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Autore: sgnap97    02/10/2016    1 recensioni
[PRUHUN, AU Dc Universe, Joker.] Gilbert sedeva sull'elegante poltrona di velluto al centro della cella scarna, con le gambe accavallate e i gomiti comodamente appoggiati sui braccioli. Picchiettava nervosamente le dita guantate tra loro, a tempo con la punta delle scarpe rinforzate con il metallo.
Silenzio.
Era proprio quello che gli serviva, al momento. Silenzio e calma per trovare il momento adatto per fuggire dal manicomio e trovare il modo di liberarsi una volta per tutte del dannato Pipistrello.
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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FANFICTION HETALIA DC UNIVERSE AU (JOKER)
prompt: Joker
ship: PruHun

 

WE ARE TOGHETER AGAIN, DARLING.

by sgnap97


Gilbert sedeva sull'elegante poltrona di velluto al centro della cella scarna,  con le gambe accavallate e i gomiti comodamente appoggiati sui braccioli. Picchiettava nervosamente le dita guantate tra loro, a tempo con la punta delle scarpe rinforzate con il metallo. Quelle stupide guardie di Arkham non potevano sapere dell'elaborato meccanismo che nascondeva in quella punta una lama pronta a scattare, coperto magistralmente con le ghette bianche.
Silenzio.
Era proprio quello che gli serviva, al momento. Silenzio e calma per trovare il momento adatto per fuggire dal manicomio e trovare il modo di liberarsi una volta per tutte del dannato Pipistrello.
Carezzó il velluto che  ricopriva i braccioli della poltrona: rosso,come il trucco che dipingeva sulle sue labbra un perenne sorriso inquietante. Lasciò che la schiena aderisse al velluto che copriva la spalliera,  poi sospirò chiudendo gli occhi.
Avrebbe potuto ricostruire quella cella e tutto il manicomio senza alcuna difficoltà, tante erano le volte in cui vi era stato rinchiuso. Poteva affermare con orgoglio che il suo nome era stato inciso sulla porta blindata di quella cella. Per il Pipistrello era un auspicio ogni qualvolta riusciva ad evadere, visto che se quella era la cella personale del Joker non poteva rimanere vuota a lungo; ma per lui era un vanto: non vi era posto nel manicomio di Arkham, o in tutta Gotham che egli non fosse conosciuto. Per gli altri detenuti la cella del Joker era addirittura una sorta di santuario.
Era temuto, oh che era temuto.
Non c'era persona a Gotham che non conoscesse il suo nome, che non tremasse alla vista del suo ghigno sanguigno e il volto perlaceo. Nessuno che rimanesse indifferente di fronte al nome del Joker.
Ridacchiò tra sé e sé pregustando il momento in cui sarebbe stato di nuovo libero.
... E allora sì che lo avrebbero temuto.
I cittadini di Gotham avrebbero assistito al grande ritorno del Joker. Cosa avrebbe potuto preparare? Fuochi d'artificio? No, troppo banali e per niente spaventosi. Una bella esplosione?
Ridacchiò. Oh sì, un'esplosione era proprio quello che si poteva definire un ritorno in grande stile: un grande botto si adattava perfettamente alla sua personalità egocentrica e megalomane. Avrebbe anche poteva anche giocare con le sue vittime... gli piaceva giocare con i poveri cittadini spaventati: piccoli topolini nella gabbia di un leone.
Una scelta! Poteva mettere il Pipistrello di fronte ad una scelta. I cittadini di Gotham o la sua vita... no! Banale! Banale, banale! Avrebbe scelto i cittadini, voglioso di fare l'eroe come era solito fare. È così scontato... Come avrebbe potuto divertirsi se alla fine la conclusione era così scontata?  E poi con chi si sarebbe divertito?
Non certo con gli sbirri: stupidi, ottusi e pronti a vendere la madre per una manciata di banconote fruscianti o per salvare la loro inutile pellaccia.
Sospirò.
Doveva solo aspettare per uscire da quella cella. Il gas ilare che celava nel nel fiore all'occhiello lo avrebbe aiutato: le guardie erano state troppo ingenue per controllarlo. Bastava avvicinare uno di loro e...
"Kesesesesese." Ridacchió. Assaporò nella sua mente l'immagine dei secondini a terra, con un ultimo, forzato sorriso dipinto sul volto, a perenne conferma del passaggio del Joker.
"Gilbird, presto saremo di nuovo liberi."
Lasciò che l'uccellino gli si posasse sulle dita. lo trattava con delicatezza, quasi come se gli importasse che non si facesse alcun male. Non che ci tenesse particolarmente, no, lui non teneva praticamente a niente, ma quel piccolo uccelletto dorato poteva essergli utile in futuro, come lo era sempre stato, visto che non era difficile per lui introdursi ed uscire dal manicomio. Carezzó le sue soffici piume prima di indicargli di volare.
Era giunto il momento.
Si avvicinò alle sbarre della prigione, carezzando il fiore con l'amato gas, attendendo spasmodicamente il momento in cui avrebbe potuto attivare il congegno, ma quando fece per poggiarsi, la porta si aprì da sola.
"Cosa..." si bloccò, quando i due carcerieri spinsero all'interno una figura immobilizzata in una camicia di forza.
No... no, no, no, no, no! NEIN!
Gilbert rabbrividì, saltando all'indietro quasi fosse stato colpito da una qualche scarica elettrica, non appena riconobbe la figura.
I codini, il trucco ormai sbavato, e quel sorriso a trentadue denti.
Ed ecco che i grandi piani di fuga andavano a farsi benedire.
"GILBERTUCCIO!"
Elizabeta gli sorrise, cominciando a scalciare con una bambina capricciosa. "Mister G!"
Gilbert cercò di tapparsi le orecchie, pur di attenuare la sua voce petulante.
“Gilbert!”
Riuscì ad alzarsi, continuando ad urlare civettuola, spaccando i suoi timpani e cominciando a saltellare in giro. Ma dove la trovava tutta questa energia? Come?
“Mi hanno messa nella tua cella perché così potremo stare vicini!! Sei contento?”

COSA?!?!

“Sei contento Gilbertuccio?”
Il prussiano non aveva parole. Si erano tutte essiccate nella sua gola, il suo sorriso era scomparso. Con quella.... piattola alle calcagne come poteva attuare la sua fuga?
Ma come? Perché? Perché nella sua cella? La sua tranquillissima cella.. La sua personalissima cella.
Non lei, non adesso.
"Gilbertuccio!"
Quella voce continuava ad entrargli nelle orecchie come un martello pneumatico, e scavava, scavava come se il terreno fosse estremamente friabile. Non gli era per niente mancata. No! Non la voleva con sé e non gli importava se adesso si era fatta catturare nell'ennesimo tentativo di liberarlo. Con il suo piccolo cervello, che cosa voleva fare? Quale piano poteva ardire che il Pipistrello non potesse sventare?
Se voleva aiutarlo, l'obiettivo era stato errato. Totalmente errato. Ma era sbagliato in partenza! Lui non aveva bisogno di nessuno, nessuno! Nemmeno della sua compagna.
Pensava di essersene finalmente liberato...
Era tutto così bello senza quella ragazzina che gli girottolava intorno: Harley Queen era appiccicosa come la rigiada degli alberi, che quando finisce sulle dita, per quanto uno si impegni nel cercare di lavarla via non riesce proprio a staccarsi; e lascia quell'alone appiccicaticcio che pervade i polpastrelli e tutto ciò che essi toccano.
“Hanno anche installato una nuova targa!”
Cosa? Era così preso a piangersi addosso che non si era accorto del movimento davanti alla sua cella.
Si precipitò con una furia tale che anche l'ungherese ne rimase sorpresa, aggrappandosi alle sbarre con una tale foga che con un altro po' di pressione avrebbe potuto buttarle giù senza alcuna difficoltà. Osservò la scritta che il Pipistrello stesso stava apponendo. C'era un tale odio negli occhi del prussiano che se quella lamina fosse stata infiammabile si sarebbe incendiata e  liquefatta.
Il pipistrello si voltó verso di lui con un sorriso divertito, poi alzò la targa e la giró per mostrargliela.
“Carina, non trovi? La ha voluta incidere la tua fidanzata con la sua stessa mano.”
Sulla lamina di metallo vi erano incisi due nomi con calligrafia infantile: le lettere tondeggianti scritte dalla mano di quello stesso essere che saltellava allegro nella sua cella. Poteva leggervi il suo nome e quello di Elizabeta dentro un cuore sbilenco.
"Buona convivenza."
Il maledetto Pipistrello si allontanò sventolando il proprio mantello, salutando con la mano il proprio nemico. Gilbert si aggrappò alle sbarre come se potesse uscire, poi si voltò verso la ragazza che saltellava con gioia verso di lui.
"QUESTA ME LA PAGHI MALEDETTO!"
Dannazione: aveva trovato il modo migliore per ritardare la sua fuga.




 


Ecco a voi una piccola fic non proprio nuovissima, scritta per un piccolo contest! Spero vi possa piacere! Purtroppo io sono la persona più incostante del mondo, e l'università che frequento non aiuta, quindi credo di riuscire a lavorare decentemente solo su queste piccole storie... Non avete idea di quanto sono dispiaciuta per non avere più tempo di scrivere, è una cosa orribile non riuscire a ritagliarsi un attimo per potersi dedicare a ciò che si ama.  
Un bacio, Sgnap.

  
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