie grigiazzurre, il terreno brinato da un duro pulviscolo sporco. Ogni cosa mormorava miseria.
Ma quel nero deciso che staccava lo sfondo, quel mitra oliato che, solo, rifletteva la debole e abbacinante luce di novembre, quello aveva una sua grazia precisa, unica - come la pelle iridescente d'un serpente che strisci solcando un mare d'erba arida.
Charles Francis Xavier non era mai stato il tipo dell'esteta, con la sola eccezione dell'orgoglio che aveva un tempo provato per la propria capigliatura, segretamente curata con l'intento di farlo invece apparire del tutto incurante del suo stesso aspetto.
Si stupì dunque dell'attenta contemplazione che stava riservando a un oggetto, uno strumento di morte, per il solo fatto che era bello. E bello era l'effetto contrastante che suscitava in lui questa scoperta: si stava finalmente rassegnando, oppure cercava di distrarsi da quel che doveva venire?
L'uomo che imbracciava il mitra incontrò i suoi occhi.
Non gli fu necessario ricorrere ai rimasugli del suo potere telepatico ormai ridotto a brandelli per cogliere in lui un qualcosa... un desiderio. Era così pressante, parlava in via autonoma attraverso il suo viso e il languore dello sguardo, nonostante l'evidente impegno che il militare metteva nel conservare un'espressione autoritaria.
Sapeva, Charles, che una simile vita regala potere sugli altri ma toglie al contempo tutto il resto, sapeva che tanto più i sorveglianti aderivano ad atteggiamenti duri, tanto più l'umanità repressa in loro montava in rabbia e passione e assumeva tratti bestiali.
Non si rendeva tuttavia conto di quanto, in mezzo a quella folla di volti scavati e corpi luridi il suo viso ancora tradisse la luminosità della sua anima. Di quanto anche calvo, anche provato com'era, fosse piacente.
Si domandò con un brivido se gli sarebbe toccato di subire un contatto non richiesto da parte di quell'uomo, e un altro brivido lo informò che una piccola, meschina parte di lui se lo augurava: era davvero la fine quella, e il pensiero di venire ucciso e cadere così, come una foglia secca, senza nulla più attendere e sperare gli provocò dolore.


I treni delle linee ad alta velocità avevano attraversato pianure e montagne, coste e città dell'America prima, del mondo poi, in pieno giorno.
Tutti sapevano, e a differenza di mezzo secolo addietro, non s'era fatto alcun lavoro di propaganda per vendere alle masse una versione edulcorata dei fatti.
I mutanti venivano individuati con la facilità consentita dall'incrocio dei dati informatici, opportunamente schedati, arrestati o inseguiti se tentavano la fuga. E radunati, ammassati sui vagoni, allontanati dal consesso civile.
Quello che sembrava un ostacolo insormontabile, la variabilità e potenza dei caratteri genetici dei quali tutti loro erano portatori, si era rivelato essere il grimaldello perfetto per scalzare le ultime vere resistenze al progetto di deportarli.
Era con la paura nei confronti di quello che avrebbero potuto fare ai Sapiens che il partito del reverendo Stryker, al potere da meno di cinque anni, aveva dato scacco matto al lavoro diplomatico di Charles e di chi come lui, dal Canada alla Sicilia al Giappone e in ogni altro paese, si era speso per evitare l'inevitabile.
Chi si ribellava, e ce n'erano stati molti all'inizio, poteva produrre seri danni, ma salvo casi eclatanti quali quello di Magneto - che continuava a condurre la sua lotta senza cedimenti e senza compromessi, troppo addestrato e accorto per essere fermato - veniva alla lunga sfiancato. Isolato, con pazienza, se difeso da un gruppo.
Charles aveva continuato a crederci sinceramente. Aveva tenuto duro con tutto se stesso o meglio ciò che di sé gli rimaneva dopo l'ultima rottura con Erik, finché anche Scott Summers, che considerava il suo pupillo e immaginava avrebbe occupato definitivamente il suo posto entro pochi anni, non era stato preso.
Allora, lasciata passare una settimana per permettergli di superare il primo terribile impatto della notizia, Erik si era rimesso in contatto con lui e aveva nuovamente tentato di chiamarlo alla propria causa. Gli aveva detto che Superior e Sapiens avrebbero potuto vivere insieme, sì, ma soltanto dopo essersi distrutti a vicenda.
Charles aveva per l'ultima volta declinato la sua pretesa, e rinnovato la sua promessa di aspettarlo, aspettarlo sempre, ovunque fosse stato domani, tra un'ora, un minuto. Ma sapeva che lui aveva un cancro nel cuore. A dispetto di tutto l'amore, non sarebbero mai stati uniti. Erano l'un per l'altro tutto, ed erano niente.


Nel freddo umido di un mattino di novembre, una settimana prima, era sceso dal treno aggrappandosi alle spalle di altri due uomini.
Non c'era nel loro scompartimento chi all'arrivo non fosse stanco, o anche febbricitante, chi non avesse sete e la gola gonfia e le labbra spaccate e sbiancate. Nessuno stava bene, ma alcuni meno malridotti portarono a turno il suo peso fino al campo. E lì lo sorressero finché vi riuscirono, finché non fu gettato a terra nel mucchio.
Trattarli alla stregua di animali non aveva a che fare con la mutazione: non aveva solo lo scopo, dichiarato, di indebolirli e renderli inoffensivi, ma anche quello sottaciuto di umiliarli. Quando tutto era cominciato, con la Legge di Registrazione, Charles ne aveva sofferto, e tuttavia aveva una casa calda, una carrozzina che gli permetteva di muoversi quasi senza limiti, riceveva attenzione, sguardi colmi di rispetto e di affetto - ogni giorno.
Il primo vero schiaffo fu perdere la sedia a rotelle pensata, costruita e mantenuta funzionale per anni da Hank McCoy.
A quello non si era ancora davvero abituato.
Poi - le piccole cose pesavano più dell'idea stessa della perdita irrevocabile della libertà - ricordava lo sconcerto provato vedendosi sottrarre l'unica coperta di cui disponeva durante il viaggio. Li avevano fatti scendere e, tremanti, lasciati per ore sulla banchina di una stazioncina a nome Palau. Non aveva fatto in tempo a rallegrarsi per quel suo piccolo e preziosissimo possesso, né a decidere di farne dono a una donna che gli pareva ben più bisognosa di lui, che un supervisore in camicia grigioazzurra l'aveva reso impossibile.
Nemmeno gli sguardi impassibili dietro le tendine delle finestre lungo la strada verso il campo.
Nemmeno la torsione delle gambe che gli avevano operato all'arrivo.
Nemmeno la tortura della privazione del sonno che sarebbe seguita - terribile per chiunque, insopportabilmente assurda per un telepate, che si veda sbriciolare da essa ogni minima protezione della psiche dall'invasione di pensieri rabbiosi e sentimenti disperati attorno, dalla sofferenza muta e sorda eppure rovente come un mattone calato dritto sulla faccia.
Neppure una di queste cose era equivalsa, nel suo sentire, a quella coperta strappatagli dalle mani.


Non era una persona perfetta. Era compassionevole però, umano, un termine che Erik avrebbe rifiutato e che gli stessi Sapiens, umani proprio come lui, pieni di difetti, come lui, così splendidamente umani ai suoi occhi, sdegnavano di attribuire a un qualsiasi mutante.
Gli uomini avevano scelto di farsi scudo contro di loro con una croce, non la croce bianca di sant'Andrea su sfondo blu che un tempo aveva identificato i suoi protetti, i suoi studenti: gli X-Men, ma quella bianca latina su sfondo rosso dei Purificatori. Su quella croce senza amore sarebbe stato innalzato, insieme a mille, decine di migliaia, centinaia di migliaia di altri; un sacrificio immane, ingiusto e inutile.
Il mitra non aveva smesso di rilucere, il militare che ancora lo fissava un po' più distrattamente si preparava a fare fuoco.
Charles sentiva di amarlo.
Amava ogni uomo in quanto tale, uno per uno individualmente e non come elemento indistinto di una folla. Amare genericamente un gruppo di persone è abbastanza facile, amare ogni singolo componente di quel gruppo, anche avendolo conosciuto, avendolo toccato da vicino, è molto difficile.
Amava ogni uomo, non l'indistinta umanità, non una categoria.
Anche quell'uomo lì, quello che a breve l'avrebbe riempito di piombo, quello che non si faceva scrupolo nel sondare il suo corpo come fosse una prostituta in esposizione in una vetrina di Amsterdam mentre già era conscio dello scempio che ne avrebbe fatto.
Quell'uomo Erik non lo avrebbe mai amato, perché Erik amava al contrario ben poche persone, e tutte con pregiudizio: così come il pregiudizio lo guidava nella sua scelta di violenza e intolleranza, così faceva nel definire in positivo i suoi affetti e le sue preferenze.
Erano diversi. Non per una questione di metodo: violenza o misericordia, guerra o pace; ma per l'orientamento di fondo.
Le creature che popolavano la terra valevano o no lo sforzo di spendersi per loro?
Se avesse potuto, se ne avesse avute le forze, giunto a quel punto Charles sarebbe volentieri andato incontro al suo esecutore, gli avrebbe aperto le braccia e facilitato il compito. Sì, gli uomini, uno per uno, valevano lo sforzo, anche in quella circostanza. Se soltanto gli avessero concesso di offrire la vita, anziché rubargliela, quale differenza avrebbe fatto!
L'arma diede un suono secco mentre il militare, distogliendo infine lo sguardo da lui, la posizionava su un basso cavalletto a poca distanza.
Era l'ora.
Se anche Erik Lehnsherr avesse saputo ciò che stava per accadere, se anche avesse voluto, non lo avrebbe raggiunto in tempo.
Erik non arrivava.
Erik non sarebbe arrivato.
Charles Francis Xavier si dispose a morire con quieta compostezza, così come per la maggior parte dei suoi anni, anni intensi, aveva vissuto.
Senza il preavviso di un ordine urlato né di un cenno, e sovrastando il ghigno volgare degli accoliti intenti a godersi la scena, il mitra cantò.



 
"La storia insegna che la storia non insegna nulla".
(Alessandro Morandotti)
  
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