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Autore: GeoFender    02/10/2016    2 recensioni
La vita di Santana Lopez oscilla tranquillamente tra gli allenamenti e le lezioni, cercando una sorta di equilibrio. Un giorno però, questa vita viene scossa. LETTERALMENTE.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana, Puck/Quinn
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Avviso prima di leggere, la fanfiction ha luogo lo stesso giorno della 4x08 quindi cancellate più o meno quello che avviene in quella puntata e anche dopo. Alcuni avvenimenti potrei farli svolgere e saranno quindi presenti. se non aveste fatto caso agli avvertimenti, i personaggi, in particolare Santana e Quinn, saranno OOC per esigenze di trama. Vorrei ringraziare la mia Gemella Perduta e coriandolo, che si è mostrata tanto dispnibile nel farmi da beta. Questo capitolo lo dedico a voi :D

Geo


Santana si era svegliata all'alba quella mattina, dopo essere andata a letto circa a mezzanotte quindi non aveva riposato molto. Non era solo la quantità del sonno il problema, si era infatti abituata a dormire poche ore per notte, ma la qualità. Difatti da qualche giorno dormiva male, arrivando stanca agli allenamenti e, nonostante facesse una colazione abbondante accompagnata da un caffè, spesso le energie non le bastavano. Dopo aver dato un’occhiata all'orologio, si accorse di essere in ritardo e, senza nemmeno fare colazione, corse in palestra e iniziò ad allenarsi dopo aver indossato una divisa da cheerleader invernale rossa e nera, insieme a quelle che ormai erano le sue compagne di squadra da qualche mese. Dopo aver finito i trenta giri di campo, prima parte dell'alquanto duro riscaldamento, bevve un sorso d'acqua e infine si diresse al posto a lei assegnato per proseguire l'allenamento. Come suggerito dall'allenatore, iniziò a fare una serie di addominali, seguita poi da delle flessioni e da piegamenti. Una volta finito, si diresse nell'angolo della palestra adibito agli esercizi ginnici, angolo in cui erano ammassati dei tappetini con il simbolo dei Cardinals. Da una bacinella che si trovava vicino a essi, prese della magnesia e con essa si strofinò le mani, in modo tale da non perdere la presa e cadere. Lentamente si tolse le scarpe da ginnastica bianche e salì sul tappetino, facendo attenzioni a trovarsi al centro di esso. Fece un respiro profondo e poggiò lentamente le mani a terra, facendo attenzione a tenerle bene aperte e, spingendo attentamente con le gambe, si trovò in verticale. Cercò di mantenere le gambe unite e parallele, non sbilanciandosi troppo e contrasse i muscoli. Dopo qualche minuto in quella posizione, i muscoli iniziarono a tremare per lo sforzo e la latina strinse i denti, iniziando invece a fare dei piegamenti sulle braccia, continuando a mantenere la posizione di partenza, in altre parole quella verticale. Gocce di sudore stillavano lentamente dalla fronte della ragazza e il tremore ai muscoli diventò più intenso, fino a farle cedere le braccia e cadere a terra. Il suo corpo fu scosso da forti tremiti, i suoi muscoli si contraevano incontrollatamente e convulsamente. Perse i sensi. Il tonfo sordo causato dalla caduta della latina fece immediatamente correre verso di lei l’allenatore e le sue compagne di squadra che preoccupati la videro riversa a terra e in preda agli spasmi. Egli si avvicinò, dopo aver capito che cosa avesse la ragazza, si mise in ginocchio vicino a lei e, cercando di non farle del male, la mise su un fianco, cercando di allentare qualsiasi cosa che le avrebbe potuto recare danno fisico e infine le mise un pezzo di gomma in bocca per evitare che si mordesse la lingua. Sempre mantenendo la calma, prese il cellulare iniziando a comporre il 911, sapendo che non avrebbe potuto fare nient’altro per la latina. Rimase in attesa finché non gli rispose un operatore.
 
“Qui è il pronto soccorso del Cardinal Memorial Hospital, come posso esserle utile?” Gli rispose con voce atona un’operatrice, forse un’infermiera, aspettando che l’allenatore proferisse parola. L’uomo cercò di formulare una risposta per evitare di andare nel panico e non far agitare le altre cheerleader. Fece un respiro profondo e parlò molto lentamente, scandendo bene ogni singola parola, tutto ciò per far capire bene la situazione alla donna che si trovava all'altro capo del telefono.
 
“Salve, sono il coach Bolton delle Cardinals. Una delle mie cheerleader è svenuta mentre stava facendo dei piegamenti in verticale ed ora ha dei forti spasmi muscolari. Le ho messo un pezzo di gomma in bocca per evitare che si mordesse la lingua e si trova nella posizione laterale di sicurezza. E’ in questo stato da circa un minuto. Nel suo fascicolo non ci sono altri casi del genere ed ha diciotto anni.” Attese che la presupposta infermiera gli comunicasse informazioni e, per l’ansia, iniziò a tamburellare sul tappetino con le dita. Ogni tanto tamponava la fronte sudata della ragazza, cercando di darle un po’ di sollievo e sperando che funzionasse per fermare la crisi.
 
“Presumo che vi troviate nell'unica palestra interna dell'università di Louisville. Siete fortunati perché una nostra ambulanza si trova a circa un minuto da voi. Comunicherò subito la vostra posizione precisa e una cosa importante: non cercate di fermarle la ragazza. Potreste farle seriamente del male e lei, a causa degli spasmi muscolari, potrebbe involontariamente farne a voi. Siate pazienti e attendete i miei colleghi”. L’infermiera chiuse la chiamata e compose il numero di uno dei medici sull'ambulanza. Mandò un messaggio al suo cercapersone in cui comunicava posizione e dati della ragazza. Nel frattempo l’allenatore, per far risparmiare tempo ai soccorritori, corse alla più vicina uscita del campus, in modo da mostrare la strada all'ambulanza e aumentare le possibilità della ragazza di essere sana e salva. Come già detto in precedenza dall'infermiera, l’ambulanza arrivò quasi immediatamente e percorse la strada che portava alla palestra e che era stata mostrata dall'allenatore. Si fermò davanti all'entrata dalla palestra e da essa scesero un medico e un paramedico con una barella. Entrarono nell'edificio con gli strumenti ritenuti da loro necessari e raggiunsero la latina, circondata dalle sue compagne di squadra. I due soccorritori si fecero largo tra quella piccola folla e posarono la barella vicino alla ragazza inerme, che nel frattempo aveva smesso di tremare, ma sembrava ancora incosciente. I due la posarono sulla barella e la portarono all'interno dell'ambulanza, collegandola ai vari macchinari e somministrandole un leggero sedativo per diminuire il rischio di un’altra crisi. Dato che l’allenatore era l’unico supervisore della ragazza presente in quel momento, gli fu permesso di salire sul mezzo, che si avviò all'ospedale e arrivò in pochissimi minuti. Di corsa, i tre scesero dall'ambulanza e la latina fu portata all'interno del pronto soccorso. L’allenatore fu fatto allontanare e gli fu indicata la sala d’attesa, dove si sedette e aspettò impazientemente delle novità sulle condizioni della ragazza.
 
“Donna latina di diciotto anni circa. Mentre faceva dei piegamenti in verticale, ha iniziato ad avere un probabile attacco di Grande Male, durato circa un minuto e causa di un possibile trauma cranico. E’ ancora incosciente e le abbiamo somministrato del sedativo per diminuire il numero e l’incidenza delle crisi. Ha bisogno di una TAC al cranio”. Il medico, che era un neurologo, portò la latina a fare la TAC e si sedette alla scrivania dalla quale si controllava l’andamento dell'esame e dove si potevano valutare i risultati. Controllò ogni immagine che gli si presentava davanti e, in una di esse, notò delle microlesioni, segno che in quelle zone c’era stato almeno un picco di potenziale evocato più alto del normale. Lasciò la postazione e raggiunse Santana, portandola nella camera a lei assegnata, deciso a eseguire altri esami più approfonditi per capire cosa avesse di preciso la latina. Attese che la ragazza si svegliasse per eseguirli, cosa che avvenne pochi istanti dopo, a causa della leggerezza del sedativo. Aprì lentamente gli occhi e si portò una mano alla testa, con un’espressione dolorante in volto. Cercò di mettere a fuoco la stanza riuscendoci, senza però capire dove si trovava.
 
“Santana … Lopez, giusto? Io sono il suo medico, il dottor Shaw. Si trova al Cardinal Memorial Hospital, si è sentita male quando si allenava. Secondo la mia opinione si tratta di una forma abbastanza comune, il Grande Male. E’ per questo e per la sua caduta che lei soffre di mal di testa. Qui nella sua cartella sono indicate Maribel Lopez, Alma Lopez, Brittany Susan Pierce e Lucy Quinn Fabray come contatti di emergenza. Vuole che le contatti tutte o solo qualcuno?” Le parlò lentamente il medico dagli occhi azzurri, mentre le cingeva il braccio con il laccio emostatico e le faceva un prelievo. La latina chiuse gli occhi e iniziò a riflettere sulla domanda posta dal suo medico. Non voleva preoccupare sua madre, più volte la donna aveva espresso timore nel vederla compiere acrobazie pericolose. Sua nonna invece la riteneva un abominio, quindi anche lei era da escludere. Brittany … Brittany era una storia a sé stante. Era la sua migliore amica, il suo primo e vero amore e si erano lasciate solo da qualche mese quindi non se la sentiva di rivederla. Anzi, il solo rivederla le avrebbe fatto provare un’altra volta il dolore amplificato della rottura ed era l’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento. Riaprì così gli occhi e guardò il dottore, iniziando a parlare.
 
“Contatti … contatti solo Lucy Quinn Fabray. Non c’è bisogno che si metta in contatto mia madre, mia nonna o la mia … amica. Prima parlava di epilessia, vorrei sapere come potrà capire se è proprio questo il mio caso. E se lo fosse, sarei sicuramente etichettata come invalida”. La latina fece una smorfia amara dicendo queste parole. Aveva fatto fatica ad accettare un’etichetta che all'inizio le sembrava estranea, non aveva bisogno di una seconda. La seconda etichetta era, in sostanza, un modo sicuro per andare in bianco o far finire una relazione nel modo peggiore possibile. Poi le voci nella comunità lesbica giravano in fretta, ne aveva avuto un assaggio dopo la rottura con Brittany, e quindi le si sarebbe rovinata decisamente la piazza. Già vedeva il suo futuro: sarebbe stata una vecchia zitella, circondata da gatti grassi come Lord Tubbington. Perfetto, ora pensava di nuovo alla sua ex.
 
“Perfetto, mi metterò in contatto solo con lei se è quello che desidera. Per capire se si tratta di epilessia, bisognerà fare una risonanza magnetica e un EEG. Della risonanza ce ne occuperemo domani, oggi è già stata esposta a una dose di radiazioni a causa della TAC. Chiamerò il suo contatto e poi la porterò a fare l'EEG, nel frattempo si riposi”. Il medico le rispose con calma disarmante e, poco prima di congedarsi con un cenno della testa, abbassò le veneziane per permetterle di riposare. Uscito dalla stanza, si diresse verso il suo ufficio e vi entrò, sedendosi alla sua scrivania. Prese il tablet in cui erano presenti, in formato elettronico, tutte le cartelle dei suoi pazienti e aprì il file di Santana. Diede un rapido sguardo all'ematocrito, trovandolo perfettamente normale, e poi iniziò a scorrere fino ad arrivare alla lista dei contatti. Vide il nome di Quinn e digitò il numero sul suo smartphone, sperando vivamente che rispondesse.
 
 
Lucy Quinn Fabray si trovava nella biblioteca del campus di Yale, circondata da tomi di letteratura straniera. Aveva i capelli legati in uno chignon disordinato e, con la matita che teneva in mano, sistemava meglio sul naso i sottili occhiali da riposo. Proprio mentre stava studiando la vita di un autore spagnolo, il suo cellulare iniziò a squillare, facendole guadagnare delle occhiatacce dagli altri studenti presenti e dalla bibliotecaria, la signora Pince. Sbuffò piano per non farsi bandire dalla biblioteca ed uscì, rispondendo poi alla chiamata. Inarcò il sopracciglio, non riconoscendo il numero, e aspettò, dopo essersi avvolta la sciarpa color crema attorno al collo, che il suo interlocutore iniziasse a parlare. Sperò che non si trattasse di cose importanti, non sopportava essere interrotta quando studiava. Dopo qualche secondo, sentì chiaramente una calda voce maschile che non riuscì a collegare a nessuno dei suoi conoscenti, amici e non. Fu più volte tentata di chiudere la chiamata ma l’istinto glielo impedì, come se si trattasse di qualcosa d’importante, quasi vitale.
 
“Pronto, parlo per caso con Lucy Quinn Fabray? Sono il dottor Shaw del Cardinal Memorial Hospital e la sto chiamando per Santana Lopez, ricoverata circa un’ora fa. Non so se n’è a conoscenza, ma lei è uno dei suoi contatti d’emergenza e l’unico che ha voluto che mi mettessi in contatto. Devo dire alla paziente che la raggiungerà qui, oppure devo dirle che è impossibilitata a muoversi?” Quasi le scivolò il cellulare dalla mano al sentire una notizia del genere, soprattutto detta con un tono così incolore, come se per il suo interlocutore fosse una cosa normale annunciare degli avvenimenti simili. Non era possibile, si doveva trattare di un’omonima o il medico poteva aver sbagliato numero. Sì, doveva essere sicuramente così. Santana non era mai finita in ospedale, era sana come un pesce. Dopo qualche secondo di smarrimento, rispose con voce flebile, passandosi nervosamente la mano libera fra i capelli. Si sedette su una gelida panchina d’acciaio, situata nei pressi dell'ingresso della biblioteca, evitando di cadere a causa della notizia data dal medico della sua amica.
“S-sì, verrò. Se prendo un aereo tra poco, dovrei arrivare fra circa un paio d’ore. Immagino che non sappia che cos'abbia Santana, è stata ricoverata da poco. Non voglio nemmeno saperlo ora, non sono notizie da dare al telefono. Ora la saluto dottor Shaw. Ho un volo da cercare e Santana, anche se non lo ammetterà mai, ha bisogno di aiuto”. La bionda chiuse bruscamente la chiamata e rientrò in biblioteca per prendere i suoi libri. Si diresse al suo dormitorio, prese il borsone sempre pronto per le emergenze e si fece accompagnare dalla sua compagna di stanza all'aeroporto. Una volta lì, acquistò un biglietto per il primo volo disponibile per Louisville. Notando che mancava appena mezz'ora al decollo, fece un rapido check-in e si sedette infine su un’alquanto scomoda sedia metallica. Perché Santana avrebbe dovuto solo lei all'ospedale? Sapeva che gli altri suoi contatti erano sua madre, sua nonna e Brittany, ma perché aveva voluto tenere sua madre all’oscuro? Glielo avrebbe chiesto una volta arrivata a Louisville. Mentre era persa tra i suoi pensieri, una voce quasi robotica annunciò il suo volo in diverse lingue. Come se si fosse svegliata da un sogno, si alzò e si diresse lentamente verso il suo gate. Salì sull'aereo e mise il borsone nella cappelliera corrispondente al posto che le era stato assegnato e che dava sul corridoio. Una volta seduta al suo posto e non badando ai suoi vicini, chiuse gli occhi e si addormentò. Dormì per circa due ore e fu svegliata da una voce maschile abbastanza irritata e, almeno da quanto sembrava dal tono, impaziente.
 
“Bella bionda, so che Puckzilla è irresistibile ma vorrebbe anche scendere da quest'ammasso di metallo, però una certa latina mi aspetta. Anzi, a essere precisi aveva intenzione di farle una sorpresa”. La ragazza aprì lentamente gli occhi e si alzò, riconoscendo il ragazzo, ormai uomo, che si trovava di fronte a lei e abbassò gli occhi non appena sentì accennare a Santana. Il moicano non poteva neanche immaginare cosa fosse successo alla Furia di Lima Heights, in realtà non lo immaginava nemmeno lei perché aveva impedito al medico di dirle di cosa si trattava. Prese il suo borsone dalla cappelliera e, dopo aver sorriso falsamente al ragazzo, lo fece passare. Il moicano notò il sorriso strano della bionda ma decise di ignorarlo, attribuendolo al troppo studio e allo stress per gli esami. Dopotutto il sorriso della ragazza era sempre stato enigmatico, sarebbe stato inutile interrogarsi sul motivo per cui l’aveva esibito. Quinn gli fece segno di seguirla e il ragazzo le obbedì confuso, non sapendo cosa avesse in mente. Era vero che voleva andare a trovare la latina ma semplicemente perché aveva smesso di rispondere ai messaggi e rifiutava le chiamate su Skype. In altre parole, la mora era schiva e a tratti anche fredda quindi l’unico modo per parlarle era presentarsi da lei senza nessun preavviso e chiarire la faccenda di persona. Al contrario di quanto tutti pensavano, anche dopo la rottura di qualche anno prima, Puck e Santana erano sempre rimasti uniti e, in diverse occasioni avevano fatto delle maratone di serie tv o di Assassin’s Creed, vinte spesso e volentieri dalla cheerleader.
 
 
“Anche io vado a trovare San e c’è una cosa che dovresti sapere. Si trova al Cardinal Memorial Hospital, mi ha chiamato il suo medico siccome sono uno dei suoi contatti di emergenza. Ho preferito non farmi dire al telefono cosa avesse, inoltre in un’ora sola non era stato in grado di fare una diagnosi. Vieni con me Noah, San non avrà bisogno solo di me e comunque non ce la farei mai da sola”. Gli disse mentre aspettava che il bagaglio del ragazzo arrivasse. Non sapendo cosa rispondere, l’ex giocatore di football annuì e iniziò a guardare il rullo che consegnava i bagagli con molto, troppo interesse. Prese il suo borsone non appena gli passò davanti e si girò verso Quinn, dirigendosi verso i taxi e facendole cenno di seguirlo. Salirono sul primo taxi libero e trascorsero tutto il tragitto in silenzio, cercando entrambi qualcosa da dire ma, in un modo o nell'altro, le parole erano come bloccate nelle loro menti. Una volta arrivati in ospedale si diressero verso un’infermiera e chiesero informazioni su Santana. L’infermiera, dopo aver fatto una veloce ricerca su un tablet fornito dall'ospedale, comunicò loro che Santana non si trovava in camera perché stava facendo un elettroencefalogramma. Disse quindi a Quinn di aspettarla in camera, poiché era comunque il suo contatto di emergenza e a Puck di sedersi in sala d’attesa. Seguirono le istruzioni della donna e aspettarono impazientemente Santana, continuando a chiedersi cosa avesse.
 
 
 
Pochi minuti prima, Santana era stata portata fuori dalla sua stanza su una sedia a rotelle. Il suo medico la spinse fino ad arrivare davanti alla porta di quella che sembrava una sala visita nel reparto di Neurofisiopatologia, tirò fuori una chiave elettronica dalla tasca del suo camice e con essa aprì la porta, entrando nella piccola stanza. Fece cenno a Santana di sedersi sulla grande poltrona lì presente e chiuse la porta dietro di sé, tenendo sempre d’occhio la latina, pronto a intervenire in caso di bisogno. Una volta che vide la ragazza seduta, prese un contenitore e dei fili ai quali erano collegati degli elettrodi. Applicò su ognuno di essi il gel denso che si trovava all’interno del contenitore preso poco prima e li mise su punti precisi del cranio della latina, facendo attenzione a fissarli bene e non farli staccare. Rimase solo un elettrodo, evidentemente diverso dagli altri, segno che esso aveva una collocazione differente, infatti il medico lo posizionò con un cerotto chirurgico proprio sul cuore della ragazza. Dopo aver dato una rapida occhiata alla sua paziente e aver stabilito che gli elettrodi erano perfettamente in posizione, il neurologo si sedette alla scrivania e accese il computer adibito al controllo del macchinario provvisto di luce che si trovava di fronte alla poltrona. Avviò un programma e guardò negli occhi la latina, che non aveva fiatato durante la procedura di poco prima, non ritenendola troppo invadente.
 
“Signorina Lopez, come le ho spiegato prima, le farò un elettroencefalogramma. È per questo che ho posizionato degli elettrodi in diversi punti del suo cranio e sul suo cuore, essi infatti monitorano il battito cardiaco e gli impulsi elettrici nel suo cervello. Ora le spiego come si svolgerà l’esame. Quel faretto che vede si accenderà diverse volte e, non appena accadrà, dovrà chiudere gli occhi e li aprirà quando si spegnerà. Quando non farà questo, dovrà respirare profondamente. Spero di essere stato chiaro.” Dopo la spiegazione del dottor Shaw, Santana annuì avendo capito ogni singola parola. La procedura iniziò e gli unici suoni che si sentivano nella piccola stanza furono il click della luce intermittente e i profondi respiri della ragazza. Costretta a tenere gli occhi chiusi, durante l'esame si rilassò talmente tanto da essere vicina ad addormentarsi, cullata dal ticchettio della luce e dalle macchie colorate che vedeva a causa di essa. In lontananza sentì la voce del medico che, dopo averle tolto tutti gli elettrodi applicati circa venti minuti prima, le disse che avevano finito. La giovane aprì lentamente gli occhi, cercando di abituarsi all'illuminazione fredda della stanzetta e represse uno sbadiglio, causato dallo stato di sonnolenza in cui si trovava. Lentamente, si alzò e si sedette sulla sedia a rotelle che era obbligata usare e il dottore che seguiva il suo caso iniziò a spingerla con l'intenzione di riportarla in camera. Con i suoi occhi scuri percorse i corridoi completamente bianchi e impregnati di un odore di disinfettante, caratteristiche che aveva presto imparato ad odiare perché suo padre era un chirurgo e spesso aveva dovuto rinunciare alla famiglia per correre in ospedale. Mentre si dirigevano verso la sua camera, essi diventavano azzurri, blu, verdi e persino grigi a seconda del reparto, fino a ritornare bianchi non appena arrivarono sulla soglia nella stanza della latina. Una volta lì, e soprattutto stufa di essere trattata come un'invalida, mise le mani sulle ruote e spinse con tutte le sue forze, avvicinandosi così al letto. Tentò di alzarsi ma, a causa del malore di qualche ora prima, le gambe le cedettero e chiuse gli occhi preparandosi all'impatto con il pavimento che non arrivò mai. Due esili braccia le cinsero la vita e la sconosciuta, aveva capito che si trattava di una donna per i piccoli seni che le premevano sulla schiena, la strinse a sé come a non volerla più lasciare andare e proteggerla al tempo stesso. Alzò lo sguardo scuro e i suoi occhi si incatenarono in un paio familiare verde e tendente al nocciola. Quelle sfere dalla sfumatura così particolare e quei capelli biondi potevano appartenere solo a Quinn Fabray che, in quel momento le rivolse un sorriso che mal nascondeva la sua evidente preoccupazione. La studentessa di Yale passò una mano tra i capelli corvini dell'amica, notando che in determinati punti cerca una specie di colla simile, almeno per l'aspetto, a chewingum usato. Così fece appoggiare la latina a sé e la portò in bagno, facendola sedere su uno sgabello vicino al lavandino. 
"San, mi hai fatto preoccupare da morire. Che cosa ti è successo? Il medico non mi ha voluto o potuto dire nulla quindi sta a te raccontarmi cosa ti è accaduto." Detto ciò, la bionda aprì il rubinetto aspettando che l'acqua diventasse calda. Nel frattempo, la mora non aprì bocca, troppo a disagio per la situazione e per ciò che era successo prima. Sentì le mani dell'altra ragazza massaggiarle energicamente la cute e, cullata da quei movimenti circolari, chiuse gli occhi e si rilassò. Un caldo e morbido asciugamano le tamponò i capelli, seguito subito dopo da un piccolo phon da viaggio che Quinn aveva nel borsone. Rimase con gli occhi chiusi, come a godersi il contatto umano che le era tanto mancato perché, non lo avrebbe mai ammesso a nessuno, Santana Lopez era sola. Tra le lezioni e gli allenamenti non aveva molto tempo per fare amicizia e, se proprio voleva dirlo, l’ambiente era terribile. La competizione era alle stelle, aveva sentito di molte che erano state sabotate dalle proprie compagne di squadra facendole cadere e quindi finire al pronto soccorso. Altre ancora, a causa della pressione, sfociavano in diversi disturbi che causavano l’espulsione dalla squadra e quindi alla perdita della borsa di studio, acquisita con tanta fatica. In sintesi, le sembrava di essere in una versione peggiore del suo liceo, una in cui però non era in cima ma era solo una delle tante e tutto ciò non le piaceva. Cacciò via quei pensieri dalla testa e si alzò con cautela, appoggiandosi alla sua amica e facendole cenno di tornare in camera. La bionda, non volendo farla sforzare, la prese in braccio e la latina spalancò gli occhi per la sorpresa perché non si aspettava che fosse in grado di sollevarla, soprattutto dopo mesi in cui probabilmente non era nemmeno andata a correre.
“San, non sarò più una cheerleader ma continuo ad allenarmi. Non voglio che Lucy ritorni, mi sono già abbastanza rovinata la vita. Non trovi?” Il sorriso che le mostrò non era limpido ma era come velato dalla tristezza, purtroppo non aveva visto Quinn durante il periodo in cui si faceva ancora chiamare Lucy e, anche se l’avesse fatto, molto probabilmente sarebbe stata una di quelle che la prendeva in giro o peggio. Distratta com’era, non si accorse che si trovava sotto le coperte e, sentendo le palpebre improvvisamente pesanti, si addormentò, lasciando la domanda senza risposta. Il suo sonno però non fu tranquillo, ma agitato dai suoi demoni interiori.
 
Santana camminava per i corridoi del McKinley, indossando la divisa delle cheerios. Era confusa perché non sapeva il motivo per cui si trovasse lì, soprattutto conciata in quel modo. Camminava come al suo solito al centro del corridoio e gli altri studenti erano poggiati agli armadietti ma, invece di guardarla con ammirazione e terrore, la guardavano divertiti e ridacchiavano tra di loro. Udiva distintamente le parole che dicevano.”Lesbica”, “handicappata” ed “epilettica”erano alcuni degli insulti che riceveva. Sapeva bene che nessuna di queste parole era in sé per sé un insulto ma ciò che le rendeva tali era il tono usato. Era tagliente e solo in quel momento capì il detto “Una penna ferisce più di una spada”. Non si era mai resa conto di come feriva le persone quando apriva bocca. Ed ora correva, scappava via da quelle persone che prendevano il volto di sua nonna, di Rachel, Karofsky e di chiunque al McKinley. Si fermò soltanto quando le sue gambe arrivarono al limite e cadde sbattendo la testa, rendendo tutto buio attorno a lei e scivolando nell’oblio.     
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
   
 
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